18. "Entrambi amate perdervi nei vostri pensieri"
🌜Non aver paura di sognare 🌛
“We'll be a fine line
We'll be alright”
-Harry Styles
Ci sono cose che avrei potuto giurare che non sarebbero mai più accadute, ma ogni volta rimango sorpresa quando la situazione si capovolge d'un tratto. Pensare a Jamie come la prima volta che ci siamo conosciuti sembra quasi una cosa difficile da fare. Mi sembra un ricordo lontano il modo in cui scherzava con me oppure il suo modo gentile di trattarmi.
Oggi ha portato quasi una ventata d'aria fresca nella mia vita, trascinando a galla vecchi ricordi, che ero sicura di averli seppelliti abbastanza da non poterli tirare più fuori.
Evidentemente la mia memoria mi sta facendo dei brutti scherzi. O semplicemente mi sono illusa che certi ricordi possano essere rimossi dalla testa come quando clicchi sul tasto elimina sul computer quando vuoi eliminare una cosa, ma poi te la ritrovi nel cestino, ancora lì, pronta a tirarla fuori se vuoi.
Forse è quello che io ho fatto. Ho rimosso per il momento dei fatti e ora li sto tirando fuori di nuovo.
E guardo il candore della neve e il finestrino appannato, rammentando gli abbracci caldi di una persona; quella persona che mi ha regalato un pizzico di quel calore che fino ad ora mi è venuto difficile trovare e provare.
«Sei diventata silenziosa», mi fa presente il mio ragazzo.
Mi riscuoto dai miei pensieri e sorrido tristemente, ma senza che lui lo noti. «Pensavo ad alcuni ricordi passati», dico.
«Qualcosa di interessante, spero», ci scherza su.
«Tutti i ricordi hanno un qualcosa di interessante», rispondo, girandomi verso di lui e continuando a sorridere.
Lui mi guarda sghembo e continua a guidare.
«Dove ti devo lasciare? Davanti alla biblioteca?», chiede, portando l'argomento verso un'altra direzione.
«Sì.»
«Sicura che ti troverai bene con questo tizio? Perché non hai detto alla McKinley di cambiare compagno e assegnarti magari una ragazza? Tra ragazze vi trovate bene», prova a velare la sua gelosia dietro a questa banale frase.
«No, non vado d'accordo con le ragazze», rispondo in tono piatto.
«In che senso? Tu sei una ragazza», mi fa presente.
«Sì, lo sono, ma non vuol dire niente», borbotto quasi spazientita.
«Se lo dici tu... Okay, siamo arrivati, mi avvisi se questo qui fa il cretino, va bene?», mi sorride e poi si piega verso di me, dandomi un bacio sulla guancia.
«Spero vada bene», farfuglio.
«Spero non ti faccia innervosire troppo», ride.
Metto su un bel sorriso falso, lo saluto e scendo dalla macchina. A quanto pare ha avvisato davvero Niall e mi chiedo come abbia preso lui questo cambio di programma. Probabilmente mi ha lanciato contro qualche maledizione, conoscendo il suo carattere.
Appena entro in biblioteca, convinta che lui arrivi chissà quanto tempo dopo di me, lo vedo seduto ad un tavolo, con gli avambracci posati sopra di esso e le dita delle mani intrecciate. Il suo sguardo è inquisitore. Sembra che mi stia giudicando già da lontano.
Mi avvicino cauta e prendo posto davanti a lui, guardandolo in silenzio.
«Oh, sei arrivata», esclama inespressivo.
«Be', sì», rispondo, accigliandomi.
«Meraviglioso», alza gli occhi al cielo e mi osserva meglio con una strana espressione.
«Sembri disgustato... Anzi, sembri tipo, non so, sei strano», sbotto, non suscitando in lui la reazione che mi aspettavo di vedere.
Anzi, con nonchalance risponde: «La mia anima è guidata verso il disgusto per il mondo, quindi questa è la mia faccia sempre», fa spallucce.
«Certo», mormoro distratta. «Cioè, sì, lo so», aggiungo.
«Bene», si guarda intorno spaesato. «Possiamo iniziare ad organizzarci, uh?»
«Ovviamente», rispondo come un automa.
Niall mi scocca un'occhiata veloce e poi tira fuori un quaderno grande e una penna.
«Ok, da dove iniziamo?», chiede a me. Continua a premere sul pulsante della brio e sono a tanto così dal cavargli un occhio. È un suono che odio.
Poso la mano sopra la sua e lo fermo. «Non riesco a concentrarmi», cerco di restare calma.
Dopo qualche minuto, esordisco con un: «Mi sembra difficile andare alla ricerca delle emozioni umane, a parte le nostre. È strano», sospiro.
«McAvoy», mi chiama. «Il progetto si chiama esattamente "Alla ricerca delle emozioni umane", chi diavolo vorresti intervistare, gli ornitorinchi?»
Mi sento arrossire. Non intendevo quello, ma non importa.
«Sì, ma deve iniziare da un nostro confronto. Come faccio ad avere un confronto con te, se sei sempre sul piede di guerra?»
Lui spalanca la bocca, sorpreso. «Sono più calmo di quanto tu possa immaginare. Tipo adesso sono calmissimo.»
Prendo il quaderno e traccio una linea in mezzo, dividendo il foglio. Scrivo i nomi di entrambi, e poi chiedo: «Pensi che l'uomo debba convivere per forza con il dolore e la felicità? Pensi che per avere la felicità debba prima soffrire? Pensi che rifiutando di fare alcune cose perché si ha paura, l'uomo si auto induce la tristezza?»
Niall mi guarda quasi perplesso. Forse l'ho colto troppo alla sprovvista? Si lecca le labbra e assume un'espressione pensierosa.
«Il fatto è che hai ragione, è tutto molto più complicato di quanto pensassi», sorvolo sul fatto che mi ha dato ragione, altrimenti potrebbe rimangiarsi tutto. «Ma non capisco nemmeno perché vuoi iniziare dalla felicità e il dolore», assottiglia lo sguardo.
«Per me l'uomo convive ogni giorno con il senso di felicità interiore, ma anche con il senso di angoscia, di inadeguatezza, capisci?»
«Ma non tutti», mi contraddice.
«Non lo so. Non penso esista davvero qualcuno completamente felice. Potrebbe esserlo all'esterno, ma dentro di noi forse tutti abbiamo una preoccupazione», mi stringo nelle spalle.
«Bene, iniziamo così se vuoi. Per me è come hai detto tu, poco fa. La felicità per alcuni è avere denaro, arrivare in alto, essere qualcuno e per altri è stare bene, avere qualcuno accanto, avere un piatto sul tavolo e un posto dove dormire. Ognuno percepisce la felicità in modo diverso e-»
«Sì, ma a volte è soltanto collegata alle proprie ambizioni», lo interrompo e mi rimprovera con lo sguardo.Taccio.
«Penso che per essere felici bisogna avere delle ambizioni, sì, raggiungere i propri obiettivi rende sempre felici, ma allo stesso tempo bisogna accontentarsi; non spingersi oltre la linea che sai di non poter superare. Per esempio, se hai paura di dichiararti, è perché temi il dolore che segue il rifiuto, no? E intanto sei lo stesso triste perché quella persona non è tua e ti chiedi chissà come sarebbe stato se le avessi confessato i tuoi sentimenti prima. E se anche ti avesse detto di no, almeno il tempo lo avresti sprecato a riprenderti e andare avanti anziché immaginare sempre come sarebbe stato. Mi sembra che all'uomo piaccia chiudersi in una cella, lanciare via la chiave e restare chiuso là dentro, in attesa che qualcuno lo trovi e lo liberi. Capisci? È per questo che penso tu abbia ragione. L'uomo a volte è triste perché vuole esserlo, esattamente come potrebbe essere felice se soltanto lo volesse davvero.»
Sorrido alla fine del suo discorso e annuisco. Segue una pausa silenziosa di qualche secondo.
Sapevo che mi avrebbe dato una risposta quantomeno soddisfacente, dato che ha un certo livello di preparazione e intelligenza, ma al contempo il suo essere perfettino e sentirsi superiore agli altri lo rende detestabile.
Il suo discorso potrebbe applicarsi anche alle bugie bianche. Come nel mio caso. Ho mentito ad Aaron, e nonostante l'abbia fatto con buone intenzioni sapevo che sarebbe successo. La tristezza e la delusione le ho chiamate da me da sola. Ho fatto tutto io.
«Ti dispiace erudirmi sul motivo per cui ami così tanto assentarti?», schiocca le dita davanti al mio viso.
«Sì, un attimo», trascrivo meglio una parte del suo discorso e le domande che ho fatto e poi ci guardiamo di nuovo in faccia.
«Tocca a me?», chiede e annuisco.
«Cosa pensi che porti una persona a chiudersi e a non voler comunicare con gli altri?», quando mi fa la domanda evita di guardarmi negli occhi. Penso ci sia qualcosa di personale nelle sue parole.
«La paura», dico senza alcuna esitazione.
«Paura di cosa?», chiede lui, quasi come se l'avesse presa sul personale.
«La paura di essere giudicati. Ci sono un sacco di cose che l'uomo ha paura di fare per colpa dei giudizi. E come eviti i giudizi? Chiudendoti, non mostrando il vero te, evitando le persone. Se eviti loro, che sono spesso fonte anche di disagio e tristezza, pensi di metterti in salvo. No?», alzo un sopracciglio.
«Non lanciarmi frecciatine, hai il nome di una sirena mica di Robin Hood», ghigna.
«Non posso nemmeno prendere in giro il tuo nome, perché ti chiami come uno dei membri dei One direction. Peccato.»
«No, McAvoy», ride. «Se mi prendessi in giro, ci rimarresti male, piccola anima pura», si sporge verso di me senza smettere di avere in faccia l'espressione divertita.
Mentre sono sul punto di ribattere vedo fuori dalla finestra Aaron, con il cappuccio della felpa sulla testa e lo sguardo basso mentre viene verso la biblioteca. Sotto il braccio tiene una specie di agenda. E io sono davvero sfigata.
«Lo conosci?», chiede all'improvviso Niall.
«Sì», sussurro.
«E chi diavolo non conosce quello lì», scoppia a ridere. «Oh, viene qui.»
Sento lo stomaco restringersi e il cuore inizia a battere come impazzito. L'ansia mi divora e provo inutilmente a calmarmi, ma quando entra dentro e sento la sua voce, perdo mille battiti.
«Te lo sei fatta?», bisbiglia Niall, facendosi più vicino a me.
«Cosa? No!», squittisco, tappandomi subito dopo la bocca, soprattutto dopo aver visto l'espressione scombussolata di Niall.
«Perfetto», sorride, tornando come prima.
«Eh?», dico confusa.
«Ehi, tu!», Niall alza una mano, io sto per battere la testa contro il tavolo.
«Dici a me?», domanda Aaron dietro di me. Non ho il coraggio di girarmi.
«Sì. Senti, stiamo lavorando ad un progetto, qualcosa sulle emozioni, ti va di sederti accanto a me per cinque minuti e rispondere a qualche domanda noiosa, così non vado in giro come un ambulante a fermare la gente per strada?»
Sto immaginando la faccia di Aaron. Probabilmente pensa che questo qui sia un pazzo. E mi viene da ridere.
«Ok.»
Ok? Ha detto ok? No, non è per niente ok. Non posso scappare.
Si siede accanto a Niall e dice: «Inizia pure, avrei anche io da studiare, sai?»
«Va bene, va bene.»
Appena sollevo lo sguardo e incontro il suo, cambia totalmente espressione. Sembra quasi pentito. So che vorrebbe alzarsi e andare via. E io mi sento terribilmente in colpa.
«Ehilà?», dice in tono noioso Niall ad Aaron. «Diamine, sareste perfetti l'uno per l'altro, entrambi amate perdervi nei vostri pensieri.»
Distolgo subito lo sguardo e lascio che Niall faccia il suo lavoro.
«Cosa pensi dell'uomo che si rifugia spesso nella sua mente? Perché lo fa?», ha scelto proprio una domanda a caso, sì.
«Non lo so, non mi rifugio nella mia mente per scappare dal mondo, se è ciò che pensi», risponde Aaron con tono sincero.
«Quindi dici che è possibile vivere senza immaginare?», continua a chiedere Niall.
«Cosa? No!», controbatte Aaron. «L'immaginazione fa parte dell'uomo, dico soltanto che preferisco vivere senza scappare dalla realtà, dal passato, presente o futuro. Capisci? Io vivo la giornata così come viene, che senso ha scappare se poi la realtà non cambierà e mi perseguiterà sempre? Non è meglio accettarla?»
E com'è possibile che, nonostante io e lui siamo totalmente opposti, ogni sua parola susciti in me un'ammirazione senza limiti nei suoi confronti? Perfino Niall lo ascolta con attenzione.
«Interessante», commenta. «Quindi ti fai piacere la vita così com'è?»
«Non è che me la faccio piacere, è che non mi piace stare appresso a cose che so che mi fanno perdere tempo o mi provocano dolore. Insomma, se una cosa ti fa stare male, pazienza, vai avanti, trovi qualcos'altro che ti rende felice e così via. È una continua ricerca per me. Lo è sempre stata, altrimenti ora sarei dovuto essere morto», non l'ha detto su un tono scherzoso, è per questo che alzo lo sguardo e l'osservo ma senza essere insistente.
Prendo il quaderno e inizio a scrivere le sue parole; sento il suo sguardo che segue ogni mio movimento e io mi sento l'ansia addosso.
«McAvoy», sibila Niall. «Non essere agitata, ti sta tremando la mano e scrivi di merda.»
«Sì, scusa», mi sento così male che sto per mettermi a piangere.
«Ora vi faccio io una domanda», dice Aaron deciso. «Che concezione avete voi della fiducia?». Colpita e affondata.
So che in questo momento lo sto guardando con lo sguardo da cucciolo bastonato. Ma mi perdo di nuovo nei miei pensieri. Lascio che sia Niall a rispondere. Prendo dal mio zaino la mia nuova agendina vintage e inizio a scrivere quello che mi passa per la testa; io i pensieri devo lasciarli correre per stare bene.
Stupida, stupida me. Il mondo non è fatto per capirti e tu non capisci il mondo. Non comunichi i pensieri al mondo e il mondo non li comunica a te. Costruisci abitazioni per amori che sai che sono soltanto ospiti di passaggio, che non vedranno l'ora di andare via e sbattere la porta. Perché stai male? Perché piangi? Perché? Perché tutti cercano la perfezione e non l'arte? Perché vedo gallerie d'arte in alcuni cuori che sembrano irraggiungibili e strade vuote e tetre in altri?
«Accidenti, McAvoy», mi strappa via l'agendina e dice: «La McKinley non poteva assegnarmi un compagno di squadra migliore e meno dedito a profonde riflessioni? Vuoi restare coi piedi per terra almeno per dieci secondi? Cosa diavolo hai da scarabocchiare qui?», abbassa lo sguardo sulle mie parole e vedo come la rabbia sul suo volto inizia a dissiparsi.
«Cazzo, l'hai scritto per il progetto? Possiamo aggiungerlo?», chiede speranzoso. «Aspetta, ma sono i tuoi pensieri o cosa?»
Aaron, ancora al nostro tavolo, fa vacillare lo sguardo tra noi due, confuso.
Come una pazza mi riprendo l'agenda e la metto subito dentro lo zaino, poi prendo le mie cose e vado via.
Così. Senza salutare. Senza dire niente.
Una volta fuori faccio un respiro profondo e alzo lo sguardo verso il cielo. Voglio la mia bici. Ho bisogno di girare per le strade della città e mettere a tacere la mia mente.
«Ehi», lo sento chiamarmi e mi giro, stringendo forte le cinghie dello zaino. «Hai...», sembra non trovi le parole giuste. «Hai bisogno di un passaggio? Dov'è la tua bici?»
«A casa», dico. «E no, grazie.»
Infilo le mani dentro le tasche e inizio a camminare velocemente, ma la mia voglia di allontanarmi da lui e strapparmi dal petto questa brutta sensazione, mi fa inciampare nei miei stessi piedi e cado con il sedere a terra.
«Cristo santo, Ariel», sento i suoi passi farsi sempre poi vicini e io ho le lacrime agli occhi, non so se sia per quello che provo emotivamente o fisicamente, dato che la botta è stata forte.
«Stai bene? Ti sei fatta male?», chiede, lasciando da parte la rabbia nei miei confronti e dando spazio alla solita premura.
«Sì.»
«Sì, cosa? Ti sei fatta male o non stai bene?»
«No.»
«Ariel?»
«Non lo so», la voce mi trema.
«Ariel?», mi richiama.
«Forse mi fa male...», ciancico.
«Cosa?», si abbassa e mi afferra il braccio.
Non rispondo.
«Ariel?»
«Oddio, mi fa male il sedere, Aaron», poi mi seppellisco la faccia tra le mani, perché sto morendo dalla vergogna.
«Ehi, McAvoy, ti sei rotta il collo o cosa?», chiede Niall in lontananza. Trattengo un gemito e Aaron dice: «Ti do un passaggio a casa, andiamo.»
«No, non c'è bisogno.»
«Tranquillo amico, l'accompagno io o al massimo chiama il suo ragazzo o quello che è, il tizio che l'ha accompagnata», si intromette Niall. Chiudo gli occhi e sento Aaron allontanarsi da me. Come diavolo fa a sapere che mi ha portato Jamie?
«Giusto. Bene, allora io torno in biblioteca. Spero che il tuo culo stia meglio», e va via. Così. Senza dire altro.
«Ti fa male il culo?», chiede Niall.
«Ti prego, piantala», piagnucolo.
«Va bene, ma intendi alzarti?», chiede ancora.
«No, lasciami morire insieme alla mia dignità appena persa», mormoro in tono drammatico.
«Muovi il culo, dai!»
«Mi fa male.»
«Hai ragione. E che facciamo? Restiamo qui a sperare che si riprenda?»
Lo fulmino con lo sguardo, gli afferro il braccio e provo ad alzarmi, facendo una smorfia di dolore.
«Accompagnami a casa», bofonchio.
«Se hai bisogno del ghiaccio da mettere lì, puoi sederti sulla neve», suggerisce.
Gli scocco un'altra occhiata omicida e poi aggiunge: «Ti porto a casa, ho capito.»
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