Capitolo Quattro. Il trauma della cuoca
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CAPITOLO QUATTRO. IL TRAUMA DELLA CUOCA
LA CAMERA ERA AVVOLTA DALLA PENOMBRA E, come il salottino antecedente e la sala da bagno, un vago puzzo di oppio e fumo aleggiava nell'aria immobile, attraversata di tanto in tanto da sottili raggi di sole e pulviscoli danzanti. Sul pavimento ai piedi del letto a due piazze regnava un caos di indumenti e stoffe, unica nota stonata in un ambiente altrimenti maniacalmente ordinato.
Oneiron si guardava intorno per quello che aveva seriamente iniziato a considerare il proprio rifugio da un paio d'ore ormai, chiedendosi, e non per la prima volta, come ci fosse finito lì. Non nella magione dei Cairns, ben s'intende, quello lo sapeva fin troppo bene, ma, nello specifico, come si fosse ritrovato a letto con Mads per la quarta volta nel giro di un mese.
Sempre studiando le forniture rococò che arricchivano una stanza altrimenti elegantemente sobria, prese ad attorcigliarsi uno dei corti riccioli ramati della giovane cameriera mezzo stesa su di lui, il naso adunco premuto tra lievi e umidi sospiri nell'incavo del suo collo. Mads che, come aveva scoperto in seguito a uno dei loro amplessi notturni, nonostante la bassa statura e il fisico acerbo, aveva già quasi diciott'anni e, sempre nonostante l'apparenza timida e imbarazzata, sapeva essere alquanto ferale con il giusto compagno. Una piacevole sorpresa, davvero.
«Non dormite, signorino?» mugugnò la ragazza contro la sua gola, le ciglia sottili che gli solleticarono la pelle umidiccia e tesa mentre sollevava languidamente le palpebre. Oneiron aveva la schiena segnata delle sue unghie, ma lei ancora insisteva nel dargli del voi.
«Non dormo granché» rivelò, schioccando la lingua contro il palato secco e amarognolo. "Non con qualcuno che condivide il mio stesso cuscino", aggiunse poi tra sé. Alcol e droghe erano un ottimo rimedio per tenere a bada la propria capacità – anche se, di conseguenza, non aveva il minimo controllo sui propri sogni – ma le sorelle avevano posto un limite al suo consumo di stupefacenti e allucinogeni, permettendogli di prendere dell'oppio e solo per non soffrire troppo l'astinenza.
Oneiron lo odiava e le odiava, ma ancora non aveva trovato un modo per liberarsi della sua scorta – Mythos – durante le sue incursioni settimanali al mercato nero. O meglio, ci aveva provato, la seconda volta, ma il tutto si era concluso in una maniera a dir poco tragica e il bel Kairos aveva optato, saggiamente, per non riprovarci. Vedere la mano di quell'infame di un spacciatore volare via tra spruzzi di sangue e strida di dolore era di certo un'esperienza che non voleva ripetere tanto presto.
«No?» mormorò Mads, sostenendosi su un gomito appuntito e guardandolo – sfacciatamente – con i suoi occhi felini.
«No» confermò lui, seguendo con l'indice la curva di porcellana dei suoi piccoli seni, prima di coprirglieli nuovamente con il copriletto di broccato e alzare lo sguardo cangiante al soffitto a cassettoni, il legno lucido di cera e quasi color miele.
«Dovresti andartene, comunque» aggiunse poi distrattamente, incrociando le braccia magre dietro alla nuca e accomodandosi meglio tra i morbidi cuscini gonfi di piume.
«Signorino?»
«I tuoi servizi non sono più richiesti e tu devi badare alla casa. Perciò...»
Non la guardò mentre si alzava, indispettita, e indossava alla spicciola la propria uniforme spiegazzata, lasciando poi la stanza in uno sbattere di porte.
«Au revoir(1)» concluse piattamente, chiudendo gli occhi e concedendosi, infine, qualche attimo di riposo.
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La camera di Oneiron si affacciava sul lato sud della maestosa villa marmorea ed era diventata ormai una routine, per lui, guardare dalle tre strette finestre ad arco che si aprivano sulla collina sottostante – e, molto più in là, la zona periferica della città di Inverness – mentre si preparava ad affrontare la giornata. Persino a quella distanza, il giovane Kairos riusciva a vedere il baluginio bronzeo della torre dell'orologio eretta all'incrocio tra le quattro strade principali, colpita dal sole nascente.
Canticchiando una canzone colta dalla stanza della sorella Irida mentre vi passava davanti qualche giorno prima, afferrò la brocca in ceramica posata sull'ampio ripiano della toeletta e versò l'acqua limpida e fresca dentro alla bacinella sul treppiede d'ottone, a pochi passi dal davanzale in legno.
«Mh mh whisper words of wisdom, let it be...» soffiò con la sua voce bassa e secca, le r che si arrotolavano languidamente attorno alla lingua, inumidendo nel frattempo un panno per passarselo su viso e collo e bagnandosi i capelli nel vano tentativo di dar loro una forma.
Dopodiché, coperto solo da un paio di mutandoni di lana e pelle d'oca aizzata dalla frescura mattutina, si diresse verso il cassettone – anch'esso in stile rococò – e, tamburellando pensierosamente sulla parete intonacata lì vicino, si sporse dentro al secondo cassetto e fece passare con gran cura i diversi capi ivi accuratamente ripiegati.
«Donc(2)» disse tra sé, scavando tra le diverse stoffe pregiate e profumate e rimuginando vanitosamente su quale combinazione avrebbe fatto risaltare meglio la sua bellezza scavata e cinerea, ma in via di guarigione. Incredibile cosa un mese di pasti caldi e una condotta più o meno corretta potessero fare per l'aspetto fisico di una persona!
Superarono l'attento esame un paio di pantaloni aderenti in velluto nero, un maglione a collo alto – nero anch'esso – e, per la sua ennesima incursione mattutina alle stalle, un tabarro a pied de poul nelle sfumature del caramello, stivaletti bassi in camoscio del medesimo colore e guanti in pelle nera.
Si vestì davanti alle finestre – spalancate per liberare la stanza della sua aria viziata –, gli occhi cangianti che non un solo istante si distolsero dall'edificio adibito a ricovero per cavalli, due terrazze più sotto, e, più precisamente, dal recinto accanto, dove un ragazzo dai capelli fulvi era intento a far riscaldare i due Clydesdale in vista di una qualche visita di Petra Cairns a uno dei loro spocchiosi "vicini di casa". La sua figura in lontananza era minuscola, poco più che una macchia di rosso, marrone e bianco, eppure Oneiron si ritrovò a leccarsi metaforicamente le labbra e a sorridere in vista del loro prossimo incontro. "Cederà. Oh, se cederà!"
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Tutti sapevano che, sebbene il signore di quella vasta magione e dei terreni circostanti fosse il morente Lord David Cairns, l'uomo non aveva la minima giurisdizione nelle cucine. Quelle erano il regno di una persona e una soltanto.
La cuoca – Mary – era un'arzilla signora incredibilmente anziana – con ogni probabilità quasi centenaria –, bassa e minuta, e con una nuvola di capelli di un bianco sporco a incorniciarle il volto magro e rugoso.
Con mani ferme ed esperte tagliò in fette perfette il soda bread(3) e lo depositò nel piatto assieme a una scodellina di confettura di albicocca e una noce di burro, prima di togliere il bollitore fischiante dalla stufa e versare una tazza abbondante di tè nero, trovando persino il tempo per dare un buffetto affettuoso al capo riccioluto del giovane Kairos.
«Ecco qui, Oneiron.» Mary era l'unica domestica della nobile famiglia Cairns a rivolgersi loro per nome, anziché per titolo, e, forse per la sua avanzata età, nessuno aveva mai provato a contraddirla – nemmeno il signore della casa stesso, cresciuto a sua volta dalle magiche doti culinarie della vecchia.
«Grazie, Mary» sorrise Ron con voce impastata, attendendo che la vecchia dal pesante accento scozzese si fosse voltata nuovamente verso il proprio, ordinatissimo, piano da lavoro per poter aggiungere il dross – il residuo dell'oppio fumato la sera precedente – nell'infuso bollente e iniziare a mescolare con vigore.
L'alba era sorta da poco più di un'ora e la villa Cairns, a eccezione dei passi leggeri dei domestici e del tintinnare di mestoli e scodelle causato dalla donna alle sue spalle, era avvolta da un silenzio placido e confortevole, intimo.
Oneiron avrebbe voluto restare in quella fragile bolla per sempre, ma quando Mary iniziò a mugugnare tra sé una melodia senza capo né coda, questa scoppiò e il ragazzo si ritrovò catapultato in un altro tempo, in compagnia di un'altra cuoca canterina, stesa su un divanetto, profondamente addormentata.
Forzò giù per la gola un lungo sorso di tè e oppio, scorticandosi lingua e palato, ma ritornando anche al presente prima di poter rivivere quel ricordo traumatico. Non poteva dire di essere in forma smagliante, ma era uscito, almeno per il momento, da quel periodo nero nel quale era ricaduto solo cinque settimane prima e che lo aveva portato a un inutile tentativo di suicidio, e preferiva starne fuori ancora per un po'. Buttò fuori la lingua e prese a farsi aria con una mano, maledicendosi tra sé per quella decisione dolorosamente efficace, quanto impulsiva.
«Bevi un po' d'acqua, se ti sei scottato. Quante volte ti devo dire di soffiarci sopra?» lo riprese bonariamente l'anziana signora, senza mai però distogliere l'attenzione dall'impasto su cui stava ora lavorando.
«Mai abbastanza» ci scherzò su il ragazzo, solo che aveva ancora la lingua penzoloni, quindi il risultato fu più uno nai abbaffanfa sputacchiato. Si asciugò in fretta il mento e tentò di darsi un contegno e fare un gran sorriso quando la cuoca lo guardò da sopra una spalla gracile, inarcando un sopracciglio che ormai non possedeva più.
«Posso aiutarti con qualcosa?» si propose poi, picchiettando la punta della lingua gonfia contro il palato.
«No, Oneiron. Non voglio vedere questa cucina ridotta in cenere. Stai composto e finisci la tua colazione» ordinò con una lieve risata dai denti anneriti o mancanti del tutto, tornando poi al proprio, delizioso, impasto.
«Oui, madame!»
Quando riusciva a tenere sotto controllo i proprio ricordi – più incubi a occhi aperti – Oneiron si godeva ogni singolo istante la compagnia di quella vecchia signora – sebbene mai l'avrebbe ammesso ad anima viva. Non parlavano mai molto, dato che Mary non voleva essere disturbata mentre lavorava a manicaretti e altre squisitezze, ma al giovane uomo bastava anche solo la sua indaffarata presenza nella stanza che odorava perennemente di lardo animale, farina e legna bruciata.
Lo faceva sentire normale, in qualche modo, e in parte si ridicolizzava, per questo. Per quanto non si facesse problemi a manipolare le persone per i propri scopi, se necessario, si era sinceramente affezionato ai Cairns e a quella cuoca scorbuticamente materna e non sopportava il fatto di vederli ridotti a mere marionette. Lo riempiva di vergogna l'averci convissuto senza problemi per ben un anno, ma ora le cose erano cambiate. "Eppure non stai tentando nulla per porvi fine e continui a fare la bella vita a loro discapito."
Tentò di distogliersi da quei pensieri infami afferrando al volo l'Inverness Daily Courant ben ripiegato a capotavola e scorrendo con fare disinteressato i titoli di testa, dove veniva annunciato un ennesimo attacco alla comunità nobile da parte dei "ribelli". Roteò mentalmente gli occhi al cielo. Cosa speravano di ottenere, esattamente?
«Buongiorno, Hamartia.»
Quel semplice saluto educato lo fece irrigidire in tutto il corpo. Puntò lentamente lo sguardo sull'entrata ad arco delle cucine, incontrando così quello ambrato della sorella maggiore – con la quale non scambiava una singola parola dal giorno del suo arrivo.
Algida ed elegante come suo solito, Martia se ne restava con le mani affusolate raccolte in grembo e lo scrutava con mascella rigida, il volto androgino che non tradiva emozioni in particolare.
Oneiron lanciò nuovamente il giornale sul tavolo e, augurata una buona giornata alla cuoca, si alzò dalla sedia e prese la porta che dava sugli orti curati – almeno in un passato non così remoto – da Lord Cairns in persona.
Avrebbe infangato le belle scarpe italiane e allungato non di poco la strada per raggiungere il terrazzamento con le stalle, ma questo e altro, pur di continuare a stare alla larga da quella salope.
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(1) Arrivederci
(2) Dunque
(3) Il pane alla soda, nello specifico il Melrose Loaf, è un tradizionale pane scozzese, senza lievito e integrale, mangiato principalmente a colazione con burro e marmellata
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