26. "Via con me per una notte"
🌜Non aver paura di sognare 🌛
“No, non avere paura
Quando vai a dormire sola
Se la stanza sembra vuota
E se senti il cuore in gola
Non avere paura”
-Tommaso Paradiso
Lo sapevo che il coraggio l'avrei avuto soltanto per un attimo e che lui avrebbe distrutto ogni briciolo di fiducia che avevo in me stessa.
Lo guardo stralunata mentre mi osserva con un mezzo sorriso sulle labbra e gli occhi furiosi. Continua ad accarezzarmi lo zigomo con una tale lentezza e delicatezza da farmi stare male. È come se il suo tocco bruciasse sulla mia pelle.
«Lo capisci, Ariel?», domanda, con la testa accline.
«Cosa?», sussurro, abbassando lo sguardo a terra e fissando la mazza ai miei piedi.
«Mi avresti potuto ammazzare», mi redarguisce.
«Tu volevi farmi male», mi difendo.
«No, Ariel. Tu proprio non capisci, tesoro», si avvicina di più, guardingo.
Alzo lo sguardo e ci fissiamo negli occhi. Lui racchiude la mia guancia nel palmo della sua mano e bisbiglia contro il mio viso: «Tu sei un potenziale pericolo per tutti, Ariel. Sei aggressiva. Hai ucciso tuo padre», me lo ricorda brutalmente.
«Non volevo», dico piangendo.
«Ma l'hai fatto. Sai cosa sei, quando uccidi qualcuno? Un'assassina», preme le labbra contro la mia fronte imperlata di sudore. Rimango con il fiato sospeso finché non lo vedo fare un passo indietro.
«Sei una ragazza fantastica e io mi comporto così con te, perché ho paura. Però ti amo così come sei, Ariel. Io ti amo», mi dice senza interrompere il nostro contatto visivo.
«Io non penso di amarti», ammetto singhiozzando.
«Sì che mi ami. Sei soltanto confusa. Ma tu devi farti aiutare, tesoro. Non stai bene mentalmente», picchietta il dito contro la mia tempia. «Ma io ti starò accanto», sorride comprensivo.
Deglutisco rumorosamente e scuoto la testa. «Io sto bene».
«Sì, sapevo che l'avresti detto», sospira, andandosi a sedersi sul letto. «Ma non è così, piccola. Ti ricordo che mi hai colpito con la mazza, prima. E se mi avessi provocato una commozione cerebrale?».
Sento lo stomaco stringersi. Io non sono così. Io non sono come lui e nemmeno come mio padre.
«Mettiamoci una pietra sopra», batte la mano sul posto libero accanto a lui e mi fa segno di avvicinarmi.
«Jamie, io non voglio più stare con te», gli ricordo, a mente limpida.
Lui alza gli occhi al cielo e diventa di nuovo cupo in volto. «Vieni qui», ordina.
Mi siedo accanto a lui e lo guardo con la coda dell'occhio.
«Sai qual è il problema, con te?», inizia a dire. «È che tu pensi di poter fare sempre solo quello che vuoi, ma non è così. Pensi io non lo sappia già che sai che mi sono scopato altre? Certo che lo sai! E perché pensi io lo faccia? Pensi io non sappia che sbavi dietro quel fottuto cretino di Reynolds?», grida, stringendo i pugni con forza.
«Cosa? Come...», faccio per dire, accigliandomi.
«Come lo so? Cazzo, l'hanno notato tutti, secondo te io sono stupido? Ma sai qual è il punto? È che lui non ti vuole davvero. Dimmi, sa che hai ucciso tuo padre?», chiede, inarcando un sopracciglio. I suoi occhi azzurri adesso sembrano contornati da una sfumatura più scura. Scuoto la testa, rassegnata.
«Esattamente! Se lo sapesse, pensi che non avrebbe paura di te? E se un giorno tu provassi a farlo fuori per colpa di un litigio?», chiede al mio orecchio.
«Io non ho fatto fuori mio padre per colpa di un semplice litigio», gli ricordo.
«Sì, sì. Ma pensi davvero che ad uno come lui importi seriamente di una come te? Guardati, Ariel», posa la mano sulla mia coscia. «Pensi che a lui possa piacere questa coscia così quando la stringerà tra le mani?».
Appena lo dice mi alzo di colpo e corro in bagno, vomitando ancora. Jamie mi fa vomitare. Sento il mio stomaco stringersi ancora di più, e mi sale un altro conato di vomito. Lui entra in bagno e si inginocchia accanto a me, accarezzandomi la schiena. «Vuoi che ti prepari qualcosa?».
Scuoto la testa, piangendo. Mi alzo e mi pulisco la bocca e mi sciacquo la faccia. «Jamie», dico con voce flebile, girandomi verso di lui.
«Dimmi, amore», risponde lui mellifluo.
«Tu mi fai stare male», lo accuso. Sulla fronte gli si formano subito delle pieghe. È confuso.
«Non sono io quello che sta male con la testa, sei tu», ribatte, contraendo la mascella.
«Tu mi odi», continuo a dire.
«Non è vero. Io ti amo», mi contraddice.
«No... L'amore non è questo, Jamie. L'amore non sei tu, non sono io, non siamo noi», gli afferro il braccio, cercando di farlo ragionare.
«E chi? Chi è l'amore? Aaron?», sorride con perfidia.
Faccio di no con la testa. «Non lo so, va bene? So solo che tu vuoi soltanto vendicarti di me perché adesso sai che tua sorella è nei guai», appena lo dico mi tira uno schiaffo in faccia.
«Fai attenzione a quello che fai uscire da quella sporca bocca», mi ringhia contro.
«È la verità. Non te la puoi prendere con mio fratello, quindi te la prendi con quello che lui ha di più caro. Ammettilo!», grido, sfogandomi finalmente.
Lui sorride in modo così malefico, che sento soltanto la porta del bagno che si chiude e la sua mano che si intrufola nei miei capelli.
«Inginocchiati», ordina, guardandomi con superiorità.
«No», rispondo.
Posa le mani sulle mie spalle ed esercita un po' di forza, finché non mi crollano le gambe e mi ritrovo a terra, davanti a lui.
«Sei così bella quando mi guardi da sotto con quegli occhioni teneri e sofferenti», fa finta di imbronciarsi.
«Fai schifo», faccio per alzarmi, ma lui mi tiene ferma dalla testa.
«Ora me lo succhi», dice con un sorrisetto. Inizia a slacciarsi i jeans; sento il suono metallico della sua cintura e ricordo quella di mio padre. Mi si stringe il cuore. Sbottona i jeans e se li abbassa fino alle ginocchia, poi dice: «Fai tu il resto, amore».
Non faccio alcuna mossa. Lo osservo con disgusto e poi lui sbuffa e tira fuori il suo membro, afferrando in seguito la mia testa. «Succhiamelo».
In tutta risposta ci sputo sopra e mi allontano bruscamente, tirandogli un calcio nello stinco e correndo verso la porta. Lui mi afferra il polpaccio e ringhia, trattenendomi con forza e buttandomi a terra, sovrastando il mio debole corpo con il suo.
«Fa niente, significa che dovrò fare tutto io», sorride e mi abbassa i jeans. «Tu sei mia, Ariel. Sei solo mia», mi bacia in modo aggressivo, mordendo il mio labbro.
Mi divincolo, tirandogli perfino una ginocchiata nello stomaco, ma lui non si scansa.
«O mi prendo quello che è mio, o tu farai la brava e starai muta come un pesce», si porta il dito alle labbra.
Sento le lacrime scivolare dagli angoli dei miei occhi, arrivando alle orecchie. Jamie me le asciuga e mi stampa un bacio sulla guancia. «Allora? Starai zitta o ti scopo finché l'unico nome che ti rimarrà in testa sarà il mio?», sibila contro le mie labbra.
«Starò zitta», dico con il corpo che trema sotto il suo. La sua mano scivola all'interno delle mie mutandine e ho un sussulto. «Però mi prendo lo stesso un assaggio», ghigna, cercando di infilare due dita nella mia fessura. Non sono bagnata. Non sono eccitata. Sono soltanto terrorizzata e lui mi sta facendo male.
«Ti prego, starò zitta», continuo a supplicarlo.
Lui tira fuori la mano dalle mutande e si lecca le dita, chiudendo gli occhi. «Voglio che la mia lingua scivoli sulla tua figa e che tu faccia il mio nome», mi lecca il collo e l'unica cosa che posso fare è girare la faccia dall'altro lato, disgustata.
«Però ci sarà tempo anche per questo», ride, alzandosi e sistemandosi. Si stiracchia e poi mi guarda stesa a terra. «Su, alzati e fai qualcosa». Esce dal bagno e mi tiro su, sistemando i miei vestiti e rannicchiandomi in un angolo del bagno, appoggiando il mento sulle gambe e piangendo.
«Stai bene, Ariel. Starai bene», ripeto a me stessa come ho fatto negli ultimi mesi.
Mi abbraccio da sola e vado a rifugiarmi nella mia stanza. Mi chiudo a chiave, tiro le tende e lascio che la mia stanza rimanga avvolta dal buio.
Mi sdraio a letto e osservo il soffitto e le stelline che mi fanno sentire di nuovo piccola e ingenua abbastanza da non capire come funziona la vita.
Scoppio a piangere, stringendo un cuscino tra le braccia e soffocando in seguito le mie urla. Non posso dargli la soddisfazione che lui mi senta stare male.
Quando finisco, sospiro e mi asciugo le lacrime. Rimango sdraiata a letto, su un fianco, e mi sembra di vedere mio padre accanto a me, pronto a colpirmi. «Per colpa tua, io non sogno più», dico, come se potesse davvero sentirmi.
Accendo la lampadina e sistemo il cavalletto e mi preparo a dipingere.
Se c'è una cosa che ho imparato, è che se Van Gogh prima sogna i suoi dipinti e poi dipinge i suoi sogni, io non sogno nulla, ma dipingo lo stesso i miei sogni, quelli che faccio ad occhi aperti.
Lascio che la mia mano scorra veloce, sola, in automatico. Ogni tanto mi asciugo una lacrima, ma non mi fermo. E vado avanti così per ore, finché non crollo con il pennello tra le mani, le mani sporche e un sorriso mesto sul volto.
Non mi curo nemmeno di cambiarmi i vestiti, non mi lavo, non faccio nulla. Prendo le chiavi, esco fuori e monto sulla bici, con le cuffiette nelle orecchie. Mi fermo in mezzo ad una strada vuota e con solo la luna ad illuminarmi il cammino.
In momenti del genere mi rendo conto di non avere il coraggio di cercare aiuto. E che potrei correre tra le braccia di mio fratello, ma non ce la faccio.
Vado alla fermata dell'autobus più vicina, lascio la mia bici e metto il lucchetto, e poi prendo i soldi che ho in tasca e li conto.
Non so nemmeno dove voglio andare, ma so soltanto che ho bisogno di andare via da qui. Almeno per un po'. Almeno fino a domani.
Quando sembro più convinta che mai delle mie intenzioni, il mio cellulare squilla e leggo il nome di Aaron. Sorrido, perché sembra che ci sia un legame tra me e lui, che in grado di fargli sapere quando sto male.
«Pronto? Sirenetta?», sento la sua voce quando attacco il cellulare all'orecchio.
«Ciao, Aaron», dico. Un piccolo sorriso affiora sul mio viso.
«Allora? Sei sparita, cosa stai facendo?», domanda, mentre sento un fruscio dall'altra parte.
«Mah, niente di che».
«Nemmeno io. Sono a letto e sto osservando il tuo dipinto. Mi piace così tanto, e ogni volta che l'osservo mi piace l'idea di credere che tu l'abbia fatto pensando a me». Appena lo dice scoppio a ridere.
«Perché ridi?»
«Perché l'ho fatto davvero pensando a te», ammetto.
«Ora capisci quando dico che sei arte?», sussurra, facendomi sorridere tantissimo.
«Ehi, Aaron... Ti stai annoiando?»
«Un po', perché? Hai qualcosa in mente?», domanda. Percepisco il suo ghigno da lontano. So che se fossimo faccia a faccia mi sorriderebbe in modo complice.
«Vuoi andare via con me per una notte?», gli chiedo, ansiosa di sapere la sua risposta, ma segue un silenzio che mi fa paura.
Dopo un po', risponde: «Devo prendere qualcosa?».
«Mi basti te», gli dico, mordendomi il labbro.
«Dimmi dove sei e vengo a prenderti».
Gli mando la posizione e rimango seduta sulla panchina, accanto alla mia bici, come se fosse la mia unica amica. Osservo i fiocchi di neve che cadono giù in una danza elegante e rimango con lo sguardo puntato verso l'alto. Probabilmente ho le gote rosse a causa del freddo. Osservo le mie dita sporche di vari colori e sorrido. Questa sono io, penso.
Quando finalmente una macchina si ferma davanti a me, sorrido. Aaron abbassa il finestrino e mi fa l'occhiolino, dicendo, sorridendo: «Ehi tu, vuoi farti un giro con me?».
Ricambio il sorriso e salgo in macchina, piegandomi verso di lui e prendendogli il viso tra le mani. Ci guardiamo negli occhi e poi ci baciamo, senza fare domande, senza dire niente.
«Dove andiamo?», mi chiede con le labbra ad un soffio dalle mie.
«Ovunque», rispondo, dandogli un altro bacio.
«Ovunque sia, allora», e ci mettiamo in cammino.
All'improvviso cambia canzone e mi sorride sghembo, dicendo: «Ti piace?». È la canzone di Lana del Rey, Off to the races. Quando inizio a cantarla a squarciagola Aaron mi asseconda,ma ad un certo punto si ferma e mi guarda con un sorriso genuino sul viso, mentre canto soltanto io.
«Scusa, mi sono dimenticato le parole. Volevo fare bella figura con te», dice ridendo.
«A te non piaceva Lana, no?»
«Non è che non piace, è che non è il mio genere. Però ero curioso di sapere cosa piacesse a te, quindi... Sì», si morde il labbro.
«Ma io sono curiosa, ora, di sapere cos'è che piace a te», gli punto il dito contro il petto.
«Ora ti faccio sentire», strizza l'occhio, sfoggiando uno di quei sorrisi sexy strappa-mutandine.
Presto nell'abitacolo si sente un'altra canzone, che non è proprio il mio genere, ma non è male.
«R U Mine, Arctic Monkeys», mi dice mentre guarda me con occhi colmi di eccitazione e anche di emozione. «Forse all'inizio potrebbe non piacerti, ma se l'ascoltassi almeno tre volte, alla quarta diventerà già la tua preferita».
«Dici?», rido.
«Dico».
Infatti dopo una ventina di minuti che guida senza una meta, ho imparato le parole della canzone e non faccio altro che cantarla insieme a lui, e ogni volta che la canzone dice "R u mine?", Aaron si gira verso di me.
«Aaron, cosa hai voglia di fare?», gli chiedo, guardandolo con la coda dell'occhio.
«Avrei voglia di fare sesso con te, poi di baciarti, ma ora avrei voglia di ballare con te».
«Andiamo a ballare?», gli domando. Probabilmente ho gli occhi a cuoricino.
«Sempre che ci sia qualche posto aperto», ride, ma continua a guidare.
Mi arriva un messaggio da parte di Lilith, la mia collega di lavoro.
Leggo ciò che dice e ci rimango male, ma le rispondo indietro "Coprimi per stasera, ti prego".
Mi risponde subito: “Che sia la prima e l'ultima volta".
Quando Aaron mi indica un locale aperto, gli dico di fermare la macchina, ma prima di scendere gli prendo la mano e lo guardo negli occhi.
«Cosa c'è?», domanda preoccupato.
«I tuoi occhi dovrebbero chiamarsi anche Nontiscordardime, come i fiori», dico, accarezzandogli il viso.
«Ariel», pronuncia il mio nome in modo così bello, che mi manda su di giri.
«Ti amo, Aaron», gli dico e rimane in silenzio, con gli occhi colmi di desiderio e l'ombra di un sorriso ad accarezzargli le labbra.
Probabilmente è la volta buona che qualcuno ammazzi Jamie. 👀 Comunque, ho pubblicato il prologo e il primo capitolo della mia storia C'era una volta una sfigata, che trovate sul mio profilo, ed è una storia comico romantica, con un po' di fantasy (leggendo la trama, capirete perché 😂). Una volta finita questa storia, continuerò a scrivere l'altra. :) Andate a dare un'occhiata, se vi va. Mi farebbe molto piacere avervi anche lì. Un bacio, alla prossima ❤️
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top