3. Naso rotto
Mi manchi.
Coloro l'iride.
È ingiusto quanto mi manchi.
Rifinisco la pupilla.
Perché sei andata via senza di me?
Vorrei deturparle la bocca.
Dicono che fossi una ragazza problematica. Chissà perché, tutti si aspettavano che prima o poi avresti cercato avventure altrove senza lasciare traccia di te. Quella debosciata, dicevano. Me lo aspettavo anche io, ma mi aspettavo anche che l'avremmo fatto insieme.
Se te ne sei andata, Rachele, un po' ti odio, ma quando questo odio mi sarà passato andrò in chiesa solo per te e pregherò che tu abbia trovato quello che cercavi. Ma se non te ne sei andata, Rachele, ti odierò ancora di più per aver ucciso quello che avevamo.
Qualunque cosa ti sia successa, so che l'avrai fatta in grande.
Quello per cui ti odierò per sempre, però, è che sono l'unico di noi due a essere rimasto a ballare nella discarica.
La battaglia è iniziata.
Ventidue delinquenti si fronteggiano sul campetto da calcio litigandosi un pallone moscio che viene impietosamente sparato contro la porta.
È goal. Tobia ulula al sole sollevandosi la maglietta in un gesto di pura mitomania, tutto per le ragazze che ci osservano dagli spalti sgangherati con i risolini a fior di labbra.
Il Bandiera, il prof di educazione fisica, sta lì in tuta monocolore con fischietto giallo appeso al collo e registro sottobraccio.
Secondo me ci gioca a tris, diceva Rachele. Non l'ho mai visto mettere un voto.
Lui è il poliziotto buono, quello che ci controlla durante l'ora d'aria.
- Riccardi, entra tu.
Tobia smette di correre e lancia un'occhiataccia al ragazzino che è quella di un grifalco. Fiore non pare convinto, ma una parte di lui sa che deve cominciare a integrarsi se non vuole rischiare di beccarci davvero le mazzate dietro un casolare. Il calcio è solo il suo rito iniziatico.
Prende il posto del Lampredotto, che è piuttosto stufo di rotolare per il campo e ha il fiatone già dal secondo minuto. Mentre si trascina via in una pozza di sudore, la bambolina cammina incontro a Tobia con quella sua andatura da ninfa dei boschi. Lo guarda male pure se è la metà del mio amico. A volte penso sia coraggioso, ma forse è solo uno che si eccita a farsi picchiare.
Al fischio d'inizio il piede di Fiore tocca palla e deve esserci qualcosa, fra il cuoio del Questra e la sua scarpa, che gli impedisce di scollarsi.
Scarta fra gli avversari, agile, senza mai toccare terra. Una bella ballerina del cazzo. La ferocia con cui Cosma lo zingaro e Tobia cercano di levargli la palla sa di disperazione.
Di colpo me lo ritrovo davanti. I nostri sguardi si scontrano per un lasso di tempo brevissimo in cui sprizzano scintille.
Fiore mi aggira in un colpo di vento, una piroetta con il piede sinistro a fargli da perno e lo scarto verso destra che è il balzo di una gazzella. Poi carica il calcio con una forza esplosiva che ti viene da chiederti dov'è che la metta, su quelle quattro ossa, e la palla impatta contro la rete.
La squadra avversaria grida di gloria e giubilo, mentre Tobia butta fuori una cascata di turbomadonne. Quando si accorge che le ragazze hanno occhi solo per quel mucchietto di cartilagine, ci vede rosso e non capisce più niente. È lì lì per caricarlo a testa bassa che il Bandiera fischia di nuovo per segnalare la fine della partita.
Due a uno per loro.
- Tutti negli spogliatoi! - grida il prof.
Tobia molla un calcio rabbioso al pallone. Il tragitto dal campo fino agli spogliatoi è costellato di insulti, ma forse il mio amico è troppo occupato a meditare vendetta per accorgersi che la bambolina sia sparita dalla circolazione.
Ci cambiamo in questa sauna al testosterone, con Guido che litiga con l'asciugamano che si è impigliato nello zaino.
Tobia si infila la maglietta con uno strattone. Non parla, ma il cigolio di quegli ingranaggi incancreniti dalla ruggine che si sforzano di girare nella sua testa mi secca.
- Vuoi piantarla, Toby? Mi dici che hai?
- Non ho un cazzo.
- Ti sei fissato senza motivo.
- Eppure dovrebbe essere chiaro. Ma non ti fa schifo avere attorno quel succhiacazzi? Fissa in un modo che mi fa girare i coglioni.
La mia risposta sfuma nell'aria. C'è qualcosa che manca. È un pezzo invisibile ma imprescindibile, un pezzo con la faccia da bambolina e i capelli d'oro. La porta del bagno si spalanca e ne riemerge un Fiore con addosso i suoi abiti di sempre, la maglietta troppo larga con su scritto Santa Cruz e il nome di qualche cocktail orrendo e un paio di jeans dalle rotule scolorite che gli cascano addosso.
Ci guarda, lo fa in quel suo modo sfrontato che ha di analizzare la realtà e grattare via la superficie. Uno sguardo del genere non innervosisce solo Tobia, perché è in grado di capire più cose di quanto dovrebbe.
- Hai finito di truccarti? - gli latra addosso il mio amico.
Le attenzioni scivolano verso di noi, e se non lo fanno con gli occhi sono gli altri sensi ad allungarsi nella nostra direzione. È come se il branco fiutasse lo scontro.
Vattene, bambolina. La porta è là.
Fiore coglie la mia occhiata con un guizzo impercettibile dell'angolo della bocca che esprime tutto il suo disprezzo.
Incede verso di noi con studiata lentezza. Le chiacchiere calano, rendendo il ronzio delle ventole sporche di polvere l'unico rumore udibile.
Fiore si ferma di fronte a Tobia, lo guarda dritto dritto negli occhi: - Mi stavo facendo bello per te.
Le guance gli si chiazzano di erubescenza. È ridicolo nel modo che ha di chinarsi su quella bambolina per cercare di intimidirla con la sua faccia da totano lesso, i capelli biondicci arricciati dal sudore sulla fronte.
Ma Fiore ne respinge via il peso con un sorriso incattivito: - Non ti facevo così stupido da credere che il tuo vermicello mi interessasse davvero. È per quello che sei così stronzo?
L'insulto non finisce di uscirgli dalla bocca perché Tobia lo ha afferrato per i capelli e gli ha schiantato la faccia contro il muro. Un bel muro portante, mica una parete di cartongesso. L'impatto produce un crack disgustosamente umido che solletica le reazioni eccitate del branco.
Con la coda dell'occhio, intravedo Guido piazzarsi di fronte all'uscita.
L'aria è elettrica mentre, barcollando, Fiore si rialza e si tocca la faccia. Ci sono alcuni secondi di silenzio (un silenzio terribile, una goccia di sudore metallico che mi scende tra le scapole) prima che si metta a ridere. Ride col naso rotto accartocciato su quel bel viso da bambolina e un ruscello di sangue che gli gocciola in bocca e gli inzuppa il collo della maglietta.
Tobia ha un attimo di esitazione, come se quella reazione lo avesse spento, ma la rabbia rimonta velocemente. - Che cazzo...?
È a quel punto che Fiore scatta, con un movimento così improvviso da coglierlo impreparato.
L'occhio della tigre.
La mossa della mantide.
La culata del furetto.
Gli salta addosso ululando, e lo butta a terra. Qualcosa scintilla nella sua mano. Ci metto qualche secondo a capire che si tratta di una lama.
Le grida affievoliscono, annegando nella presa di coscienza che quella cosa si sia spinta troppo oltre. Il coltello preme contro la gola del mio amico, i palmi rivolti verso quella specie di animale selvatico che ansima a cavalcioni su di lui. - Non dirmi che ti piace, - gli sibila addosso.
- Sei così represso che ti è venuto duro.
La risposta preme sulle labbra di Tobia, ma persino quell'idiota capisce che non è un buon momento per lasciarla uscire.
Mi lancio sulla bambolina e la afferro da sotto le ascelle, strappandola dal corpo di Tobia che è ancora rigido a terra. Fiore scalcia in preda a una furia demoniaca, ma riesco a tenerlo a bada. Afferro il suo zaino. Guardo Guido: - Togliti.
Mi fissa sbigottito.
- Siamo chiusi qua dentro da troppo tempo e stiamo facendo un macello della Madonna. Se il Bandiera lo trova ridotto così siamo nella merda tutti quanti. Ora, togliti.
Un altro paio di secondi in cui Guido cerca di valutare la situazione. Guarda Fiore, poi Tobia, poi me. Alla fine si sposta.
Cerco di ignorare il fatto che abbia ancora il coltello in mano. Cerco di ignorare anche la saetta che mi brucia la guancia da quando, nella concitazione della fuga, mi ha colpito (spero) per sbaglio. Lo spintono fuori dalla palestra, verso la rimessa dei trattori. L'aria lì dentro è umida e c'è puzza di fieno e carburante.
Fiore si libera dalla presa sul polso con uno strattone e arretra verso la penombra, gli occhi due pozze di collera erosiva. La mano gli trema. Cerco di valutare se stia prendendo la rincorsa per saltarmi al collo e uccidermi senza testimoni.
- Ti credi figo, pulce? Hai solo peggiorato la situazione.
- E a te cosa importa?
- A me un cazzo. Ma la prossima volta potrei essere fra quelli che ti sbattono al muro. Tobia sa essere persuasivo quando si impegna.
Fiore sputa un grumo di sangue e saliva nella polvere. - Pensi di essere migliore di lui solo perché non hai ancora alzato le mani?
- Non sono un vigliacco, se è quello che stai per dire.
- No, probabilmente sei qualcosa di peggio: una pecora che si crede lupo. Un gregario del cazzo.
Il vento sibila tra le travi della rimessa, facendole scricchiolare. Vortici di polvere entrano sospirando dall'ingresso, frammisti al calore che ha scaldato i campi. La pausa si prolunga abbastanza da diventare imbarazzante.
Muovo un passo verso di lui e la sicurezza di Fiore vacilla, mentre cerca di dissimulare il fatto che abbia appena inghiottito un boccone amaro. Sollevo una mano fino al suo viso con l'accortezza di qualcuno che sta cercando di domare un cavallo imbizzarrito. Subito frappone la lama tra me e lui.
- Non ti faccio niente.
- E ti aspetti che ti creda?
- No. Ma se non ti aggiusto il setto il tuo bel faccino assomiglierà a quello di un carcerato che ha fatto a botte. Sempre che non sia quello che vuoi.
Fiore esita. Poi abbassa la lama.
- Farà male.
Lo afferro per la nuca con una mano, mentre l'altra si chiude sul suo nasino sbilenco. Soffia aria e mi scruta con decisione, la mano che freme stretta contro il manico del coltello.
- Pronto?
Non aspetto che risponda: le ossa producono uno scricchiolio al colpo che le rimette in carreggiata. Fiore lancia un grido così forte che mi obbliga a schiacciargli l'avambraccio contro la bocca e spingerlo contro una delle travi marce che sorreggono il soffitto.
I suoi occhi sono pozze di lacrime incollerite, il petto che si alza e si abbassa rapido.
- Vuoi che ti sentano, deficiente? -. Lancio un'occhiata verso l'ingresso. Non sento niente, a parte il ronzio di un plotone di mosche. - Via libera.
Fiore affonda i denti nella carne del mio avambraccio e mi assesta una gomitata appuntita in una zona fin troppo precisa fra le costole, perché il dolore raggiunge fasci nervosi che non credevo neanche di avere. Mi strappa lo zaino di mano e corre via.
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