30. "Torneremo a casa"
🌜Non aver paura di sognare 🌛
“Fire on fire would normally kill us
With this much desire, together, we're winners
They say that we're out of control and some say we're sinners
But don't let them ruin our beautiful rhythms”
-Sam Smith
«Ho sbagliato, vero? Certo che ho sbagliato! L'ho capito dal modo in cui mi guardi. Vero che ho sbagliato?», chiede Niall con aria irrequieta.
«Ti ho già detto di no», mormoro, fissando il mio piatto.
«Ariel. So che non te l'aspettavi, mi dispiace», continua a dirmi a bassa voce, in modo che gli altri non sentano la nostra conversazione.
«Prima o poi sarebbe successo», faccio spallucce, non trovando il coraggio di guardarlo in faccia.
«Avresti fatto passare ancora un po' di tempo... E se fosse successo qualcosa di brutto?», appoggia la mano sulla mia, cercando di farmi ragionare.
Sospiro profondamente. «Niall, so che hai ragione, ma in quanto vittima, nonostante io la pensi come tutti voi, non troverei mai il coraggio di dire, da un giorno all'altro, "Perfetto, ora mi sbarazzo di questo stronzo"», cerco di spiegargli con calma.
«Lo so, e cerco assolutamente di mettermi nei tuoi panni. Ma a volte devi davvero scegliere nella vita... A volte serve molto coraggio, ma quando hai accanto qualcuno ti senti più sicura», fa dei cerchi immaginari sul dorso della mia mano e sorrido.
«Già», ammetto. «È così facile dire ad una persona di fare questo e quello, ma la verità è che non è semplice farlo. Agire è sempre il problema», ritraggo la mano e alzo piano lo sguardo verso di lui.
«E quindi cosa stai cercando di dirmi?», diventa improvvisamente cupo in volto.
«Niente. È una situazione di merda, ma so cosa devo fare», sorrido lievemente, cercando di rassicurarlo.
«Lo sai che non ti mollo finché non fai quello che speriamo tutti che tu faccia», mi osserva intensamente, come se dietro ai suoi occhi si celasse una minaccia innocente.
«Sì», la voce è quasi flebile.
«Ehi», si piega sul tavolo. «Verrò con te».
La vista mi si appanna, ma cerco di non mostrarmi debole proprio in mensa. «Ti ringrazio», dico.
«E poi c'è anche tuo fratello», mi ricorda. «E c'è Aaron... E Seth... E-».
«Lo so, Niall. Lo so», lo interrompo.
«Dubito che permetteremo ancora a quello lì che si avvicini a te», tenta di sorridere.
Inclino il capo e lo guardo con un sorriso mesto. «Sei davvero insistente».
Lui solleva le mani e ride. «Spero non sia un problema».
«No, per niente. Anzi, ti ringrazio», sussurro, poi prendo una patatina e la intingo nella salsa.
Segue un silenzio strano tra me e lui. Posa i gomiti sul tavolo e assume un'espressione meditabonda.
Forse ci sarebbero così tante cose da dire, che preferiamo non dire nulla.
Finirei per vomitare un fiume di parole incomprensibili oppure la conversazione finirebbe per sfociare in un vaniloquio, e finiremmo per tornare a punto e daccapo.
Non potrei nemmeno aprire una discussione su qualche argomento scolastico, perché penso che, per quanto ad entrambi piaccia studiare, non siamo dell'umore giusto.
Continuo a schiaffarmi in bocca delle patatine, con la stessa lentezza di un bradipo, e sono quasi in procinto di alienarmi, anche soltanto per pochi secondi, nella mia mente, ma il vociare degli altri cattura la mia attenzione.
Giro piano la testa verso il tavolo adiacente al nostro e, anche se non si fa, ascolto il loro discorso senza capo né coda, ma riesco a captare alcune delle loro parole, e sono quasi certa di aver udito il mio nome uscire dalla bocca di uno di loro.
Cerco di sbirciare verso le loro figure, ma appena notano il mio sguardo, cala il silenzio e ognuno guarda il proprio pasto.
Tento di ignorare l'accaduto. Mi ripeto che è soltanto una coincidenza e che forse non sono l'unica Ariel in questo posto.
Niall inizia a tamburellare irrequieto le dita sul tavolo. Si gira a destra e sinistra, come se non riuscisse più a stare zitto ma non sapesse come iniziare il discorso.
Oggi non c'è neanche l'ombra di Jamie, e penso sia meglio così.
Guardo verso un altro tavolo e vedo gli occhi di alcuni studenti puntati su di me. Distolgono subito lo sguardo e iniziano a parlottare tra di loro.
Mi chino verso Niall e dico sottovoce: «Mi sento come se tutti stessero parlando di me. Mi guardano in modo strano».
Niall, nell'udire la mia frase, gira subito lo sguardo per accettarsi di quello che ho detto, al che grida: «Che diamine avete da guardare?».
Mi nascondo il viso tra le mani, colta da un momento d'imbarazzo. «Non dovevi farlo», borbotto.
«Ma piantala, pure tu! Non puoi camminare sempre con la paura addosso e la vergogna che loro ti fanno provare», dice leggermente adirato.
«Ehi», dice Jay fermandosi al nostro tavolo e prendendo posto accanto a Niall. Sembra un po' a disagio. Dopo essersi guardato intorno, si piega verso di me e dice: «Girano delle strani voci sul tuo conto».
Ecco. È esattamente quello che non volevo accadesse. Deglutisco e con voce tremante gli dico: «Che tipo di voci?».
«Assurde! Dicono che tu», fa una pausa, facendomi cenno di avvicinarmi ancora di più. «abbia ucciso qualcuno».
«Cosa?», grida Niall, colpendo il tavolo con il pugno, facendo traballare i vassoi. Tutti si girano verso di noi. Dio, vorrei che la terra si aprisse in questo momento.
«Lo so, cazzo! È ridicolo e folle», continua a dire Jay, preoccupato.
«G-già», balbetto, non riuscendo più ad articolare una frase.
«Sono soltanto voci. È sicuramente colpa di Jamie», dice facendo una smorfia.
«Quel figlio di meretrice», brontola Niall, ma io e Jay lo guardiamo con un'espressione confusa.
«Cosa?», dice lui, spalancando le braccia.
So che quello che è avvenuto due giorni fa ha fatto già il giro del college e so che adesso sanno tutti della rissa tra Aaron, Jace e Jamie. Quest'ultimo gode di una certa fama in questo posto e Aaron non è da meno. L'astio tra loro due è evidente a tutti a quanto pare, soprattutto da quando l'ha provocato alla partita alla quale ha partecipato anche Seth.
Però, adesso che ci penso, è molto probabile che Jamie abbia sparso la voce. Era la minaccia principale nel nostro rapporto: "Fai quello che ti dico e non dirò il tuo segreto". E so quanto lui odi essere umiliato. Ecco perché avrei preferito che tutto ciò non accadesse. Ecco perché avrei voluto che Aaron non vi prendesse parte a tutto questo casino.
«È colpa mia», dico, sentendo subito un nodo formarsi in gola.
«Ma no», cerca di rassicurarmi Jay.
«Tu non capisci», gli dico, alzandomi in piedi. Vado verso il tavolo dov'è seduto Tyler e sollevo una mano per salutarlo. Lui, vedendomi arrivare, si alza immediatamente e viene verso di me.
«Ciao», gli dico visibilmente ansiosa.
«Ehi», risponde, quasi a disagio.
«Pensi che tuo zio mi potrebbe aiutare?», chiedo, sperando capisca ciò che intendo.
Schiude le labbra per un secondo, con espressione sbalordita, e poi torna in sé. «Certo. Certo che sì».
«Mi potresti dare qualche dritta?», gli dico a bassa voce.
Lui si guarda intorno e sorride, dicendo poi a voce alta: «Certo, sarebbe fantastico!». So che sta cercando di non far sembrare questa conversazione strana o misteriosa e lo ringrazio con un sorriso.
Mi giro verso Niall e so che ha capito cosa dobbiamo fare. Mando un messaggio a mio fratello e gli dico di raggiungermi.
«Bene, allora, quando vuoi...», lascio in sospeso la frase e inizio a indietreggiare, tornando dai miei amici.
Due ore più tardi, esco dalla stazione di polizia, accompagnata da mio fratello e Niall.
Fuori vedo Aaron aspettarci appoggiato alla sua auto, con uno sguardo preoccupato. Lo sto evitando da due giorni, perché non riesco nemmeno a guardarlo negli occhi attualmente.
Appena i nostri sguardi si incrociano, lui rilascia un sospiro di sollievo e si raddrizza, come se non vedesse l'ora di parlarmi.
«Ehi», dice, deglutendo.
«Ciao, Aaron», gli sorrido.
«Mi sarebbe piaciuto esserci», si schiarisce la gola. Probabilmente si sente leggermente fuori luogo.
«Lo so, ma è stato meglio così per me». Mi avvicino di più a lui finché non gli sono davanti. Lui non sa nemmeno cosa fare, quindi faccio la prima mossa e lo abbraccio forte. Ricambia subito, piegandosi verso di me e nascondendo il viso nell'incavo tra la spalla e il mio collo.
«Mi sei mancata, sirenetta», mi stringe più forte. «Mi dispiace, non avrei dovuto parlarti in quel modo, ma ero arrabbiato».
«Non devi, Aaron. Lo capisco, mi dispiace non averti detto niente», dico, mordendomi il labbro e appoggiando la fronte contro la sua spalla, mentre le sue braccia mi tengono ancora stretta. Mi è mancata questa sensazione di calore.
Si stacca piano da me e mi guarda negli occhi. «Voglio che tu sappia che io non ti giudicherei mai», mi prende il viso tra le mani. «Mai», ripete.
A questo punto guardo Jace e sospiro profondamente. «L'hai scoperto, non è così?».
«Ariel», fa per dire, ma scuoto la testa.
«Jace», dico, rimproverandolo con lo sguardo.
«Mi dispiace, Ariel. Meritava di saperlo, ci sta perfino ospitando», tenta di giustificarsi.
Mi allontano da Aaron, ma lui mi afferra il braccio e mi guarda come se volesse quasi supplicarmi di non chiudermi ancora. «Non ci riesco. Non riesco a vederla come una cosa normale. A voi viene più facile accettarlo, ma io il gesto l'ho compiuto e non riuscirò mai a fare finta di niente, va bene?», cerco di non piangere.
«Ariel, lo so», vedo la tristezza negli occhi di Aaron e mi sento in colpa.
«Tu sei un ragazzo fantastico, Aaron», inizio a dire. Mio fratello e Niall capiscono che sto per dire qualcosa di personale, quindi si allontanano, lasciandoci da soli.
«Ma?», chiede lui.
«Ma non penso di essere pronta per questo. Mi hai donato quello che più mancava e ti assicuro che mi sono sentita al settimo cielo. La cosa che più ho apprezzato di te, è che mi hai lasciato fare breccia nel tuo cuore con facilità, senza indagare sul mio conto, senza stare lì a riflettere se fosse la cosa giusta o meno. E mi sono sentita per una volta davvero amata, desiderata e a casa», più continuo a parlare, più capisce dove voglio andare a parare.
«Possiamo-», fa per dire, ma faccio di no con la testa.
«Tra le tue braccia ho riscoperto la bellezza dei sogni. Sei tu il mio sogno ad occhi aperti, e non immagini quanto io ti sia grata per essere rimasto sveglio con me quando non riuscivo a dormire e per le volte in cui mi hai permesso di dormire tra le tue braccia», distoglie lo sguardo, non riuscendo più a sostenere il mio.
«Aaron», gli prende la mano, avvicinandomi di più. «Io sono appena uscita da una relazione tossica e non riesco a buttarmi tra le tue braccia, iniziando tutto da zero. Ho bisogno di stare da sola e stare bene. Non voglio dipendere da te, perché so che mi doneresti quello che mi è sempre mancato e io so che mi sentirò così legata a te che non riuscirò più a vedermi sola in futuro».
«Prenditi del tempo, allora. Io aspetterò», mi supplica con lo sguardo.
«Ho fatto questo per te», cambio discorso, aprendo lo zaino e tirando fuori un portachiavi. Ho ridipinto il ciondolo e ho disegnato i fiori Nontiscordardime. Mi ricordano i suoi occhi.
Lui lo afferra tra le dita e sorride tristemente. «Mi stai pregando in tutti i modi di non dimenticarmi di te mentre mi fai capire che te ne andrai», è così ferito che non riesco più a guardarlo negli occhi.
«Mi piace lasciare qualcosa di me agli altri», mi stringo nelle spalle.
Lui annuisce e abbassa lo sguardo sul mio collo. «L'hai messa», si riferisce alla collana che mi ha regalato.
«Già», mormoro timidamente.
Aaron mi afferra dolcemente il viso tra le mani e chiude gli occhi, avvicinando le labbra alle mie.
Un bacio è tutto quello che volevamo entrambi, forse. Poso la mano sulla sua guancia, sentendo la barba pizzicarmi la pelle, e ricambio il bacio. Sembra una dolce tortura o forse un addio che nessuno dei due riesce a pronunciare a parole.
«Ti amo», sussurra sulle mie labbra.
«Ti amo anche io, Aaron», pronuncio. Con le palpebre ancora chiuse e le labbra ad un soffio dalle sue, sento una lacrima rigarmi il viso. Lui me l'asciuga e poi mi bacia sulla fronte, abbracciandomi forte e facendomi appoggiare la testa sul suo petto.
La sera ricevo un messaggio da parte di Tyler, dove mi dice che stanno interrogando Jamie. Dentro di me provo un senso di soddisfazione, ma dall'altra parte mi aspetto che la faccia franca. Nonostante io abbia fornito le prove che avevo grazie a Niall, ho paura che ciò possa non bastare.
Sono ancora qui, da Niall. Sua madre continua a pensare che io sia la sua ragazza, anche se lui ha cercato di spiegarle con tutta la calma del mondo che sono soltanto un'amica.
Non voglio essere un peso per loro, quindi intendo tornare da Aaron, dopodiché deciderò cosa fare.
Continua a risuonare nella mia mente la frase "Andrà tutto bene" e cerco di autoconvincermi e non perdere la speranza.
«Ehi, Niall, mi daresti un passaggio?», gli chiedo, dopo aver riposato il cellulare nella tasca.
«Certo», si alza dal divano e vado a prendere le mie cose, dopodiché lo raggiungo in macchina.
«Ti ringrazio per l'aiuto offertomi in questi giorni. Spero che non sia stato un problema per i tuoi», dico.
«No, i miei se ne fregano».
Mette la macchina in moto e gli dico di fermarsi da Aaron.
«Sei sicura di volerlo fare?», chiede e annuisco.
Quando arrivo a casa sua, busso e mi apre mio fratello. Sembra quasi sollevato di vedermi di nuovo qui. «Dirai ad Aaron che hai cambiato idea?», domanda come prima cosa, con espressione speranzosa.
«No», rispondo.
«Non mi sembra il caso che entri anche io, quindi è meglio che vada. Rifletti bene e prenditi cura di te. Chiamami per qualsiasi cosa, va bene?», dice Niall, abbracciandomi forte.
Una volta andato via, mi dirigo in salotto, dove trovo Aaron sul divano, mezzo afflitto. Sembra così giù d'umore che non ha nemmeno voglia di girare lo sguardo verso di me. Anzi, fissa il muro come se potesse dargli delle risposte.
Quando mi metto accanto a lui, si alza ed esce dalla stanza. Mio fratello si siede al suo posto e restiamo per un po' in silenzio.
«Mi dispiace, Ariel», afferra la mia mano e si avvicina di più. Poso la testa sulla sua spalla e lo abbraccio.
«Lo so». Chiudo gli occhi e poi piango silenziosamente, finché non sento di essermi sfogata del tutto.
«Torneremo a casa», sentenzio e mio fratello gira di scatto lo sguardo verso di me.
«Davvero?», chiede, sorpreso.
«Sì, davvero». Mi alzo e vado nella stanza di Aaron. Lo trovo steso a letto, su un fianco. Mi dà le spalle.
Piano, vado a sdraiarmi sull'altro lato, con la faccia rivolta verso la sua.
«Tornerò a casa», sussurro, ma da parte sua non ricevo alcuna risposta. Annuisce in modo impercettibile e chiude gli occhi, coprendosi in seguito con la coperta, facendomi capire che non ha voglia di continuare l'argomento.
Rimango in silenzio per non so quanti minuti, ad osservare il soffitto e a maledirmi mentalmente. Sembra che la mia vita sia stata segnata dalla sfortunata. Per quanto mi logori dentro, io so che è la scelta giusta per entrambi. Non ho intenzione di farlo soffrire, perché so che non riuscirebbe ad adeguarsi ai miei ritmi e ai miei pensieri. Ho bisogno di tranquillità, e nonostante l'abbia trovata innumerevoli volte tra le sue braccia, voglio trovarla da sola, altrove.
All'improvviso allunga il braccio verso di me, come se fosse un invito. Non compiendo alcuna mossa, lo sento dire: «Vieni, sirenetta. So che non riesci a dormire e voglio che, almeno per questa notte, tu dorma contenta e al sicuro tra le mie braccia».
Mi avvicino a lui e poso la testa sulla sua spalla e lo stringo a me con un braccio. Il suo, molto più possente rispetto al mio, mi avvolge come se fosse uno scudo e mi tiene stretta e al caldo.
Guardo il soffitto e noto ancora le stelline appiccicate ad esso. Sorrido tra le lacrime, cercando di non tirare su con il naso e lasciare che capisca che sto piangendo, ma all'improvviso il suo braccio mi stringe di più e le sue labbra premono sulla mia fronte, poi lo sento sussurrare: «Sto soffrendo anche io. E quando andrai via, guarderò le stelle per sentirti più vicino».
«Spero che tu sia la prima cosa che sognerò quando non avrò più paura», gli dico, dandogli un bacio sulle labbra.
«Lo spero anche io». Restiamo abbracciati e in silenzio, con il nostro dolore che si mischia, finché non chiudo le palpebre e mi abbandono alla sensazione di calore e sicurezza che mi fa provare.
🙊🙊 Avete capito già, vero? Secondo voi cosa merita Ariel?
E Aaron?
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