27. "Non aver paura di sognare"
🌜Non aver paura di sognare🌛
“E non lo senti che
Questo cuore già batte per tutti e due
Che il dolore che hai addosso non passa più
Ma non sei più da sola ora siamo in due
Io ci sarò comunque vada”
-Irama
Se mi chiedessero, in questo momento, cos'è la felicità, direi che è la risata di Aaron che riecheggia nell'aria mentre mi racconta alcuni aneddoti della sua infanzia.
E se mi chiedessero cos'è l'amore, direi che sono gli occhi di Aaron quando mi guardano in silenzio, dicendomi già tutto ciò che dovrebbero dirmi.
E se mi chiedessero cos'è la paura, direi Jamie.
Ma adesso, sotto un cielo stellato d'inverno, mentre i fiocchi di neve cadono giù e le stelle brillano sopra di noi, mi sento come se fossi in paradiso.
La paura è nulla quando la mia unica sicurezza è accanto a me. Lui non lo sa, ma un giorno spero di dirglielo; gli dirò che in lui ho trovato tutto ciò che ho sempre desiderato. Ogni volta che guardo quei film romantici in TV, mi ripeto "I ragazzi così non esistono", basandomi sull'esempio d'amore nocivo che mi ha dato Jamie, ma Aaron è tutto ciò che reputavo impossibile da raggiungere e scoprire.
Passeggiare per le strade di Augusta, al freddo, con i nostri respiri che creano condensa, il bicchiere di cioccolata calda in una mano e il gelato nell'altra, è la mia idea di felicità. Avevo voglia di gelato e cioccolata calda, così Aaron me le ha prese entrambe. Non mi sento più la lingua e probabilmente tra poco congeleranno anche i miei neuroni.
«Dammi qui», dice ridendo, riferendosi al mio gelato. «E tieni questi», mi passa i suoi guanti.
«G-grazie», balbetto, tremando per il freddo.
Torniamo in macchina e accende il riscaldamento, intanto che finiamo di consumare le nostre cose.
«Comunque, non è male questa combinazione», cerca di autoconvincersi.
«Se il mio dentista lo sapesse, mi ucciderebbe con le sue mani», ammetto, facendolo ridere. Mi tolgo i guanti e lo guardo di sottecchi.
«Hai ragione», concorda.
Segue una breve pausa, poi scoppia a ridere e dice: «Se mi guardi così, io mi innamoro, sappilo».
All'improvviso il freddo non lo sento più; probabilmente sono diventata anche rossa in faccia.
Il fatto che non abbia risposto al mio ti amo, non rende le cose strane, anzi.
«Io lo sono già», confesso, come se non lo sapesse.
«Ah, davvero?», chiede in tono scherzoso.
«Già», la voce appena udibile nell'abitacolo.
Mentre guardiamo fuori dal parabrezza, Aaron rompe il silenzio: «Sai, amo il buio. Mi fa stare bene».
«Perché?», gli chiedo.
«Perché mia sorella è morta una di quelle sere dove ti sembra che il cielo sia fatto apposta per accoglierti. Come questa sera, guarda», punta l'indice verso l'alto. «È come se lei fosse lì e fosse felice per me. Mi sento bene».
«A me il buio non piace», dico, invece. Siamo così diversi anche in questo.
«Te l'avevo già chiesto. Brutti sogni, giusto?», cerca conferma. Annuisco e lui si morde il labbro. «Cosa sogni?»
«Cose brutte. Dormire non mi piace. Cioè, ne ho davvero bisogno, ma non mi piace sognare».
«Si sogna sempre, Ariel. Sogni anche quando non te lo ricordi. Sogni anche adesso, che sei qui con me», si gira verso di me e mi accarezza la gote.
«Sì, ma sognare mi fa stare male».
«A volte sognare è ciò che ci permette di restare vivi. Cos'è la vita senza un sogno?», domanda guardandomi negli occhi.
«Non lo so», mi stringo nelle spalle.
«Se non ho un sogno, seppur piccolo, come per esempio essere felice, per cosa vivo?», il suo sguardo adesso è così intenso; mi sento come se stesse scavando dentro di me.
«Non vivi», sussurro.
«E tu sei qui, viva. Quindi, cosa sogni, Ariel? Se non ti piace sognare quando dormi, so che sogni quando sei sveglia», si avvicina di più e mi sorride come se volesse rassicurarmi.
Ci guardiamo negli occhi a lungo, finché non sento una lacrima scivolare sulla mia guancia.
«Io non so cosa ti sia successo di così brutto, tanto da impedirti di sognare... Ma tu sogna, se vuoi essere libera».
Scuoto la testa, poi mi prendo il viso tra le mani. Lui mi sposta delicatamente le mani e mi asciuga le lacrime, sospirando profondamente. «Non voglio che tu soffra. L'unica cosa che voglio sapere, è come posso fare per cancellare ciò che ti ha distrutto?».
«Stai ridando colore al quadro morto in cui mi hanno trasformata», gli dico con un sorriso malinconico.
«E tra poco questo quadro diventerà un capolavoro», mi tocca la punta del naso.
Il silenzio regna di nuovo nell'abitacolo; sento soltanto i nostri respiri pesanti.
Con Aaron accanto a me, mi rendo conto di aver passato troppo tempo a contare i miei difetti e non mi sono mai fermata almeno per una volta ad apprezzare un mio pregio.
Gli altri continuano a volermi schiacciare, sempre; la loro cattiveria è come un veleno che mi iniettano all'inizio e poi si divertono a vedermi ogni giorno come io muoia dalla voglia di trovare l'antidoto, ma non ci riesco; non ho più le forze per cercare.
«A cosa pensi?», mi chiede a bassa voce.
«Al fatto che adesso vorrei proprio ballare», gli dico con mezzo sorriso.
«Ah, giusto. Dobbiamo andare lì. Mi è passato di mente», ammette con una punta d'imbarazzo, facendomi ridere.
«Solo se lo vuoi anche tu», ci tengo a metterlo in chiaro.
«Ariel, non hai capito», scuote il capo. «Io rimarrei sveglio con te per notti intere, soltanto per non lasciarti sola e vedere ancora quel tuo bellissimo sorriso, che hai anche adesso sulle labbra. Mi rendo conto di quanto le piccolezze ti rendano felice, e io voglio vederti così», scende dall'auto e poi viene ad aprirmi lo sportello, allungando il braccio verso di me.
«Vieni», mi invita ad uscire fuori. «Adesso, ti prego, non avere paura di sognare. Questa notte sarai al sicuro», mi dà un bacio sulla fronte, lasciamo i nostri giubbotti in macchina, e poi ci incamminiamo verso il locale da dove proviene la musica.
«Non avrò paura», ribatto, ma la mia voce sembra un sussurro. Forse non ne sono ancora sicura di riuscire ad accettarlo davvero.
«Ti ho sentito. È così che ti voglio», ride, stringendo il suo braccio intorno alla mia vita, attirandomi a sé.
Prima di entrare, Aaron mi ferma e mi dice: «Prima di mettere piede là dentro, ricordati di lasciare la vecchia te fuori. Perché quando uscirai da questo posto, dovrai essere fottutamente felice».
Annuisco, felice come una bambina e poi mi afferra la mano ed entriamo dentro.
Al primo impatto mi sembra tutto un casino. La troppa gente intorno a me mi mette leggermente ansia. Una parte di me mi dice di tornare indietro, perché non sono pronta a lasciarmi andare. Non sono pronta a ballare con il ragazzo che amo e che mi fa vivere un sogno ad occhi aperti, nonostante abbia detto che odi sognare.
Mi afferra dai fianchi e mi fa avvicinare, sorridendomi in modo complice. Io, ancora con strisce di colori addosso, con un aspetto probabilmente orribile, nei suoi occhi mi sento la ragazza più bella in questo momento.
Con lui non mi sento grassa; non mi sento sotto pressione; non mi sento a disagio. Mi sento accettata, ecco. Sono me stessa.
Faccio per aprire bocca ma, ironia della sorte o straordinaria coincidenza, inizia la canzone Shut up and dance, e Aaron mette il dito sulle mie labbra e mi fa cenno di muovermi insieme a lui.
Il mio essere appassionata alla danza forse mi permette di muovermi un pochino meglio di Aaron. Sto cercando di contenermi e di non scoppiare a ridere, ma il modo esilarante in cui balla complica le cose. Sembra così su di giri, che all'improvviso grida le parole della canzone: «Shut up and dance with me», poi mi fa l'occhiolino e scoppio definitivamente a ridere, ballando insieme a lui.
È difficile l'inizio. Lo è sempre, in qualsiasi cosa. Ma una volta dato un morso ad una fetta di torta, cosa fai? La lasci nel piatto o la mangi tutta? È così che mi sento adesso con lui.
Forse quando parte la canzone lenta è l'unica volta in cui Aaron cerca di ballare vagamente in modo decente. Continuo a ridere anche quando non c'è nulla da ridere e lui mi lascia fare, sorridendo a sua volta.
Quando parte Dance Monkey, Aaron balla davvero in modo buffo e mi copro gli occhi dall'imbarazzo, ma lui mi sposta la mano e continua a muoversi in modo strano.
Soltanto quando parte il ritornello inizio a muovermi anche io, svuotando la mia mente e assecondando la sua.
Il suo modo di prendere i miei pensieri e soffiarli nell'aria, rendendoli liberi, è delicato e quasi impalpabile.
Mi fa fare una giravolta, e poi, quando i nostri occhi si incrociano, diventiamo di colpo più seri. Il sorriso si spegne lentamente e i suoi occhi mi osservano pieni di lussuria. Lasciamo da parte il nostro renderci ridicoli in mezzo agli altri e ci avviciniamo di più, finché non sento le sue mani sulla mia vita e i suoi occhi che si perdono nei miei.
Mi sorride, assecondando il mio modo di muovermi, e poi chiude gli occhi, spingendo la sua fronte alla mia. Mi prende il viso tra le mani e sorride quando vede la felicità che mi dipinge il volto. Mimo con le labbra un "Grazie" e lui a sua volta mima "È un piacere”.
Mi attira tra le sue braccia e mi solleva da terra, girando poi su se stesso. Mi scappa un grido di gioia più che di spavento, e poi mi mette giù. Mi prende la mano e mi porta a bere qualcosa.
«Sei bellissima», dice con affanno, asciugandosi con il dorso della mano il sudore.
«Anche tu», ammetto, mordendomi il labbro.
«Mi permetta di offrirle qualcosa da bere, signorina», si schiarisce la gola.
«Volentieri», rispondo io, sollevando il mento come se volessi scrutarlo con curiosità.
Beviamo uno strano cocktail abbastanza dolce e chiacchieriamo del più e del meno, facendo anche qualche commento divertente su alcune persone ubriache intorno a noi.
Quando finiamo, balliamo ancora un po', ridendo e scherzando. A differenza delle altre coppie qui dentro, lui le mani le tiene a posto. Sembra quasi che abbia paura di fare una mossa troppo azzardata o che mi metta a disagio. Ma lui sa essere dannatamente attraente anche da un chilometro di distanza da me, perché il suo modo di guardarmi mi fa venire voglia di strapparmi le mutandine. E, conoscendo la mia situazione attuale, sarebbe l'ultima cosa a cui penserei.
Ma forse lui esercita qualche strano potere su di me, perché riesce a spazzare via ogni mia paura. Aaron mi fa sentire viva anche quando pensavo di essere ormai troppo morta per poter tornare a respirare come si deve.
Mi afferra la mano e usciamo fuori, sudati e felici.
Con la musica che continua a riempire l'aria intorno a noi, mi fa fare un'altra giravolta sotto i fiocchi di neve che continuano a danzare sopra di noi, prima di andare verso la macchina.
«Aspetta», mi dice quando sto per aprire lo sportello.
«Avevo detto una serie di cose che mi piacerebbe fare con te, e ho iniziato al contrario. Abbiamo ballato, ora ti voglio baciare, se non ti dispiace», mi dice leccandosi le labbra, impaziente.
Il freddo inizia a farmi tremare. Vorrei che mi baciasse in macchina, al caldo, ma adesso potrebbe passarmi anche un uragano di sopra, non lo sentirei.
Lo guardo negli occhi e poi, come se fossi affamata, mi avvento sulla sua bocca e lo afferro per la collottola, attirandolo di più a me.
Spinge la bocca contro la mia insieme al suo corpo e mi appoggio alla carrozzeria della sua auto; sono incastrata tra essa e il suo corpo possente. Le mie braccia adesso ghermiscono le sue spalle larghe e la sua lingua sta cercando la mia mentre le sue mani scendono sui miei fianchi; una si sposta sul mio sedere, stringendolo e facendomi gemere contro la sua bocca.
«Ariel, non vorrei rovinare il momento, ma», abbassa lo sguardo, «Me l'hai fatto venire abbastanza duro», cerca di sistemarselo meglio nei pantaloni e scoppio a ridere.
«Accidenti», dico, guardandolo con un'espressione innocente.
«Sì», sussurra, dandomi un altro bacio lungo. «Che si fotta, il mio cazzo», cerca di sdrammatizzare, facendomi ridere ancora di più.
«Poverino, lo maltratti», lo punzecchio. Lui alza un sopracciglio e incrocia le braccia al petto.
«Non provocarmi, altrimenti ti scopo sui sedili posteriori della mia macchina», cerca inutilmente di sembrare serio.
«L'hai detto, eh», dico in tono cantilenante mentre salgo in auto.
«Aspetta, cosa?», grida, sorpreso.
Si siede al posto del guidatore e mi guarda come se gli avessi appena rivelato di essere un alieno.
«Cosa?», sospiro.
«Non capisco», ammette.
«Voglio fare sesso con te, Aaron. Chiaro?», appena lo dico, per poco non gli cade la mascella.
«Sì, chiaro», sembra scombussolato. «Fa caldo, qui dentro», abbassa un attimo il finestrino.
«Aaron», dico. «Un posto più sicuro e lontano dagli occhi della gente andrebbe bene».
Sbatte velocemente le palpebre e accende il motore. Un'espressione confusa s'insinua sul suo viso. Il bagliore della luna delinea il suo profilo perfetto. Ancora non capisce se sono seria o meno, ed è tenero vederlo così. Sembra agitato.
«Sono seria, Aaron. Hai detto che hai voglia di ballare, di baciarmi e di fare sesso. Perché non concludere così la serata?».
Lui scuote la testa. «Perché tu non sei così, Ariel. Tu meriti di farlo in un letto non sui sedili posteriori della mia macchina».
«Oh, ma fammi il piacere. Non mi rompo, tranquillo», tento di scherzare.
«Io voglio che tu sia felice. Ci rimarrei male se questa serata finisse in un modo orribile», ferma la macchina in un posto abbastanza buio e vuoto e si gira verso di me.
«Sono innamorata di te e ti amo, secondo te mi importa qualcosa del letto in questo momento?», sbotto, facendolo sorridere.
«Be', fanculo il letto allora», ci spostiamo sui sedili posteriori e mi metto sopra di lui a cavalcioni. Mi prende il viso tra le mani e iniziamo a baciarci, mentre le sue mani si infilano sotto il mio maglione.
«Gesù, non ci credo», mormora, come se tra i due fosse lui quello ad essere più emozionato. Le mie dita accarezzano i suoi capelli lentamente fino a scendere alla nuca. Esercito un po' di pressione e lui inizia a baciarmi con foga, succhiando il mio labbro tra i suoi denti e cercando di togliermi il maglione.
Le sue mani calde scendono sulla mia vita, accarezzano delicatamente la mia pelle, poi mi stampa una scia di baci lungo il collo. Le sue dita esperte si spostano sul gancetto del reggiseno e lo slaccia con un'incredibile facilità. Si ferma per guardarmi negli occhi e le mie mani scendono a sbottonargli i jeans.
«Sei così bella», mi guarda incantato e gli sorrido. Abbassa lentamente una bretella, come se si aspettasse che all'improvviso gli dicessi di non farlo; è come se chiedesse ancora il permesso e lo bacio per fargli capire che è davvero quello che voglio.
Le mie mani si intrufolano curiose sotto la sua felpa, mentre accarezzano i suoi addominali, risalendo piano verso il petto. Faccio sparire anche la sua felpa, lanciandola sul sedile anteriore, e la stessa fine fa il mio reggiseno.
«Sirenetta, mi sono dimenticato di mettere quella canzone di Lana. Quella che volevi ascoltare quando avresti fatto sesso», borbotta contro le mie labbra.
«Fa niente», dico con affanno mentre gli torturo il labbro inferiore.
«Sicura?», chiede, dandomi un morsetto sul collo facendomi ridere.
«Che ne dici invece se mettessi R U Mine?», suggerisco e giuro di aver visto i suoi occhi brillare.
«Davvero?», domanda e annuisco, piegandomi in avanti e mettendo la canzone.
In qualche modo riusciamo a sbarazzarci anche dei jeans e afferra con entrambe le mani i miei seni mentre continuiamo a baciarci con foga.
«Non riesco a togliermi le mutande», dico, cercando di non rovinare l'atmosfera scoppiando a ridere.
«Rimedio subito», dice lui, strappandomele di dosso. Le ha sul serio strappate. «Scusa, te ne comprerò altre», e riprende a baciarmi, mentre io da sopra riesco ad abbassare le sue. Per fortuna almeno lui riesce a restare con i boxer integri.
Sento il suo respiro caldo sul mio collo e il suo naso mi sfiora la pelle lentamente, mentre dalla sua bocca esce un sospiro quando passo la mano su e giù sul suo membro.
Afferra i suoi jeans e prende un preservativo, poi lo aiuto a metterselo. Con lui non provo alcun rimpianto, anzi. Ho voglia di andare fino in fondo. Ho voglia di perdermi tra le sue braccia e nei suoi baci.
Quando lo sento dentro di me, rimango con le labbra schiuse e la sua bocca che aderisce piano alla mia, baciandomi lentamente, aumenta l'eccitazione dentro di me.
«Sono felice anche io, Ariel», sussurra mentre inizio a muovermi sopra di lui. Fare sesso in macchina non è molto comodo, ma con lui sembra magico lo stesso.
Mentre una sua mano scende verso il mio clitoride e l'altra sul mio seno, stringo gli occhi e cattura con la sua bocca un gemito che, ammetto, mi vergogno a rilasciare. Ma Aaron fa in modo che io non stia zitta e quando vengo per prima, seguita da lui, mi sento completamente sfinita, felice e appagata. Appoggio la fronte sulla sua spalla e lui si toglie il preservativo. Abbassa il finestrino appannato e lo butta via, poi torna a baciarmi.
«Ti amo anche io, Ariel», mi dice, stringendo il mio corpo nudo forte a sé. Rimango con la guancia appoggiata alla sua spalla e la fronte è madida di sudore, ma ho un sorriso da ebete stampato in faccia.
Poco dopo ci rivestiamo, ma restiamo abbracciati.
«Metti la testa sul mio petto se vuoi dormire», mi dice, baciandomi i capelli.
Faccio come ha detto e con una mano giocherello con le sue dita. «Sono felice con te», gli dico.
«Devi esserlo sempre, sirenetta. Sempre», rimaniamo così, con me che ascolto in silenzio i battiti del suo cuore, che è appena diventato il mio suono preferito, e le sue braccia intorno al mio corpo.
Sbadiglio e lui pure, ma prima che io chiuda gli occhi, sussurra: «Non aver paura di sognare».
Ecco il nuovo capitolo❤️❤️ spero vi sia piaciuto. Ogni volta che mi metto nei panni di Ariel, cerco di fare capire al meglio ciò che prova e spero di esserci riuscita.
Però questa è la calma prima della tempesta.
P.s. lunedì aggiorno C'era una volta una sfigata ❤️ e dopo sicuramente questa storia. Cercherò di alternare finché non la finisco :) per fortuna riesco a portarmi avanti con entrambe le storie 😂
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