Noise.

Mi ricordo quando la vidi per la prima volta, fu molto imbarazzante: ero fuori insieme a Steve e Sam, ed eravamo un po' ubriachi. Non sapevamo dove stessimo andando, ma continuavamo semplicemente a camminare senza una meta.
Improvvisamente sentii un lamento: sembrava provenire dalla piazza che si trovava a pochi passi da noi.
Lo riferii subito ai ragazzi e, silenziosamente, ci avvicinammo a quel posto.
Lo conoscevo bene, quando ero piccolo mio padre era solito a portarmi là a giocare e avevo davvero dei bei ricordi.
Prima c'erano tante giostre per i bambini, ma in quel periodo erano state distrutte e ne erano rimasti solo i resti: ormai quello era un posto di ritrovo per gli alcolizzati e le prostitute, e non voglio negare di non esserci stato anche io qualche volta, sarebbe una menzogna.
Mi guardai intorno e sembrò non esserci nessuno, quindi pensai che forse non avevo sentito niente e che fosse tutta colpa della sbronza che ormai si faceva sentire.
Invece captai nuovamente quel lamento e fui sicuro di non essermelo immaginato, perché anche i ragazzi lo notarono.
Guardai meglio attorno a me e finalmente vidi una figura indistinta.
Mi avvicinai, e a poco a poco misi tutto a fuoco, constatando che i lamenti provenivano da una ragazza che sedeva in una panchina isolata.
L'osservai meglio: aveva degli abiti succinti, un vestito nero che le copriva a mala pena il sedere, un paio di collant praticamente trasparenti e un paio di scarpe nere con dei tacchi vertiginosi.
Al suo fianco si trovava una bottiglia vuota la cui targhetta portava scritto, a grandi caratteri, vodka e nella mano destra teneva una sigaretta appena iniziata.
Mi avvicinai barcollando con un sorriso più da ebete che malizioso e dissi: Ehi tesoro, vuoi farci godere un po'?
Lei neanche mi guardò, fece un tiro dalla sigaretta e continuò a tenersi la testa tra le mani, ignorandoci.
Io mi spazientii, ma non dissi niente, sapevo che uno dei ragazzi si sarebbe fatto avanti e le avrebbe detto qualcosa.
E infatti, una manciata di secondi dopo, Sam si avvicinò a lei e per poco non le urlò in faccia. - Vedi di ascoltarci puttana - disse strattonandola.
La ragazza alzò il capo mostrandomi il suo viso: aveva dei grandi occhi grigi inumiditi dalle lacrime che doveva aver versato qualche minuto prima, incorniciati da del trucco leggermente colato che arrivava fino alle gote arrossate che contrastavano con la chiarezza della pelle. Quello che notai per primo non furono gli occhi e tanto meno le gote, bensì le labbra: avevano una forma leggermente a cuore ed erano abbastanza carnose, di un rosso acceso. Scoprii dopo che non portava nessun rossetto e che quello era il semplice colore delle sue labbra.
Incenerì Sam con lo sguardo, si alzò in piedi facendo frantumare la bottiglia al suolo.
- Non sono una fottutissima puttana, e se tu pensi davvero che io aprirò le gambe con la stessa frequenza con cui tu apri la porta del cesso allora ti sbagli. Non verrò a letto con te, non ti farò un  pompino e non verrò per te. Voglio solo stare fottutamente sola, senza uomini pervertiti che vengono a rompere i coglioni. Chiaro? - disse lei.
Mi sembrava una tipa che sapeva il fatto suo, così, senza indugio, dissi ai ragazzi di tornare a casa (cosa che fecero seppur di mal umore) e mi sedetti vicino alla ragazza.
- Mi dispiace di averti trattata male e ti porgo le scuse anche da parte del mio amico. Sam è un ragazzo d'oro, solo che quando è ubriaco lascia che l'alcool prenda il possesso su di lui. - Mi     avvicinai a lei riprendendo fiato, per poi continuare: Io sono Bucky e tu sei...?
Lasciai la frase in sospeso aspettando che lei mi dicesse il suo nome.
Alzò la mano, si passò una mano sulla guancia per asciugare una lacrime e rispose in modo timido, senza neanche sembrare la ragazza che avevo visto sbraitare qualche minuto prima: Violet.
Poi tornò ad accovacciarsi su se stessa.
Ogni tanto sentivo dei singhiozzi, ma nient'altro.
- Come mai sei così triste? - chiesi cercando di non sembrare troppo     invadente.
Violet rispose senza neanche guardarmi: La tua mamma non ti ha insegnato a farti i cazzi tuoi?

Ricordo bene che pensai " cazzo, ecco di nuovo la ragazza che ha risposto prontamente a Sam. Devo stare attento. "

Stetti zitto. Non era un buon momento per lei, questo l'avevo capito. Dovevo cercare di non essere insistente come mio solito, perché l'avrei fatta stare peggio.
- Non sono triste. - disse lei ad un tratto.
In quel momento la osservai meglio e notai dei particolari nel suo viso che prima non avevo notato: non aveva gli occhi completamente grigi, ma con delle sfumature azzurre che sembravano essere messe a risalto dalla luce al neon del lampione, pensai subito al quanto fosse strano trovare una ragazza con degli occhi così belli, quindi arrivai alla conclusione che portasse le lenti.
Notai anche che aveva dei capelli neri lasciati sciolti sulle spalle. Era davvero bella, su questo non c'era da discutere.
- Ho solo un disperato bisogno di stare sola. - precisò tristemente.
Appena pronunciò l'ultima parola scoppiò in lacrime di fronte a me. Ebbi l'impulso di abbracciarla e, sorprendentemente, non oppose resistenza quando la circondai con le mie braccia.
Si strinse a me e continuò a piangere, ininterrottamente, fino a quando non si accorse che la sigaretta, ormai diventata un mozzicone, le stava bruciando le dita. Quindi si spostò buttando la cicca a terra e mi chiese debolmente scusa, per poi asciugarsi il viso con un brandello di fazzoletto che le era rimasto.
Scossi la testa e le sorrisi, sperando di vederle fare lo stesso. Ma non fu così.
- Ti va di parlarne? - le chiesi intimidito.
Dopo le scenate a cui avevo assistito, avevo davvero paura nel vedere quale sarebbe stata la sua prossima reazione.
Violet annuì leggermente ed iniziò: "Mi sento strana ultimamente, come se nessuno mi capisse. Esco con le mie amiche e mi sento sola, vado a lavoro e mi sento sola, perfino a casa mi sento sola. Non so più dove sbattere la testa, è tutto così difficile cazzo. Le persone continuano ad abbandonarmi ed io mi sento sempre più sola. Vengo qua per dimenticare, bevo e scopo con chiunque per dimenticare. Prima mi sono fatta scopare in una cazzo di panchina ma non è servito a niente. Mi hanno pure pagata.
Sono stufa di tutto questo. Dello stare stare male per persone che non meritano la mia presenza, ma più di tutto sono stanca di vivere. A volte vorrei semplicemente farla finita, uccidermi, ma poi penso che non sono ancora pronta per morire e rimando. Rimando sempre tutto."
Disse tutto d'un fiato e iniziò a piangere.
Le presi il viso fra le mani e feci in modo che non potesse distogliere lo sguardo dai miei occhi, poi, nel modo più sincero e delicato possibile, le dissi: "Ascoltami Violet, ora tu vieni a casa mia, ti fai una doccia, butti questi vestiti che puzzano di sperma, ti preparo una tisana e poi torni a casa tua a farti una bella dormita. Non devi pensare a tutte queste cose, perché non sono vere. Scommetto che ci sono tante persone che si dispererebbero se morissi e tante persone che sono disposte ad aiutarti in tutti i modi modi possibili. Ora voglio aiutarti io, e sta certa che lo farò anche se mi dirai di no, perché voglio vederti sorridere felice, non voglio che tu pianga."
Quando finì di parlare Violet mi guardò un po' dubbiosa, per poi sospirare e annunciare che sarebbe venuta con me a patto che le avessi dato dei vestiti puliti ed un milkshake al posto della tisana.
Così mi alzai dalla panchina, porgendo una mano a Violet che rifiutò gentilmente con un "ce la faccio, grazie."
Ci incamminammo verso casa mia e mi resi conto che Violet stava tremando: certo, se avesse portato una giacca in quell'istante non avrebbe avuto freddo, ma chissà cosa le era capitato solo quella notte.
- Hai freddo? - le chiesi guardandola negli occhi e incrociando le braccia al petto.
Lei mi imitò fissandomi negli occhi. - Sì - rispose. - Ho lasciato la mia giacca da qualche parte e ora non la trovo più, ma non mi aspetto che tu mi compatisca.
Io, in tutta risposta, mi tolsi la giacca di pelle e la posai sulle sue spalle. Lei mi guardò di sott'occhio, ma non emise una parola contrariata, anzi, si sistemò meglio la giacca in modo da stare più comoda e al caldo e mi rivolse un piccolo e debole sorriso.

" Meglio di niente " pensai.

Continuammo a camminare senza parlare: avevamo in sottofondo lo scricchiolio delle foglie secche che caratterizzavano il periodo autunnale, i rami ormai spogli che si muovevano al vento e la musica notevolmente forte che proveniva dai vari pub.
Ogni tanto usciva qualche ubriaco che ci provava con Violet, ma venivano tutti liquidati da un gesto secco della mano della ragazza.
Arrivammo finalmente a casa e notai la ragazza guardarmi incuriosita.
- Vivi da solo? - proferì dopo essersi schiarita la voce.
In un primo momento la ignorai, continuando a cercare le chiavi per poi infilarle nella serratura, fare i tre giri necessari per aprire la porta ed entrare seguita dalla rossa.
Una volta entrati la guardai annuendo, facendole notare che eravamo solo noi in quel grande appartamento. Violet si chiuse la porta alle spalle e poi mi seguì in cucina.
Mentre tiravo fuori l'occorrente per preparare il milkshake, lei prese uno sgabello e lo avvicinò al bancone, in modo da restare esattamente di fronte a me.
Mentre aprivo il cartone del latte sotto il suo sguardo attento mi domandò timidamente: Ma allora tu non vuoi niente di carnale da me? Non vuoi un pompino, non vuoi scoparmi, non vuoi niente?
Misi il latte nel frullatore e aprii il frigo per poter prendere il gelato al cocco. Era incredibile come quella ragazza potesse vendersi così facilmente, sicuramente non era abituata ad avere amici o ad essere trattata come una normale persona senza niente di fisico in cambio.
- Esatto. - dissi io. - Non voglio niente, se non vederti sorridere. Non voglio che tu pensi che io ti abbia portata qua solo per scoparti in pace. Okay? -

Sembrava alquanto sorpresa: sbarrò gli occhi e si strinse notevolmente alla giacca, ma non per il freddo, bensì per proteggersi. "Come se volesse proteggere se stessa dai sentimenti" pensai.
Provai a chiederle di lei, della sua famiglia, dei suoi amici, ma non mi rispose.
"Non amo parlare della mia vita". Si scusò così.
- Non preoccuparti. - risposi mentre frullavo gli ingredienti. - Ti capisco. Anche io ero così, ero molto chiuso e questo mi portava spesso alla solitudine. Ora sono cambiato, e anche tu cambierai. Basta trovare qualcuno su cui fare affidamento, qualcuno di cui  fidarsi e aprirsi totalmente. Se vuoi possiamo diventare amici, se vuoi potrei diventare quel qualcuno. -
Alla parola " amici " sussultò e mi guardò. Poi sorrise. Un sorriso sincero e pieno di speranza. Un sorriso meraviglioso.
Versai il contenuto del frullatore in un bicchiere cristallino e glielo porsi. Lei mi ringraziò ed iniziò a sorseggiare la bevanda senza distogliere lo sguardo dal mio. Vidi i suoi occhi fissare i miei, per poi scendere lentamente ad osservarmi il naso, le guance ed infine le labbra. Si soffermò parecchio su esse, e mi accorsi dopo che avevo iniziato a mordermi il labbro inferiore. Violet invece, se ne rese conto subito ed iniziò a ridacchiare leggermente, mentre io diventavo rosso per l'imbarazzo.
- Vado a prenderti degli asciugamani per quando ti farai la doccia. -     decretai cercando di rendere quella situazione meno goffa ed     imbarazzante.
Andai verso il ripostiglio e tirai fuori un asciugamano abbastanza lungo ed uno leggermente più corto che avrebbe potuto usare per i capelli.
Era piuttosto strana come ragazza, come se neanche lei riuscisse a capirsi.
Se guardavi solo il suo aspetto ti ritrovavi a pensare che lei fosse "L'incarnazione perfetta della malinconia", ma se la guardavi bene nel profondo, nell'anima, capivi che lei era come il sole e la luna, il giorno e la notte, contrastanti ma indispensabili l'uno per l'altro.
A quei tempi non la conoscevo abbastanza, non sapevo ancora che ragazza unica fosse sotto tutta quella tristezza.
Mentre le preparavo l'occorrente per la doccia, sentii Violet che metteva lo sgabello a posto e il bicchiere nel lavello.
Poggiai le cose in bagno e la raggiunsi, avvertendola che se avesse voluto lavarsi avrebbe potuto farlo subito.
Lei annuì e mi chiese dove fosse il bagno. - Ti accompagno io. - le dissi prendendola per mano.
Non fu un gesto pensato, lo feci e basta, e Violet intrecciò le dita alle mie, tenendo sempre lo sguardo basso, come se si vergognasse di tutto quello che stava accadendo.
Una volta arrivati davanti al bagno, lei entrò senza mai lasciarmi la mano, portandomi con sé.
- Qui ti ho appoggiato gli asciugamani. - dissi indicandole il lavandino alla sua destra. - Se vuoi puoi mettere musica, non mi dà fastidio. -
Lei annuì togliendosi la giacca e passandomela, facendo così staccare le nostre mani.
Poi si tolse le scarpe, i collant e fece per togliersi il vestito, ma arrossì chiedendomi di aiutarla ad aprire la cerniera.
Io misi dietro di lei, le poggiai la mano destra sulla spalla e con la sinistra le abbassai lentamente la cerniera, facendole venire dei piccoli brividi lungo la schiena.
Si girò verso di me, guardandomi negli occhi: in quel momento cambiarono da azzurri a grigi, come una giornata d'inverno.
Continuammo a guardarci senza parlare. Il silenzio non era uno di quelli imbarazzanti, sembrava che comunicassimo con gli occhi.
Le cinsi la vita con le mani e si avvicinò maggiormente a me. - Non voglio che pensi che io ti voglia usare. - sussurrai senza distogliere lo sguardo dal suo.
- Perché mai dovrei pensarlo? - rispose lei continuando a sussurrare. Per questo. - continuai cautamente, per poi baciarla.
Non era un bacio dato con passione, neanche un bacio casto. Era un bacio dato per bisogno, pieno di amore e emozione. Volevo far capire a Violet cosa significasse baciare per amore, non per soldi e non per sesso. Volevo che lei fosse felice.
Non si allontanò, ma posò entrambi le mani sul mio petto, come se volesse allontanarmi. Però non lo fece. Ricambiò il bacio rilassandosi. Avrei voluto non lasciarla mai, mi sentivo come se la conoscessi da una vita e come avessi il bisogno di dirle che lei era mia. Mi sembrò passare un sacco di tempo, ma non mi importava, in quel momento eravamo solo io e lei.
Di mala voglia mi staccai lentamente e continuai a tenere lo sguardo fisso su di lei. Non volevo spaventarla, ma era una meraviglia enorme per poter smettere di essere osservata.
- Meglio che vada a farmi la doccia. - disse scuotendo la testa verso il basso.
Io annuii e la lasciai in bagno, per poi andare a pulire le cose che aveva lasciato in cucina.
Notai che aveva lasciato anche più della metà del milkshake nel bicchiere, quindi preferii non buttarlo e lo misi in frigo, pensando che magari ne avrebbe voluto dopo.
Dal bagno sentii l'acqua che iniziava a scorrere, susseguita dalle note di Not About Angels. "Davvero una bella canzone" pensai sorridendo.
Finii di pulire la cucina e mi diressi verso il balcone in modo da potermi rilassare fumando una sigaretta.
L'accesi e, mentre facevo il primo tiro, ricordai dei momenti del mio passato: le giornate passate con mio padre e i giochi stupidi che facevo con i ragazzi.
Avevo avuto una bellissima infanzia.
Rimasi fottuto dall'adolescenza. A scuola non venivo preso molto in considerazione, non ero popolare, ero un emarginato e mi ero costretto a vivere in una " bolla ". Eravamo solo io e i ragazzi. Purtroppo fui tirato fuori da quella bolla, era l'unica cosa che mi salvava, ma lasciarono che io scoprissi ciò che mi avrebbe distrutto: alcool, droga e ragazze facili.
Ho passato sicuramente dei momenti orrendi, non solo io, ma anche i ragazzi: quando finii in quel giro di persone ci finirono anche Sam e Steve che, a differenza mia, non ne erano ancora usciti.
Quando la sigaretta arrivò alla fine, decisi di gettarla via come facevo sempre e lasciai che si spegnesse da sola, un po' come la mia vita: da quando ero andato via di casa, i miei genitori avevano deciso di lasciarmi a me stesso. Da più di cinque anni non ricevevo loro notizie, nemmeno una visita o una chiamata.
"Meglio così" mi trovai a pensare un giorno, ma mi resi presto conto che, senza nemmeno un piccolo aiuto dai miei genitori ero fottuto.
Entrai in casa ripensando al bacio di poco prima: era stato così naturale, come se ci baciassimo sempre. Come se stessimo insieme e ci conoscessimo da un sacco di tempo.
C'era una grande attrazione fisica tra noi, ma in quel momento non avrei mai pensato che si sarebbe trasformata in qualcosa di serio.
Sentii la voce flebile di Violet che mi chiamava. - Bucky - disse quasi sussurrando - potresti portarmi qualcosa con cui vestirmi? -
Annuii pur sapendo che lei non avrebbe potuto vedermi e andai in camera da letto a cercare dei vestiti.
Aprii il grande armadio e rovistai tra i vari capi d'abbigliamento, cercando qualcosa che potesse andare bene a Violet. Avevo tantissimi vestiti, ma usavo sempre le stesse cose e tutte le altre erano là dentro da un'eternità di tempo.
Dopo aver cercato a lungo tra il mio armadio incasinato, trovai una maglietta che si era ristretta in un lavaggio andato male e un paio di pantaloni che avevo da un sacco di tempo e che ormai non mi stavano più.
Una volta arrivato in bagno posai i vestiti sul lavandino e notai che era tutto perfettamente in ordine: la doccia pulita, gli asciugamani sporchi nella cesta e, tutti i prodotti al loro posto.
- Non c'era bisogno che sistemassi tutto, l'avrei fatto io dopo. - dissi  sorridendo gentilmente.
Violet arrossì notevolmente e abbassò il capo imbarazzata.
Mugolò qualcosa, ma non sembrava volesse farsi capire, quasi come se stesse dando voce ai suoi pensieri o parlando con se stessa.
Le sollevai il viso con un gesto molto leggero delle dita e le sorrisi facendole capire che non mi aveva recato nessun dispiacere.
- Bucky... -sussurrò ancora Vioet.
- Sì? - risposi continuando a sussurrare e guardandola negli occhi. Sembravano urlare, chiedendo aiuto e mi domandai se avrei mai potuto essere io ad aiutarla.
- Posso restare con te questa notte? - sembrava molto insicura nel dirlo, ma la sua voce mi riportò alla realtà.
Le guardai le labbra che avevo voglia di baciare, così carnose e rosse. Scossi la testa e la osservai negli occhi annuendo e mantenendo un sorriso sincero.
Lei mostrò un sorriso felice che ancora non avevo notato quel giorno.
Continuammo a guardarci in silenzio, poi le diedi un bacio sulla guancia e uscii dal bagno dicendo: "Spero che questi vestiti ti vadano bene, ti aspetto di là." Andai in camera e mi cambiai, era stata una giornata davvero lunga e l'unica cosa che volevo fare era distendermi e dormire.
Decisi che avrei fatto riposare Violet nel mio letto e che io mi sarei spostato sul divanetto che si trovava in camera mia.
Mi chiesi perché volesse rimanere con me: aveva paura dei suoi genitori? Non aveva una casa? Viveva per strada?
Non le feci queste domande, mi sembravano troppo impertinenti. In seguito mi diede lei tutte le risposte che aspettavo.
I miei pensieri furono interrotti dal rumore della porta del bagno che si chiudeva, seguito dai passi lenti ma decisi di Violet.
Appena fu davanti a me, la guardai attentamente: non aveva neanche un residuo di trucco, il che rendeva i suoi occhi ancora più grandi e belli.
Le labbra erano più rosse di prima e, con i miei vestiti addosso, sembrava maggiormente piccola e fragile.
Notai anche che era molto magra, ma non mi azzardai a fare domande.
Venne verso di me e le dissi che avrebbe dormito sul letto e io sul divano.
Lei annuì un po' delusa e, facendo un lungo respiro, mi chiese: "So che ti ho già chiesto tante cose, ma ho paura di stare sola e mi domandavo se potessi, magari, dormire con me." Fu molto insicura nel parlare, ma era una cosa che trovavo particolarmente dolce.
Sorrisi felice. Il mio intento non era scoparla e fui felice che aveva finalmente smesso di pensarlo. Il mio intento era quello di farla sentire amata e protetta. Cercai di farlo al meglio.
La presi per mano e la portai a letto, lei si sdraiò guardandomi e io mi distesi al suo fianco. Eravamo molto vicini e riuscivo a sentire perfettamente il bagnoschiuma usato poco prima e il suo respiro al cocco, causato dal milkshake.
Violet intrecciò la sua mano con la mia e mi guardò fisso negli occhi mordendosi il labbro inferiore.
Nessuno si azzardava a dire una parola, nessuno voleva distruggere quel silenzio quasi sacro.
Si avvicinò maggiormente a me e appoggiò la testa sul mio petto.
"Riesco a sentire il tuo cuore." disse sussurrando.
Le accarezzai la testa e l'abbracciai facendo combaciare i nostri corpi.
Violet si addormentò poco dopo fra le mie braccia, ma prima disse "Se ami davvero qualcuno non dovresti farlo soffrire." Mi colpì molto.
Non credo stesse parlando con me, ma credo che stesse semplicemente dando voce ai suoi pensieri o ai suoi ricordi.
La strinsi maggiormente a me e poggiai il mento sulla sua testa, lasciando un leggero bacio su essa.
Si mosse un momento e aprì gli occhi, mi guardò e disse: "Grazie per avermi insegnato ad amare."
E tornò a dormire.
Io mi addormentai poco dopo pensando che, forse, avevo davvero fatto una cosa buona per una volta.

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