6. Jhon il Rosso
L'ufficio è stranamente tranquillo, non ci sono casi per il momento.
Jane si dilegua verso la cucina con la scusa di un tè — e, conoscendolo, probabilmente per origliare qualche conversazione — mentre Cho si siede alla scrivania, già perso tra rapporti e appunti.
Io mi tolgo la giacca e mi siedo al mio posto, pronta a ricapitolare mentalmente tutto quello che abbiamo scoperto finora.
Ma ecco che vedo Wayne appoggiato alla parete del corridoio, intento a fissare qualcosa… o meglio, qualcuno.
La sua espressione è quella di un cane bastonato, ma con un lampo di speranza.
Oh, no.
Di nuovo?
Van Pelt sta parlando al telefono dall’altra parte della stanza, concentrata e serissima, con un’espressione che sembra scolpita nel marmo.
Wayne, ovviamente, è ipnotizzato, perso nel guardarla come fosse una visione celestiale.
Sbuffo, ma decido che è ora di tirarlo fuori da questo ennesimo, penoso momento di adorazione segreta.
Mi alzo e gli vado incontro, appoggiandomi alla parete accanto a lui con un’espressione neutra.
“Wayne” sussurro, incrociando le braccia.
“Mh?” risponde senza distogliere lo sguardo da Van Pelt.
Cielo, è davvero oltre la speranza.
“Ti rendi conto che sembri uno stalker?” domando, ironica “Ormai manchi solo di un binocolo e di un taccuino per prendere appunti.”
Finalmente distoglie lo sguardo da Van Pelt, guardandomi con una smorfia imbarazzata “Non sto facendo nulla di male, T/n.”
“Oh, sì, certo. Guardarla con gli occhi a cuore non conta, giusto?” ribatto, senza sforzarmi di trattenere il sarcasmo “Senti, fratellone, capisco che tu abbia un debole per Grace, ma magari potresti… come dire… renderti meno ovvio?”
Rigsby si passa una mano sul viso, evidentemente in imbarazzo “Non sto cercando di essere ovvio” borbotta “È solo che… non posso fare a meno di guardarla, ok?”
Scuoto la testa, divertita “Wayne, tu sembri un adolescente innamorato alla sua prima cotta. È quasi tenero… ma è anche, come dire… penoso.”
Lui sospira e abbassa lo sguardo “Non è così semplice, T/n. Grace è diversa dalle altre. È brillante, onesta, buona. Con lei… beh, con lei sembra diverso.”
Gli rivolgo un sorriso indulgente “Lo so, Wayne. Ma forse dovresti trovare il modo di parlare con lei invece di fissarla come se fosse un quadro al museo. Lo sai, no? Le donne amano l’intraprendenza.”
Mi lancia uno sguardo pieno di dubbio “Parlare con lei? E dire cosa? ‘Hey, Grace, ciao, sai, da mesi ti guardo come se fossi un miracolo, ecco… ehm, ti va un caffè?’?”
Mi scappa una risata “Potresti partire con qualcosa di meno inquietante, certo, ma non sei così lontano. Basta un po’ di naturalezza, Wayne. Chi sa? Magari Grace non è così cieca come credi.”
Rigsby abbassa lo sguardo, ancora combattuto, e scuote la testa “Lascia stare, T/n. Lei non vedrebbe mai qualcuno come me in quel modo. Sono… sono troppo… non so nemmeno come definirmi.”
“Oh, ho una lista di definizioni,” rispondo scherzosamente “Ma nessuna di queste è così negativa come pensi. Senti, la smettiamo di fare i drammi e la smetti di fissarla?”
Lui ride sommessamente, in un modo che tradisce tutta la sua frustrazione.
Poi si schiarisce la voce e annuisce “Hai ragione. Devo darmi una regolata.”
Gli batto una pacca sulla spalla, incoraggiante “Bravo, è già un inizio. Per ora cerca di non farti beccare da Lisbon, o finirai per passare i prossimi mesi a fare solo turni notturni.”
Lui ridacchia, ma so che sta ancora pensando a Grace.
Mi viene una punta di tenerezza.
Anche se Wayne mi esaspera spesso, non posso fare a meno di volergli bene, come una sorella che sa tutti i suoi segreti più imbarazzanti.
Mi giro per tornare alla mia scrivania, soddisfatta di aver tirato fuori Wayne dal suo romanticismo a distanza, quando lo sento mormorare alle mie spalle.
“Sai, T/n…” inizia, con un tono stranamente pensieroso.
Mi fermo e mi volto a guardarlo, alzando un sopracciglio. “Cosa?”
Lui abbassa la voce, come se stesse per rivelare un segreto scottante, ma al contempo sembra divertito “Tu prendi in giro me per come guardo Grace, ma… hai mai notato come guardi tu Jane?”
Lo fisso per un secondo, un po’ scioccata.
Wayne, che di solito è il tipo da battute leggere e risate facili, ha appena affermato qualcosa che mi lascia — per la prima volta, forse — senza parole.
“Cosa?” riesco a dire, mantenendo un tono il più possibile neutro.
“Dai, T/n” sorride lui, incrociando le braccia, sicuro di sé come non mai “Non fare l’innocente. Ti vedo, sai? Quando lo guardi... sembri quasi ipnotizzata.”
Non posso credere che stia davvero insinuando questo.
Sbuffo, cercando di nascondere il mio disagio dietro una risata sarcastica “Oh, per favore, Wayne. Jane è… è un amico. Siamo colleghi da anni, e lo sai benissimo.”
“Mhh… sarà,” mormora lui, lanciandomi uno sguardo carico di significato prima di girarsi e tornare alla sua scrivania.
C’è un sorrisetto divertito sulla sua faccia che mi fa venire voglia di lanciargli qualcosa addosso, ma mi trattengo.
Cerco di scrollarmi di dosso la sua insinuazione, anche se una parte di me non può fare a meno di chiedersi: e se fosse vero?
Certo, Jane è… Jane.
L’infame consulente dalla parlantina ipnotica, capace di farmi sentire invisibile e al centro del suo universo al tempo stesso.
Ma no, non c’è niente di strano.
Solo buon vecchio Patrick Jane, che sa come entrare nella testa di tutti, anche nella mia.
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Non passa neanche un quarto d’ora prima che Lisbon ci chiami tutti nella sala riunioni.
Arriva con una cartellina spessa, camminando a passo rapido e deciso.
Il suo sguardo è serio, più del solito, e capisco immediatamente che c’è qualcosa di grosso.
Jane è già lì, seduto su una sedia con il solito atteggiamento svagato, anche se noto un leggero irrigidimento nelle spalle.
Cho e Van Pelt entrano subito dopo di me e Rigsby, chiudendo la porta alle loro spalle.
Il silenzio è palpabile, quasi come se l’aria stessa si fosse fatta più densa.
Lisbon si ferma davanti a noi, scrutandoci con un’intensità che raramente mostra.
“Abbiamo appena ricevuto una chiamata dal dipartimento centrale” esordisce, senza preamboli “È successo qualcosa. Qualcosa di grosso”
Jane incrocia le braccia e inclina la testa, un accenno di curiosità nei suoi occhi azzurri, che diventano più freddi, quasi gelidi.
Mi sento improvvisamente a disagio, come se stessimo per scoprire qualcosa che tutti noi vorremmo evitare.
“Si tratta di un caso… collegato a John il Rosso” continua Lisbon, e un silenzio di tomba cala sulla stanza.
Per un attimo, mi sembra che l’intero ufficio scompaia intorno a noi.
La consapevolezza colpisce ognuno di noi in modo diverso: Rigsby sembra irrigidirsi, Cho rimane impassibile come sempre, mentre Grace si porta una mano alla bocca.
Io cerco di mantenere la calma, ma non posso fare a meno di gettare un’occhiata a Jane, cercando di cogliere la sua reazione.
Lui è immobile, le labbra tese in una linea sottile.
È come se ogni emozione fosse scomparsa dal suo viso, lasciando solo un vuoto gelido.
Ma conosco Jane abbastanza da sapere che dentro di lui si sta scatenando una tempesta.
La sua ossessione per John il Rosso è qualcosa che va oltre il lavoro, oltre la giustizia, è personale, viscerale.
Lisbon ci osserva per un momento, forse cercando di valutare quanto siamo pronti ad affrontare ciò che sta per dirci.
Poi tira fuori una serie di foto dalla cartellina e le posa sul tavolo, una accanto all’altra.
“Sono state trovate tracce di un modus operandi… che ricorda molto quello di John il Rosso” spiega, la voce ferma ma tesa “La vittima è stata ritrovata con il simbolo…”
Mi si chiude lo stomaco.
Conosco quel simbolo.
Lo abbiamo visto in foto, nei rapporti, nei racconti di Jane.
Un cerchio con un ghigno disegnato col sangue: il marchio di John il Rosso, la firma macabra che lascia dietro di sé come una beffa.
Guardare Jane in questo momento è quasi doloroso.
So cosa significa per lui; ogni volta che si parla di quel mostro, qualcosa in lui si spegne, come se una parte del suo passato fosse richiamata alla vita.
“Quando è stato trovato?” chiedo, cercando di riprendermi.
La mia voce è stranamente bassa, quasi come se temessi di disturbare qualcosa di sacro.
“Questa mattina, in una casa isolata alla periferia” risponde Lisbon “Non ci sono testimoni, né segni di effrazione. La vittima era sola in casa.”
Jane guarda le foto, e per la prima volta da quando ci conosciamo non riesco a leggere nulla nei suoi occhi.
Sembra… assente, come se una parte di lui fosse già altrove, già impegnata in una battaglia invisibile.
“Dovremo esaminare ogni singolo dettaglio” dice Cho, professionale come sempre “Non possiamo escludere la possibilità che qualcuno stia imitando John il Rosso.”
Lisbon annuisce “Esatto. Ma dobbiamo essere pronti a qualsiasi eventualità. Se fosse davvero lui…”
“Se fosse lui…” mormora Jane, quasi tra sé, con un sussurro che è a metà tra un brivido e una promessa “Finalmente…”
Sento un nodo in gola.
Tutti noi sappiamo cosa John il Rosso ha fatto a Jane.
Come gli ha portato via tutto.
Nessuno di noi può davvero immaginare cosa significhi vivere con un dolore simile, un vuoto che sembra impossibile da colmare.
Eppure, vedendolo ora, posso percepire quanto questa caccia sia diventata il suo unico scopo.
“Quindi… qual è il piano?” chiedo, cercando di mantenere un tono pratico.
Lisbon incrocia le braccia e ci guarda uno a uno, come per assicurarci della nostra determinazione “Rigsby, Van Pelt: voglio che setacciate ogni dettaglio sui movimenti della vittima negli ultimi giorni. Contatti, luoghi frequentati, tutto. Ogni minimo particolare potrebbe fare la differenza.”
“Cho, T/n” continua, rivolgendo poi a me uno sguardo che è quasi di avvertimento “voi andrete sulla scena del crimine. Esaminate tutto, e intendo tutto. Dobbiamo scoprire ogni dettaglio, ogni possibile connessione con John il Rosso.”
Annuisco, cercando di ignorare la morsa di inquietudine che mi si stringe attorno.
Cho rimane impassibile, come se stessimo per uscire a prendere un caffè, ma so che anche lui sente la pressione.
Nessuno vuole fallire in un caso come questo, non quando c’è di mezzo un mostro come John il Rosso.
E poi c’è Jane.
Lisbon lo guarda, e c’è qualcosa di indescrivibile nel suo sguardo.
Una sorta di intesa silenziosa, un legame che va oltre le parole.
Sa che questo caso lo riguarda più di chiunque altro, ma sa anche che questa ossessione potrebbe consumarlo.
“Jane…” dice, esitando appena “so che vuoi… fare qualcosa. Ma ti chiedo di essere prudente.”
Jane le risponde con un sorriso enigmatico, che però non riesce a nascondere il fuoco nei suoi occhi “Prudente? Oh, Lisbon, non preoccuparti. So esattamente cosa sto facendo.”
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Raggiungiamo la scena del crimine in meno di mezz’ora.
La casa è una piccola abitazione isolata, circondata da alberi e nascosta alla vista, come se fosse un mondo a sé stante.
Entriamo e, nonostante gli anni di esperienza, sento il gelo dell’orrore avvolgermi.
Sulle pareti ci sono ancora i segni della lotta, tracce che parlano di un ultimo, disperato tentativo di salvarsi.
Le tracce nella casa ci parlano subito, ma il loro linguaggio è crudele e caotico.
Sangue rappreso, mobili rovesciati, brandelli di vestiti strappati.
È come se le pareti stesse avessero assorbito la paura della vittima.
Mi fermo un attimo, lasciando che i dettagli affiorino lentamente alla mia mente, mentre Cho si muove con precisione chirurgica, esaminando ogni angolo.
Jane è stranamente calmo, o almeno sembra.
Si aggira per la stanza in silenzio, le dita che sfiorano lievi le superfici come se sentisse ciò che noi non riusciamo a vedere.
Osserva, annusa l’aria, scruta ogni minimo dettaglio.
Gli occhi si muovono da un angolo all’altro, come se stesse leggendo un libro invisibile.
"Jane," dico piano, rompendo il silenzio "hai trovato qualcosa?"
Si volta verso di me, e per un istante il suo sguardo è talmente intenso che quasi mi scosto.
È come se mi avesse già risposto, ma non con le parole, con uno sguardo che sembra più lontano di quanto vorrei.
"È lui" dice semplicemente, e in quelle parole c’è un’enorme, ineluttabile certezza.
Cho smette di esaminare una macchia sul pavimento e alza lo sguardo verso Jane "Sei sicuro? Potrebbe essere un imitatore."
"Cho" risponde Jane, scuotendo leggermente la testa "lui non si lascia imitare. Chiunque lo faccia, finirebbe con l’essere solo una versione debole di John il Rosso. E questo" fa un gesto intorno, indicando il caos ordinato della stanza "è… autentico."
Qualcosa nella sua voce mi fa venire i brividi.
Jane sembra quasi ammirare la meticolosità di John il Rosso, come se riconoscesse in lui un’intelligenza maligna, un macabro genio che lui solo può comprendere.
E questa consapevolezza mi fa sentire terribilmente vulnerabile.
Jane ha passato anni a inseguire quel mostro, a comprenderne i metodi e le motivazioni, ma c’è una parte di me che non riesce a fidarsi completamente di ciò che potrebbe fare per catturarlo.
"Senti qualcosa in particolare?" gli chiedo, cercando di non apparire troppo ansiosa.
Jane mi guarda con un mezzo sorriso, ma c’è una stanchezza infinita nei suoi occhi "T/n, questo non è solo un omicidio. È un messaggio. Ogni segno, ogni dettaglio qui è stato lasciato appositamente per noi. Per me."
"Per te?"
Jane annuisce, incrociando le braccia "John il Rosso sa che lo sto cercando. Sa che non mi fermerò. E questa…" indica il corpo senza vita della vittima "è una risposta. Mi sta dicendo che mi vede, che sa dove sono e che è pronto a giocare."
Cho alza gli occhi al cielo, chiaramente a disagio con questa personalizzazione del caso "Jane, non è un gioco. È un omicidio. E dobbiamo trovare prove concrete, non metafore."
"Sì, certo" risponde Jane con una punta di ironia "ma fidati, Cho, le prove sono lì per chi sa leggere i messaggi."
Incrocio le braccia e faccio un respiro profondo.
Questa conversazione sta prendendo una piega che non mi piace affatto.
Il modo in cui Jane parla di John il Rosso, con quella specie di rispetto distorto, mi fa rabbrividire.
Cerco di concentrarmi su ciò che posso fare, su ciò che è razionale e tangibile, ma Jane sembra già distante, già immerso in un altro mondo.
A un certo punto noto una piccola incisione sul bordo di una finestra, qualcosa che potrebbe facilmente sfuggire all’occhio distratto.
È un simbolo, una specie di piccolo cerchio tracciato con precisione, quasi invisibile.
Faccio un cenno a Jane, che si avvicina e studia l’incisione, l’espressione seria.
"Cosa pensi?" gli chiedo, cercando di capire se anche lui ha notato quello che penso.
"Lui… ci tiene a lasciarmi un segno, un filo da seguire" Jane sfiora il simbolo con la punta delle dita "Sa che mi avrebbe condotto fin qui. Sta giocando una partita di scacchi, e questo…" indica l’incisione "è la sua prossima mossa."
Cho scuote la testa, leggermente scettico "Se è così sicuro di sé, vuol dire che sta sottovalutando noi, e questo potrebbe essere il nostro vantaggio."
"Sì, ma non dobbiamo prendere sotto gamba la sua sicurezza" ribatto, più per me stessa che per lui "Se ha lasciato quel segno, è perché vuole che Jane lo trovi, vuole che faccia esattamente quello che sta facendo."
Jane mi lancia uno sguardo di approvazione, quasi compiaciuto "Proprio così, T/n. Lui vuole che io lo insegua. Vuole che io giochi."
Il silenzio cala di nuovo, denso e pesante.
Non so se siamo pronti per affrontare davvero tutto questo.
La verità è che Jane è l’unico di noi in grado di decifrare quel simbolo, e lui lo sa.
Percepisco una scintilla di eccitazione nei suoi occhi, una sete di vendetta che potrebbe essere la sua forza, ma anche la sua condanna.
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Passano un paio d’ore, e finalmente torniamo in ufficio, portando con noi i pochi indizi che siamo riusciti a raccogliere.
Ci sediamo nella sala riunioni, con Lisbon che ci aspetta, gli occhi vigili e attenti.
"Avete trovato qualcosa?" ci chiede, senza perdere tempo in convenevoli.
Jane annuisce, e con una calma glaciale, inizia a descrivere l’incisione trovata sulla finestra, il simbolo che John il Rosso ha lasciato per lui.
Lisbon ascolta attentamente, ma il suo sguardo è carico di preoccupazione "Jane, non so se sia saggio entrare in questa… partita" dice, cercando di misurare le parole "Non possiamo permettere che questa ossessione prenda il controllo."
Jane sorride, ma è un sorriso amaro, stanco "Teresa, è già troppo tardi. Questa ossessione mi ha preso il controllo molto tempo fa."
Lisbon sembra voler dire qualcosa, ma si trattiene, come se temesse che qualunque parola possa solo peggiorare la situazione.
Alla fine annuisce, rassegnata "Va bene, ma abbiamo bisogno di una strategia. Non possiamo lasciare che lui ci manovri. Dobbiamo anticipare le sue mosse."
"E come facciamo a prevedere uno psicopatico che si diverte a giocare con noi?" chiede Rigsby, con un tono esasperato.
Jane lo guarda, il volto improvvisamente serio "Non si tratta di prevedere. Si tratta di pensare come lui, di capire la logica distorta che lo guida. Lui vuole che io reagisca, e lo farò. Ma a modo mio."
Mi sento un nodo in gola.
Jane è pericolosamente vicino a diventare come il mostro che sta cercando.
Il confine tra caccia e ossessione è sottile, e temo che, se non stiamo attenti, lo perderemo per sempre.
"Quindi cosa facciamo ora?" chiedo, cercando di mantenere il sangue freddo.
Jane mi guarda, e nei suoi occhi vedo una determinazione feroce "Ora aspettiamo. John il Rosso ha fatto la sua mossa, ora tocca a noi rispondere. Ma stavolta… sarò io a scegliere le regole del gioco."
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