16. "Aaron è un sogno proibito. E a me non piace sognare"

🌜 Non aver paura di sognare 🌛

“Fuck the hype, the life, the world we know
It's only you and me, all the doors are closed
So, hold me close, don't let me go”
-YUNGBLUD

Il mio corpo sembra avvolto da un morbido e caldo plaid, e lo immagino mentre giace su una poltrona davanti al caminetto, con una tazza di cioccolata calda tra le mani. Questo calore, che oramai è diventato unico e inconfondibile per me, sembra una corazza che avvolge il mio cuore come una pellicola, tenendolo lontano dal gelo nel quale vive ogni giorno, a volte accanto ad un suo simile, ma molto più gelido.

Le palpebre sono pesanti, ma tra le ciglia vedo una falce di luce filtrare tra le veneziane e riversarsi nella stanza. Non è forte, ma lo è abbastanza da farmi chiudere gli occhi con forza e lasciarmi cullare dal suono delle gocce di pioggia che si infrangono impetuosamente contro il vetro della finestra.

Non so come sia passata dal lasciare il mio freddo rifugio ad arrivare a condividere il letto con un ragazzo, che è capitato nella mia vita nel momento in cui più ne avevo bisogno.

Chissà che fine avrei fatto se lui quella sera non mi avesse trovata. Nonostante io gli sia molto grata, penso che tutto ciò che c'è tra me e lui stia diventando sempre più grande, così grande che alla fine non sarò più in grado di gestirlo. Mi sento tremendamente egoista e cattiva per quello che sto facendo, ma non posso farne a meno.

Lui è il fiore, io sono l'ape, e nonostante non lo cerchi sempre, sembra il fiore destinato a me. Stare tra le sue braccia mi tranquillizza e da quando è apparso nella mia vita sono riuscita davvero a chiudere gli occhi senza avere paura.

Ma adesso, mentre il suo respiro caldo solletica il mio collo, il suo braccio stringe la mia vita e il suo naso sfiora il mio orecchio, penso a quanto questa scena sembri normale... Quasi come se succedesse da tempo; come una vecchia abitudine.

Mi sento legata a lui in un modo in cui non riesco a spiegarmi, ma allo stesso tempo il cervello mi dà subito la risposta, nonostante mi ostini a non accettarla: lui dimostra di tenerci, ed è ciò che a me manca e mi lascio andare come una barca in balia alle onde, in mezzo ad un oceano, nel pieno di una tempesta. 

Non so se la barca finirà a pezzi e sul fondo marino oppure continuerà a resistere finché la tempesta non si sarà placata, ma so che non ne uscirò totalmente illesa da questa situazione.

E per una come me, abituata a incassare colpi da destra e manca, risulta quasi una cosa consueta per me. Ci vogliono almeno trenta giorni affinché il nostro cervello si abitui ad una nuova abitudine. Ammetto di aver provato più volte a dare dei nuovi ordini al mio cervello, ma il mio inconscio, come uno stronzo, già dal terzo giorno ha iniziato a farmi venire dei dubbi, tipo "Ne vale la pena?" oppure "No, fermati, starai peggio".

E so che se passare troppo tempo con Aaron diventasse una nuova abitudine, io continuerò a cercare le sue braccia e il suo letto, perché se dormire con lui significa scappare dai sogni, preferisco sprofondare tra le sue coperte e non svegliarmi più.

Mi giro e mi metto a pancia in su, fissando il soffitto. Sento Aaron muoversi nel sonno e poi si gira sull'altro fianco, dandomi le spalle. Ne approfitto per scivolare giù dal letto e avvicinarmi alla finestra, sbirciando fuori.

Lampi e tuoni ormai si sono impadroniti del cielo, la pioggia si riversa furiosa sul suolo. Deglutisco, perché so che sarà difficile sgattaiolare via con questo tempaccio. Non ho nemmeno dei vestiti di ricambio; non posso camminare vestita da sposa mentre fuori sembra si siano aperte le porte dell'inferno.

Abbasso lo sguardo sulla maglia che indosso e sorrido: Aaron è davvero carino. Si è ricordato quanto questa maglietta mi sia piaciuta l'ultima volta e me l'ha ridata. Potrebbe essere anche una semplice coincidenza, ma sembra uno che ci fa caso ai dettagli, ed è un motivo in più per apprezzarlo come persona. È così sincero e genuino.
Lo guardo mentre dorme tranquillo e mi viene voglia di dipingere.

Mi tengo il sorriso amaro e l'incapacità di sbarazzarmi dai pensieri che s'impadroniscono della mia mente in questo istante e poi esco lentamente dalla stanza, stando attenta a chiudere piano la porta, ma non appena mi giro mi trovo davanti Seth e per poco non mi viene un colpo al cuore.

«Ciao», mi dice piatto.

«Buongiorno», rispondo.

«Buongiorno?», chiede confuso.

«Brutto risveglio?»

Lui si stringe tristemente nelle spalle e mormora quasi distratto: «Ho sbagliato a fare i pancakes, due volte. Sono proprio una delusione per me stesso. A volte mi sento uno chef più chef del chef di Masterchef e-»

«Parla piano, mi confondi», gli dico educatamente.

«In poche parole a volte sono così bravo, più bravo del più bravo chef che si reputa bravo, e altre volte faccio più schifo dello schifo che c'è in cucina adesso», si lamenta. Ammetto che ha un particolare modo di lamentarsi e anche di parlare, oserei dire.

«Be', se vuoi posso darti una mano in modo che rimediamo a questo disastro, che ne dici?», suggerisco con entusiasmo.

«Ma è più disastroso del disastro del-»

«Ok, ok, che ne dici di finirla con i paragoni e spostarti in cucina?», dico, afferrando il suo braccio. Tace e mi segue in silenzio, questo finché non entriamo in cucina e noto l'enorme disastro che ha combinato, quindi si mette a piagnucolare e mette una mano davanti ai miei occhi, in modo che io non guardi.

«Ti avevo avvisata». Gli sposto la mano e gli scocco un'occhiata di rimprovero.
«Un vero chef riprova finché la ricetta non gli viene bene», sembro una mamma che gli sta facendo la predica.

«Hai ragione. Mi dai una mano?», mi fa gli occhioni da cucciolo bastonato e sorrido, annuendo.

Subito dopo ci mettiamo al lavoro. Prima puliamo il disastro che ha combinato e poi ci mettiamo a fare i pancakes con le gocce di cioccolato.

«Ti voglio come sorella», mi dice all'improvviso. «Mia sorella maggiore ha deciso di andare a vivere da qualche parte su una montagna sperduta, perché è una di quelle pazze a cui piace così tanto la natura che per poco non si trasforma in un eremita. Ho accettato la sua scelta, basta che non torni a casa come Robinson Crusoe.»

Mi scappa una risata nell'udire il suo paragone. «Abitare in montagna è bello, te lo posso assicurare. Ci sono stata un paio di volte e i miei soggiorni erano tutti di una settimana, ma in quella settimana mi sembrava sempre di rinascere», sussurro, rammentando con una punta di malinconia.

«Ma è già faticoso nascere una volta, e poi passi la vita a dire "Era meglio che non nascessi", quanto può essere stancante rinascere ancora e ancora?», alza gli occhi al cielo, nonostante sia una frase sarcastica e io legga il divertimento nei suoi occhi.

«A volte è meglio rinascere che mettere fine a tutto, non pensi?», la frase scivola dalle mie labbra con una certa mestizia e lui se ne accorge.

«Sì, per alcuni forse è così.»

Continuiamo a preparare la colazione, tra una battuta e l'altra, tra risate e spintoni scherzosi, finché non sentiamo qualcuno schiarirsi la gola.

Aaron è appoggiato allo stipite della porta; i capelli arruffati e l'espressione assonnata. Questa visione ha un qualcosa tra tenero e sexy. Abbasso subito lo sguardo colta da un improvviso senso di imbarazzo e sento Seth prendere parola: «Giorno, vostra maestà. Dormito bene? La colazione è servita», poi indica i piatti sul bancone.

«Sta' zitto, idiota», bofonchia, avvicinandosi a noi e sbadigliando. Si siede e afferra una forchetta, ma prima che inizi a mangiare, si gira verso di me ed esclama: «Mi sembra di rivivere di nuovo questa scena.»

«Perché alla gente piace rivivere, rinascere, ricominciare...? Voi ri-tutto e io ri-niente. Nemmeno l'incontro con Jasmine vorrei riviverlo», ammette senza alcun timore.

Aaron sorride. «Questo perché la prima volta che ti ha visto ti ha tirato un pugno nel naso e ha rischiato di romperti il setto nasale.»

Io per poco non mi strozzo con la mia saliva. Strabuzzo gli occhi e guardo Seth, che mostra un sorriso tirato.

«Bellissimi ricordi da lasciare nel passato, possibilmente», commenta, iniziando a mangiare.

«Dormito bene?», bisbiglia Aaron facendosi più vicino a me. Faccio cenno di sì. «Sai che ho notato una cosa di te?»

Riporto lo sguardo su di lui e mi acciglio. «Ovvero?»

«Quando crolli definitivamente in un sonno profondo ti rannicchi così tanto che sembri un riccio. Sembra che tu stia cercando di crearti una corazza o di proteggerti da qualcosa. Sei tenera», ridacchia, ma io probabilmente sono impallidita sul colpo.

Sento improvvisamente una vampata di calore che mi fa bruciare perfino la gola; non riesco a parlare e le mani iniziano a tremarmi. Afferro il bicchiere e me lo porto alla bocca, nascondendo il mio viso spaventato dietro ad esso.

Non pensavo che avrei assunto ancora quella posizione; la stessa che assunsi nel momento in cui lui mi colpì quella volta, fino a farmi quasi perdere i sensi.

Percepisco la tensione improvvisa nell'aria ma nessuno osa fiatare. Mangio e guardo fuori dalla finestra; vorrei essere lì adesso, per strada a girovagare come una vagabonda, dal mattino alla sera, senza una meta, senza un posto dove tornare, senza una ragione per iniziare daccapo. Vorrei mettermi a camminare e sparire piano piano.

«Dave suonerà stasera», Seth spazza via il silenzio.

«Ah, davvero?», risponde distrattamente Aaron, mentre il suo sguardo mi scruta con scetticismo.

«Sì. Ci ha chiesto se vogliamo andare a sentirlo.»

Aaron ruota gli occhi. «Ma ci andiamo sempre.»

«Che musica suona?», chiedo.

«Un po' di tutto, forse più rock e metal, ma se la cava anche con le cose più soft», mi fa sapere Seth.«Qual è il tuo cantante preferito?»

«Lana del Rey», rispondo.

«Ti piace scrivere, sei profonda, sembri su un pianeta tutto tuo, ti piacciono le poesie e forse l'arte, un po' me lo immaginavo», dice Aaron senza guardarmi, ma ha uno strano sorriso sulle labbra.

«Di solito cerchiamo sempre di rispecchiarci nelle parole o lo stile di un artista. E nonostante non sia esattamente il mio genere di musica preferito, sono davvero curioso di sapere cosa ti trasmette la sua musica quando l'ascolti», mi guarda con la coda dell'occhio.

«Trasmette anche voglia di scopare? Potrei usarla quando Jasmine mi tiene il broncio», scherza Seth.

«Be', ammetto che a me piacerebbe fare sesso con la canzone Gods & Monsters di sottofondo», dico ridendo. Entrambi si girano verso di me.

«Ora sono proprio curioso», mi fa sapere Aaron.

«Amico», inizia a dire Seth, osservando qualcosa sullo schermo del cellulare. «Se nella canzone dice che lei era un angelo che cercava di essere scopata forte, onestamente le credo», probabilmente sta leggendo il testo della canzone, io invece inizio a tossire perché il succo mi è andato di traverso e sono a tanto così dal defenestrarmi.

Aaron lascia cadere la forchetta nel piatto provocando un suono acuto e poi si prende la testa tra le mani, schiarendosi continuamente la gola.
Prova a guardarmi con la coda dell'occhio finché non si gira del tutto, ed è uno sguardo così intenso che mi sento il cuore schizzare via dal petto.

«Cazzo», borbotta alzandosi velocemente dalla sedia e uscendo dalla cucina.

Seth lo guarda confuso e poi scoppia a ridere, gridando: «No, non ci credo! Aaron Jr. si è svegliato grazie ad una frase di una canzone, non ci credo», si lascia cadere con le spalle contro lo schienale mentre ride come un dannato.

«Stai zitto, Seth!», grida di rimando Aaron dall'altra parte.

Seth continua a ridere così tanto che fa rovesciare la sedia e cade giù insieme ad essa.

«Oddio, penso abbia immaginato qualcosa...», dice Seth tra una risata e l'altra.
E non voglio pensare a cosa si sia immaginato lui... Anche se ormai è troppo tardi, dato che mi sento il viso andare a fuoco.

«Quando i vostri figli chiederanno come sono venuti al mondo, dirò "I tuoi si sono riprodotti grazie ad una canzone di Lana del Rey", e se sarà femmina la chiamerete Lana, in suo onore» straparla esagitato. Probabilmente Seth sta iniziando a dare i numeri, perché è arrivato un po' troppo lontano con la sua immaginazione.

«Senti, io tra poco scendo giù», dice Aaron a Seth. Quest'ultimo finalmente si alza e si rimette composto.

«Dove sotto?», chiedo con curiosità.

«Sotto di noi, c'è una specie di seminterrato, c'è una sala. Tipo una piccola palestra. A volte scendiamo giù ad allenarci. Vuoi vedere?»,  chiede Seth.

Aaron emette un lamento strozzato. Non sembra mi voglia nei suoi paraggi. Faccio per aprire bocca, ma poi lui continua: «Certo che vuoi! Dai, vieni che ti presto un paio di vestiti di Jasmine. Non penso le dia fastidio». Non aspetta una risposta, perché mi fa cenno di seguirlo nella sua stanza.

Dieci minuti dopo ho addosso una specie di felpa che non è uguale a quelle che sono abituata ad indossare, ma arriva appena sopra l'ombelico, e indosso un paio di leggings. Be', per fortuna indosso i miei amati stivaletti neri. Il mio outfit non è uno dei migliori e ammetto di sentirmi un po' a disagio, perché forse mostro più di quanto sia abituata a mostrare e mi sento troppo esposta.

«Aaron è già sceso. Andiamo», Seth mi fa uscire per prima e poi lo seguo.

Appena apre la porta ed entra dentro, sono quasi tentata di fare marcia indietro, perché qui dentro non c'è soltanto Aaron, ma più ragazzi che non conosco.

Vedo Aaron in fondo alla palestra mentre si sta riscaldando. Ancora non ha notato la mia presenza qui dentro. Seth mi guida verso una panca e mi dice: «Guarda, se vuoi puoi allenarti anche tu. Ti piace il tapis roulant? La cyclette? Puoi fare addominali o squats, vedi tu», mi sorride cordialmente e poi corre a riscaldarsi anche lui.
Rimango ferma e in imbarazzo, perché sento gli occhi degli altri puntati su di me.

Cosa si fa in queste situazioni senza sentirsi morire dentro?

Totalmente spaesata, batto velocemente il piede a terra, finché non sento qualcuno picchiettare le dita sulla mia spalla. Mi giro e vedo un ragazzo che mi sorride.

«Serve una mano? Sembri un po' disorientata», va bene, sembra gentile.

«Che genere di mano vuoi darmi?», gli chiedo.

Lui spalanca gli occhi. «Come scusa?»

Ormai paonazza, inizio a gesticolare nervosamente. «No, non fraintendere. La frase mi è venuta male.»

Il ragazzo mi osserva per una manciata di secondi e poi scoppia a ridere. «Sei simpatica. Comunque, intendevo se hai bisogno di una mano con gli attrezzi. Sempre tu voglia allenarti.»

«Certo...», no, non si nota la mia incertezza. Cerco con lo sguardo Aaron e lo becco mentre tira pugni in un sacco da boxe. Piano piano cambia posizione finché non è adesso rivolto verso di me. Non appena tira l'ultimo pugno, rimane imbambolato con lo sguardo puntato su di me e il sacco lo becca dritto in faccia. Si tocca il naso e poi si riscuote, guardandomi meglio. E ora sta venendo verso di noi.

Oh santo cielo.

«Ehi, Reynolds, abbiamo una nuova arrivata», gli dice il tizio accanto a me.

«È con me», dice burbero.

«Amica? Ragazza? Sorella?», indaga il ragazzo.

«È con me», ribatte Aaron.

«Ho capito», asserisce, poi se ne va.

Addio mia preziosa guida.

«Vuoi allenarti?», chiede incredulo Aaron.

Faccio spallucce.

«Mi piacerebbe tirare pugni, ma sono proprio incapace penso», rido.

«Nah, c'è sempre una prima volta per imparare», dice riservandomi uno di quei sorrisi che mi fanno sciogliere il cuore. «Vieni», mi prende per mano e io già mi scordo di tutti gli altri. La naturalezza con cui lo fa mi lascia sempre sorpresa.

«Ora ti insegno qualche mossa. Poi se ti piace e vuoi continuare, posso farti da insegnante privato», dice smaliziato.

«E dovrei pagarti?», domando.

Lui ghigna e non tarda a rispondere, mentre si piega lentamente verso di me: «E come vorresti pagarmi?», osserva le mie labbra imperterrito.

«N-non lo so», e dico davvero.

«Se farò un buon lavoro con te, potrò scegliere io il premio alla fine?», chiede, mordendosi il labbro. «Niente sesso, tranquilla. Non sono quel tipo di ragazzo, non me ne approfitto», alza subito le mani e io già mi sento più tranquilla.

«Va bene», dico, guardandolo negli occhi.

«E, se ce la farai, potrai fare insieme a me una cosa che ti rende felice. Voglio renderti partecipe», propone.

«Qualsiasi cosa?», chiedo; il sorriso si allarga sempre di più.

Non c'è nemmeno un pizzico di scetticismo nei suoi occhi. «Qualsiasi.»

«Non vedo l'ora», esclamo contenta.

«A chi lo dici», ribatte, con lo sguardo puntato nel mio. C'è qualcosa di armonioso e allo stesso momento di malinconico nel modo in cui mi guarda. Sembra uno dei quadri di Van Gogh: ti perdi ad ammirarli, suscitano in te emozioni contrastanti, dalla malinconia alla tristezza vera e propria, e dalla tristezza allo stupore. E lo stupore ti proietta direttamente in un sogno che stai facendo ad occhi aperti e non ti stanchi finché non senti il perpetuo desiderio di farlo avverare.

«Non potrai tirarti indietro, sappilo», mi punta l'indice contro.

«Nemmeno tu», ribatto.

«Forse non ti rendi conto ti quanto tu sia bella quando sorridi. Soltanto un cretino si tirerebbe indietro», mi fa l'occhiolino e poi viene accanto a me. «Pronta?», chiede e annuisco.
Aaron è un sogno proibito. E a me non piace sognare.

Ehilà, ecco il nuovo capitolo. 💕:) Un po' tardi lo so, ma in questi giorni sono stata presa da un paio di cose, tra shopping e caccia ai regali di natale, e fare da babysitter ai nipotini😂

Non so se riuscirò a postare l'altro capitolo domenica o lunedì, ma ci proverò!

Intanto cosa ne pensate di Aaron e Ariel? Secondo voi cosa vuole come ricompensa lui? E lei? :3

Spero vi piaccia, commentate e votate se vi va! Alla prossima 😍❤️

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top