2. Il signore delle lucciole
Strimpello la chitarra nel garage per farmi compagnia, stasera. La mamma fa il turno di notte, cosa che mi pare stupida in un supermercato di provincia, ma il capitalismo è anche questo: permettere a qualche stronzo di comprarsi una cassa di cedrata alle tre del mattino solo perché ne ha voglia.
"Ci servono soldi" è la risposta universale a ogni tipo di sfruttamento.
C'è sempre bisogno di soldi. È ridicolo, quanto c'è bisogno di soldi.
Me ne sto qui, buttato sul divano del mio covo allestito per l'occasione: il cinquantino a cui sto truccando il motore. I poster dei Pixies e dei Joy Division e degli Smiths. Il posacenere zeppo di mozziconi. La libreria che straripa di Alan Moore, Héctor Oesterheld, Leo Ortolani, Bonvi e Silver.
E mentre sono intento ad arrovellarmi su pensieri banali, fuori esplode un casino che pare Hiroshima.
Mi affaccio appena in tempo per assistere al fuoricampo del (presumo) padre di Fiore, che lo fa volare con un bel balzo parabolico dalla porta d'ingresso. Niente di difficile, visto che quel ragazzino peserà sì e no quanto una manciata di foglie.
Dieci su dieci, comunque.
L'uomo gli barcolla incontro, a malapena si regge in piedi, e la fiumana di bestemmie che gli rovescia addosso farebbe impallidire un camionista. In qualche modo Fiore riesce a sgattaiolare fuori dal giardino.
Gli faccio un cenno prima ancora di accorgermene. Si immobilizza, mi fissa come se davanti avesse San Pietro che discute di Fantacalcio. Quasi me li figuro, quei pensieri rapidissimi che gli sfrecciano nello sguardo. Ci saremo scambiati sì e no dieci parole, e neanche delle più amichevoli.
Ma l'istinto di sopravvivenza scavalca l'antipatia, alla fine, e si infila nel covo a testa bassa.
Appena è dentro, abbasso la saracinesca e spengo le luci: - Mettiti dove ti pare.
Stiamo in silenzio per un bel po', agli antipodi del garage, mentre fuori il tizio rincasa biascicando insulti. Fiore tira un sospiro di sollievo solo quando sentiamo la porta sbattere.
- Hai del ghiaccio?
Accendo la luce. Mi fissa ancora, la mano schiacciata contro la tempia. Gli verrà un bel livido.
- Aspetta qui.
- Sì.
Ogni volta che parla mi ricorda un uccellino. Non capisco se lo fa apposta.
Metto via la chitarra e mi infilo in casa. Quando torno, sta ficcanasando in giro. Si sistema di fronte a uno specchio che è un frammento appiccicato al muro per fare scena, così può studiarsi la contusione che deturpa la sua faccia da bambolina.
- Grazie. Scusa. Mio zio...
- Non mi interessa.
Con questo annuncio solenne mi sbraco di nuovo sul divano, mentre il piccoletto si tampona la botta con una bistecca gelata.
- Quanto pensi ci vorrà?
Fa spallucce. - Non so. In genere finisce per crollare addormentato da qualche parte. Posso rientrare dalla finestra.
- Ricevuto.
Di nuovo silenzio. Fiore girella per la camera. Ho l'impressione che stia giudicando i miei gusti, ma è abbastanza saggio da tenere chiusa quella fogna.
- La tua ragazza? - fa, indicando l'unica foto che ho deciso di attaccare al muro. Siamo io e Rachele al luna park, con due cappelli orribili e un richiamo da parte della direzione del parco per disturbo della quiete pubblica. - Ma allora sorridi ogni tanto.
Salto in piedi, neanche mi fosse scoppiata una bomba carta vicino all'orecchio, e lo raggiungo con due falcate abbastanza veloci da accendere una luce di panico nel suo sguardo. Ma per stasera ci ha beccato abbastanza, così mi limito ad assestargli uno spintone che suona più o meno come "Non pisciare nel mio territorio".
- Io me ne vado a dormire. Quando hai fatto, vattene.
Esco dal garage e me ne torno in stanza.
Quanti pompini è possibile mimare in un'ora, mentre la Cremolini non guarda? Per Tobia almeno dieci, e sono tutti per quello nuovo. Se non lo conoscessi abbastanza direi che quasi gli piace.
Al suono della campanella la faccia di Fiore è un fuoco greco di collera. Se la prende per così poco. Deve capire che gran parte delle cose che facciamo da queste parti è dettata dalla noia. A Poggio Mirto c'è una brutta chiesa di mattoni, un bar popolato da vecchi bigotti dove si fa a botte per occupare l'unico biliardino e più farmacie che discoteche. Ci vuole un'ora di treno per raggiungere la città.
Il treno era la nostra nave delle meraviglie, quella che ci portava ovunque. Non rotaie, ma ali che gli permettevano di spiccare il volo e salvarci da questa orribile campagna.
Quindi Tobia lo capisco, sul serio. Devi trovarti un passatempo se il massimo del divertimento è fare due passaggi all'oratorio con un pallone bucato.
Quando la campanella suona e faccio per zompare sul drago a due ruote, mi fa l'agguato: - Ora ci divertiamo.
Il branco va dietro a Fiore mentre il viale che attraversa il campo si svuota di gente che monta in bici, sulle auto o sulla navetta. Tobia è così veloce da infilarsi nella calca e bloccargli il passaggio. - Lui viene con noi - fa al conducente.
La vedo, quella bambolina circondata da quattro scemi con le sigarette infilate dietro l'orecchio e le felpe tarocche dell'Adidas, troppo orgogliosa per dare a vedere che se la sta facendo addosso.
Appena la navetta sgomma via in una scorreggia polverosa, Tobia gli passa un braccio attorno alle spalle e si incammina verso il paese che sorge in lontananza, una buona mezz'ora a piedi fra le coltivazioni.
- Ti sarai mica offeso, prima. Si scherzava.
Tobia fa così, quando punta qualcuno. Lo tratta come un amico, lo mette a suo agio, gli offre pure da fumare. Osservarli da dietro, mentre porto la bici, è davvero uno spettacolo penoso. Se vuole suonargliele che lo faccia senza troppi convenevoli. Non ho molta testa per i giochetti, aspettare che la preda si rilassi, abbassi la guardia, e poi bam, che inizi lo spettacolo.
Però Fiore non si fa intortare. Lo ascolta, trincerato nel suo mutismo ostile. Forse il fatto che la tattica non attacchi fa solo doppiamente incazzare Tobia.
- Vuoi rendermi le cose più facili? -, e lo spinge verso quel casolare diroccato che sorge a bordo viale, quello dove i contadini della zona lasciano gli attrezzi di poco valore.
Guardo l'orologio. È l'una e mezza, il sole picchia sulle nostre teste in modo barbaro. Mi auguro faccia in fretta.
- Max? - mi sollecita Guido. - Ti sei incantato?
Lo seguo, ma per lo più me ne sto in disparte a girarmi una sigaretta appollaiato sulla bici. Quei tre danno il peggio di loro con le provocazioni e qualche insulto, ma è roba di poco conto. So che stanno cercando di farlo scattare, di estorcergli una risposta che dia il via alla battaglia.
Mi chiamano di nuovo, e a questo giro devo dire la mia: - Non mi tira. Non sono in vena.
- E dai, guarda com'è carino - lo piglia per il culo Tobia, strizzandogli le guance fra le dita così forte che inizia a divincolarsi.
Lo molla con una spinta che lo fa schiantare contro la parete. Ed è a quel punto che la bambolina tira fuori le zanne, e mi scaglia uno sguardo che ha una tale carica d'odio che, lo ammetto, mi sorprende: - Però quando siamo da soli non ti fai problemi ad aiutarmi, codardo di merda.
- Di che sta parlando?
Io mi stringo nelle spalle: - Mi sa che gli piaccio.
A questo punto si sono scocciati tutti di aspettare, e Guido molla il primo pugno. Solo che accade qualcosa di sorprendente. Fiore si accuccia, un movimento così repentino che manda le nocche di quello scemo a schiantarsi contro il muro di mattoni. Bestemmia, mentre gli altri due si gettano addosso alla preda. Però Fiore è un salmone, viscido al punto giusto e abbastanza cazzuto da saper nuotare controcorrente. Sguscia dalle braccia dello zingaro, in qualche modo, e con quei suoi cinquanta chili sfreccia via con le falcate di un levriero da competizione.
Gli corrono dietro, urlando, e di malavoglia mi ficco la paglia in bocca e faccio per montare in sella. Se lo riacchiappo, magari si danno una calmata.
Peccato che la fortuna di Fiore sia abbastanza sfacciata da far spuntare dal niente una seconda navetta (mai state così assidue o puntuali, devo ammetterlo).
Lo vediamo piantare un cazzotto contro la fiancata, far fermare il mezzo e infilarsi dentro quando ormai ha già messo una distanza considerevole fra noi.
Avrei potuto raggiungerlo in bici? Forse.
Per oggi, però, la bambolina ha la fortuna di sparire in una nuvola di polvere.
È notte. I cespugli vomitano stormi di lucciole che risalgono alle stelle con andamento spiraliforme.
Fiore è il signore delle lucciole. È là, appollaiato sul tetto della sua villetta abusiva, con le cuffie sulle orecchie, un libro appoggiato sulle gambe che gli fanno da leggìo e l'aria da ninfetta dei boschi.
Di tanto in tanto caccia la matita dalla tasca e sottolinea o scrive qualcosa a bordo pagina. Lui non è uno che i libri li legge e basta. Le parole non gli scorrono solo davanti agli occhi, deve dire la sua in qualche modo e deve farlo sapere a quello che verrà dopo cos'è che lo ha colpito.
Io non sono mai stato un gran lettore, questa cosa la penso solo perché me l'ha detta Rachele.
Un libro non è mai davvero solo un libro, mi ha confessato. Un libro è anche tutti i suoi lettori, le cose che ci hanno visto dentro. Un libro ti dà qualcosa, e tu dai qualcosa a lui. Secondo me vi leggete a vicenda.
Ho sempre pensato che fosse troppo intelligente per questo posto, e forse anche Fiore lo è. Di sicuro è abbastanza attento da capire che lo sto fissando dalla finestra della mia camera, quella da cui tutte le sere mi affaccio per fumarmi la ninna canna della buonanotte.
Il signore delle lucciole, ora, mi guarda con gli occhi di un guerriero vendicatore. Dalle pagine del libro estrae un dito medio, poi si infila nel buco nel tetto e sparisce di nuovo.
Come dargli torto.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top