cap 5

La domenica era arrivata.
A breve Giorgio e Martina si sarebbero sposati e Alessandro sarebbe stato finalmente libero di tornare alla sua vita priva di problemi a Livorno.

Erano appena le sei del mattino, la celebrazione era prevista per le undici, per cui si concesse di rimanere a letto per qualche minuto ancora.
Si ritrovò quindi a ricordare quanto avvenuto il giorno precedente e appena le immagini di quelle ore apparvero nella sua mente d’istinto si coprì la faccia con il cuscino.

Ripensò all’imbarazzo provato quando Giorgio lo aveva svegliato. Per quanto il suo cervello fosse stato annebbiato e per quanto volesse far credere che non gli importasse niente del suo giudizio, aveva provato un profondo disagio.
Nudo, avvinghiato a due spogliarelliste, la stanza che assomigliava ai risvegli dei protagonisti di “Una notte da Leoni" e il suo amico lì, voltato dall'altra parte, che lo spronava a ricomporsi e a raggiungerlo in strada.

Quando era sceso lo aveva trovato in macchina, pensieroso e avvilito, e gli era dispiaciuto. Non voleva rovinargli quei giorni che per lui dovevano essere quelli più importanti della sua vita. Glielo aveva detto appena salito sul sedile del passeggero.

- Non è stata una buona idea quella di invitarmi. -

Giorgio lo aveva guardato per un breve istante e poi aveva messo in moto. - Invece comincio a credere che sia stata la cosa migliore che abbiamo fatto. -

- Non so neanche perché sono venuto. - L'aveva poi guardato con la coda dell'occhio e dalla sua espressione aveva capito di averlo ferito.

- Comunque adesso sei qui e sappi che non te ne andrai finché non mi dirai che cazzo ti sta succedendo. -

Quell'affermazione aveva indispettito Alessandro, che dopo essersi acceso una Marlboro aveva replicato.
- Invece domani sera farò ritorno a Livorno e voi potrete continuare la vostra vita fingendo che io non esista. Tanto era quello che volevi, no? -

Giorgio aveva sterzato bruscamente e prima di rispondere aveva fermato l’auto accanto al marciapiede. - Hai cinque anni o cosa? - gli aveva ringhiato contro. - Tu ci avevi tradito o perlomeno quella era stata la tua intenzione. Che cazzo pretendevi? Che ti dessi il cinque e che ti dicessi “Sti cazzi se tutta la nostra vita è finita su un libro e se Martina passerà per una mignotta!" -

Lui aveva deglutito, lo sguardo fisso sul parabrezza. - No, infatti hai fatto benissimo. Però dovevi essere coerente e non cercarmi più. Sarebbe stato meglio per tutti, credimi. A quest'ora saresti dal barbiere a prepararti per il grande giorno e ti saresti evitato lo spettacolo a cui hai dovuto assistere poco fa in albergo. - Si era poi voltato a guardarlo con sfida, ma lo aveva beccato mentre a stento tratteneva le risate.
Aveva seguito la direzione del suo sguardo e quando Giorgio aveva ripreso a parlare anche a lui era sfuggito un mezzo sorriso.

- Dove pensavi che ti portassi? Alle giostre? -

Alessandro aveva sbuffato e poco dopo aveva seguito l'amico all'interno della bottega del suo barbiere. - Il mio testimone con quei capelli e quella barba da maniaco? -

- Il tuo cosa? -

- Zitto e entra! È deciso e non provare a fare storie! -

Alessandro si girò a pancia in giù, posando le mani sui capelli tagliati di fresco. In seguito Giorgio aveva dovuto salutarlo e lui ne aveva approfittato per raggiungere la sua ormai ex casa. Non aveva avvisato Jessica e non gliene era fregato un cazzo. Voleva spiegazioni sul comportamento dei figli, voleva dirle che prima di ripartire avrebbe firmato le carte del divorzio e poi aveva… aveva una voglia tremenda di rivederla.

Aveva immaginato che gli avrebbe lanciato un vaso in testa non appena avesse citofonato o che ancor peggio nemmeno gli avrebbe risposto. Invece era scesa dopo appena un paio di minuti, lo aveva squadrato dalla testa ai piedi e se la notte balorda non gli aveva bruciato qualche neurone, poteva giurare di aver intravisto anche un timido sorriso.

- Ti sei dato una sistemata… - gli aveva detto, mentre insieme si avviavano verso una delle panchine condominiali.

- Giorgio pensava che il mio nuovo look non fosse adatto. -

Jessica questa volta aveva sorriso davvero e lui, dopo quattro interi mesi di gelo assoluto, aveva sentito un calore ormai quasi dimenticato scorrere nelle proprie vene.

- Senti, mi dispiace per Leo. Adesso lui è nell'età in cui la rabbia… -

- Cosa gli hai detto di me? - l'aveva interrotta lui.

Jessica aveva scosso il caschetto ramato e per un attimo i sensi di Alessandro si erano offuscati sotto la nebbia del suo profumo.
- Non ho mai parlato male di te con i ragazzi. Mi conosci… credo. - lui aveva annuito ed era stato costretto a frenare il moto automatico della propria mano che voleva andare a posarsi sul viso triste di lei.
- Però ho parlato con lui proprio ieri. Gli ho detto che tu non stai bene e che non deve essere così osti… -

- Ma quando la finirete di psicanalizzarmi tutti quanti? Io sto benissimo e non voglio che i miei figli siano costretti a passare del tempo con me solo perché gli faccio pena. -

Infuriato, si era alzato e aveva cominciato a camminare avanti e indietro sotto lo sguardo afflitto della moglie. Non sopportava che lo guardasse così. Nessuno doveva più guardarlo in quel modo.

- Ale… -

- No, Ale niente. Vuoi la verità? Finalmente mi sento libero. Libero di essere me stesso, senza il cazzo di pensiero di essere continuamente giudicato o di dover rendere conto a qualcuno. -

Jessica si era improvvisamente alzata, tanto che lui era rimasto immobile finché lei non gli era arrivata di fronte. - E così ti senti libero, Ale? Sei felice? -

Le parole di lei gli avevano lambito la barba appena fatta, il suo odore gli aveva fatto girare la testa e non gli era sfuggito il modo in cui Jessica aveva posato gli occhi sulle sue labbra.
Poi era tornato in sé e con un ghigno che l'aveva fatta rabbrividire le aveva preso il mento con due dita, avvicinandosi affinché potesse recepire al meglio le sue parole. - Sì, sono felice, Jes. Non immagini quanto. E tu invece? -

L'aveva vista deglutire e non si era opposto quando lei, in difficoltà, lo aveva scansato in malo modo.
- Non provarci neanche, Alessandro. Non so neanche perché sono qui a perdere tempo con te! -

Lui aveva infilato le mani nelle tasche e mosso appena le spalle. - In ogni caso non preoccuparti. Sto alla grande. Vorrei solo passare qualche ora con i miei figli e poi non sarai più costretta a vedermi. -

Jessica aveva abbassato gli occhi sulle proprie scarpe, poi senza più sollevarli su di lui era tornata verso il portone. - Li faccio scendere e… riportali quando vuoi. "

Quando i bambini erano scesi gli era saltato il cuore in gola. Non era pronto, nonostante la sua rinnovata freddezza, all'ennesimo rifiuto da parte loro.
Ma non era accaduto.
Al contrario, invece, Aurora aveva subito sollevato le braccia per farsi prendere in braccio e il bacio che gli aveva stampato sulla guancia sinistra lo aveva lasciato di sasso. Poi le aveva fatto il solletico sui fianchi, come faceva sempre quando voleva vederla esplodere in una risata con tanto di singhiozzi, e così era andata.
Ancora col sorriso sulle labbra si era poi abbassato per scompigliare i capelli di Leo che, seppur senza troppo fervore, aveva incassato senza fare storie.

Li aveva poi portati in spiaggia, dal momento che la temperatura lo consentiva, ed era stato quasi divertente dover andare a comprare tutto l’occorrente: palette e secchielli – introvabili a novembre - , pallone e un inutile gonfiabile a grandezza naturale a forma di unicorno per la sua piccolina.
Leo piano piano si era sciolto, avevano giocato a calcio sul bagnasciuga con i pantaloni arrotolati fino alle ginocchia e qualche volta era riuscito a intravedere nei suoi occhi un accenno di entusiasmo.
Ma era un duro vero e aveva comunque fatto di tutto per non dargli soddisfazione.
Erano uguali.

A ora di cena, con un fastidioso magone, erano rimontati in macchina per tornare a… casa. Poi però, conscio che non li avrebbe rivisti tanto presto, aveva chiamato Jessica per avvisarla che li avrebbe portati a mangiare una pizza ed era stato lì, al tavolo affacciato sulla spiaggia e sul campo da calcetto dove in passato andava a giocare con i colleghi il lunedì, che Aurora lo aveva riportato con i piedi sul pianeta inerte nel quale viveva da quattro mesi.

- Qui con Achille non ci siamo mai venuti! -

Lui aveva sorriso alla piccola, mentre un boccone gli si era fermato in gola. Aveva guardato Leo, che a sua volta lo stava scrutando con preoccupazione e aveva finto anche di non accorgersi del calcio che il suo primogenito aveva rifilato alla sorella da sotto il tavolo.

- Achille è un collega di mamma. - Aveva poi spiegato Leonardo, con quel tono classico di chi ti mette tra le mani una mezza verità.

Lui aveva annuito e fatto credere ai figli che quell'episodio non avesse rovinato la loro giornata. Ma quando un’ora più tardi li aveva accompagnati a casa e Jessica gli aveva aperto la porta, lui, dopo che i ragazzi erano spariti all'interno dell'appartamento, l’aveva guardata dritto negli occhi.
- Posso entrare? Il tempo di un caffè e me ne vado. -  Poi aveva studiato la sua reazione e quel suo viso di cui conosceva ogni sfumatura.
Era impallidita e l’istinto l'aveva portata ad accostare l'uscio.

- È tardi e poi non… non credo sia il caso. Non esagerare. - gli aveva risposto, abbassando però lo sguardo sullo zerbino.

Lui aveva mosso la testa di lato e senza nessun imbarazzo le aveva sollevato il mento per costringerla a guardarlo. Jessica non era rimasta indifferente a quel tocco; l'aveva sentita tremare sotto le proprie dita.
- Hai paura di me, Jes? È la seconda volta che mi costringi a chiedertelo. - Aveva mormorato, senza però avvicinare il volto.

Lei aveva sbarrato gli occhi, che in quell’istante a lui erano apparsi di un blu talmente scuro da non riuscire a scorgerne le profondità.
- No che non ne ho. -

- Allora cos'è che ti spaventa? - Aveva continuato lui, questa volta riducendo di qualche centimetro la distanza che li separava.

- Vai, Ale. Ci… ci sentiamo e fai gli auguri a Giorgio… -

Infine lui, con un sorriso sardonico, si era allontanato e le aveva risposto dopo averle dato le spalle. - Sarà fatto. Buona serata, Jes! -

Alessandro si scrollò di dosso quella valanga di ricordi e lo stesso fece con il cuscino, scaraventandolo dall’altra parte della stanza.
Scansò le lenzuola, si passò con rabbia le mani sulla faccia e poi si alzò per fare una doccia, nella speranza che quella fosse in grado di lavare via dalla sua mente le parole innocenti di Aurora e quelle riparatrici di Leonardo.

“Qui con Achille non ci siamo mai venuti!”

Achille… chi cazzo è Achille?

“Achille è un collega di mamma!”

Per tutta la sera e gran parte della notte si era spremuto le meningi per cercare di dare un volto a quel nome. Conosceva almeno di vista tutti i colleghi di Jessica, ma questo Achille proprio non gli diceva nulla.
Forse non era davvero un suo collega e Leo aveva detto una bugia bianca per non farlo arrabbiare o magari Achille era uno nuovo.
In ogni caso non avrebbe dovuto interessargli.

No, non doveva fregargliene niente.

- Fanculo! Fanculo! -

Prese a pugni le piastrelle mentre imprecava con tutta la rabbia che aveva represso fino a quel momento. Chi era questo tizio che a soli quattro mesi dalla sua partenza portava i suoi figli al ristorante?
Jessica la sera prima non lo aveva fatto entrare in casa e aveva visto in maniera palese quanto fosse a disagio.

Achille viveva a casa sua?
Dormiva nel suo letto?

Aveva fatto presto, anzi prestissimo a consolarsi la dolce Jessica! Se dopo quattro mesi erano già a quel livello come minimo si erano messi insieme quando lui era ancora sull'autostrada per Livorno.
Livorno. Dove anche i suoi genitori lo avevano trattato come un insetto putrido da schiacciare sotto la suola.

Nudo e gocciolante si chinò per frugare nel proprio trolley finché non tirò fuori le carte del divorzio.

Ecco perché hai tanta fretta! Ecco perché i miei figli mi tollerano appena.

Accartocciò i fogli e li gettò sulla scrivania.

Col cazzo che firmo!

Poi raggiunse il frigobar, afferrò una bottiglietta d'acqua e bevve finché non rimase nemmeno una goccia. Con più calma aprì l'armadio, prese il completo con cui sarebbe andato al matrimonio e deciso a non fare nulla per rischiare anche solo in parte di rovinare quel giorno ai propri amici, iniziò a vestirsi.



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