Il Convegno

Ennesima storia horror tratta da un altro mix di incubi che ho ripetuto spesso, nel corso degli anni, e che hanno posto le basi per questa OS che ho revisionato e ampliato (la prima versione era decisamente troppo breve e non rispecchiava appieno gli incubi e il mio status).

E l'immagine che meglio li rappresenta è questo mio disegno:

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Quella cupa mattina di primavera Clelia si stava dirigendo a passo svelto verso il Policlinico. I primi raggi di sole danzarono nel cielo e le accarezzarono la schiena, ma lei parve non accorgersene neppure, troppo intenta a raggiungere la meta al più presto. Aveva appuntamento con i suoi amici alle 8:00 ed erano già le 07:50.

Accidenti! Devo sbrigarmi o non farò in tempo ad assistere a questo Convegno, constatò dentro di sé, accelerando il passo e percorrendo quasi a perdifiato la strada verso l'ospedale.

Finalmente — e miracolosamente, anche — arrivò al sesto piano in perfetto orario.
Sollevata, telefonò ai suoi amici per avvisarli del suo arrivo, ma invano: i cellulari risultarono spenti. Allora si guardò intorno, alla ricerca di qualche volto a lei familiare, ma notò solo un gruppetto di ragazzi che parlottavano tra loro. Clelia si avvicinò a quei giovani e chiese loro indicazioni sull'aula, incapace di orientarsi in quel piano così immensamente dispersivo. Non una risposta né uno sguardo nella sua direzione: la ignorarono totalmente.
«Cafoni!» esclamò a gran voce, mentre si avviava, indispettita, verso la stanza poco più avanti. Vi scorse tre figure al suo interno: due ragazze e un bel ragazzo, seduti dietro a una imponente scrivania color ciliegio. Erano tutti e tre chini su alcuni plichi e, per richiamare la loro attenzione, bussò piano alla porta aperta ed entrò, chiedendo esitante: «Scusate, ragazzi, sapete dove si terrà Il Convegno
Il belloccio si alzò e si schiarì la voce per risponderle, ma non riuscì a sentirlo perché il tizio iniziò improvvisamente a tossire, come se gli fosse andato qualcosa di traverso, e a vomitare una sostanza densa e schiumosa, di colore verdognolo. Il suo volto divenne paonazzo e gli occhi sembravano quasi volergli sfuggire dalle orbite: stava boccheggiando come un pesce fuori dall'acqua. Sempre più nauseante alla vista e all'olfatto, le si avvicinò piano e con le braccia protese verso di lei — come a volerlesi aggrappare addosso.
«Aiuto! Presto, fate qualcosa,» si rivolse alle ragazze nella stanza, «non vedete che si sta sentendo male?». Le tremava il corpo e le parole le uscirono appena. Soggetta ad ansia perenne, Clelia faceva sempre fatica a mantenere la calma e il controllo delle emozioni e quella circostanza stava mettendo a dura prova i suoi nervi.
Le due ragazze, in tutta risposta, cominciarono a urlare istericamente, svenendo subito dopo; quanto a Clelia, invece, disgustata dall'aria irrespirabile emessa da quel corpo in avvicinamento e in preda al panico, si incamminò con le gambe molli verso l'uscita, in cerca di aiuto. Stava per varcare la soglia di quella stanza del disgusto e dell'orrore, ma qualcosa accanto alla finestra catturò la sua attenzione e lei si fermò un attimo a osservare quella figura che non aveva notato prima.
Due occhi turchesi e cerchiati di rosso la guardarono intensamente e un ghigno dipinse quel volto bellissimo e dai lineamenti perfetti e delicati. Clelia lo riconobbe subito: era lui, quello che tutti conoscevano come Lucio, il ribelle, lo studente più brillante e problematico del Policlinico.
Osservò sconvolta il ragazzo contorcersi dal dolore, tra un conato e l'altro, e Lucio cominciò a ridere. La sua risata era agghiacciante — così come il suo sguardo puntato su di lei — e, d'istinto, Clelia si riscosse e si voltò per fuggire.

Non voglio restare qui! si ripeteva tra sé, in procinto di uscire.

Il belloccio, malgrado il suo malessere, provò ugualmente a fermarla, come guidato da una forza misteriosa che lo rinvigorisse a ogni passo, ma era talmente viscido e debole che la ragazza riuscì facilmente a scivolare dalla sua presa e a scappare...

Intanto, i corridoi cominciarono ad animarsi e, tra un inciampo e l'altro, chiese aiuto a tutti i passanti che si ritrovò davanti, durante la sua fuga disperata, ma anche quegli zotici la ignorarono.
Non ebbe nemmeno il tempo di arrabbiarsi, però, perché Lucio le era già dietro, mentre le urlava spaventosamente: «Non puoi sfuggirmi ancora per molto, Clelia. Voglio i tuoi occhi gialli! Vieni da me! Vieni dal tuo Lù!» Sghignazzò, facendosi largo tra la folla.

No! Mai! pensò, continuando a correre e desiderando di non rivederlo mai più.

Spalancò una porta e si ritrovò un altro lungo corridoio da percorrere, finché, sconfortata e stremata, ne aprì un'altra. Entrò in un'enorme aula, scarsamente illuminata e gremita: i ragazzi stavano sostenendo un esame. Chiese ancora aiuto, tra le lacrime e con il fiato corto, ma nessuno distolse lo sguardo dai propri fogli — come se lei non fosse neppure lì!
Fortunatamente, una donna le andò incontro sorridente. La prese per mano e la fece nascondere nello stanzino accanto all'ingresso.
«Grazie, grazie mille!» Singhiozzò, guardandola riconoscente.
La donna le accarezzò una guancia e lei entrò in quello stretto tugurio.
Non vedo niente, è così buio qui, rabbrividì, tastando con una mano la parete alla sua destra e tenendo il braccio sinistro leggermente teso davanti a sé, per timore di urtare qualcosa.
Arrivò in fondo a quel buco in pochi secondi, e si accovacciò sul pavimento, portandosi le ginocchia al petto e pregando di riuscire a salvarsi.

Qualcuno provò a forzare la serratura. Alzò la testa di scatto, fissando la porta con occhi sgranati e con il cuore che le martellava feroce in petto, quasi a voler balzare fuori dalla cassa toracica, ma la porta non si aprì. In quel momento, però, venne proiettata all'interno di quello stanzino l'immagine di Lucio intento a prendere una foto: un primo piano degli occhi di Clelia, in cui risaltavano le sue tipiche sfumature gialle.
Trattenne il respiro e lo vide fremere di impazienza ed eccitazione mentre avvicinava lo sguardo a una specie di microscopio (o una lente), proiettandone l'immagine sopra a quella degli occhi della ragazza, fino a farle combaciare perfettamente tra loro, creandone una nuova: quella di un paio di occhi turchesi dalle sfumature gialle.
Il cuore di Clelia quasi si fermò e la porta venne spalancata, illuminando l'ambiente: Lucio era lì, sorridente, ancora più desideroso di prenderla, e armato di uno strano coltello.
Non c'erano finestre e l'unica via di fuga era occupata proprio da lui, che urlò categoricamente: «Voglio i tuoi occhi gialli, Clelia! Dammeli, e vieni da me!»

Senza comprenderne il motivo, Clelia vide la sua salvatrice portargli qualcosa da bere e offrigliela con devozione, con riverenza. Lui si distrasse, troppo compiaciuto per non darlo a vedere, e lei ne approfittò per fuggire di nuovo. Lucio riuscì a ferirla di striscio con quel coltello, ma la giovane ignorò il dolore e corse ancora, evitando di sentire le grida agghiaccianti di quella povera donna mentre veniva uccisa perché ritenuta responsabile della sua fuga...

Le bruciavano i polmoni per lo sforzo, ma non demorse e continuò a correre per quella struttura immensa, cercando sia di sgomberarsi il passaggio affollato sia di schivare alla meglio le lame che la ferivano a ogni passo: Lucio stava giocando a freccette e usava lei come bersaglio, pur di rallentarla.
Sentì le forze e la speranza svanire, finché — finalmente! — trovò l'aula del Convegno proprio davanti a sé: la sua salvezza! Doveva esserlo per forza, visto che fino a quel momento tutti si erano ostinati a non rivelarne l'ubicazione e — soprattutto — visto che Lucio non la inseguiva più.
Con le gambe molli e il cuore in gola, ne varcò l'entrata.
Accidenti! Si soffoca qui dentro, a stento riesco a vedere dove metto i piedi e a passare, constatò tre sé. Quel posto era affollatissimo e le luci erano soffuse, quasi spente, ma non si fermò: voleva sopravvivere e trovare i suoi amici, un aiuto!
Finalmente riuscì a intravedere un posticino, e pure in prima fila. Stava per sedersi e riposarsi un po', ma poi esitò. Un brutto presentimento si fece strada dentro di lei, si sentì inspiegabilmente inquieta e cominciò ad avere paura. Ma proprio tanta!

Non mi piace questo posto! C'è troppa gente e poca luce, mi sento soffocare... no, ho bisogno di aria! Voglio andare via... dove diamine si sono cacciati quei cinque, accidenti! si lamentò e adirò, in cerca dei suoi amici e dell'uscita.
Boccheggiante e stordita dal caos e dall'aria sempre più viziata, si rese conto di una cosa agghiacciante: non riusciva più a orientarsi e a trovare l'uscita, stava girando in tondo.
I battiti del suo cuore in fibrillazione sovrastavano persino il brusio di sottofondo che la circondava — era troppo spaventata e i nervi stavano per cedere, sfiancandola completamente. Non osò proferire parola o altro e cercò di rendersi invisibile agli occhi di tutti, ma qualcuno le afferrò un braccio. Clelia si voltò di scatto e vide una docente che le sorrise benevola, chiedendole di farle compagnia. Incapace di scrollarsela di dosso, la seguì controvoglia verso il centro della sala, venendo a conoscenza di alcuni dettagli inerenti all'evento in questione: Il Convegno non era che la proclamazione del vincitore del concorso di scrittura L'OMICIDIO PERFETTO, conclusosi la settimana precedente. Gli specializzandi del secondo anno si erano sfidati a suon di parole e colui/colei che avrebbe raccontato il miglior giallo, sarebbe poi stato la star della serata, ottenendo anche sette punti di bonus da aggiungere ai propri CFU.
Dopo l'esperienza appena vissuta, quello non era affatto un tema entusiasmante per lei, ma ormai era lì e non poteva più uscire. Tanto valeva provare a godersi l'evento, almeno sapeva che lì dentro era al sicuro.
Si guardò intorno e notò che tutti avevano lo stesso libro tra le mani: il bestseller della serata.

Allora la star è già nota a tutti... riflettè, aggrottando le sopracciglia.
Provò a dare una sbirciatina alla copertina e vide una foto in bianco e nero, dai contorni rossi, che risaltava sullo sfondo grigio: era un primo piano del suo viso.
Si alzò di scatto — o, almeno, era ciò che avrebbe voluto fare. Qualcosa la tenne incollata alla sedia e il suo corpo era ricoperto di acqua gelatinosa, una vera schifezza. Tentò ancora di liberarsi, ma niente. A quel punto la docente le sorrise di nuovo, (r)assicurandole che ci avrebbe pensato lei a risolvere quella melmosa faccenda, ma Clelia ne era poco convinta.
Una paura incontrollabile le attanagliava le viscere e i denti le battevano rumorosamente. Qualcosa di freddo e dall'odore impregnato di morte le fece gelare il sangue: era dietro di lei, lo sentiva. Non ebbe nemmeno il tempo di riflettere o di girarsi a vedere di cosa si trattasse, ché si ritrovò accerchiata da alcune ombre scure. Il suo corpo e la sua testa vennero collegati a vari fili, e lei, come un cavallo imbizzarrito, si dimenò sulla sedia, cercando ancora di liberarsi.

«Lasciatemi andare!» ordinò loro, gridando tra le lacrime e terrorizzata.

In tutta risposta, però, piccole e incessanti scosse elettriche la colpirono ovunque: stava subendo una sorta di elettroshock, dal cervello in giù.
Un dolore lancinante si espanse a macchia d'olio lungo tutto il suo corpo, e Clelia urlò ancora più forte, come una dannata. D'istinto, provò a chiudere gli occhi brucianti e pieni di lacrime, ma quegli esseri bastardi interruppero subito le scosse e uno di loro le tenne saldamente bloccata la testa. Osservò con orrore gli altri avvicinarlesi con sguardo mefistofelico e con degli strani arnesi tra le mani e, malgrado le sue proteste e le sue urla sempre più assordanti, riuscirono facilmente a conficcarglieli nel viso, così da tenerle perennemente spalancati gli occhi.
Quei demoni ripresero a torturarla, sadici e incuranti delle sua grida e suppliche, e Clelia non riuscì neanche a svenire per il dolore: gli infami fermavano le scosse sempre prima che la poverina potesse perdere completamente i sensi.

«Vi prego, basta!» supplicò ancora, flebilmente, tra l'indifferenza dei presenti che, ormai, cominciarono a sembrarle anche loro più demoni che umani sotto shock.

Non vedeva più niente, eccetto quelle imponenti sagome nere che bisbigliavano, sogghignavano e continuavano a friggerla. Tremò di paura, di scariche elettriche e un dolore ancora più atroce le atrofizzò il corpo, ma sentì che il peggio non era ancora arrivato...
Avvertì una presenza alla sua destra. Commise l'errore di guardarla e il suo cuore perse diversi battiti: il vincitore del libro era proprio lì, accanto a lei, e le sorrideva sornione.
Lucio! No!
Sembrava un comune essere umano, dalla bellezza ultraterrena, ma ora che le era così vicino capì che erano il suo sguardo e la sua aura ad atterrirla maggiormente. Le sue sembianze umane lasciarono il posto a quelle di un essere demoniaco da un'indicibile potenza e malvagità: Lucio, in realtà, non era che Lucifero, il Diavolo in persona!

«Eccoci qua, Clelia! Te l'avevo detto che non saresti riuscita a sfuggirmi a lungo», la sbeffeggiò, mostrandole un sorriso sinistro e una dentatura terribilmente affilata.

Le mancarono il fiato e il pavimento sotto i piedi. Avvertiva il Male puro provenire da lui, quell'abominio, lo percepiva in ogni fibra del corpo, che si faceva strada dentro di lei, facendola tremare come una foglia.
I suoi occhi erano incollati a quelli di lui: non più turchesi, ma simili a due orbite nere, vuote e profonde che la attiravano come un magnete. Le sembrava di precipitarvi dentro. Si sentiva smarrita e squarciare dall'interno, come se la sua anima si stesse distaccando a forza dal suo corpo.
Il Diavolo avvicinò il suo orrorifico volto al suo collo, inspirandone avidamente il profumo, e la trafisse da dietro con quello strano coltello che reggeva ancora tra le mani, facendole spuntare la lama sul davanti, perforandole il cuore già spezzato dal dolore. Soddisfatto, le sussurrò all'orecchio: «Con me...» e la baciò sulla bocca.

Clelia non sentì nulla sulle proprie labbra, se non uno scricchiolio nel resto del corpo: tramite quel contatto, le stava spezzando le dita della mano destra, senza pietà, una alla volta... per poi passare a tutte le altre ossa che toccava dall'interno. Una lenta, lunga e dolorosa tortura la stava logorando dall'interno e non c'era nulla che lei potesse fare per impedirlo.
Il suo corpo stava andando letteralmente in pezzi e scricchiolava da tutte le parti, mentre la paura e il dolore straziante continuavano ad attanagliarla, violentemente e in modo irreversibile. Una volta libera da quel bacio satanico, Clelia urlò come una forsennata col poco fiato che le era rimasto nei polmoni e si sentì sempre più estranea al proprio corpo: stava venendo risucchiata da quegli occhi, inghiottita dalle Tenebre, e gridò ancora, un suono sempre più indistinto le echeggiava nella testa...

Un incessante trillo metallico le perforò i timpani: la sveglia! Era solo la sua stupida e assordante sveglia!

Clelia era consapevole di trovarsi nel proprio letto, ma continuava a urlare a squarciagola e a tremare convulsamente, avvertendo ancora quella demoniaca presenza accanto a sé. Faticava a calmarsi. La paura e il dolore che aveva provato fino a pochi secondi prima erano stati indescrivibilmente orribili e insopportabili, così... reali!
Cercò di regolarizzare il battito del suo cuore andato in tilt e inspirò profondamente. Dopodiché, guardò l'ora: le 8:00!

«Il Convegno sta per iniziare, Clelia... vieni con me!» le sussurrò una voce alle sue spalle, prima di sentirsi afferrare per la vita e precipitare nell'oscurità... per poi non svegliarsi mai più.

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