cap 9
La domenica era arrivata.
Alessandro si alzò dal divano conscio che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui si sarebbe svegliato grazie al canto della vicina di casa di Giorgio.
Ormai ci si era abituato.
Quella voce penetrava ogni mattina sottile e leggera come una piuma all'interno dei suoi incubi e grazie alla sua leggerezza era in grado ogni volta di trasformare questi ultimi in sogni bellissimi, dove lui rideva e correva come un bambino dell'asilo.
I primi tempi si era convinto di averla solo immaginata, anche perché durante il giorno non l'aveva mai sentita.
Un paio di mattine era anche uscito sul pianerttolo di corsa, scalzo e in boxer, per origliare a ogni porta in modo da poterle un giorno dare un volto. Ma in entrambi i casi il canto si era interrotto non appena aveva varcato il corridoio, tanto che aveva pensato che provenisse dal piano di sopra o magari da quello di sotto o della scala a fianco.
Si infilò sotto la doccia dopo aver guardato l'orologio. Erano le sette del mattino; Giorgio e Martina sarebbero rientrati dal viaggio di nozze entro l'ora di pranzo e lui, nonostante l'insistenza dei due amici, non aveva intenzione di abusare oltre della loro ospitalità.
Aveva trovato un appartamento in affitto nello stesso quartiere del commissariato e non aveva ancora comprato nemmeno un pacco di pasta o un rotolo di carta igienica.
Quegli ultimi giorni li aveva trascorsi come un treno sulle montagne russe. Per tutta la mattina si occupava di Leo e dei suoi continui sbalzi d'umore, fingendo davanti a lui che con sua madre andassero d'amore e d'accordo nonostante la separazione.
Tranne poi tornare alla realtà quando lui e Jessica rimanevano da soli. Aveva provato un nuovo approccio con lei il pomeriggio successivo a quello in cui per poco non avevano fatto l'amore con la porta aperta e Leonardo nella stanza accanto, ma questa volta sua moglie aveva reagito molto peggio; mollandogli uno schiaffo che per ore gli aveva lasciato le cinque dita stampate in faccia.
Non aveva più indagato su Achille, gli era costato non poca fatica evitare l'argomento, visto che più di un volta aveva sorpreso Jessica al telefono. L'avrebbe riconquistata senza mostrarsi geloso, senza dare la minima importanza a quella terza persona che, era certo, non contava per sua moglie nemmeno un quarto di quanto valeva lui.
Tornò in salotto abbottonandosi i jeans e si guardò intorno per assicurarsi di aver lasciato tutto in ordine; doveva solo scendere per gettare le buste dei rifiuti e una volta rientrato prendere il trolley e levare le tende.
Infilò quindi al volo una camicia e le scarpe e usci.
Una volta tornato su, però, si accorse di avere le mani e le tasche miseramente vuote.
- Cazzo, le chiavi! -
E adesso come faccio? Cristo Santo! Le chiavi della macchina, quelle della casa nuova, il portafoglio, la valigia!
Poi gli venne in mente che i balconi dei vicini erano comunicanti e senza pensarci due volte si precipitò alla porta alla sua destra.
Gli aprì un uomo di mezza età, vestito di tutto punto, con un quotidiano in mano. Alessandro gli spiegò la situazione e solo al termine del proprio monologo si rese conto dello sguardo schifato che questi gli stava rivolgendo al di sopra di un paio di severi occhiali da lettura.
- Adesso chiamo la polizia. -
Barzagli restò di sasso. - Sono io la polizia. Sono un collega di Ferro, il suo vicino di casa. -
- Mi faccia vedere il distintivo. -
Alessandro alzò gli occhi al cielo. - È dentro casa insieme a tutta la mia roba. -
L'uomo lo guardò dubbioso. - E io come faccio a sapere che lei in realtà non è un ladro truffatore che… -
- Senta, guardi… non importa. Aspetterò Ferro. - lo interruppe Alessandro esasperato.
Poi gli diede le spalle e puntò verso l'altra porta.
Dovette scampanellare per ben tre volte e aveva già mosso qualche passo sconsolato sul corridoio quando sentì il rumore dello scrocco della serratura scattare.
Si voltò con un sorriso disperato stampato sul volto. Sorriso che si spense quando riconobbe colei che stava ferma sull'uscio.
- Ha bisogno di qualco… oh, cazzo! -
Alessandro sollevò le sopracciglia.
- Non avevi detto di non essere fisionomista? - La guardò dal basso verso l'alto e quando tornò sul suo viso la sorprese a fare lo stesso.
- Beh… io… le ho rovesciato addosso un bicchiere di vino e poi lei mi ha trattato giustamente di merda. Diciamo che mi ci vorrà un po' per dimenticare il suo viso. -
Alessandro restò in silenzio per alcuni secondi, quelli che gli occorsero per collegare la cantante del matrimonio di Giorgio alla voce angelica che aveva accompagnato i suoi risvegli durante la settimana. Battè le palpebre un paio di volte e infine, come un perfetto idiota, scoppiò a ridere.
In principio lei rise a sua volta, ma piano piano il suo volto si fece serio e le guance rosse come peperoni.
Solo a quel punto Barzagli si accorse che lei era praticamente in mutande, non fosse per una t-shirt extra large che le arrivava a metà coscia. La vide giungere le ginocchia in un gesto di insicurezza ed ebbe la conferma di quest'ultima quando la guardò incrociare anche le braccia al petto.
- Scusa, stavo… stavo ridendo perché tu non… -
Cristo, rimani serio! - Ok, ti ricordi che mi avevi confuso con lo sposo? -
La guardò annuire e insieme alla reazione di un attimo prima non riuscì a non provare tenerezza.
- Cazzo. Giorgio è il tuo vicino di casa e tu… -
- Oh… - Se possibile le guance di lei divennero ancora più paonazze e Alessandro per un momento si domandò il motivo di tanto imbarazzo.
Era una bellissima ragazza, forse un po' bassina, ma con due tette davvero grandi e… Ok, smettila!
A interrompere il moto dei suoi pensieri fu di nuovo la voce di lei. Non lo stava guardando negli occhi, ma avrebbe scommesso qualsiasi cosa che non si era accorta di fissare i suoi pettorali ben visibili dalla camicia sbottonata.
- È che io abito qui da poco e ho parlato solo con la sposa, quindi immagino… -
- Pronto? Io sono qui. -
Sapeva di essere un bastardo, ma si stava divertendo come un matto. Per poco non scoppiò di nuovo a riderle in faccia quando vide nei suoi occhi la consapevolezza di averlo guardato con un certo interesse.
- Ok senti, ho dimenticato le chiavi dentro. Gli sposi sono in viaggio di nozze e io sono ospite da loro. -
- Io non ho le chiavi di riserva. - rispose lei.
- Pensavo di scavalcare il balcone se non ti dispiace. -
- Oh… ok. Quindi vuole entrare? -
Barzagli socchiuse gli occhi. - Tu che dici? -
La guardò deglutire e sorridere a disagio e quando si fece da parte per lasciarlo passare non resistette a infierire ancora.
- Ti chiedo solo di non avvicinarti troppo. Potresti farmi finire di sotto. -
Alla fine ne uscì sano e salvo, ma quando fu al sicuro nel soggiorno di Giorgio sorrise al pensiero di essersela vista davvero brutta.
Mentre era intento a scavalcare la ringhiera, lei, impaurita dell'altezza, lo aveva d'un tratto afferrato per la camicia e lo aveva tirato verso di sé. Per poco quel gesto non gli aveva fatto perdere l'equilibrio e quando, grazie al cielo, si era ritrovato dall'altra parte, l’aveva incenerita con lo sguardo.
L'istinto gli aveva suggerito di mandarla a quel paese e di dirle di farsi curare da un bravo psichiatra. Ma quando aveva visto i suoi occhi azzurri che lo guardavano pronti a subire il cazziatone del secolo, i propri lineamenti si erano addolciti e dalle sue labbra era uscito un semplice “Grazie".
Lei aveva accennato un sorriso e lui ricordò di aver deglutito. - Comunque io sono Alessandro. - le aveva detto attraverso il plexiglass che separava i balconi.
- Denise. - aveva risposto lei, stringendosi le braccia intorno al corpo a causa dell'aria fredda.
- Hai una voce bellissima, Denise. Ora torna dentro o prenderai freddo. -
Poi lei aveva fatto dietrofront, ma a lui non era sfuggito il nuovo rossore che aveva colorato le sue guance.
Mentre abbottonava la camicia e dopo aver recuperato giubbotto e trolley, si chiese se davvero lei non lo avesse riconosciuto.
Vero era che il libro Invicta era stato ritirato dal mercato appena una settimana dopo l'uscita, ma il suo nome in città era in ogni caso diventato noto. Bastava digitarlo su Google per saperne vita morte e miracoli.
Infine decise che non gliene importava un bel niente e anzi si convinse che era troppo stupida anche solo per ricordare il proprio numero di telefono.
Era stato un bel siparietto, si era divertito e per una volta non rimpianse di non averci provato.
Non ci sarebbe stato gusto; o forse sì…
Due ore più tardi varcò la porta del suo nuovo appartamento con una decina di buste della spesa tra le mani. Aveva comprato di tutto e di più, soprattutto per i suoi figli, che avrebbe portato da lui spesso da quel giorno in poi.
Passò l'ora successiva a riempire scaffali, a fare i letti e a pulire con cura ogni angolo della casa.
Più i minuti scorrevano, più il suo nervosismo aumentava. Era stanco di ramazzare e di immaginare come Jessica e i ragazzi avrebbero reagito. Sentiva prepotente il bisogno di evadere, di assentarsi da tutto, di pensare a se stesso e a nessun altro.
Giorgio era tornato e qualche ora prima lo aveva invitato a unirsi a lui per una bevuta quella sera in un pub. Gli aveva detto di no senza troppi giri di parole, ma in quel momento, pentito come non mai, decise che farsi un goccetto con un vecchio amico lo avrebbe aiutato a non impazzire tra quelle quattro nuove mura.
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