21. "Non sono attratta da te, amico"
🌜Non aver paura di sognare🌛
“Don’t you follow me, let me go
I will let you down, let me go
Even if your heart can’t take it
Light me up in flames”
-Zayn
Quando Aaron mi ha detto di presentarmi in palestra alle tre del pomeriggio, in un primo momento ho pensato che stesse scherzando. Ma poi mi sono ricordata che non è il genere di persona a cui piace scherzare su cose del genere. O almeno, non quando è nella stessa stanza con Jamie e me.
E quindi sono qui, pronta ad entrare. Sicuramente un'ondata di imbarazzo mi investirà in pieno non appena vedrò gli altri ragazzi. Spero di aver capito bene e che intendesse davvero questa palestra; quella dove lui si allena.
Faccio un bel respiro ed entro, chiudendo velocemente la porta alle mie spalle.
«Sei venuta», la sua voce rimbomba in tutta la palestra e mi giro di scatto per capire da quale direzione provenga.
Mi si blocca il respiro quando trovo la palestra vuota; a parte me e lui, non c'è nessuno.
«Uhm...», dico, avanzando lentamente verso di lui. Perché mai dovrebbe darmi appuntamento in una palestra vuota e addirittura vicino a casa sua? Penso alle parole di Jamie e deglutisco.
No, non posso essere davvero così idiota da lasciare che questi dubbi si insinuino nella mia mente. Aaron non ha la faccia da cattivo ragazzo... Ma sappiamo tutti che a volte anche un angelo porrebbe diventare il diavolo.
«Tutto bene? Sembri smarrita», fa un passo avanti, sorridente.
«Sì, ecco, io...», mi schiarisco la gola. «Cosa ci facciamo qui, io e te?»
«Non so, ci alleniamo forse?», ride e poi smette piano, fino ad assumere un'espressione indagatrice.
«Solo noi due?», chiedo ancora.
«Va bene, Ariel. Cosa c'è?», questa volta cammina a passo sicuro verso di me.
«Mi sembra strano, tutto qui», deglutisco ancora, giocherellando poi nervosamente con le mie dita.
Lui alza gli occhi al cielo. «Strano? Perché voglio passare del tempo da solo con te? E parlare? E magari continuare ad insegnarti come difenderti?», alza un sopracciglio.
Lo guardo con un cipiglio e incrocio le braccia al petto. «Da chi dovrei difendermi?»
«Non lo so. Da un possibile aggressore? È un bene saper difendersi», fa spallucce. La parola aggressore fa accapponare la mia pelle. Se da una parte sto cercando di non pensare a quello che mi ha detto Jamie, dall'altra Aaron non rende le cose migliori.
«Quindi tu lo sapevi già», gli dico, iniziando ad indietreggiare.
«Eh? Cosa sapevo già?», domanda chiaramente confuso.
«Che ieri sono stata aggredita e tu oggi mi parli di aggressori. Andiamo, Aaron, mi prendi in giro? Sei stato tu?», sento che lo sto accusando ingiustamente, ma devo togliermi il dubbio in qualche modo. Anche se eravamo seduti allo stesso tavolo, il suo comportamento nei miei confronti non è stato di certo uno da premiare. Di questi tempi non posso fidarmi quasi di nessuno. Ho già commesso quest'errore una volta.
Lui solleva lentamente lo sguardo su di me e tira su le maniche della felpa grigia che sta indossando, l'angolo sinistro della bocca si solleva piano, come se fosse marcato dalla perfidia.
«Scusa, sirenetta», ride nervosamente. «Puoi ripetere?»
«Rispondi, sì o no? Sei stato tu?»
Lui stringe i pugni in modo talmente forte che le nocche gli diventano bianche. «E io ti ho detto di ripetere quello che diavolo hai detto».
«Che sono stata aggredita da un uomo che, non so, potresti aver ingaggiato tu?», alzo le sopracciglia, guardandolo a mo' di sfida.
La sua espressione diventa quasi disgustata. «Guardami», ordina.
Non riesco a puntare i miei occhi nei suoi, quindi guardo altrove.
«Ti ho detto di guardarmi, cazzo!», tuona, poi sento i suoi passi farsi vicini finché non sento la sua mano che afferra il mio mento e mi costringe a guardarlo negli occhi. Nonostante in questo momento sia incazzato, i suoi gesti non sono davvero così bruschi. Anzi, sembra stia addirittura attento a non farmi male.
«Ti guardo», sussurro contro il suo viso.
«Lo vedo», solleva la mano e la posa sulla mia guancia. «Pensi che ti farei mai del male?»
Scuoto automaticamente la testa. Lui accenna un piccolo sorriso.
«Pensi che qualcuno, qui, potrebbe farti del male?», domanda e penso inevitabilmente a Jamie. Va bene il suo cambiamento, apprezzo i suoi sforzi, ma ciò non significa che io abbia dimenticato come si è comportato con me fino ad ora.
«Allora?», chiede di nuovo. Non posso dirgli di sì. Non posso mettere in mezzo Jamie. Lui sa troppe cose di me.
«No», rispondo, mordendomi subito dopo il labbro.
«Sicura?», ora mi stringe il viso con entrambe le mani. Sono veramente un'amica di merda. Gli sposto le mani e mi allontano da lui. La sua vicinanza mi rende irrequieta.
«Mi dispiace aver dubitato di te. È solo che Jamie mi ha detto-», mi blocco.
«Il tuo famosissimo ragazzo?», chiede con un ghigno.
«Ecco, non volevo dire che-»
«Che il tuo ragazzo, forse, ti ha per caso detto che sono io il colpevole? Davvero, Ariel? Ho la faccia da stronzo psicopatico che vorrebbe farti del male?», chiede, sbuffando una risata nervosa e sollevando lo sguardo verso l'alto a costo di non guardarmi in faccia adesso.
«È soltanto strano che tu sia venuto da me dopo l'aggressione», confesso, appoggiandomi con la schiena al muro.
«Perché sei scappata via in quel modo e l'unico posto che conoscevo era casa tua? Dove altro avrei dovuto cercarti? Chiaramente se non fossi stata a casa, ti avrei cercato probabilmente per la città», spalanca le braccia esasperato e poi le fa ricadere a penzoloni.
Sono mortificata, ma ancora dubbiosa. Abbasso lo sguardo, non riuscendo più a dire altro.
«Perché t'importa così tanto?», bisbiglio.
«No, Ariel. Perché non dovrebbe importarmi?», ribatte prontamente. La sua espressione è dura, ma ferita.
«Perché sono fidanzata, Aaron! Perché ti ho mentito. Perché sono un'amica di merda, ecco perché! Perché continui a preoccuparti per me anche quando non dovresti», grido finché non sento i miei polmoni bruciare.
Aaron si passa una mano tra i capelli e distoglie lo sguardo, poi fa un breve sorriso.
«Non mi importa se sei fidanzata. Ti ho detto che siamo amici e io non mollo i miei amici soltanto perché sono fidanzati. E non sei un'amica di merda, capita a tutti dire le bugie. Sicuramente avrai avuto le tue ragioni. Be', conoscendo il soggetto, a maggior ragione capisco perché tu l'abbia fatto», arranca verso di me. Nonostante cerchi di mostrarsi come se la cosa non lo toccasse davvero, io lo sento nella sua voce che ci è rimasto male. Lo sento e mi sento in colpa.
«Mi dispiace», mormoro, trattenendo le lacrime.
«Quel giorno, alla partita, tu eri lì per lui, non è così?», sussurra, come se non avesse il coraggio di dirlo più forte o come se sperasse che non l'abbia sentito per far sì che non gli dia una risposta.
«Sì», rispondo.
Lui gioca con il suo labbro inferiore, incastrandolo tra i denti e guardando ovunque tranne me. Forse ho sbagliato a venire qui. Mi stacco dal muro e scuoto la testa, dirigendomi verso la porta.
«È così che fai sempre o lo fai soltanto con me?», il suo tono roboante alle mie spalle mi fa sussultare e mi costringe a fermarmi.
«Che cosa?»
«Scappare quando le cose si fanno complicate», spiega lui. Mi giro di nuovo e lo guardo mentre si siede sulla panca dei pesi. «Io so che le cose si fanno complicate tra di noi e mentirei se dicessi che non mi piace lo stesso».
La gola mi diventa secca all'improvviso. Ma è matto?
«Non ne uscirai illeso, lo sai? Alcune cose è meglio se le evitiamo», gli suggerisco.
«Tipo cosa? Ignorare il fatto che entrambi siamo attratti l'uno dell'altro?», alza un sopracciglio.
Io mi sento il corpo in fiamme, ma non gli darò la soddisfazione di pensare che abbia ragione.
«No. Certo che no. Non sono attratta da te, amico», cerco di fare la voce un po' più sicura e grossa, ma mi esce una voce quasi disumana e mi fa imbarazzare ancora di più.
Aaron assottiglia le labbra e cerca di non ridere.
«Davvero, Ariel? Davvero non lo sei per niente?», i suoi occhi azzurri adesso sono molto più calmi ma incendiati dal desiderio.
Oh. Mio. Dio. Mi prenderei a schiaffi in questo preciso momento, ma cerco di inventarmi una scusa il più presto possibile in modo che io sfugga al suo imbarazzante interrogatorio.
«Ti ho detto di no. Comunque dovremmo fare qualcosa, qui?»
Aaron sospira, capendo il mio tentativo di cambiare argomento, e si alza in piedi, indicando poi il sacco da boxe. «Sì, prima ci alleniamo e poi ti insegno a spaccare di botte Jamie».
«Jamie?», chiedo, confusa.
«Ho chiamato così il sacco da boxe», dice con nonchalance.
«Fantastico...», l'entusiasmo penso di averlo sotterrato. E lui ha capito anche questo. Sorrido in modo forzato e lui pure. Sembra sia iniziata la sfida a chi è più testardo. E io sto davvero cercando di non cedere così presto.
Un'ora dopo sento rivoli di sudore scivolare tra le mie scapole e lungo la schiena. Sulla faccia e sul petto sembra che mi sia versata una bottiglietta d'acqua addosso.
Sono sfinita e Aaron sembra soltanto all'inizio. Dio, è davvero in forma questo ragazzo. Non pensavo di essere così lenta finché non mi ha detto che allenamenti fare. Adesso è appoggiato al muro, senza maglietta addosso, con il petto che brilla a causa del sudore e sta osservando me mentre sto inutilmente cercando di colpire ancora una volta in modo decente questo sacco.
«Non», inizio a dire con affanno «ce la faccio», tiro un altro pugno, «più». Lui ferma il sacco e io gli afferro il braccio, per trovare equilibrio. Aaron scoppia a ridere e posa la mano sulla mia schiena, spingendomi verso di sé in modo che possa appoggiare la testa sulla sua spalla.
«Sei stata bravissima, sirenetta», dice ridendo ancora. La sua mano si infila tra i miei capelli e lentamente inizia a farmi un massaggino alla testa, fino ad arrivare alla nuca e poi verso le spalle.
Mi scappa un mugolio ma lui non si ferma, anzi mi sembra proprio di essere sul punto di crollargli addosso.
«Cavolo, sei sfinita».
«Mmh», è l'unica cosa che riesco a dire, finché non lo sento abbassarsi sulle ginocchia e poi il mio corpo è all'improvviso sulla sua spalla.
«Cosa stai facendo?», grido.
«Ti porto su», dice. Mentre usciamo fuori il freddo ci piomba addosso e rabbrividisco. Ho dimenticato la mia felpa e il giubbotto lì dentro.
Aaron apre la porta del suo appartamento e va dritto verso la sua stanza, posandomi delicatamente sul materasso.
Apro le braccia e guardo il soffitto, dicendo: «Mi era mancato».
«Il mio letto?», chiede con un ghigno.
«Sì».
Prende degli asciugamani e me li lancia addosso.«Vai a farti una doccia calda. Io preparo del tè e uno spuntino, ti va?»
«Non ho i vestiti puliti», gli dico.
Prende una sua felpa e la lancia verso di me. «Accontentati di questa per ora. Magari chiamerò Jasmine e le dirò di prestarti qualcosa di suo».
«Va bene. Grazie», prendo la roba e mi rifugio in bagno.
Mi sento il cuore battere come impazzito. Chi l'avrebbe mai detto che sarebbe stato lui a farmi sognare di nuovo ad occhi aperti?
Dopo aver finito di farmi la doccia, guardo lo specchio appannato e sorrido tristemente, disegnando poi una stella.
Esco fuori, frizionando i miei capelli, e mi dirigo in cucina, ma non c'è nessuno.
«Divano!», grida Aaron.
Lo trovo con una tazza fumante tra le mani e un sorriso stampato sul viso, ma non appena i suoi occhi luminosi scorrono su di me, sento un calore pervadere il mio intero corpo.
«Oh», dice lui, osservando ancora un po' le mie gambe nude.
«Smettila di guardarmi come se volessi saltarmi addosso», lo rimbrotto.
«No, ti guardo come se ti volessi scopare su ogni benedetta superficie possibile in questa casa, e inizierei dal mio letto. Ma ecco qui il tuo tè, sirenetta», allunga la tazza verso di me ma io sono pietrificata. Quello che ha detto me lo sono immaginata perché la mia mente è all'improvviso troppo perversa oppure Aaron ha mandato davvero a farsi benedire il suo autocontrollo?
«Che cosa hai detto?», incredibile, ho perfino il coraggio di richiederlo.
«Hai sentito benissimo», batte la mano sul divano. «Dai, vieni», mi dice. Appena mi siedo accanto a lui sento l'immane istinto di serrare le cosce. E anche forte. E probabilmente appaio così rigida che sembro pazza.
«Tranquilla, Ariel. Non ti scoperei mai senza il tuo consenso», e lo dice con così tanta naturalezza che mi sento bruciare ancora di più. E i miei ormoni non aiutano per niente.
«M-ma è sbagliato», gli dico, balbettando.
«No, sono attratto, te l'ho detto», fa spallucce.
«Ma sono fidanzata», gli ricordo.
«Sì, con un coglione che nemmeno ti merita».
«E tu sì?», azzardo, alzando il mento all'insù.
«Sì, Ariel. Soprattutto per quello che ti farei provare».
Dovrei frequentare un corso che mi insegni come si respira di nuovo, perché Aaron è capace di fare divampare incendi dentro di me e non si impegna nemmeno ad spegnerli, anzi, li alimenta ancora di più.
«A che cosa ti riferisci?», gli chiedo, accigliandomi.
Lui posa la sua tazza sul tavolo e si avvicina ancora di più. I miei occhi languidi lo seguono, ma nel momento in cui la sua mano si posa sulla mia gamba nuda stringo ancora di più le cosce.
«Vuoi che te lo dimostri?», sussurra.
«I-io», le parole muoiono in gola.
«Non farò niente che tu non voglia. Mi fermo quando me lo dici. Non ti forzerò mai a fare niente, Ariel», le sue dita accarezzano dolcemente le mie guance e si lecca le labbra. «Ma muoio dalla voglia di farti provare cose belle. Sei bellissima quando sei felice».
«M-mi vuoi baciare?», gli chiedo.
«Da matti», risponde fissando la mia bocca.
«E mi bacerai?»
«Solo se lo vorrai», le sue dita scendono sul mio collo.
«E cosa succederà dopo?», gli domando.
«Vogliamo scoprirlo insieme?», il suo naso sfiora il mio e annuisco. Afferra la tazza dalle mie mani e la mette via, poi si avvicina così tanto finché non sento il suo respiro accarezzare le mie labbra. So che è sbagliato. Dio, se lo so. Ma io che ho paura di sognare, mi ritrovo qui ad amare un sogno ad occhi aperti. Sembra quasi un'illusione. La mia mano si infila dolcemente tra i suoi capelli corti e spingo la sua testa di più, finché non chiudo gli occhi e sento la sua bocca calda sulla mia. Il bacio più dolce, lento e sensuale che io abbia mai dato e ricevuto.
Perdermi tra le sue braccia e i suoi baci è come contemplare Gli amanti, di René Magritte. Entrambi sembriamo voler ignorare quello che accade intorno a noi. Sembra che abbiamo la vista coperta, come se volessimo fare finta di niente e concentrarci su questo momento soltanto.
Mi fa capire quanto mi desidera quando il bacio non è più lento ma più passionale e aggressivo. E mi sta piacendo. Un sacco.
Mi afferra le cosce e mi solleva, mettendomi poi a cavalcioni sopra di lui. Le sue mani vagano su tutto il mio corpo, come se volesse imprimere le sue impronte su ogni centimetro della mia pelle.
«Sei bellissima», mormora contro le mie labbra. «Dio, sei bellissima come quando parli di arte e tutte quelle cose che io non capisco», scoppio a ridere ma continuiamo a baciarci.
«Dimmi un modo per conquistarti e farti lasciare quell'imbecille, ti prego», continua a dire mentre lo schiocco dei nostri baci risuona in tutta la stanza.
Vorrei dirgli che ci è già riuscito, ma smette di baciarmi e mi guarda.
«Cosa devo fare?», mi accarezza il viso. «Dirti che sei il mio museo preferito?».
Sorrido. «Aaron, non devi per forza interessarti a cose che in realtà non ti interessano. Studiamo cose diverse, è normale. Non devi fingere che ti piaccia l'arte o quello che piace a me».
«Il punto è che non fingo. Non con te. È vero che non ne capisco un accidente di quello che piace a te, ma sei tu... Mi interessa tutto quello che ti piace».
«Sei davvero carino, Aaron», gli do un bacio sulla fronte.
«E tu sei bella come quel quadro di mandorle di Monet», appena lo dice scoppio a ridere così forte che appoggio la fronte contro la sua spalla.
«Intendi Ramo di mandorlo fiorito, di Van Gogh?»
«Sì, quello. Apprezza lo sforzo, però», ride anche lui.
«Non so cosa fare con te», gli dico a bassa voce.
«Fai quello che ti senti di fare», mi bacia la punta di naso.
«Se lo facessi, finirei nei guai».
Lui prende la mia mano e bacia anche questa. Mi viene da sorridere, perché le sue labbra sembra cerchino me, ancora e ancora. «E io ti proggerei». Peccato che non possa farlo davvero... Se solo capisse realmente cosa succede.
«Ti farei del male, Aaron».
«Saranno soltanto ferite, che per te mi farei volentieri».
Dio, è così dannatamente testardo!
«Oh, e parlando di ferite, torniamo un attimo indietro e parlami di questa aggressione», si fa cupo in volto.
«Oh no...», borbotto, alzando gli occhi al cielo.
«Oh sì, Ariel. E non te ne andrai finché non mi dirai tutto, per filo e per segno», sorride come un bambino che sa di aver appena vinto. E ho sinceramente paura di come potrebbe prenderla davvero.
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