03. "Ricordami il tuo nome"
🌜 Non aver paura di sognare 🌛
Lock away my demons, demons
Chains off and now I'm dreaming
-The score
Calore.
Sento una sensazione di calore, che penetra fin dentro le ossa e mi rilassa così tanto che mi sembra di fluttuare nell'aria; non sono solita provare un tepore simile. Né da sveglia né da addormentata. Non è come quando mi risveglio nel mio letto tra le coperte.
No. Io riconoscerei il mio letto.
E non è nemmeno come quando divido il letto con Jamie, perchè lui questa sensazione di benessere non me la fa provare.
E mi sento così riposata che non ho voglia nemmeno di aprire gli occhi. Il cuscino è morbido, perfino la coperta che ho addosso sembra perfetta, mi fa sentire al sicuro.
Questo finché non mi arriva al naso un profumo maschile che io non riconosco. No, non può essere Jamie. Le sue lenzuola non profumano così e sarebbe davvero stranissimo risvegliarmi con lui accanto o con lui che mi lascia davvero riposare.
Ancora ad occhi chiusi, allungo la mano per tastare il letto, ma sento qualcosa di caldo... e liscio e al tatto quasi marmoreo. E man mano che le mie dita scivolano su e giù, sento qualcuno che emette un verso gutturale e mi fa strabuzzare gli occhi.
La gola mi si è serrata, la salivazione si è improvvisamente azzerata, il cuore batte alla velocità della luce.
Davanti ai miei occhi ce n'è un altro paio, azzurri.
Lo fisso. I muscoli sono talmente rigidi che mi fanno male.
Inizio a sudare. Mi sento come se il mio cervello si fosse sconnesso e fosse andato offline, ed è per questo che questa scena mi appare come un'allucinazione. Perché gli sto toccando l'addome?
Il ragazzo davanti a me ha le braccia incrociate dietro la nuca, il busto scoperto, il lenzuolo bianco che copre il suo fisico abbronzato fino alla sua V, ben messa in evidenza.
La testa è girata verso di me; lui non batte ciglio.
Mi fissa.
Lo fisso.
Io grido.
Lui continua a fissarmi incredulo.
Io balzo all'indietro e cado giù dal letto.
«Chi sei, tu?», chiedo, indietreggiando per terra fino ad arrivare con la schiena contro il muro. Per lo spavento ho tirato via anche il lenzuolo con me e mi sono coperta fino alla gola.
Lui invece è rimasto in pantaloncini da basket, sdraiato.
Be', per fortuna non è in mutande o nudo. So che alcuni preferiscono dormire così perché è più comodo.
«Buongiorno, Aurora», dice, forzando un sorriso.
«Ariel. Mi chiamo Ariel», rispondo, guardandolo spaventata.
«Oh, pensavo fossi la bella addormentata. Sei una sirenetta?», si gira su un fianco, sorreggendosi la testa con una mano. Ha i capelli biondo cenere e un filo di barba copre il suo viso. Aggrotta la fronte e mi scruta attentamente.
Attualmente sembro un coniglio spaventato. Sposto leggermente il lenzuolo e guardo i miei vestiti. Indosso i jeans di ieri e una maglietta molto più larga... che non mi appartiene.
«O mio Dio, mi hai tolto il maglioncino?», grido, sgranando gli occhi. Deglutisco rumorosamente, lui mi osserva come se stesse parlando con una squilibrata.
«Ehm... sì?», chiede, inarcando un sopracciglio, come se tutto ciò fosse assolutamente normale per lui.
«Come hai osato?», gli chiedo in tono d'accusa.
Lui si acciglia ancora di più, come se non capisse il senso delle mie parole.
«Sei seria?», mi chiede. Vedo le sue labbra fremere, leggermente divertito.
«Portare delle sconosciute a casa tua e spogliarle senza il loro consenso, non è divertente e potrei anche denunciarti», minaccio, sbarrando gli occhi.
Lui si trattiene ancora dal sorridere e mi dice: «Perché parli al plurale? Pensi sia un pazzo che si diverte a raccogliere le ragazze che crollano a terra, per strada? Tanto per la cronaca, sei stata la prima», stringe le labbra come se volesse farmi capire che sono nel torto.
«Non avresti dovuto spogliarmi», replico, incrociando le braccia al petto.
«No, non avrei dovuto. Ma il tuo maglioncino ti faceva sudare troppo, avevi la fronte imperlata di sudore e qui dentro fa caldo, altrimenti non dormirei così», si indica. «Sudare troppo la notte rende il tuo sonno irrequieto, e poi dormivi come un sasso, non hai nemmeno sentito le mie mani mentre ti spogliavano e ti vestivano come se fossi una bambina», si mette a sedere e si stropiccia un occhio, poi scende dal letto e io rimango ancora a terra, a fissarlo impietrita.
Prima di tutto: è dannatamente alto in confronto a me, che con il mio metro e sessanta posso soltanto far compagnia ai nani di giardino.
Seconda cosa: per trovare un filo di grasso nel suo corpo dovrei usare la lente d'ingrandimento, e probabilmente non troverei lo stesso niente.
Di punto in bianco si mette in una posa strana e contrae i muscoli dell'addome e in seguito mi mostra i bicipiti.
«Meglio, ora?», chiede, sorridendomi.
«Come, scusa?», ribatto, quasi balbettando.
«Mi stai guardando dalla testa ai piedi, è inquietante, ma sono abituato», alza le spalle e poi si stiracchia.
«Non lo metto in dubbio», ruoto gli occhi al cielo.
«Il fatto ch'io sia molto osservato e conteso dalle ragazze?», domanda con un'ombra di dubbio nello sguardo.
«No. Il fatto che sia inquietante essere osservato a lungo», rispondo e lui ride brevemente e scuote la testa. Fa un paio di passi verso di me, ma io mi sposto e continuo a guardarlo dal basso, lievemente intimorita.
«Se mi metto una maglietta addosso, avrai meno paura di me?», indaga, andando già a prendere la maglietta che ha lasciato sulla poltrona.
«No, ma apprezzerei abbastanza se tu lo facessi», ovviamente lui se la sta già infilando.
Apre le braccia e dice: «Meno pauroso, ora?»
Annuisco impercettibilmente e distolgo lo sguardo. Sembro incoerente, perché adesso, dato che è completamente vestito, dovrei riuscire a guardarlo, ma l'unica cosa che vorrei fare è darmela a gambe levate, perché mi rifiuto di credere che io abbia dormito nello stesso letto di un tizio che non conosco.
Adesso, come una brava ragazza intelligente, dovrei chiamare la polizia, no? Non penso sia molto normale ritrovarmi in una casa che non è mia, con un ragazzo che non ho mai incontrato in vita mia.
«Mi guardi come se avessi appena ucciso un cucciolo davanti a te», esclama avvicinandosi ancora di più, ma mantenendo, allo stesso tempo, le distanze da me.
Non riuscendo a spiccicare parola, lui si gratta la nuca e mormora: «Guarda, non ho abusato di te se è quello che pensi, va bene? Sei crollata a terra, ieri sera. Avevi un'espressione strana e onestamente mi hai spaventato un po'. Poi sei letteralmente caduta e, questo probabilmente ti farà sentire in imbarazzo, ma hai iniziato a russare. Ora, dimmi, cosa avresti fatto tu al mio posto? Non sapevo il tuo nome, né da dove venissi, i miei due amici non ti conoscevano e di conseguenza non hanno potuto aiutarmi. Ho pensato che avessi assunto qualcosa e per non farti finire nei guai, ti ho portato qui, da me. Sapevo che non era così grave in fondo, perché russavi, quindi stavi semplicemente dormendo. Anche se non mi spiego come diavolo fai a- », sollevo una mano per zittirlo.
Gli impedisco di andare avanti, poiché le sue parole non faranno altro che mettermi in difficoltà e ciò insinuerà nella sua mente ancora più dubbi. E non sono minimamente tenuta a condividere gli affari miei con questo... tizio.
«Grazie», mi sembra totalmente inutile che mi metta a fare qualche strana scenata. Sembra sincero e posso ritenermi fortunata, perché altrimenti sicuramente sarei rimasta su quella stradina fino al giorno dopo, e chissà quale pazzo avrebbe potuto trovarmi.
Ciò non toglie la sensazione di pesantezza che ho addosso e la voglia di svignarmela da questo posto. Il ragazzo ora continua a fissarmi con occhi impudenti, come se aspettasse qualcosa di più da parte mia.
«Grazie per avermi portata qui. È stato gentile da parte tua», mi schiarisco la gola e mi alzo in piedi, rimettendo il lenzuolo sul letto e assumendo una sicurezza che in realtà non possiedo.
«Figurati, non è stato nulla di che», smuove una mano in aria, come se volesse sminuire l'accaduto. Sappiamo entrambi che è stato un gran bel gesto da parte sua.
«Ho...», inizio a dire, quasi impaurita. «Ho parlato nel sonno? Mi sono mossa?»
Lui arriccia il naso e assume un'aria pensierosa, poi appura: «No, non esattamente. Hai dormito nella stessa posizione e a volte mi sono preso la briga di accertarmi che tu respirassi ancora. Hai dormito proprio profondamente. Hai presto qualche sonnifero prima?»
Sento una stretta allo stomaco. «Ehm... S-sì, ma non pensavo avrebbe fatto effetto così in fretta», sempre stata una pessima bugiarda, ma almeno mi impegno quelle poche volte che ci provo a inventarmi qualche balla.
«Okay...Almeno non sembri una che fa uso di sostanze psicotrope», sembra dubbioso, ma l'ombra del sorriso che ha sul volto mi fa capire che forse sta cercando di mettermi a mio agio o di convincere se stesso.
Si porta una mano tra i capelli, spazzolandoli con le dita e portandoli all'indietro, e poi mi fa cenno verso la porta: «Vuoi per caso mangiare qualcosa?»
«Scusa, posso sapere almeno il tuo nome?», gli chiedo, con l'ansia che accresce dentro di me.
«Aaron», risponde senza alcuna esitazione. Mi vede ancora silenziosa e dubbiosa e aggiunge: «Aaron Reynolds.»
Dentro di me tiro un sospiro di sollievo. Va bene, almeno ho un nome, nel caso mi dovesse servire.
Apre la porta e mi invita ad abbandonare la sua stanza e, a testa bassa, lo faccio, ma solo dopo aver preso le mie cose.
Faccio per andare dritto alla porta, quando all'improvviso sento qualcuno gridare nel corridoio: «Ehi, bellissima! Nessuno lascia questa casa senza aver prima mangiato qualcosa!» la tonalità tenorile della sua voce giunge alle mie orecchie abbastanza forte, tanto da provocarmi un'immediata fitta alla testa.
E io rimango pietrificata quasi appiccicata al muro, con la lingua che sembra essersi attorcigliata in bocca. Aaron alza gli occhi al cielo e un'espressione scocciata ne scalfisce ogni argine del suo volto.
Il ragazzo in fondo al corridoio indossa un grembiule con la stampa di un corpo femminile nudo. Be', i ragazzi...
Anche lui è abbastanza slanciato e asciutto, ha i capelli corvini e sguardo allegro. Molto allegro, tenendo conto che è ancora mattino.
«Seth, non rompere, è già spaventata di suo», lo rimprovera Aaron, fulminando con lo sguardo quel tizio, Seth.
Il ragazzo cambia subito espressione, sembra deluso. «Non mi frega niente, amico. Sono le regole», mi fa l'occhiolino.
Aaron mi guarda come se volesse chiedermi "Gli dai retta o no?".
Seth mi guarda e continua a farmi cenno verso la cucina. La porta è aperta e si sente anche un buon profumino nell'aria.
«Non aver paura, è il mio coinquilino. È abbastanza accogliente. E quando dico abbastanza, lo intendo davvero. Roba che non vedi nemmeno nei film. Accoglierebbe perfino un serial killer e prima che lui lo faccia fuori, sicuramente gli servirebbe dei biscotti e una tazza di tè», dice e vedo il suo petto tremare. Sta cercando di contenere le risate.
«Ah, ah, ah. Ma quanto sei divertente stamattina!», grida Seth. «Vieni, probabilmente stai morendo di fame», guardo Aaron e lui si stringe nelle spalle con indifferenza, poi apre un'altra porta ed entra dentro. Rimango da sola e leggermente scossa.
Io guardo il ragazzo come se fosse qualche pazzo scappato dal manicomio e lui mi guarda come se fossi una che è piombata all'improvviso sul pianeta Terra.
Lo raggiungo tentennante, con gli occhi che lo analizzano scrupolosamente. Lui mi accoglie ancora con un sorriso raggiante e mi fa cenno di entrare in cucina e sedermi su uno degli sgabelli.
«Sei l'amica di Aaron?», chiede in tono allusivo e sento lo stomaco in subbuglio.
«No!», rispondo, gridando. «No, io e lui non ci conosciamo. Mi ha solo dato una mano ieri sera.»
«Quindi il cazzo è diventato una mano?», domanda, muovendo le sopracciglia su e giù, diffidando completamente delle mie parole.
Sento la mia faccia bruciare fino alle orecchie. Non trovo il coraggio di guardarlo negli occhi.
«No, è come ha detto lei. Smettila, Seth», sento la sua voce alle mie spalle e sussulto.
Sono seduta in cucina con due ragazzi che non conosco, e uno dei due mi sta offrendo da mangiare.
Afferro la forchetta, ma la mano mi trema.
«Ehi, stai bene? Dico davvero, non aver paura di noi, sembri un po' pallida», dice Seth, piazzandosi davanti a me e guardandomi con sguardo indagatore.
Aaron mi osserva con la coda dell'occhio ma non dice più niente, anzi inizia a mangiare per i fatti suoi, come se non fossi nemmeno qui.
Se riuscirò a finire un solo pancake allora sarà già abbastanza per me. Dopo il secondo boccone mi torna in mente Jamie e per poco non mi strozzo.
Sento il panico scorrermi nelle vene, il cuore che batte sempre più forte e gli occhi che per poco non si riempiono di lacrime.
O mio Dio, sono finita.
Guardo la maglietta che ho addosso; sembra un po' logorata, come se fosse stata indossata parecchie volte. È una maglietta nera con la stampa davanti di Van Gogh. È parecchio bella.
I ragazzi continuano a mangiare indisturbati e penso a cosa potrei inventarmi per uscire da questa casa al più presto. Va bene, non dovrei darmi la colpa, in fondo nella vita ci saranno sempre delle situazioni ineludibili, però certamente è colpa mia, perché avrei potuto evitare tutto ciò.
Vorrei fare di più per riuscire a fare andare bene le cose, ma ogni volta che accade qualcosa del genere, che turba il mio animo e mi fa capire che potrei finire nei guai per la millesima volta, iper-reagisco alle situazioni con una finta rabbia. Sì, finta, perché in realtà non me la prendo con il soggetto davanti, ma con me stessa.
«Sei sempre così silenziosa?», esordisce Seth a bocca piena.
«Sì», rispondo in tono secco.
«Ho come l'impressione che c'è una certa animosità contro di noi», commenta Aaron, senza guardarmi. Il suo amico sorride.
«È solo che dovrei andare a casa. E dovrei cambiarmi», mostro loro la maglietta che ho addosso.
«Però ti sta bene quella maglietta», mi dice Seth, senza alcuna allusione nascosta. Aaron prova a non darlo a vedere, ma sta sorridendo sotto i baffi.
Mi schiarisco la gola. «No, fuori fa più freddo. Dov'è il bagno?»
Seth indica il corridoio e dice: «La porta a destra.»
Balzo giù e cammino a grande falcate, come se non vedessi l'ora di sparire dalla loro vista.
Mi chiudo in bagno e mi tolgo a malincuore la maglietta di Aaron. Solo perché è bella. E vorrei acquistarla anche io da qualche parte. Certamente non potrei dirgli "Ehi, me la presti? Ti serve ancora"?
Oltre al fatto che sarebbe pressoché allarmante, Jamie finirebbe per chiudermi in casa a vita o finirebbe per cercare Aaron e spaccargli la faccia.
Indosso il mio maglioncino e torno da loro. Allungo la maglietta verso di lui, ma l'osserva senza afferrarla.
«Puoi tenerla, se vuoi», spalanco di poco gli occhi, incredula. In un contesto diverso forse l'avrei già presa e sarei scappata via, ma non mi sembra il caso adesso.
Seth fa vacillare lo sguardo tra noi due e poi scoppia a ridere, ma si scusa in fretta.
Fuori si sentono i tuoni, la pioggia inizia a stillare all'improvviso sulla finestra.
«Cazzo, la mia bici», dico all'improvviso, guardando Aaron.
«È fuori, tranquilla.»
Seth smette di mangiare e mi fissa. «No, aspetta, vai in bici? Sta piovendo», mi fa presente, indicando la finestra.
«Non sarebbe la prima volta», alzo le spalle.
«Ti posso dare un passaggio», offre Aaron.
«No, starò bene così», dico, risoluta.
«Non insisto, sembri testarda», constata Aaron.
Abbasso timidamente la testa, lo sento sospirare.
«Senti, almeno prendi questa», si alza dallo sgabello e va verso l'appendiabiti. Prende una giacca di jeans e me la passa. In che modo potrebbe farmi stare bene una giacca, se una volta tornata a casa Jamie mi farà domande?
«N-non posso, però grazie.»
«Non mi interessa, se vuoi andare in bici tu ti metterai anche questa giacca addosso. Sta piovendo, fa già abbastanza fresco fuori. Me la restituirai quando vorrai.»
«Magari qualche mia amica mi farà domande, non mi va», mento, scuotendo la testa.
«Puoi semplicemente dire che ti piaceva e un estraneo te l'ha regalata», lo guardo allibita. Davvero è serio?
Sbuffa e viene verso di me, aiutandomi a indossarla. Mi sta enorme, però sembra molto vintage.
«Wow, ricordami il tuo nome», mi dice Seth, con mezzo sorriso.
«La sirenetta», risponde Aaron al posto mio. Appoggia un braccio al bancone e vedo il suo muscolo contrarsi.
Seth lo guarda in modo strano. «Si chiama sirenetta?»
«No, ha il nome della sirenetta», specifica Aaron, ma Seth sembra ancora più confuso di prima.
«Amico, che cazzo ne so io? Chi è, Pocahontas?»
Scoppio a ridere, nascondendo il sorriso dietro il palmo della mano. «Ariel. Mi chiamo Ariel.»
«Che bel nome!» esclama.
Segue un momento di silenzio, poi dico: «Bene, vado. Grazie di tutto», dico educatamente, poi indietreggio fino alla porta. Aaron mi accompagna. Appena sono fuori e vedo la pioggia cadere forte, lui dice: «Non puoi andare in bici. Lascia che ti accompagni.»
Scuoto freneticamente la testa. «No, sei davvero gentile, ma penso di riuscire a cavarmela.»
Mi lancia un'occhiata eloquente, assottiglia le labbra ma non insiste. Prendo la bici e monto su di essa, mi giro verso di lui per salutarlo.
«Stai attenta alla strada, sirenetta», dice alle mie spalle e io già inizio a pedalare, ma sto sorridendo tra me e me come una scema.
Qualcuno ha paura che tu ti faccia del male, Ariel. Ed è reale.
Ecco il l'incontro tra Aaron e Ariel. Inquietante, ma niente male. 😂
Ora chissà cosa succederà una volta tornata a casa. 🙊
E chissà se incontrerà a breve Aaron. E in quali circostanze.
Spero vi piaccia, fatemi sapere, ci tengo molto al vostro parere❤️ alla prossima, I love you.
Aaron Reynolds
Seth
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