08. "È triste essere tristi"

🌜 Non aver paura di sognare 🌛

“I've been havin' dreams
Jumpin' on a trampoline
Flippin' in the air
I never land just float there”
-Shaed & Zayn

«Aiutami, Ariel», ordina Jamie, tenendo la porta della sua stanza aperta, facendomi segno di entrare.

Noto il suo borsone aperto sul letto e trattengo il sorriso compiaciuto pronto ad animarmi il volto.
Entro dentro, lui chiude la porta con poca delicatezza, come sempre, e poi si butta letteralmente a letto, con le braccia dietro la nuca.

«Non so, cosa dovrei portarmi per tre giorni?», chiede, arricciando il labbro

«Tre giorni?», chiedo, guardandolo di sfuggita, cercando di tenere per me lo stupore.

«Sì. Tre giorni di pura pace», so che sta parlando per se stesso, ma questa frase la associo soprattutto a me. Lo lascio nella sua convinzione, basta che si levi dai piedi.

«Oh», mormoro, raggiungendo il suo armadio e aprendo le ante.

«Ti mancherò, lo so», se la ride. Per fortuna sono girata e non può vedere il disgusto sul mio viso.

«Ti farà bene staccare un po'», rispondo, alzando poi gli occhi al cielo.

«Esattamente! Non vedo l'ora», come se non sapessi che in realtà mi metterà le corna e farà quello che vorrà. Ecco cosa intende lui per "senza rotture di palle in mezzo".

Prendo alcuni dei suoi vestiti – quelli che indossa spesso, così vado a colpo sicuro –, e li metto nel borsone.

I suoi occhi seguono ogni mio movimento. Appena finisco, chiudo la zip e lui fa un ampio sorriso e mi fa cenno di sedermi sulle sue gambe, nonostante lui sia ancora sdraiato. Ciò significherebbe mettermi sopra di lui a cavalcioni...

«Io dovrei andare in bagno», mi fingo dispiaciuta.

Jamie sorride e colpisce nuovamente le sue cosce piano, senza dire altro. Non si beve le mie scuse. Non è la prima volta che succede.

Ce la puoi fare, Ariel. Per tre giorni potrai respirare come si deve.

Mi metto sopra di lui e mi afferra per i fianchi, stringendoli e guardando le mie curve.

«Bellissima», sussurra, mordendosi il labbro.
«Voglio-», il suo cellulare inizia a squillare. Dà un'occhiata veloce, ma non risponde. Torna con lo sguardo puntato su di me. «Voglio farlo, adesso», si sbottona i jeans e strabuzzo gli occhi.

Il suo cellulare inizia a squillare di nuovo incessantemente e Jamie sbuffa, poi lo afferra e rifiuta la chiamata.

«Spogliati», mi intima.

Il suo cellulare continua a squillare. In un impeto di rabbia lo afferra e risponde, gridando: «Cosa cazzo c'è?»

Prego affinché si levi in fretta.

«Cazzo, certo che hai disturbato! Mi stavo per fottere la mia ragazza», mi fa cenno di spostarmi e io tiro un sospiro di sollievo, senza che lui lo noti. Rimango in piedi mentre lui schiaccia il cellulare contro la guancia e la spalla e si abbottona nuovamente i jeans, poi afferra la sua giacca, indossandola.

Oddio, significa che se ne va adesso?

«No, ho tutto pronto. Va bene, vaffanculo, arrivo!», continua a borbottare.

Quando mette giù, si lamenta e poi guarda me, dicendo: «Tyler è una rottura di palle, come te», forza un sorriso. «Devo andare, ci vediamo venerdì sera o sabato mattina. Fai la brava, Ariel», viene a darmi un buffetto sulla guancia e mi guarda negli occhi, come se volesse trasmettermi un messaggio minaccioso, che non serve nemmeno e.

«Lo sai che non faccio mai niente di male», gli dico guardandolo innocentemente.

Lui sorride con aria fiera. «Lo so, è per questo che non mi creo problemi inutili.»
Esce dalla stanza e io lo seguo verso l'uscita. Resta sull'uscio, all'ingresso, con il borsone sulla spalla e si passa la lingua sui denti, poi afferma: «Bene. Ciao, piccola. Mi mancherai», si piega per stringermi a sé e poi mi dà un bacio veloce sulle labbra e corre via, scendendo le scale.

Torno dentro, chiudo la porta a chiave e la lascio dentro, così nessuno può entrare, nemmeno lui nel caso cambiasse idea.

Corro alla finestra, in salotto, e sbircio da dietro la tenda, cercando di non farmi vedere. Appena lo vedo salire in una macchina, che poi parte sgommando, sorrido a trentadue denti e mi vado a buttare sul divano, fissando il soffitto.

«Diamine, sì!», esclamo mentre il mio sorriso diventa man mano più grande.

Balzo giù dal divano e vado a collegare il cellulare alle casse, poi metto Off to the races di Lana Del Rey a tutto volume e vado in cucina.

Prendo un bicchiere, tiro fuori la bottiglia di vino di Jamie, me ne verso un po' e mi metto a cantare e a ballare.

È la prima volta, dopo non so quanto tempo, che mi sento davvero libera. È come se il cappio intorno al collo si fosse allentato di poco. 

Continuo a cantare, andando da una staall'altra, poi sento la musica interrompersi e per poco il bicchiere non mi cade dalle mani.

Corro in salotto e guardo la schermata del cellulare; mi è soltanto arrivato un messaggio da parte di Jasmine.

Ieri ci siamo scambiate i numeri, ma soltanto ora mi ha scritto. Mi ha chiesto cosa sto facendo. Be', di certo non posso dirle che sto letteralmente festeggiando perché il mio ragazzo si è levato dai piedi.

Ignoro il messaggio, promettendomi mentalmente che le risponderò più tardi, e mi verso un altro bicchiere di vino, canticchiando le note di una canzone e sorridendo tra me e me.

Qualche ora più tardi, dopo essermi divertita da sola, ho messo in ordine la mia stanza e ho trovato la giacca di Aaron.

Penso sia la cosa più stupida del mondo, essere brilli e voler mettere in ordine ogni cosa. Mio fratello mi prende sempre in giro quando lo faccio; dice che è una cosa stramba.

Stringo la giacca tra le mani e la porto più vicino al naso; ha un bel profumo.

Forse dovrei ridargliela indietro... Dopotutto, lui è stato semplicemente gentile con me. Ma sì, è arrivata l'ora di riportargliela.

Prendo il cellulare, le chiavi e poi prendo la mia bici e inizio a pedalare piano verso l'abitazione di Aaron, cercando di ricordarmi di preciso la via.

Sto facendo una follia? No, certo che no! Sto facendo un gesto carino... Magari era la sua giacca preferita! Io sarei gelosa se qualcuno avesse una delle felpe che amo di più.

Scendo giù e guardo le mie mani che sono sparite dentro le maniche della giacca. Wow, mi sta davvero enorme. Mi scappa un singhiozzo e poi appoggio la bici al cancello e salgo su, iniziando a bussare alla porta.

Magari mi manderà a quel paese... Forse sembro una stalker? Le persone normali avrebbero avvisato, ma io non ho il suo numero, quindi...

Oh no, sono stupida! Stupida, stupida, stupida! Giro sui tacchi, pronta ad andare via e fare finta che io non sia mai venuta qui, ma la porta si apre e la prima cosa che mi investe in faccia, è l'odore di sigaretta.

Aaron mi fissa incredulo, forse non si aspettava che mi presentassi così davanti alla sua abitazione.

«Ma guarda un po' chi si rivede!», esclama e il sorriso sul suo viso spazza via l'espressione perplessa che aveva fino a poco fa. 

«Sono io!», dico sorridendo goffamente.

«Sirenetta», mi chiama. «Stai bene?» si abbassa di poco per guardarmi in faccia e annuisco velocemente.

«Sì, ecco, io in realtà sono venuta qui per portarti la giacca e ringraziarti ancora per... per avermela prestata», dico evitando il contatto visivo. Per non guardare di lato e fare in modo che lui non capisca che sto evitando di guardarlo in faccia, abbasso lo sguardo per forza, ma non è che aiuti più di tanto.
Per qualche strano motivo gli sto fissando il cavallo dei jeans. E forse lui se n'è accorto, perché si sta schiarendo la gola da qualche minuto.

Sollevo lo sguardo, sentendo perfino le mie orecchie prendere fuoco, e poi gli dico: «È solo che sono venuta in bici, quindi ho avuto freddo e l'ho indossata di nuovo», confesso.

Lui abbassa lo sguardo sul mio corpo e trattiene un sorriso non appena vede la giacca arrivarmi quasi alle ginocchia e le mie mani che non si vedono più.

«Ti sei persa là dentro?», chiede ridendo. Ha un sorriso perfetto; uno di quelli che si vedono nelle pubblicità del dentifricio.

«Vuoi trovarmi?», gli chiedo ridendo a mia volta. Ma soltanto dopo mi rendo conto che la mia domanda forse è un po' troppo audace... e forse potrebbe fraintendere.

«Se insisti», fa spallucce e poi fa un passo avanti; il suo fisico torreggia su di me. Mette le mani sulle mie spalle e lentamente mi sfila la giacca. Lo lascio fare, perché tanto è sua...

Appena vede la maglietta leggera che indosso, le sue sopracciglia schizzano verso l'alto e mi scocca un'occhiata come se volesse rimproverarmi.

«Bugiarda... Dillo che in realtà ti sono mancato e volevi rivedermi», mi stuzzica.

«No, giuro!», metto le mani davanti, pronta a scusarmi. «Ho trovato la tua giacca mentre mettevo in ordine la mia stanza e quindi te l'ho riportata», deglutisco.

«Ah, quindi non sei assolutamente venuta qui perché te l'ha detto Jasmine, giusto?», mette la giacca su una spalla e io lo guardo stordita.

Jasmine?

«Ah, no! Ora posso andare via», gli sorrido sinceramente. «Ciao, Aaron», gli faccio ciao con la mano e lui mi fissa a lungo prima che scoppi in una risata e si avvicini a me.

«Dài, entra! Sei pazza se pensi che ti lasci andare di nuovo così», mette la mano sulla mia schiena e mi guida dentro.

«Così come, scusa?», chiedo, varcando la soglia.

Lui si abbassa e sento il suo respiro caldo al mio orecchio: «Infreddolita e brilla.»

«Ma io non sono brilla!», protesto, girandomi verso di lui.

Aaron si passa la mano tra i capelli biondi e dice: «Puzzi di vino, Ariel.»

Metto le mani sui fianchi. «È succo d'uva.»

Aaron getta la testa all'indietro e ride nuovamente. Aspetto che finisca e poi inclina la testa e mi squadra nuovamente dalla testa ai piedi. I suoi occhi sono piedi di un'allegria sorprendente.
Apre una porta e mi dice di entrare, faccio soltanto un passo avanti e rimango sulla soglia.

Mi ricordo questa stanza! Io mi sono svegliata in quel letto.

«Cosa hai visto di così interessante?», mi chiede, corrugando la fronte.

«Il tuo letto è così... così meraviglioso», mormoro trasognata.

Aaron non batte più ciglio. «Di solito le ragazze lo dicono a me non al mio letto.»

«Be', il tuo letto è molto morbido tu forse sei duro», dico, facendo una smorfia.

Sento un colpo di tosse.

«Sei raffreddato?», gli chiedo.

Apre la bocca per rispondere, ma la richiude subito.  Poi si lascia cadere sulla poltrona e mi fissa. Mi fissa e basta. Senza par.

«Non sono venuta qui in mutande, vero?», gli chiedo, ormai preoccupata del suo sguardo insistente.

«No...», risponde; un muscolo guizza sulla sua mascella.

«Ok, bene, perché altrimenti avrei usato la tua giacca per impiccarmi», inizio a ridere nervosamente.

«Ho bisogno di bere qualcosa», esclama e si alza di colpo, uscendo dalla stanza e lasciandomi da sola.

Wow. Che educato.

L'ho offeso in qualche modo? Oh Dio, ho fatto danno.

Faccio un bel respiro e lo seguo in cucina, dove si siede con una bottiglia di birra davanti.

«Ti chiedo scusa, Aaron», la mia voce rompe il silenzio tra di noi. «Non volevo in alcun modo ferirti e dire qualcosa di sbagliato», lo guardo dritto negli occhi, lui appare ancora più confuso di prima.

«La smetti?», dice d'un tratto, quasi spazientito.

«Di fare cosa?»

Lui scuote la testa. «Perché pensi che tu abbia fatto qualcosa di sbagliato?»

Mi siedo davanti a lui, incrociando le braccia sul bancone.

«Perché hai cambiato espressione subito e te ne sei andato. Quindi ho detto qualcosa di sbagliato», appuro, convinta.

Lui sorride. «Non per forza, Ariel. Forse mi sono semplicemente ricordato una cosa e ho cambiato umore.»

Spinge la sua bottiglia verso di me e mi fa cenno di bere un sorso. E io non rifiuto. La spingo di nuovo verso di lui e dico: «È triste essere tristi».

I suoi occhi si posano nuovamente su di me, curiosi. «C'è un qualcosa di strano in quella frase, però sì, penso tu abbia ragione».

«Ariel McAvoy ha sempre ragione», gli faccio l'occhiolino.

«Spiritosa», si porta nuovamente la bottiglia alle labbra nascondendo il sorriso.

«Ti ho fatto sorridere?» , chiedo emozionata.

Lui scuote la testa, assottigliando le labbra.
«Ti dovrai impegnare di più, penso», si tocca la punta del naso e poi si sorregge la testa, mentre continua a guardarmi.

«Ok, ora ti dico io cosa trovo davvero esilarante», esclamo, bevendo un altro sorso di birra.

«Ti ascolto», replica lui.

«Le scoregge dalla vagina sono così buffe», inizio a ridere. «Cioè magari fai sesso, alzi la sua gamba e senti questa cosa che rovina il momento. Nei porno mica lo fanno vedere», faccio spallucce, Aaron scoppia in una risata fragorosa, appoggiando in seguito la testa contro il bancone, senza smettere di ridere.

«Non ci credo», dice tra gli spasmi.

«Almeno quelle non puzzano», aggiungo.

Aaron continua a ridere.

All'improvviso sento una porhiudersi e qualcuno gridare: «Perchè cazzo ridi?», chiede Seth, entrando in cucina con due sacchetti della spesa tra le mani.

«Ma ciao, Pocahontas!», posa il tutto sul bancone e poi mi arruffa i capelli. «Sei venuta in anticipo.»

«A volte non vengo proprio», dico e mi scappa uno starnuto.

Seth resta a bocca aperta per qualche secondo, Aaron smette di ridere, ma dopo poco Seth prende il suo posto.

«Aspetta, in che senso?», chiede Aaron, incuriosito.

«Che il vulcano è spento», spiega Seth. «Ma sei davvero Ariel?», chiede, prendendomi la faccia tra le mani.

«È brilla», lo informa Aaron.

«E tu quando sei brilla sei come me da sobrio?», domanda, tenendo ancora il mio viso tra le sue mani.

«Cioè anche a te piace pulire?», gli chiedo entusiasta.

Lui si tira indietro e mi guarda male. «No, intendevo che spari cazzate.»

«Divertimento a parte», prende parola Aaron, allungandosi leggermente verso di me. «Ti stanno lacrimando gli occhi e sono leggermente rossi».

«Ah, sì», bisbiglio. «Forse perché devo dormire.»

«Da quanto tempo non dormi?», chiede Seth.

«Non ricordo», inizio a ridere.

Loro due però non ci trovano nulla di divertente. Mi guardano in silenzio.

«In che senso non ricordi?», chiede Aaron con fare indagatore.

Mi stringo nelle spalle.

«Soffri d'insonnia?», chiede premurosamente Seth.

Sorrido educatamente, senza rispondere, perché il mio umore è cambiato repentinamente.

Mi stropiccio un occhio e abbasso lo sguardo, ma qualcuno mette il braccio sulle mie spalle.

«Non sentirti male per questo. Tipo Aaron ha sofferto di-»

«Fatti i cazzi tuoi!», ringhia l'altro.

«Cercavo di farla sentire a suo agio», si giustifica Seth.

«Magari non usando me come esempio», protesta Aaron.

«Tra poco viene anche Jasmine e Jay-Kay e un'altra ragazza, un'amica di Aaron. Vuoi mangiare qualcosa intanto?», dice Seth, cambiando argomento.

«No, grazie», gli sorrido.

«Voi ragazze dite sempre di no», borbotta. «Non è che sei a dieta, vero?»

Scuoto la testa. «No, è che mangio... Non so come mangio», dico, restando confusa perfino io dalle mie parole.

Mezz'ora più tardi Jasmine e Jay ci hanno raggiunto. Jasmine mi ha subito fatto la ramanzina sul perché io non le abbia risposto ai messaggi. A quanto pare mi aveva davvero invitata qui stasera, ma ho anticipato tutti.

Ora siamo seduti in salotto, con Seth che armeggia con la play e impreca tra sé e sé.

«Gioco io con te, ti devo fare a pezzi, cazzo», dice Jasmine, sfregando le mani l'una contro l'altra.

«Sì, piccola, sì. Dopo un anno ne sei ancora convinta», dice Seth con voce annoiata.

«Poi gioco io», dice Aaron. «E io», aggiunge Jay.

E nessuno gioca con me...

Non che sia importante... Voglio dire, non gioco da tempi immemori. È solo una stupida partita. E poi, sono abituata a guardare gli altri giocare. Jamie lo fa sempre con i suoi amici e mi costringe a stare zitta sul divano a guardare.

Mi faccio piccola sul divano e guardo gli altri giocare. È uno di quei giochi con gli spari; la mia esperienza in fatto di videogiochi è rimasta probabilmente a super Mario.

Quando finiscono di giocare anche Aaron e Jay, sentiamo bussare alla porta. Seth si alza e va ad aprire.

«Tocca a te, sirenetta», dice Aaron.

«Da sola?», chiedo timidamente.

«No, guarda, Kylie è arrivata giusto in tempo. Se la cava abbastanza bene», dice come se ne andasse fiero.

La ragazza fa la sua apparizione e saluta tutti, attaccandosi in seguito al collo di Aaron e stampandogli un bacio sul collo. Be', Seth avrebbe dovuto specificare che tipo di amica fosse...

«Kylie, lei è Ariel», ci presenta Jasmine.

«Piacere», allungo la mano verso la sua e lei la stringe, dicendo: «Kylie, piacere mio!»

«Le stavo giusto dicendo che toccava a voi giocare», la tiene aggiornata Aaron. La ragazza si siede accanto a lui e prende il joystick tra le mani.

«Non prendertela se perderai», ride lei.

«Ah, no! Assolutamente. Perderò ancora prima di iniziare sicuramente», ammetto un po' in imbarazzo.

«No, non dire così! Vedrai che te la caverai, non puoi essere davvero così male», non mi dà nemmeno tempo che le spieghi il perché della mia scarsità, ma vuole iniziare a giocare.

Rimango con gli occhi puntati sul grande schermo e stringendo il joystick tra le mani. Sento Jay parlare accanto a me, mentre mi spiega cosa devo fare e come muovermi.

Ma muoio esattamente dopo cinque minuti.
Kylie sbuffa e getta la testa all'indietro.
«Cavolo, sei davvero scarsa», borbotta con aria scocciata. «Che divertimento c'è allora?»

«Scusami, la verità è che non so giocare... Però posso cedere il mio turno ad Aaron senza problemi», gli passo il joystick; lei esulta.

«Avresti potuto dircelo, ti avremmo insegnato», dice Jasmine.

Sento le palpebre pesanti e la stanza sembra diventi sempre più stretta.

«Non preoccuparti. Avete un balcone per caso?», chiedo, Seth me lo indica. Mentre mi alzo per uscire fuori sento tutti gli occhi puntati su di me.

Mi siedo a terra, gambe incrociate, e alzo lo sguardo verso il cielo. Guardo le stelle ma mi sento come se avessi l'universo negli occhi. Sono troppo stanca. Mi stropiccio gli occhi e sbadiglio, cercando di restare sveglia.

Le immagini iniziano a confondersi, ho le palpebre abbassate quasi del tutto, poi sento uno sparo e le apro di colpo.

«Ho vinto!», grida Kylie. Sento lo stomaco sottosopra. Mi sono spaventata. Mi alzo e rientro, barcollando.

«Dai, Ariel, stai sveglia, tra poco dobbiamo giocare a cose molto più sexy», grida Seth. «Ti porto una bibita energizzante».

Mi siedo sul divano al mio posto e Jay mi dà una gomitata, come se volesse chiedermi se è tutto ok.

«Non sono abituata a fare serata, io», dico cercando di sembrare naturale. Seth mi passa una lattina di Red bull e lo ringrazio. In realtà in questi giorni ne ho bevute troppe e ho paura.

«Giochiamo a "Non ho mai”», esordisce Kylie.

«Prendo l'alcool», grida Jasmine, correndo in cucina.

«Inizio io», dice Kylie. «Non ho mai desiderato di morire».

«Io non ho tempo per desiderare cose del genere», dice Seth, ridendo. Gli altri lo assecondono, ma io sono l'unica a bere.

«Oh», dice Kylie. «Spero tu abbia cambiato idea ora», mi dà un colpetto sulla gamba.

Aaron mi guarda con la coda dell'occhio, senza sembrare invadente.

«Non ho mai fatto sesso in macchina», dice Jay.

Tutti noi beviamo.

Aaron mi scocca un'altra occhiata.

«Okay, io non ho mai fatto sesso non protetto» , dice Seth.

«Amico, può succedere», dice Jay bevendo, seguito da Aaron e Kylie e anche io. Non posso dimenticare la volta in cui Jamie mi costrinse a farlo con lui senza alcuna protezione perché tanto "sono bravo a controllarmi, amore". Fino al prossimo ciclo ho pianto per una settimana, presa dal panico.

«Non ho mai detto ti amo davvero», dice Aaron e su questo siamo gli unici a trovarci d'accordo.

Non so quanto tempo sia passato e non so più quanto alcool io abbia trangugiato, ma sento le voci intorno come se fossero a un'enorme distanza da me. Qualcuno ride, un altro grida e una persona mette un braccio sulle mie spalle, attirandomi a sé. 

«Sirenetta», biascica Aaron. «Tra poco andrò via, spero di beccarti ancora in giro, sei simpatica».

«Dove vai?», gli chiedo con voce attutita.

«Nella mia stanza», indica con un cenno del capo Kylie e poi ghigna.

«Nel tuo confortevole letto?», chiedo, con gli occhi ridotti a due fessure.

Lui annuisce.

«Se ci fossero anche le stelle, sarebbe perfetto», alzo la mano verso il soffitto.

«Aaron, sono stanca», si lamenta Kylie.

«Nessuno guida stasera, arrangiatevi da soli. Dormite dove vi pare, addio», grida Seth, prendendo Jasmine per mano.

Guardo Jay, che è già crollato sul divano, con un braccio che penzola giù e la bocca semichiusa.

Rimango da sola.

Vado in cucina e inizio a mettere in ordine, trovandomi sempre qualcosa da fare.

Prendo il cellulare e noto un messaggio da parte di Jamie.

“So che stai già dormendo, quindi buonanotte piccola. Sogni d'oro xx”

Infilo il cellulare nella tasca e poi mi dirigo verso la porta d'ingresso. Forse è meglio che io vada.
Appena afferro la maniglia, sento una voce dietro di me dire: «Ariel? Dove diavolo stai andando?»

Mi giro e vedo Aaron mezzo assonnato, senza maglietta ma con ancora i jeans addosso.

«A casa. Dormono tutti, qui», sorrido e lui si stropiccia un occhio, poi solleva un dito e mi fa cenno di aspettare.

Poco dopo torna da me; si è messo una maglietta addosso.
«Okay, possiamo andare», afferma.

«Dove vai?», chiedo.

«Ti accompagno, mi sembra ovvio».

«No!», dico contrariata. «Hai bevuto e stai morendo di sonno, non guiderai così. Inoltre io sono venuta in bici, me la caverò», cerco di rassicurarlo.

«Aaron, vieniii», sento dire da Kylie con voce assonnata.

«Torno subito, aspetta», risponde lui con aria distratta. Mi apre la porta ed esco; lui mi segue.
Appena siamo fuori dice: «Ok, io non guiderò, ma tu non salirai sulla bici in questo stato».

«E cosa intendi fare, allora?», domando, sfregando le mani sulle braccia.

«Camminare con te fino a casa tua, anche se dovessimo vedere sorgere il sole e ci mettessimo ore ad arrivarci».

Senza alcun ma e senza alcun se, camminiamo silenziosamente per tutto il tragitto. Ha così tanto sonno che a volte penso sia sul punto di chiudere gli occhi e camminare così, lasciandosi guidare da me.

Mi dispiace vederlo in questo stato, ma è carino da parte sua assicurarsi che io arrivi sana a casa.

Mentre sono intenta a guardarlo, non bado alla strada e inciampo; sembra che il suo cervello si sia svegliato di colpo, perché scatta in avanti e mi afferra per la vita, tenendomi ferma.

«Stai bene?», chiede e annuisco.

Camminiamo ancora un po' e quando arrivo finalmente a casa, poso la bici e dico: «Grazie, ma non dovevi».

«E invece l'ho fatto. Vai a riposarti, Ariel», dice sbadigliando.

«Sicuramente non dormirò, ma... ma se vuoi puoi restare qui», non so dove abbia trovato questo coraggio, ma mi sto già dando della stupida.

«Ho lasciato Kylie da sola», ribatte lui; il mio stomaco si stringe. Be', ovvio, cosa mi aspettavo?

«Ma non ho voglia di farmi la strada di nuovo a piedi, quindi sì, resto se non è un problema», alza il pollice in su. Saliamo su ed entriamo dentro.

«Puoi dormire nella mia stanza», gli faccio cenno di seguirmi. Accendo la luce e gli indico il letto.

Lui resta per un paio di minuti a osservare la mia camera e poi esclama, sorridendo: «Ecco perché hai detto che la mia stanza sarebbe perfetta con le stelle», guarda il mio soffitto; io mi sento arrossire.

«Dove dormirai tu? Condividi la casa con qualcuno?», chiede e faccio cenno di sì. «Okay, allora possiamo restare qui, ci entriamo».

«Oh, no. Tranquillo, io non dormo, quindi non è un problema».

Si gratta la fronte come se stesse cercando di capire ciò che ho detto. «Che vuol dire? Devi dormire anche tu».

«Sì, lo so. È solo che io-»

Aaron mi afferra il braccio e mi fa entrare, poi chiude la porta. «Devi dormire anche tu, Ariel».
Ora quel letto non lo sento mio. Come faccio a stare così vicino a lui, come se niente fosse?

Prendo il mio pigiama e vado in bagno a cambiarmi, poi vado a sedermi sul letto.

«So che se dovessi spogliarmi ti metterei in imbarazzo, ma-»

«Tranquillo, so che è scomodo dormire con i jeans addosso, soprattutto per voi...»

«Quindi non ti dà fastidio?», chiede per essere sicuro.

Quando capisce che sono seria, inizia a spogliarsi ma io spengo la luce e mi metto a letto. Poco dopo si sdraia accanto a me.

«Le avevo anche io da piccolo», dice riferendosi alle stelle.

«Solo che io non sono più piccola», rido.

«Allora perché le tieni?», chiede.

«Perché mi fanno stare tranquilla».

«Allora che ti importa se non sei più piccola?», chiede, ma non rispondo.

Allunga il braccio verso di me e sussurra: «Se vuoi, puoi fingere che io sia il tuo cuscino».

Emetto una breve risata.

«Diamine, qualcosa mi dice che davvero non dormirai», continua a dire, poi infila il braccio sotto la mia schiena e mi attira di più a sé, finché non mi ritrovo ad essere con la testa sulla sua spalla e stretta a lui. Sto per prendere fuoco.

«Aaron, che diavolo stai facendo?»

«Ti faccio dormire», dice ad occhi chiusi.

«Non ho cinque anni, non devi farmi addormentare», borbotto.

«Tu rilassati, sirenetta. Non ti farò niente di male. Dormiremo e basta».

So che non mi lascerà andare, quindi mi toccherà aspettare finché non sia lui quello ad addormentarsi per poter sgattaiolare via e inventarmi qualcosa domani mattina.

Sento il suo profumo che mi impregna le narici, il suo braccio che mi tiene stretta e la mia testa che scivola sul suo petto. Si sta bene così...

Dopo un paio di minuti lo sento russare piano al mio orecchio e cerco di sgattaiolare via, ma il suo braccio mi stringe ancora più forte, la sua gamba la posa sopra le mie, incastrandomi, e poi lo sento borbottare nel sonno: «In fondo al mar, in fondo al mar, tutto è bagnato», non riesco a trattenermi e rido cercando di essere il meno rumorosa possibile.

Ariel da ubriaca rimette a posto tutto il disordine.

Aaron da ubriaco le canta in fondo al mar, facendo la parte di Sebastian.

Jasmine da ubriaca si mette a cantare.

Siamo tutti d'accordo che Ariel rischia la pelle adesso, giusto?

E chissà la reazione di Aaron quando scoprirà che in realtà è fidanzata trolololol

Ho cambiato copertina e penso che sarà la definitiva, sicuramente con il tempo magari la sistemerò meglio, ma l'idea è quella. Ho lasciato lo sticker della donna sopra con gli occhi coperti e la rosa che mi fa pensare alla violenza domestica, sotto ho messo la coppia e la bici, che rappresenta Ariel :)

Alla prossima ❤️🌜

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