01. "Scegli una stella"
🌜 Non aver paura di sognare 🌛
“And how can I escape in this place
And go higher, higher?”
-Avril Lavigne
“Rimani. Rimani in equilibrio”, grida la mia mente ogni singolo giorno, da quando mi alzo dal letto a quando mi si chiudono le palpebre.
Ho sempre odiato stare in equilibrio e non sono stata mai brava; o almeno, non a livello emotivo.
Mi alzo già camminando in punta di piedi su un filo di seta che sembra attraversi il Grand Canyon: da una parte potrei perdere l'equilibrio e crollare, lasciando che la mente mi accolga nel posto da cui scappo di più, facendomi vedere le immagini che desidero sempre cancellare, e dall'altra parte mi sembra di riuscire a farcela ad arrivare dall'altro capo del filo, e anche se dovessi vacillare, potrei sempre aggrapparmi a qualche roccia e salire su.
L'importante è non cadere: perché sì, so che c'è chi cade e si rialza, ma quando cadi nel vuoto difficilmente torni su vivo. Al massimo ti schianti contro l'eco del tuo silenzio nella valle degli orrori che hai modellato nella tua testa.
Lo fai una volta. Lo fai due volte. Ti riprometti che non lo farai più, ma poi lo fai sempre. Non è quello che l'uomo fa ininterrottamente? Mente prima a se stesso e poi agli altri.
Come fai a stare bene quando ti ritrovi sotto il cielo stellato, da sola, e vorresti sdraiarti sull'erba, dopo la pioggia, a sfiorare il terriccio bagnato, a sporcarti e respirare la pioggia sull'asfalto, a puntare il dito verso il cielo e disegnare le costellazioni, regalandoti un sorriso da sola?
Come fai a stare bene quando le stelle brillano, ma tu un po' di meno?
E io ho paura, la notte. Ho paura di chiudere le palpebre, perché so che non vedrei più le stelle.
Ora come ora, non potrei vederle nemmeno ad occhi aperti.
«Ariel, hai dieci minuti di pausa», grida Lilith, la mia collega di lavoro e compagna di corso.
Dieci minuti di pausa significano davvero tanto per me in questo caso. Sento i miei occhi talmente pesanti, come se ci fossero delle piccole pietre a gravare sopra le mie palpebre.
Afferro una lattina di Red bull e mi siedo sulla sedia, con il gomito appoggiato sul tavolo e la sensazione di freschezza a contatto con le mie dita.
Uno tra i suoni che amo di più, è sicuramente quello quando apro la lattina e poi sento l'effervescenza delle bollicine o il crepitio di quando il ghiaccio incontra la bevanda gassata.
Ho dieci minuti per impedire ai miei occhi di chiudersi all'improvviso. È una cosa talmente stupida che mi vergogno perfino ad ammetterlo a me stessa.
Vivo con il terrore che io possa crollare davanti alle persone mentre porto qualche ordinazione ai tavoli.
Mi gratto la fronte e bevo la terza Red bull nell'arco di mezza giornata. Ogni volta che supero la dose giornaliera prego Dio affinché non muoia di crepacuore.
L'ultima volta mi sono spaventata talmente tanto che ho rischiato davvero la pelle. Da allora sono molto più prudente, ma visto come vanno le cose ultimamente, tutto ciò mi porta ad uno stato di confusione mentale.
Premo sulla lattina e vedo l'alluminio piegarsi e tornare come prima. Continuo a fare lo stesso gesto continuamente, finché la bevanda non l'ho quasi finita di bere.
Mi asciugo i residui dagli angoli della bocca e poi getto la lattina nell'apposito contenitore. Il mio stomaco brontola tremendamente da circa due ore.
Vorrei soltanto mangiare qualcosa e mettermi su una poltrona, con il plaid addosso e un libro tra le mani. Ancora una volta, cercherei un'inutile scappatoia per la mia mente.
Ma dove penso di fuggire, se sono intrappolata lì dentro, tra i miei pensieri più brutti e gli incubi più macabri?
Mi lecco le labbra e sento un sapore dolciastro sulla lingua. Ne ho bevute talmente tante di bibite energizzanti che inizio a odiare davvero tanto questo sapore.
Faccio un bel respiro e metto su un bel sorriso; un sorriso che vorrebbe dire "Non mi chiedete come sto, grazie". Ho ignorato talmente tante volte questa domanda che la gente che mi sta intorno nemmeno me la pone più.
A volte ci rimango male, perché avere qualcuno che si interessa a te, penso sia bello. Ma so che è colpa mia, perché se dico sempre "Non ho nulla, smettila di chiedere", la gente dopo un po' smette davvero di farlo.
Quindi, con chi me la prendo esattamente se non con me stessa?
Il sorriso, oltre ad essere facilmente ingannevole, coinvolge anche meno muscoli del viso. Ogni volta che sono davanti ad un gruppo di persone mi ripeto: "Dai, Ariel, ci vogliono soltanto dodici muscoli per sorridere e settantadue per fare il broncio, davvero fai sempre la scelta più difficile?"
Dodici muscoli per fare un sorriso, corrispondono a zero domande.
Settantadue muscoli per fare il broncio, corrispondono all'insistente domanda: "Che hai?".
E già da qui dovresti capire cosa fare.
Infatti è quello che sto facendo io adesso: sorrido, perché alla gente piace e non perché piace a me. I sorrisi degli altri a volte mi mettono in imbarazzo e nella mia mente s'insinua il meraviglioso dubbio: "Ma perché sorridono sempre? Cosa c'è da sorridere?", me lo chiedo sempre soltanto perché la mia vita mi appare troppo incasinata per riuscire a trovare una ragione per essere felice davvero.
E invece no, anche adesso, mentre porto l'ordinazione al tavolo dodici, dove la nostra solita cliente ci accoglie sempre con il suo meraviglioso sorriso tinto di rosso, sento gli angoli della mia bocca alzarsi in automatico; sembra un meccanismo di difesa.
«Ariel, tesoro, come stai?», mi domanda mentre le porgo davanti il suo piatto.
«Tutto bene, signora Cromwell. Lei come sta, oggi?», rigiro la domanda educatamente, lei mi sorride e sorregge il suo viso dalla pelle diafana e gli occhi celesti che mi scrutano sempre con la solita aria calma e armoniosa.
«Come al solito, cara. Sei stanca, non è così? Hai un viso così pallido, dovresti riposare un po' di più», il sorriso si spegne di colpo sul mio viso. Per quanto io mi sforzi a fare andare bene le cose, puntualmente fallisco. C'è sempre un segnale che fa capire agli altri che non sto poi così bene con me stessa, anche se mi impegno a nasconderlo.
«Un po'. Ma non vedo l'ora di riposarmi', ha ragione lei», hanno sempre tutti ragione, ecco perché non perdo nemmeno tempo a ribattere contrariata.
Mi allontano da lei, camminando tra i tavoli velocemente, come se stessi facendo delle pirouette; secondo gli altri mi muovo sempre con una tale grazie, da sembrare una piuma soffiata dal vento.
Ho imparato a vivere la mia vita a passo di danza, eseguo un pas assemblé davanti ad ogni ostacolo e una pirouette al centro dell'uragano che mi sconvolge la vita, ma giro, giro, giro, finché non torna tutto come prima e rimango sospesa sulla punta delle dita, con gli occhi chiusi e imprigionata in una realtà che non voglio vivere.
Lilith mi lancia un'occhiata e mima con le labbra "Tutto ok?", faccio cenno di sì, sperando soltanto di finire in fretta il mio turno.
Tra tutte le cose che ho deciso di fare per impegnare il mio tempo in qualcosa, il lavoro è una cosa indispensabile se voglio tirare avanti.
Per adesso guadagno abbastanza da poter pagare le bollette e l'affitto. Se fosse una situazione diversa, direi "Grazie a Dio il mio ragazzo mi dà una mano", ma per sfortuna mi tocca dividere la casa con lui.
Non avrei mai potuto fare un errore più grande. Non c'è giorno in cui io non mi chieda "Che cazzo avevi in testa quando hai deciso di dirgli di sì, soltanto per uno stupido ti amo?". Stupido, sì. L'amore è così stupido...
Quando pensate che l'amore possa cambiare una persona, ricordatevi dei lividi che vi ha lasciato addosso o nel cuore.
Entrambi fanno male, e no, l'amore non cambia le persone. C'è chi nasce una merda e resta tale fino alla fine.
Con la coda dell'occhio non faccio altro che seguire il movimento delle lancette, aspettando che arrivi l'ora di andare a casa.
Non muoio dalla voglia di vedere lui, ma muoio dalla voglia di mangiare, sdraiarmi a letto e guardare il soffitto o fare qualsiasi altra cosa in questo momento, ma che non sia servire le persone.
«Cavolo, ragazza, ti ho osservata a lungo, non vedi proprio l'ora di staccare, eh?», dice Lilith in tono scherzoso.
Annuisco timidamente e sfinita, poi quando finalmente la lancetta è puntata sul numero uno, tiro un sospiro di sollievo. L'una di notte. Ce l'ho fatta. Manca soltanto un'altra mezz'ora.
«Dai, vai a casa, finisco io qui», Lilith mi fa l'occhiolino e mi indica la porta. Non sono quel genere di persona che rifiuta una cosa perché "mi sembra male nei confronti degli altri", anzi, sono egoista a volte, come adesso. Mi tolgo il grembiule e vado a prendere il mio zainetto, poi l'abbraccio e corro verso l'uscita, fermandomi a respirare finalmente l'aria fresca autunnale, togliendomi dalle narici l'odore di pollo.
Non è la prima volta che lavoro in un ristorante. L'ho dovuto fare spesso, per poter racimolare qualcosa e comprare il necessario per me stessa. Non mi piace chiedere aiuto agli altri, non lo faccio quasi mai. Nemmeno adesso, che sono al college e ho alcune difficoltà, oso aprire bocca.
Probabilmente se provassi ad allungare la mano per chiedere aiuto, qualcuno finirebbe per tagliarla in due.
Monto sulla mia bici e pedalo velocemente. Sento i miei muscoli quasi bruciare e il vento freddo sferza il mio viso, facendomi lacrimare gli occhi.
Quando arrivo a casa, poso la bici e strizzo gli occhi non appena infilo la chiave nella serratura.
Click. La porta si apre e io entro lentamente dentro. Mi piace sentire subito lo spray alla vaniglia che ho comprato per le stanze. Rende questo posto più dolce, quando in realtà mi fa vivere con l'amaro in bocca e una stretta intorno al cuore.
Poso lo zainetto sulla poltrona, in salotto, e poi mi butto sul divano, con gli occhi puntati sul soffitto e i muscoli che si rilassano piano piano.
«Mi hai portato la cena?», la voce di Jamie mi fa irrigidire nuovamente. Non riesco nemmeno a muovere il collo per girarmi verso di lui.
«No. Mi dispiace, mi sono dimenticata, non vedevo l'ora di tornare a casa e-»
«Cazzo!», grida, tirando un pugno contro lo stipite della porta. «Quante cazzo di volte ti ho detto che mi devi portare la cena? Ora cosa diavolo mangio? Ho aspettato te», continua ad aggredirmi.
«Posso tornare indietro... Non penso abbiano chiuso», propongo, sperando non faccia altre scenate.
«Non importa. Sei inutile, porca puttana! Vado a farmi un panino», esce dal salotto come una furia e io tiro le ginocchia al petto, restando rannicchiata sul divano.
Alla TV trasmettono una partita di calcio, ma a me sembrano soltanto delle figure distorte che si muovono.
Mi alzo e vado verso la mia stanza. A volte dormo con Jamie nella sua. Solo quando gli fa comodo.
Per fortuna abbiamo due stanze e ho il mio spazio personale.
Mi chiudo nella mia camera, spengo le luci e mi butto a letto, guardando le stelle fosforescenti attaccate al soffitto.
Inizio a contarle una ad una, finché non arrivo alla fine.
E poi inizio daccapo.
E poi daccapo ancora.
Una. Due. Tre. Resta sveglia.
Quattro. Cinque. Sei. Non addormentarti.
Sette. Otto. Nove. Osserva il cielo artificiale che hai nella tua stanza. Le stelle ti fanno luce. Sei al sicuro.
Ma la porta della mia stanza si apre di colpo e Jamie accende la luce, accecandomi.
«Non intendi farti una doccia? Cambiarti, magari? Cazzo, puzzi di pollo fritto», stringe il suo naso tra due dita, per non sentire l'odore.
«Tra poco», rispondo. Non posso fare tutto e in fretta. Altrimenti non saprei come spendere il mio tempo.
«Ti ho fatto un panino, nel caso avessi fame pure tu», me lo lancia sul letto, come se lanciasse un osso ad un cane.
«Sono a posto», mento.
«Piccola, scusami, ma sai che perdo la ragione quando ho fame. Non succederà più», mi dice. Sorrido, lui pensa che l'abbia perdonato, ma lo dice sempre. Sorrido perché so che è una bugia.
Entra nella mia stanza e viene a sedersi sul letto, prendendomi la mano tra le sue.
«Dovresti riposare un po', hai delle occhiaie che per poco non ti arrivano al naso», fa una carezza sul dorso della mia mano.
«Tra poco», rispondo.
Lui solleva lo sguardo sul soffitto e lo sento ridere.
«Cazzo, quando staccherai via quelle cose? Non hai più cinque anni», si riferisce alle stelline.
Mai, vorrei dirgli.
«Mi rilassano», la mia voce sembra quella di un automa. In realtà, io vorrei dirgli "Come faccio a staccarle, se mi fanno sentire al sicuro quando mi risveglio da un incubo e guardo quelle finte stelle che mi regalano un po' di luce dopo che l'oscurità mi ha mangiata e poi sputata fuori?".
«Mi imbarazzo al posto tuo, però fai come vuoi», mi dà un colpetto sulla coscia e poi esce dalla mia stanza, spegnendo di nuovo la luce.
Sorrido e inizio a contare di nuovo le stelle, mentre una lacrima scivola all'angolo dell'occhio e finisce direttamente sul cuscino.
Mi piego verso il basso e guardo sotto il letto. Tiro fuori un'altra Red bull e ne bevo soltanto la metà.
«Scegli una stella, tesoro», mi disse una volta mia madre, quando ero ancora una bambina. «Ti proteggerà.»
Forse è per questo che adesso le stelle brillano su di me. Non sono vere, ma almeno brillano.
Ecco il primo capitolo.
Già da qui penso abbiate capito che lei sta insieme ad un ragazzo violento e vi prego di non dire "lascialoo", anche se capisco i vostri scleri, purtroppo ci sono ragazze così al mondo, che subiscono soprattutto violenza psicologica. Alcuni di questi fatti sono ispirati alla vita reale, non alla mia, ma ad alcune persone che ho avuto intorno a me. 🌺 Non sarà il tema principale della storia, però lo tratterò, sì. Spero vi sia piaciuto. Tranquilli, con il tempo la storia prenderà una bella piega 🙅
Fatemi sapere! 😭❤️
Lei è Ariel.
Lui è Jamie.
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