9.I protect you not the chip

Note: Pubblico questo capitolo in una giornata piovosa(almeno dalle mie parti) Spero che vi terrà compagnia, ha richiesto 24 pagine di word, e quindi incrocio le dita augurandomi che non vi annoi! Credo sia uno di quei capitoli che, proprio per il suo contenuto, o lo si ama o lo si odia.  NB: Ho trattato una tematica abbastanza delicata: il terrorismo. Non è chissà quanto approfondita, quindi chiunque può leggere, ma se dovesse urtarvi, saltate i periodi. Spero che troviate pochi orrori! Mi auspico di sentirvi, adoro i vostri commenti!



9.Io proteggo te non il chip

Liberarsi non fu semplice, ma neanche impossibile. Grazie all'uso di pinzette trovate sotto pile di documenti, Newt riuscì a svincolarsi nel giro di cinque minuti. Respirò vittorioso notando di aver fregato per l'ennesima volta quel moccioso di Thomas, sì, per lui quello era soltanto un bambino cresciuto male, sregolato e privo di autocontrollo, nulla più.

Sbuffò, massaggiandosi con la mano destra il polso sinistro. Aveva tenuto quella sottospecie di catena per alcuni minuti, e il braccio in quel punto già gli doleva, odiava quanto fosse delicato. Un pugno a Terminator sarebbe stato d'obbligo, soprattutto dopo essere stato strattonato, spinto al muro, condotto in un bunker e ammanettato.

Era davvero buffo che un tizio che a malapena conosceva, più piccolo di lui, lo trattava in quel modo, avrebbe dovuto vendicarsi al più presto.

Lo sguardo vago cadde sul foglietto, lo stesso che gli aveva dato lo sprint per liberarsi quanto prima. Il respiro pareva essersi bloccato in gola, i pensieri addossati l'uno all'altro, creavano altra confusione, un black out nel suo cervello sarebbe stato meno irritante.

Sapeva perfettamente che quello sulla carta era l'indirizzo cui Thomas era diretto, ma non riusciva a decidersi: chiamare Minho per così avvisare l'Intelligence, o continuare da solo seppure più rischioso?

Terminator era diretto a un ospedale, non a un quartiere del South Bronx, eppure avvertiva qualcosa di profondamente negativo; da quando le sue orecchie avevano sentito, "Hai già rischiato", la sua mente si era fossilizzata sugli scenari peggiori, restandoci.

Si chiese chi fosse la persona tanto importante da farlo viaggiare oltreoceano; un amico, un parente malato terminale? Non ci sarebbe stato niente di male nel dirlo alla base, né riusciva a capire quali rischi comportasse l'incontro con una persona ricoverata, almeno che il problema fosse proprio la persona stessa.

Si mordicchiò il labbro, agitato. Stava davvero prendendo in considerazione il parere dei suoi ex colleghi del FBI, lo stesso che aveva schernito tempo addietro: per qualche strana ragione, Teresa Agnes poteva essere ancora viva.

Senza neanche accorgersene, aveva già deciso; inconsapevolmente il pollice aveva premuto il tasto di spegnimento del cellulare, apparendo irraggiungibile a chiunque avesse provato a chiamarlo, soprattutto alla CIA.

Posò l'indirizzo nella tasca dei pantaloni assieme alla foto di Thomas e Teresa,- sarebbe sempre potuta tornargli utile- e lanciò un'occhiata scrutatrice all'ambiente minuto e losco del bunker: la bianca lavagna era ricoperta da appunti disordinati, li guardò di sfuggita, notando che tutti avevano nozioni sulla stessa persona.

Era ovvio che Thomas stesse cercando lei, chissà da quanto tempo andavano avanti le ricerche, certamente all'ospedale doveva incontrare un informatore.

A5 pensò a quanto dovesse essere straziante essere sulle tracce di qualcuno, illudersi di essere giunti a una conclusione, per poi constare di aver fatto l'ennesimo buco nell'acqua. Invidiava la temerarietà e l'insistenza con cui Thomas si gettava a capofitto, continuando a lottare, senza perdere la speranza.

Rivolse uno sguardo rattristato alla medicazione, sperando che per il troppo strapazzo i punti non si fossero nuovamente scuciti.

Li sentì tirargli la pelle, accarezzò la benda; gli parve di sentire ancora le mani di quello, delicate come piume, sfiorargli il braccio e medicarlo al meglio.

In automatico la mente revocò gli attimi di poco prima: la fuga mano nella mano, e quel momento che ritraeva Thomas a torso nudo, che cautamente gli fasciava la ferita. Che poi ... non aveva mica capito perché si fosse privato della maglia, fatto sta che era stata una bella visuale nonostante l'incredibile circostanza. A solo pensiero arrossì, in profondo imbarazzo. Possibile che nonostante tutto Thomas gli piacesse proprio in quel senso?

Scosse il capo, rimproverando se stesso di tornare alla realtà. Si diresse rapido nello stanzino - dove il collega aveva preso il kit medico- in cerca di armi. Dovevano esserci pistole e munizioni.

Gettò lo sguardo un po' ovunque, ma nonostante avesse messo a soqquadro ogni cosa presente, suo malgrado, trovò soltanto delle birre, dei sandwich andati a male e ... della vodka? Corrugò le sopracciglia, sapeva che Thomas aveva qualche rotella fuori posto, ma non che fosse alcolizzato a tutti gli effetti.

Quella scoperta lo distrasse al tal punto da farlo inciampare in alcune carte arrotolate, gettate alla rinfusa sul pavimento. Incuriosito, si calò per afferrarle e, prestando attenzione a non stracciarle, le spiegò.

Si rivelarono articoli di giornali, precisamente del "The times of India", quotidiano scritto prettamente in inglese. Erano datati mesi prima, combacianti con il periodo della scomparsa dell' Agnes.

La testata e l'immagine concentravano proprio l'attenzione su di lei, in compagnia di altre due persone: una donna bionda di mezz'età e un uomo di qualche anno più giovane. Erano etichettati con un titolo intimidatorio: il trio del terrore. Newt aprì e chiuse gli occhi diverse volte, scettico.

Interessato, scorse lo sguardo per leggere. Doveva esserci un errore. Non poteva trattarsi di Teresa, non quando a lei erano connessi avvelenamenti, attentati ...

Una scarica lo ibernò sul posto, quell'ultima parola lo aveva shockato più delle precedenti.

Assettato dalla curiosità e invaso dalla paura, cominciò a scorrere lo sguardo per una rapida lettura, voleva saperne di più. I brividi aumentavano smisuratamente man mano che proseguiva, e il terrore s'impossessava di lui.

Una giovane agente dell'Intelligence non poteva aver scelto davvero quella strada di profondo orrore, diventando milite della Wicked - società di mali affari e acerrima nemica dell'Intelligence americana- che a quanto narrava il brano, era approdata in fatti ancora più gravi: il terrorismo.

Boccheggiò, leggendo che il soprannome della giovane fosse "la donna bomba", non seppe come, ma la sua mente si concentrò su tutti gli attacchi di profondo terrore commessi da uomini in diverse parti del mondo, conosciuti come kamikaze. Perché quell'articolo l'aveva definita tale? Poteva davvero esserci quel rischio?

Si morse veemente il labbro, le mani avevano cominciato a tremare senza fermarsi, sperò che fosse soltanto una sua paranoia e che Teresa non c'entrasse.

Lanciò i fogli in aria, e con l'ansia in gola riprese a cercare le armi, diede un'occhiata fugace sotto il letto ma nulla. Rovistò sulla scrivania, ma a parte post-it remoti non c'era nulla di interessante. Provò a tastare con i piedi le mattonelle, per vedere se vi fosse un doppio fondo, ma quel bunker non sembrava attrezzato con tanta intelligenza. Scostò anche il materasso, sicuro di non trovarvi niente e, invece, una scatolina quadrata color cremisi, gli risaltò all'occhio. Protese la mano per afferrarla.

La forma gli ricordava un oggetto importante, suggellante l'unione tra due persone, ne aveva viste di simili anche nei film, ma non comprendeva che senso avesse in un ambiente tanto lugubre quanto un bunker.

Deglutì, avvertendo la gola d'improvviso seccarsi, il respiro e la saliva stagnarsi nella trachea, soffocante. Aprirla avrebbe richiesto assai coraggio, ma almeno avrebbe spazzato via ogni minimo dubbio, evitando di temporeggiare. 

Decise di farlo, irrigidì la mascella, e con occhi chiusi e l'espressione da "o la va o la spacca" ne sollevò la parte superiore. Si meravigliò dell'insolita audacia, anche se la parte difficile doveva ancora affrontarla. Con un nodo in gola, e l'inarrestabile tremolio delle mani, lentamente schiuse gli occhi, guardandola; quella visione confermò i dubbi, pietrificandolo.

Tra le proprie mani, si trovò un anello, in argento placcato erano incise due iniziali:"T &T" non era roba da geni capire a chi appartenessero.

Per Newt fu un colpo all'anima. Seduto sul materasso dalle lenzuola azzurre, impiegò un po' a capire, poi si alzò di scatto, come se qualcuno gli avesse ustionato i glutei. Probabilmente quel bunker era il covo d'amore di quei due e, proprio su quel letto, avevano consumato il loro ardore. Un'immagine del genere gli causò un conato di vomito risalente dal tubo gastrointestinale, di seguito gli girò la testa, costringendolo ad aggrapparsi alla scrivania.

Perché diamine si sentiva come se un tir lo avesse investito in pieno? Tra lui e il moro non era accaduto nulla, non c'era niente, eppure quella era la reazione di un liceale rifiutato da un etero. Una gran bella botta.

Boccheggiò, senza parole, aveva ricevuto diversi shock in quella giornata, ma quello era sicuramente il peggiore.

Non riusciva a capacitarsi che un tipo come Thomas, che prendeva tutto sottogamba, avesse il coraggio di fare il grande passo. È vero, lo conosceva da sì e no due settimane, ma gli sembrava comunque un ragazzo sprovveduto, lontano anni luce da una vita seria e matrimoniale. A venticinque anni la gente voleva ubriacarsi, rare coppie che volevano stare insieme 24 h su 24 sceglievano la convivenza, non c'era bisogno di congiungere in matrimonio, eppure Thomas ne aveva sentito l'esigenza.

Un anello di fidanzamento avrebbe portato a un matrimonio sicuro, significava che amava davvero Teresa, al punto da impegnarsi con lei per la vita.

Accennò un ghigno nervoso misto alla mestizia. Si sentiva ridicolo di come avesse lontanamente pensato che A2 fosse omosessuale o almeno bisex; il moro lo aveva istigato diverse volte e in svariate circostanze con frasi e atteggiamenti fraintendibili, ma evidentemente aveva scherzato, si era trattato di un gioco. Forse il chip gli aveva fornito informazioni riguardanti il suo orientamento sessuale e, da etero ignorante omofobo si era divertito a schernirlo, illudendolo con piccoli segnali.

Guardò la propria immagine riflessa nel piccolo specchio appeso alla parete. Non era un bello spettacolo, per niente. Gli occhi erano scavati e scuri, delle occhiaie violacee risaltavano sulla pelle marmorea, le labbra secche erano leggermente gonfie per i morsi inflittogli dal nervosismo. I capelli scomposti gli davano un'ulteriore aria stremata. Passò la mano sulla fronte, portandola davanti al viso, esausto.

Non aveva gran voglia di azione o gesti eroici, ma senz'altro quella giornata poteva peggiorare se non si fosse mosso. Aveva seguito Thomas fino in India per scoprire cosa stesse nascondendo, e ora che era a un passo dalla verità, non poteva perdere tempo a crucciarsi come una fanciulla sfigata che attendeva l'arrivo del principe azzurro per salvarla.

In quel momento Terminator poteva star varcando la linea sottile tra vita e morte, e a lui toccava salvargli la pelle.

Tornò in sé, riponendo l'anello nella scatola, sotto il materasso.

Sistemò per bene la scala sotto l'apertura della botola e vi salì, sperando di agire indisturbato.

Più della confusione, il biondo temeva il silenzio, e fu proprio quello che lo invase una volta uscito dall'abitazione.

Lo sguardo circospetto era fisso sull'ambiente attiguo. Le strade erano deserte, fatto inusuale nelle periferie; gli spacciatori erano presenti a qualsiasi ora del giorno e della notte, eccetto in quel momento, probabilmente anche loro avevano temuto gli spari al mercato.

Si chiese a che ordine potessero appartenere i cecchini che gli avevano sparato addosso, escludeva delinquenti del posto, bensì credeva che fossero militi della Wicked, seppure gli sfuggisse il motivo per cui avessero sparato in direzione di Thomas.Se Teresa - new entry di quella brutale organizzazione- e il collega erano una coppia, lei non avrebbe dovuto volere la sua morte.

Confuso, continuò ad avanzare, per un attimo avrebbe voluto liberare la mente, concentrandosi sul trovare un taxi per arrivare in breve tempo all'ospedale.

Si strinse nella giacca nera di pelle, riparandosi dalle forti folate di vento, poco gentili nei primi giorni di Dicembre. Il sole, quel poco visibile, era nascosto da nuvoli grigi prorompenti.

"Ci manca soltanto la pioggia." Ponderò pessimista, sperando che così non fosse.

Per strada non c'era anima viva, non se ne meravigliava, visto il terrore di scarso mezzo ora fa.Il panico si era steso a macchia d'olio tra la gente, era ovvio che tutti avessero cercato riparo nelle loro case, sperando almeno lì di essere al sicuro.

Si auspicò vivamente di non imbattersi nuovamente nei tiratori scelti, era disarmato e una buona mira, gli avrebbe impedito di raggiungere Thomas, condannando entrambi a morte certa a distanza di kilometri. Mandò giù un groppo di saliva, eliminando dalla mente quella terrificante probabilità.

Nonostante si guardasse le spalle, attorno, da un tetto, qualcuno lo stava osservando. Lo sconosciuto avvicinò la radio trasmittente alla bocca, zoomando la visuale sulla figura del giovane agente.

«Sì, capo Strand. È proprio lui, a breve vi manderò la posizione.» Avvisò, interrompendo la conversazione.




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Newt credette si trattasse di un miraggio quando distrattamente notò un'auto gialla sfrecciare in strada. Sollevò lo sguardo, speranzoso. Cominciò a correre all'impazzata, per non perderlo.«Taxi...»Esternò ad alta voce, senza neanche accorgersene, le gambe avevano cominciato a muoversi, celermente. «Taxi!»Urlò di nuovo, avrebbe voluto prendere una scorciatoia per sbucare proprio davanti al veicolo, ma non conosceva quelle strade, preferì non rischiare.

Le braccia si muovevano seguendo le gambe, i polmoni bruciavano in cerca di aria e lo sguardo, illuminato da scintille di speranza, era attraversato da scariche di determinazione; seppure fosse distrutto -fisicamente e moralmente-, doveva farcela, per il bene di Thomas.

In breve tempo uscì dai campetti isolati, percorrendo a perdifiato qualche metro dietro l'auto gialla, alzò la mano in segno di stop, sperando che l'autista si accorgesse di lui tramite specchietto retrovisore, dopo qualche secondo l'auto frenò; Il giovane con un sorriso fiero in volto accennò una corsetta finale; arrivato, aprì la portiera, occupando posto ai sedili posteriori.

Lasciò stare i saluti convenevoli, sbottando direttamente«Mi porti all'ospedale A.C.N» L'uomo mosse il capo in cenno affermativo, impostò la prima marcia e partì.

Newt cominciò a mordicchiarsi le labbra, assieme alle pellicine delle mani. Dire che fosse teso sarebbe stato abbastanza riduttivo. Si muoveva più e più volte, grande difetto che si portava dietro dalla tenera età di quindici anni, quando era a rischio di interrogazione e non aveva studiato in modo decente. L'aveva etichettato come casi di AA corrispondente ad alta agitazione o ancora ansia.

Si acconciò per bene sul sedile, lanciando una fugace occhiata alle sue spalle, gli fu evidente un'auto nera, l'unica sulla strada a parte quella in cui viaggiava. Strano, la via era deserta e l'andamento del tassista peggio di una tartaruga, avrebbe fatto imprecare chiunque, osando un sorpasso.

Aggrottò la fronte, basito; probabilmente in India il sorpasso era vietato, non che fosse una spiegazione ammissibile, ma almeno lo tranquillizzò per pochi istanti. Portò lo sguardo sulla Delhi urbana, era davvero un bel panorama; si promise che l'avrebbe visitata in futuro, appena l'Intelligence gli avrebbe permesso di staccare la spina e concedergli un dovuto riposo con delle ferie. L'autista svoltò diverse volte, prima di fermarsi dinanzi a un edificio, molto ben composto.

Si voltò verso Newt, avvisandolo di essere arrivati a destinazione. Per il tragitto, il giovane era stato tanto impaziente di arrivarci e, ora che era davanti al vialetto, l'ansia lo invadeva da capo a piedi, sbarrandolo.

Gli occhi erano fissi sulla maestosa facciata: ai piani superiori non c'erano le usuali finestre bensì le porte-finestre, che aiutavano maggiormente ad aerare le stanze dei pazienti. Le panchine nei giardinetti adornavano l'ambiente rendendolo più accogliente, dei lampioni illuminavano le fredde serate e una lunga piscina ostentava parallela alla struttura.

A rompere il silenzio fu l'anziano, che riportò Newt sul pianeta terra.«Più stiamo, più alza.» Informò in un inglese mangiucchiato, indicando il tassametro.

«Ma siamo fermi!» Ribatté l'agente, senza parole.

«Fermi ma in taxi.» Controbatté il vecchio, stringendosi nelle spalle. Al giovane non restava altro che pagare la somma richiesta, diede la banconota, scendendo subito dall'auto. Respirò lentamente, avvertiva l'ansia fluire assieme al sangue nelle vene, allargò la visuale attorno a sé e quasi si paralizzò notando l'uomo dell'auto nera scendere dalla vettura. Deglutì e, cercando di reprimere la convinzione che fosse seguito, entrò all'ospedale. Per essere un ospedale era accogliente anche all'interno: un profumo di ammoniaca lo aveva invaso appena messo piede, delle signore in camice azzurro-addette alle pulizie- stavano lavando le scale.

Subito si diresse alla receptionist del pronto soccorso; una donna con uno chignon e dagli occhi verdi teneva in una mano il telefono, con l'altra appuntava qualcosa sul blocco sull'agenda. Si avvicinò, lei gli fece cenno di aspettare;

Agganciò dopo pochi istanti, debuttando con una frase di cortesia. «Come posso esserle utile?»

«Salve. »Presentò, calmo. «Un mio amico è venuto qui, ho urgente bisogno di incontrarlo. È alto, ben piazzato, moro...» Elencò vago, cercando di fornire quante più informazioni possibili. La donna smorzava il labbro, taciturna..«Aspetti, le mostro una foto.» Insisté il giovane, sperando di strapparle un minimo indizio. Cacciò fuori dalla tasca l'immagine di Thomas e Teresa, aveva fatto bene a prelevarla. « È qui, sa dirmi soltanto a che piano è andato?» Chiese, cadenzando ogni parola. Sentiva il terrore pungergli nelle vene, temeva che fosse troppo tardi, o che peggio, Thomas fosse altrove e stesse perdendo tempo sbagliando tutto.

«Mi dispiace, ma vige la privacy. Non posso rivelare informazioni del genere, non so lei chi sia.» Riportò con profilo basso, rifiutandosi di continuare la conversazione e far cenno al prossimo di avanzare.

Newt passò la lingua tra le labbra, innervosito. Estrasse il portafoglio con inciso il distintivo e lo presentò.«Sono l'agente A5 della CIA cyber command americana, dica alla sorveglianza di far evacuare tutti i pazienti, dottori, infermieri, che vadano nell'ospedale più vicino.» Tuonò impeccabile, sperando che bastasse. La signora aveva un viso terreo, la bocca spalancata in un'espressione di meraviglia mista allo spavento. «Non faccia domande, si limiti a dire che c'è un guasto, non diffonda panico. Tutti devono abbandonare la struttura nel minor tempo possibile.» Avvisò, mantenendo la calma. La donna lo guardava immobile, senza accennare minimo movimento. «Adesso che sa chi sono, può dirmi dov'è?» Ripeté conciso.

Mosse il capo veemente in segno affermativo in segno affermativo più e più volte, scandalizzata; «Mi sembra il terzo, zona est parallelo al lato piscina.» Newt la ringraziò tacitamente, e mentre lei si affrettava a dare l'allarme, lui si precipitò a chiamare l'ascensore. Schiacciò il pulsante in contemporanea a qualcun altro. Inevitabilmente, sollevò il capo per scusarsi, ma si bloccò, constatando che si trattasse del guidatore dell'auto nera. Irrigidì la mascella, lo sguardo tetro.

C'era qualcosa di strano in quell'uomo: era sbucato dal nulla, lo aveva seguito passo per passo seppure ci fossero possibilità di sorpassare, ed era sceso dall'auto appena dopo Newt. Poteva trattarsi di un dottore, un infermiere, il parente di qualche paziente o chiunque altro diretto all'ospedale ma A5 non era stolto, aveva capito che qualcosa non andava, quello teneva i propri occhi inchiodati su di sé, anche in quel momento. Le ante dell'ascensore si aprirono, furono gli unici ad entravi, appena chiuse, lo attaccò. In una rapida mossa lo scaraventò brutalmente contro le pareti, mentre la scatola saliva. Il proprio braccio era premuto forte contro la gola di quello, una presa del genere impediva di respirare e dimenarsi.«Chi diamine sei?» Domandò adirato, rosso in viso. «Perché mi stai seguendo?»Rafforzò la presa, accorto a non allentarla.

Lo sconosciuto aveva cominciato a sgranare gli occhi, il volto era diventato paonazzo tendente al viola, in mancanza di ossigeno. Boccheggiava, in cerca di aria. «No-n so-sono un nemico... » Mormorò a corto di fiato.

«Questo lo dicono tutti, aggiorniamo le battute, mh?»Sentenziò, rinforzando la presa. Di risposta l'altro cercava di liberarsi, con scarsi risultati.

L'uomo accennò colpi di tosse rauca. «Mai saputo che l'Intelligence americana ha basi ovunque? Credimi o no, ma a breve arriveranno le forze speciali. Ho già avvisato Lillian del vostro colpo di testa.» Riferì indolente, abbassando lo sguardo verso la radio trasmittente.

Newt si allontanò di poco, senza abbassare la guardia. In un rapido gesto, aprì la giacca di quello, constatando che indossava per davvero un giubbotto antiproiettile siglato USCC- abbreviazione di United States cyber command-. Era un agente come lui.

Stava per scusarsi, mortificato, ma l'altro mosse la mano in segno di no. La sirena d'allarme era stata accesa, mettendo tutti in allerta.

«Lasciamo stare i convenevoli, non c'è tempo da perdere. Dobbiamo disinnescare la bomba.»Riscosse quello, deciso. Newt si paralizzò, aveva collegato bene i tasselli, c'era davvero un esplosivo.«Affrettati a trovare A2, dai l'allarme a questo piano, io penserò agli altri, e tieni questa... può sempre servirti.» Raccomandò, dandogli una calibro 38.

A5 la impugnò, l'adrenalina assieme al panico scorreva nelle vene. Aspettò che le porte dell'ascensore si aprissero, per scattare in una corsa all'ultimo minuto, gridando a tutti i presenti nel corridoio e nelle stanze:«Fuori dall'ospedale, muovetevi!» 






Thomas sapeva qualcosa, ma non tutto. Qualcuno, mesi prima, tramite un biglietto in anonimato, lo aveva avvisato che, giunto il tre Dicembre, avrebbe dovuto recarsi in New Delhi, all'ospedale A.C.N, terzo piano stanza 351,nel presto pomeriggio. Era stato fin troppo specifico, e a Thomas era sorto più di un dubbio.

Perplessità che con un avviso esaminato dal proprio chip aveva perso.La parte tecnologica di sé gli aveva trillato segnalando:"Soggetto A1 in movimento", dando una rilevante svolta alle indagini che seguiva da mesi.

Lo aveva ricevuto al Barcode, secondi prima che il suo collega lo scaraventasse a terra, salvandolo.

Quel dato lo aveva sconvolto, pietrificandolo. A1 era la matricola appartenente a Teresa Agnes, la sua partner, la sua protettrice, e ragazza che dopo svariate missioni affrontate insieme, aveva capito di amare.

Dopo la morte che tutti davano per certa, trovarsi un messaggio del genere lo aveva spiazzato, accrescendo il caos nella sua mente. Alcuni giornali del posto dicevano che Teresa non era vittima dell'attentato, bensì carnefice, poiché schierata con il fronte nemico. Thomas non ci aveva mai creduto, seppure avesse visto diverse foto che ritraevano la giovane assieme ai fondatori della Wicked.

I quotidiani americani -o per scarsa informazione o per evitare di pubblicare tale disonore- l'avevano conteggiata nelle cinquanta vittime dell'attentato di cinque mesi addietro, inscenando anche un funerale a bara chiusa. Il corpo o parti di esso non erano mai stati ritrovati, e ciò aveva alimentato nel ragazzo la speranza che la compagna fosse ancora viva, seppure pian piano sfumasse non ricevendo sue notizie. Aveva anche pensato che la Wicked l'aveva fatta prigioniera, impedendole di tornare a casa, obbligata sotto tortura ad assistere a stupidi esperimenti. Raggelò al pensiero.

Dei rumori lo distolsero dai pensieri, un insolito caos riecheggiava all'interno dell'ospedale, in modo particolare nei piani inferiori. Un clima del genere era tipico di una partita di baseball non a un ospedale.

Avrebbe tanto voluto affacciarsi, indagare su perché tanto scompiglio, ma diede la priorità a quel biglietto, a quell'incontro anonimo.----

La data, l'ora e il posto erano quelli, sperava soltanto di trovare un informatore in grado di rivelargli tutto ciò di cui aveva bisogno, e finalmente seguire una pista che lo avrebbe condotto a qualcosa di concreto, o almeno a chiarimenti.

A passi lenti si avvicinò alla stanza 351, l'ultima del corridoio, isolata da tutte le altre.

La porta era socchiusa, desideroso di scoprire la aprì. Il troppo silenzio, in contrasto con l'insolito caos nel corridoio, gli fece credere che non c'era nessuno, e che quindi il biglietto fosse uno scherzo di qualcuno che aveva voluto giocare; quando poi fu totalmente all'interno, si accorse di una figura femminile nascosta, in un angolo alla penombra. Doveva essere una dottoressa giacché indossava un camice bianco. Era abbastanza distante, e nel buio risaltava soltanto il grembiule, sopra a un vestiario nettamente più scuro. Teneva lo sguardo rivolto alla grande vetrata della porta-finestra, e le spalle alla stanza. Thomas si toccò la tempia, assottigliando gli occhi in due fessure per mettere a fuoco.

A rallentatore aprì e chiuse gli occhi, provando a schiarirsi le idee: o era un'allucinazione o quella era davvero chi credeva.

Il cuore prese a pulsare troppo velocemente, al punto da credere che a momenti sarebbe sopraggiunto un infarto; i battiti rimbombavano nelle orecchie, ovattando tutti gli altri rumori. Fece un microscopico passo in avanti, atterrito. La donna si voltò, rivelando la propria identità.

I capelli lunghi, leggermente mossi color ebano, si spostarono all'indietro. Le lentiggini presenti sulle gote evidenziavano lo stupore vivo negli occhi azzurri e limpidi, la bocca schiusa in una "o" di meraviglia. Thomas percepì tutto a rilento, incredulo. Provava diverse emozioni contrastanti: incredulità, felicità, tristezza e anche rabbia. Teresa era viva e si era nascosta per tutto quel tempo senza dirgli niente, senza neanche provare a mettersi in contatto?

Aggrottò la fronte, intontito. Trascorsero lunghi attimi di silenzio, in cui rimase inerme a fissare la ragazza davanti a sé. La sorpresa gli aveva offuscato i pensieri, svuotando il cervello. L'espressione incredula, tipica di qualcuno che pareva aver visto un fantasma.

«Tess ... » Chiamò con il nomignolo affettuoso di quando stavano insieme. Aspettò che l'altra gli rivolgesse uno sguardo, una parola ma nulla;«Tu sei viva...»Farneticò, il tono incerto non fece capire pienamente se si trattasse di una domanda o un'affermazione. «L'ho sempre saputo...» Continuò, rilassando i muscoli facciali dapprima tesi, in un'espressione più serena, abbozzando un sorriso appagato.

La giovane sollevò di poco il capo, guardandolo. A contrario dello sguardo preoccupato che A2 le rivolgeva, i suoi occhi erano pozzi bui di indifferenza e astio. «Thomas che cosa ci fai qui?» Domandò glaciale. «Non ti avvicinare.» Affrettò a dire, cercando di tenere l'altro quanto più distante. Il ragazzo non se ne curò e, seppure ferito da quel distacco gelido, continuò ad avanzare.

«Sei stata tu a scrivermi di venire qui?» Domandò, cauto.

Era confuso, e ne aveva tutte le ragioni. Non solo si incontravano dopo mesi scoprendo che lei era viva, ma in un ospedale che non aveva nulla di romantico o di buon auspicio.

«Non ne so niente.»Troncò acida; lo sguardo rivolto verso un punto inesistente.«Lo avrà fatto Janson, ha capito che non ti schiererai mai dalla nostra parte e vuole vederti morto.»Dichiarò tagliente, lo sguardo accidioso sembrava incenerire il ragazzo, come a colpevolizzarlo di essere rimasto dalla parte dei buoni.

«Nostra?Che c'entri tu?Semmai loro, la sporca e insulsa Wicked... » Edison sembrava non capire o almeno si sforzava di ignorare la realtà, senza accondiscendere a quella che risultava una vera e propria pazzia. Si morse l'interno della guancia, mentre Teresa se ne stava in silenzio, perché non controbatteva? Un bip risuonò nel chip, avvertendo Thomas dell'esplosivo.«Oh, wow.» Sbottò, ironico.«Realizzeremo il desiderio di Janson se non andiamo via da qui. Il chip ha appena rilevato una bomba. »Si affrettò a dire sbrigativo, non capì perché un avviso così importante venisse captato dal chip soltanto in quel momento. «Dobbiamo trovarla, Teresa. Vieni!» Insistette, allungando la mano per afferrare quella della donna. Agnes si dimenò, lasciando la presa.

«L'hai trovata.» Proruppe, la voce tremante inoltrava incertezza. Il ragazzo si voltò a visionare la stanza, si avvicinò alla scrivania, guardando nei cassetti, dietro la lampada, al soffitto, visionando tutte le pareti.

Teresa, dubbiosa se parlare o no, stava combattendo i suoi demoni interiori.

«È davanti a te.» Proferì, a pugni chiusi.«Sono io, Thomas. Sono io la bomba.» Ingoiò un groppo di saliva, abbattuta. Dopo mesi vissuti nell'ombra, fingendosi esanime, finalmente aveva dichiarato la verità. Era stato doloroso quanto necessario.

La vita di Thomas parve bloccarsi. Le sue orecchie avevano sentito ciò ma il cervello aveva sicuramente appreso male.« S-stai scherzando? Non può essere... »Negò, il giramento di testa lo fece traboccare all'indietro, sbandato. Spalancò le orbite, sperando che fosse un incubo non la realtà. «Perché? Perché lo faresti?» Il panico serpeggiava nelle membra, gli occhi inchiodati sulla figura femminile.

«Sarebbe impossibile per te capirlo.» Liquidò, voltando lo sguardo verso la finestra.

Edison si avvicinò, cercando di convincerla. Le toccò la spalla, voltandola verso di sé, così da essere faccia a faccia.

I suoi pozzi profondi color cioccolato, colmi di tristezza e paura, erano persi in quelli azzurri di lei, decisi e combattivi.«Io ti conosco, tu non credi in queste cose. Non sei te stessa.» Ribatté, cercando di arrivarle all'anima, di farle cambiare idea.

«Tu non mi conosci, non più ormai.»Tagliò corto, gli sguardi erano fissi l'uno nell'altro, ma Teresa aveva fatto la sua scelta.

«Ci serve tempo, ci serve tempo per parlare. Lo risolviamo insieme. Serve solo un posto in cui il segnale del detonatore non arrivi.» Thomas balbettava, tremante.

Temeva di non riuscire in quell'ardua impresa. Attivò il navigatore del chip, cercando una stanza sicura all'interno dell'ospedale «In radiologia.» Esclamò speranzoso, lo sguardo illuminato. Teresa ebbe un tuffo al cuore, lui voleva salvarla, era amabile quanto straziante.«I laboratori sono isolati con il piombo, il più vicino è a trenta metri da qui. Posso salvarti. Andiamo!» Urlò promettente, la tensione scorreva nelle vene, ingrossate lievemente al collo, intravedendosi oltre il colletto della maglia. Allungò la propria mano verso quella di lei, che si allontanò, di nuovo.

«Non c'è un detonatore, la bomba ha un timer e Janson non voleva correre rischi stavolta, non come cinque mesi fa. Scoppierà qualunque cosa tu faccia.» Informò, abbandonata a se stessa.

A2 strappò via il contatore fissato al muro, lo tiro a sé. Si inginocchiò a terra, in cerca dei fili giusti.«È un congegno elettronico si può disabilitare.» Comunicò, provando a capire quale fosse il filo adatto. Ce ne erano di diversi dello stesso colore.

«Basta!»Gridò la donna, afferrandolo per la maglia e spingendolo in direzione del corridoio.

«Serve solo una fonte di elettricità.» Oppose resistenza lui, non demordendo.

«Vattene da qui. Fuori!» Gridò, con tutta l'energia in corpo.«Basta, Thomas. Vattene!» Il tono non era più rabbioso, bensì implorante. Teresa stava cercando di nascondere al meglio la sua sofferenza, che aveva cominciato a intravedersi negli occhi lucidi; stava temendo per l'incolumità dell'uomo che aveva amato per tre anni della sua vita.

L'agente del chip si alzò, sfiduciato.«Io non ti lascio.» Le dichiarò, avvicinandosi per sfiorare le gote arrossate e scarne.

Agnes avrebbe voluto allontanarsi a quel contatto, ma i tocchi del suo uomo le erano mancati troppo per ribellarsi e fingere di aver dimenticato tutto. Edison, invece, avrebbe voluto dire tante cose, ma gli sguardi stavano facendo sicuramente di più.

«Thomas è stata tutta una bugia, lo capisci ?Non ti ho mai amato.» Espose Teresa, continuando a strattonarlo. La sua corazza stava cedendo, crollando un pezzo dopo l'altro. Non voleva far trasparire le sue debolezze, Thomas non doveva accorgersi della sua vulnerabilità. Lo spinse nuovamente verso la porta, allontanandolo da sé.

«So cosa cerchi di fare.» Sostenne di rimando, abbassandosi di nuovo per studiare la scatola del congegno elettronico. Cercava di aiutarsi con il chip ma ogni tentativo era accompagnato dal rumore fastidioso che segnava: failed.

«Vattene da qui!» Calcò, decisa.

«No.» Imperò irremovibile.

«Allontanati subito da lei.» Irruppe una terza voce, definitiva. Thomas la riconobbe molto bene e subito.

Staccò lo sguardo da Teresa voltandosi verso il collega, aprì e chiuse gli occhi, fissandolo stordito: A5 era in posizione di attacco, la pistola protesa in direzione della donna che amava.

«Newt... » Proferì, in tono supplicante. Era forse un saluto o semplicemente lo stupore che si trovasse lì, anziché marcire in un bunker, legato a una sedia e in compagnia di un anello e articoli spaventosi sulla donna che era in quella stanza?

Il moro aveva la faccia di uno che capiva sempre meno, senz'altro era un mistero come Newt avesse fatto a liberarsi e ancor di più come avesse fatto a trovarlo. Per il momento lasciò stare, la vita di molti era in pericolo e doveva trovare una via di salvezza, al resto ci avrebbe pensato dopo, se ci fosse arrivato ...

Isaac si mostrò freddo, dopo quel trattamento, gli era difficile fingere che tra loro ci fosse un buon legame di squadra. Il più piccolo sollevò la mano in segno di resa, tranquillo. «Abbassa la pistola.»Chiese, impacciato.

«Sai che non posso farlo.» Rispose l'altro, il tono fermo e serio schiacciava l'emozione; con occhiate rigide e sprezzanti esaminava la donna. La trovava ridicola, si era finta una dottoressa, per intrufolarsi in ospedale e commettere stragi. Sfiorò il grilletto, sdegnato di tutte le vittime che aveva causato. Sentiva il veleno scorrergli nelle vene, finirgli tra i denti.

«Hai meno di un minuto.» Avvisò Agnes, guardando l'orologio al polso.

«Senti Newt ... ho un'idea.» Temporeggiò il moro, cercando di persuadere l'altro ad abbassare l'arma e seguire la sua pazza idea.

«Non sei un eroe, non può funzionare.» Stroncò, irremovibile. In attacco, Newt teneva ancora l'arma tra le mani, puntata contro i due.

«Non lo sai.» Controbatté Thomas, mentre maneggiava un filo giallo. Tramite il chip cercava di analizzarlo, ma nulla. Passò ai successivi, il blu e poi il rosso.

«Morirai mentre cerchi di salvarla.» Conseguì il biondo, imperterrito.

«Trenta secondi, vattene. Via!» Ricordò Agnes, intenta a salvare l'ex-partner.

«Il reparto di pediatria ancora deve essere evacuato. Quanta altra gente deve morire?Se sbagli moriremo tutti.» Sgolò A5, a mezzo respiro. I brividi gli invadevano il corpo come scariche elettriche, immobilizzandolo. A breve la struttura sarebbe saltata in aria, diventando tutto un misto di fuoco e cenere.

«Non sbaglio. Forza!» Thomas era accovacciato a terra, imprecava qualcosa di incomprensibile notando che l'aggeggio non reagiva ai comandi.

Niente di niente. Quella era la vita vera, non un film. Non si disinnescava una bomba all'ultimo secondo, era un'utopia.«Il caricatore non va.» Riportò, sollevandosi.

«Non voglio perderti di nuovo.» Ammise sofferente, abbracciando la donna.

Newt credette che fossero a un passo dal bacio, abbassò il capo, sentendosi pienamente infastidito.

Teresa allargò il contatto, prendendo il viso di Thomas tra le mani.

«Thomas, guardami. La scelta è stata mia, mia! » Avvisò, comandando tacitamente alle lacrime di non scendere. «Io ho scelto questa vita, nessuno ha scelto per me. » Aveva preso ad accarezzare le guance del giovane, calcando con gli indici i nei. «Oggi finalmente rimedio al fallimento di cinque mesi fa.» Rivelò, imperturbabile, priva di sentimenti, fiera di aver ucciso quella gente tra cui molti bambini.

Il time della bomba aveva cominciato a suonare, scandendo ogni secondo che trascorreva, avvicinandoli alla fine.

La morte incombeva veloce, Newt avrebbe voluto gridare a Thomas che razza di mostro amasse, con l'intento di scuoterlo, ma probabilmente avrebbe finito col peggiorare la situazione e perdere tempo, già scarsamente inesistente.

«Sono felice di questa scelta.» Svelò infine la donna, smorzando un sorriso che, in una situazione del genere, appariva ancora più inquietante e sadico.

Thomas aveva cominciato a singhiozzare, ma nel minimo silenzio, trattenendo le lacrime.«No, no, non farmi questo. Vengo con te ... » Blaterava, sconvolto.

Newt ricordò la frase che gli aveva esplicitamente detto nel bunker: "Voglio disconnettermi, seguire l'unica cosa che mi rende umano"

"Sono felice di questa scelta", fu quella frase, a sette secondi dalla fine, che diede a Newt il coraggio di fare ciò che pazzamente aveva pensato. Thomas pareva essere soggiogato, in trance. A5 era sicuro che in un futuro, forse lontano, avrebbe capito.

Posò l'arma nei pantaloni, respirando a pieni polmoni. Accennò una corsetta, ricordando che una leggera corsa dava lo slancio perfetto.

I passi non furono avvertiti dal moro, perso a piangere per la scelta mortale della compagna. A5 gli si gettò contro, strappandolo dalle braccia della traditrice. Al moro uscì un «No» agonizzante, di sgomento, che squarciò nel cielo grigio. Il vetro della porta finestra si frantumò come cristalli al pavimento e in aria, mentre entrambi erano catapultati in aria dal terzo piano, nel vuoto.

Newt lo aggrappò a sé, rannicchiò il viso nella giacca di Thomas e sentì l'altro fare lo stesso contro il suo petto. La caduta in picchiata rendeva tutto più complicato, il vento sferzava contro i loro visi, ghiacciandoli, fastidiosi freddi schiaffi. Ancorati l'uno all'altro stava combattendo contro la forza di gravità. Durò pochi istanti prima di cascare in piscina, sprofondando.

Sott'acqua, con gli occhi aperti,i due videro il cielo colorarsi di fuoco pochi secondi dopo. I rumori si ovattarono, percependo il tutto in maniera poco chiara.

Le sirene determinarono l'arrivo delle volanti. A5 cercò il collega con lo sguardo, accorgendosi che stava per lambire il fondo. Sguazzò verso di lui, afferrandolo per i lembi della maglia e nuotando in superficie.

Newt aveva di nuovo salvato Thomas, a un secondo dalla fine.



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Lillian arrivò a Delhi in jet- su avviso del tizio che Newt aveva aggredito in ascensore, rivelatosi suo collega- portando con sé una squadra speciale dell'Intelligence che avrebbe esaminato l'accaduto, un'equipe medica che avrebbe controllato le condizioni dei due agenti, e Minho, che si era auto-invitato, in pena per i suoi amici.

I due ragazzi erano stati tirati fuori dall'acqua e subito separati; portati in auto diverse nell'hotel più prossimo. Per fortuna entrambi non avevano riscontrato ossa rotte o lesioni di alcun tipo, e tale notizia non aveva fatto altro che far sospirare tutti di sollievo.

Newt aveva perso i sensi in auto, chiaramente senza forze. Era stato il primo dei due a essere controllato e a parte a del vomito incessante, tutto era al proprio posto. Adesso, nella camera 250, inginocchiato sul pavimento del bagno continuava a vomitare in compagnia di Minho, che seduto sul borgo della vasca, gli faceva da supporto morale.

Il suo corpo aveva reagito così, non se ne meravigliava giacché aveva un fisico esile e una salute cagionevole, non era mai stato forte e quella giornata movimentata lo aveva messo a dura prova, consumando tutte le energie.

Era iniziato tutto con un innocuo viaggio in aereo, proseguendo con un'aggressione da parte di Thomas, che lo aveva ammanettato a una sedia, per poi correre all'ospedale, stravolto dall'ansia e dalla paura di non farcela e, per concludere, il volo dalla finestra, atterrando in una piscina, per fortuna profonda. Troppe avventure in una sola giornata, che il suo esile corpo stava cacciando via così.

«Sei incredibile!Io non avrei mai avuto le palle di lanciarmi da una finestra, dal terzo piano poi... Tu sei l'esempio dell'agente avventuriero, quello pazzo e fuori dalle regole. È tutto molto figo, amico!» Minho blaterava caspiate varie. Aveva gli occhi sgranati in un'espressione di meraviglia, come un bambino che aveva visto Batman o Spiderman.

Newt scosse il capo a destra e sinistra, contrariato. Non condivideva quel pensiero, affatto. Per lui l'agente avventuriero e soprattutto pazzo era e ne restava solo uno: Thomas. Come faceva ad amare un mostro del genere? Agnes aveva ucciso tante persone e cosa peggiore ne era orgogliosa, come poteva dedicare le sue attenzioni a un'assassina spietata con ideali del genere? Si strinse nelle spalle, non aveva risposte.

Scaricò, rimettendosi in piedi. Si pulì le labbra, si sciacquò la faccia, continuando a ignorare tutti i complimenti e le altre sciocchezze del coreano. Forse non aveva capito che una donna, ex agente dell'Intelligence, si era fatta esplodere in un ospedale che dovevano costruire da capo, per fortuna, a quanto stava dai primi controlli non c'erano state vittime, soltanto feriti da codice verde, che avevano già provveduto a trasportare nelle altre cliniche.

Guardò allo specchio la sua immagine, c'era anche quella di Minho, che alle sue spalle faceva smorfie buffe con l'intento di mettergli buon umore. Provò ad accennare un ghigno forzato, ma si bloccò avvertendo un dolore al centro del petto. L'asiatico notò l'espressione stretta di dolore e si alzò, allarmato.

«Newt, devi riposare. Approfittane, prima che Lillian vi convochi per strigliarvi.» Consigliò, tenendo il collega per il braccio. Il biondo era pallido, i giramenti di testa lo facevano sbandare, la vista offuscata gli pareva di essere su una giostra.

«No, Min. Sto bene...»Mormorò, poco convincente. Rilasciò un sospiro pesante, come se avesse un masso sullo stomaco che gli rendeva la respirazione qualcosa di veramente complicato. Poggiò le mani al bordo del lavandino, i gomiti all'infuori, il capo basso. L'asiatico stava per replicare, costringendolo a metterlo a letto e farlo riposare, ma Newt lo batté sul tempo con una domanda netta, chiara, precisa.«Dov'è Thomas?» Inumidì le labbra passandovi la lingua. «Devo vederlo.» Proseguì, avvicinandosi alla porta del bagno per uscire.

Il coreano si sentì invadere dall'ansia e dal panico, precipitandosi come un turbine verso lo stipite, sbarrando la porta. «Nella stanza accanto, ma amico, quando sei svenuto, ero con lui, non ti consiglio di parlargli. Diciamo che...è poco amichevole, ecco.» Minho si grattava nervosamente il collo, terrorizzato che il biondo andasse da A2.

«L'ho separato da lei...Voglio vedere come sta. »Dichiarò a bassa voce, lanciando uno sguardo angosciato all'asiatico. «Prometto che starò attento, okay?» Minho mosse lentamente il capo in cenno affermativo, non approvava quella scelta, ma non poteva di certo puntargli una pistola alla testa e vietarglielo; si allontanò dalla porta del bagno, riluttante, Newt ne uscì subito, attraversò la camera per poi stringere la maniglia della porta della stanza, si voltò verso l'amico che lo guardava qualche metro distante da lui.

«Se osa farti del male, urla e arriverò. Mi renderò utile in qualcosa. » Propose sarcastico, smorzando un sorriso di circostanza. Newt finse di apprezzare e senza voltarsi indietro, uscì.



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Thomas fissava un punto fisso, inesistente. Stava ricostruendo gli attimi vissuti con Teresa, grazie a una funzione del chip. Si ricordò di quando la compagna, tornata da una missione di anni fa in Iraq, gli aveva detto: "Ho bisogno di ritrovarmi, questa missione mi ha creato confusione." Probabilmente già da lì qualcosa aveva iniziato a cambiare, e lui come lo stupido non se ne era accorto. Non aveva mai messo in conto che la sua Tess, avrebbe cambiato schieramento, non con i peggiori almeno. Sorrise amaramente rammentando la propria risposta, romantica quanto sincera. "Come una bussola, ti aiuterò a trovare la strada verso casa." La strinse a sé, carezzandole la chioma scura.

Aveva navigato tra i ricordi impressi nel chip, soffermandosi anche sul loro ultimo incontro; ingrandì l'immagine sulla giovane, osservava il viso, possibile che non si fosse accorto di quanto terrore ci fosse negli occhi di Teresa? I pensieri come tarli nel cervello continuavano a torturarlo: avrei potuto salvarla. Allungò la mano, illudendosi di sfiorarla, le lacrime agli occhi.

A sua insaputa Newt si concretò proprio dove c'era l'immagine di Teresa, Thomas vide sbiadire la figura della giovane, manifestando quella del biondo.

Quando Newt capì che il moro si era accorto di lui e che non stava più fissando un punto inesistente, respirò greve, proferendo un flebile; «Thomas...»

Era mortificato, dispiaciuto e distrutto, ma non avrebbe potuto permettere a una terrorista, perché era ciò che A1 era diventata, di farli saltare in aria, uccidendoli. E non credeva che con "seguire ciò che lo rendesse umano" Thomas si riferisse a un suicidio.

Un colpo di dolore agonizzante lo colpì al petto, guardando l'espressione scioccata e assente del moro. Indossava ancora gli abiti zeppi d'acqua, a differenza sua, che aveva trovato la forza di cambiarsi prima di iniziare a rimettere.

«Potevo salvarla...» Sibilò turbato, lo sguardo fisso su una mattonella del pavimento.

Newt cercò di pensare, di usare le giuste parole senza peggiorare.«Una probabilità su un milione.»

«Valeva il rischio.» Imperò, lo sguardo sul biondo, le braccia dietro la schiena, i palmi contro il freddo davanzale della finestra.

Newt avanzò, a passi lenti.«No, non è vero.» Contraddette, visibilmente contrariato.

Il moro strinse i pugni, scattando in avanti e con il tono rabbioso e poco controllato gridò«Mia la vita, mia la scelta! »

A5 sospirò, sapeva che il loro rapporto sarebbe peggiorato dopo quella decisione non si aspettava tutto rose, fiori e cioccolatini.«Se non avessi fatto ciò che ho fatto, Teresa sarebbe morta, l'unica differenza è che saresti morto anche tu.» Calcò l'ultimo pezzo, auspicandosi di riuscire almeno un po' a farlo ragionare.

«Ma lei non sarebbe morta da sola.» Digrignò a denti stretti, infuriato. Si era allontanato dalla finestra, avvicinandosi al biondo. «Perché sei venuto qui? Che diamine vuoi da me, Newt?» Gli urlò in faccia, a un palmo dal viso. Il biondo abbassò il capo, abbattuto.

«Dirti che mi dispiace... »Rivelò tremante, si sentiva un pulcino, la furia di Thomas era paragonabile al digiuno di un orso.

«Ti dispiace, ma davvero?» Ironizzò, infuriato. Afferrò il biondo per la maglia, facendolo voltare su se stesso e inchiodarlo tra il muro e il proprio corpo. Gli occhi erano rossi di rabbia, di dolore.

I battiti del cuore di Newt erano aumentati troppo velocemente, spaventati, i suoi occhi erano sgranati e fissi sul moro.«Non avevi il diritto di scegliere per me.» Gli ringhiò contro, Thomas stringendo i lembi della maglia grigia del più grande. La voce calante, manifestava più frustrazione che rabbia.

Newt gonfiò il petto, sapeva che un giorno l'altro avrebbe capito la sua scelta, forse lo avrebbe anche ringraziato. «No, il diritto no, avevo l'obbligo.» Enunciò sicuro.

«Perché io sono di proprietà del governo?» Domandò, spiazzando il biondo. Newt restò in silenzio, non pensava ciò ma restò pietrificato. Voleva urlargli che per lui non era una macchina, ma le parole gli morivano in gola, e restando taciturno non faceva altro che confermare quello che l'altro sospettava. «Bravo, congratulazioni! Il chip è salvo... » Lasciò la presa, allontanandosi, in volto un'occhiata di disgusto. A5 si sistemò il colletto, Thomas doveva assolutamente smetterla di intrappolarlo al muro in quella maniera.

Si schiarì la voce, scombussolato. Il morosi voltò, l'espressione spenta, probabilmente lo avrebbe cacciato da lì a breve specificando di non volerlo vedere per il resto dei suoi giorni. Newt parlò, inaspettatamente.

«L'ho fatto per proteggere te, non il chip. Te.» Disse, non distogliendo lo sguardo dagli occhi scuri e accusatori del moro. C'era silenzio, omertà, indifferenza. A2 gli ordinò con lo sguardo di uscire e Newt non oppose resistenza. A capo chino si diresse verso la porta e prima di uscire enunciò.

«Anche se adesso mi odi, sono felice che tu sia vivo.» Terminò, chiudendosi la porta lentamente alle spalle.

Thomas aspettò che Newt fosse tornato in camera sua, per poi sedersi sulla sedia, la testa tra le mani e scoppiare in un evitabile pianto, frustato e incontenibile.

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