8. Wicked Game
N/A: Dopo tanto tempo eccovi il capitolo otto, spero vi piaccia e perdonate gli orrori! Non è stato granché scriverlo, mi entusiasma un po' ma forse poteva uscire meglio, bah...chissà. Spero di sentirvi, adoro i vostri scleri :)
8. Wicked game
L'hostess di bordo avvisò i passeggeri che la fase di atterraggio era iniziata, Thomas rilasciò un sospiro, agguerrito. Newt, che lo sorvegliava a distanza di tre posti, continuava a nascondersi come un ladro; aveva deciso di presentarsi in seguito, a effetto sorpresa, dopo aver scoperto la reale destinazione del collega.
Il moro era stato sfuggente, evasivo, e quell'atteggiamento era bastato per insospettirlo. Era ovvio che nascondesse qualcosa e per di più rischioso, altrimenti che senso avrebbe avuto la constatazione; «Hai già rischiato ieri per me?»
Dal canto suo, Newt avrebbe dovuto limitarsi a riferire tutto a Lillian, togliendosi di mezzo, ma aveva agito senza pensare, facendo praticamente l'opposto: racimolato alcuni indumenti, preparato la valigia, guidato fino all'aeroporto per un improvviso viaggio in India, e il tutto senza dar conto a nessuno, come se spostarsi oltre oceano fosse la cosa più naturale al mondo.
Sì, era un perfetto coglione. Fu proprio questa la frase che dedicò a se stesso quando l'aereo cominciò a inclinarsi verso il basso, istintivamente si aggrappò ai braccioli rivolgendo un'occhiata fugace al ventre, assicurandosi di indossare correttamente la cintura di sicurezza. Chiuse gli occhi, pregando quanto prima di toccare terra.
Non aveva mai sopportato spostarsi per via aerea, aveva brutti ricordi legati soprattutto all'età di dieci anni, quando sua madre chiedeva continui sacchetti alle hostess, che lui non impiegava molto a riempire con il proprio rigurgito.
Soffriva quel tipo di viaggi, e non poteva credere come e perché mai fosse stato così sprovveduto da salirci, soprattutto per qualcosa che, primo: non gli era stata imposta, secondo, non dopo lo stress di quella settimana movimentata al Barcode, terzo, era stato così corto di cervello da non portare con sé neanche compresse che, se non avessero eliminato il voltastomaco, almeno avrebbero potuto attutirlo.
L'aereo continuava a scendere, la testa gli girava appena, preferì tenere le palpebre chiuse fin quando non avrebbe udito qualcosa del tipo: «Siamo giunti a destinazione, buona permanenza.» Inspirò ed espirò un paio di volte, trascorsero svariati minuti e poi si sentì di nuovo parte del mondo. Degli stridii fastidiosi si percepirono lievemente, le ruote toccarono l'asfalto della pista, qualcuno in contemporanea fischiò ufficializzando l'arrivo all'aeroporto di New Delphi.
Aprì gli occhi di sbotto, liberando un sospiro. Sollevato, si sistemò gli occhiali sul naso e indossò il berretto, auspicandosi di celare al meglio la propria identità. Una folla di persone si affrettava a uscire, guidata dalle hostess e dagli stewart; c'era anche Edison, ma nel caos non pareva essersi accorto di lui, che abilmente si era tenuto distante, senza perderlo di vista.
Dopo una lunga fila per il ritiro delle valigie, a distanza di minuti entrambi riuscirono a ghermirle, terminando così la prassi e dando inizio all'avventura.
"Una di quelle che rimane impressa perché disastrosa, non per altro." Meditò Isaac, cercando di mantenersi a una distanza ravvicinata, tenendo tutto sotto controllo. A passi rapidi uscirono dall'aeroporto, Thomas prese un taxi e Newt si affrettò subito per trovarne un altro; per sua strana fortuna un tassì vuoto era alle sue spalle, lo occupò immediatamente, ordinando all'autista di seguire l'auto gialla su cui era salito il collega. Il tragitto in auto durò circa dieci minuti, poi Thomas scese e A5 lo imitò.
A2 teneva una mano nella tasca dei jeans, mentre l'altra libera scendeva lungo il fianco. La sua camminata era fin troppo determinata per uno che passeggiava per la prima volta nelle strade indiane; sapeva come muoversi, senza alcuna esitazione, era ovvio che ci fosse già stato. Come il biondo, anche lui aveva scelto un abbigliamento casual ridefinito con degli occhiali scuri.
L'aspetto, abbastanza trasandato, non avrebbe mai fatto sospettare a un agente dell'Intelligence americana, seppure antipatico e sbruffone, sapeva camuffarsi, Newt doveva riconoscerglielo.
Il moro indossava un look che non dava nell'occhio: pantalone beige, giacca dello stesso colore e maglia di un verde militare. Uno zaino in spalla era tutto quello che aveva, era palese che non avesse soggiornato a lungo, e di sicuro aveva prefissato un appuntamento. Sarebbe stato abbastanza insensato partire per l'India su due piedi, senza preavviso. Inoltre, la camminata decisa e lo sguardo troppo attento ne erano la conferma.
Newt lo maledisse mentalmente, perché su sette giorni della settimana aveva scelto proprio quello del mercato? La piazza era superaffollata, a stento si riusciva a stare in piedi e, come se non bastasse, doveva anche tapparsi le orecchie, giacché molti venditori urlavano a squarciagola i prezzi della propria merce per attirare la clientela.
«Grandioso Thomas, ora finisco col perderti, poi come vado via di qua?» Sbuffò pentito, constatando che l'altro aveva imboccato una strada ancora più gremita di gente. Perché non ragionava mai?Perché era sempre istintivo?Quasi certamente stava di nuovo rischiando la vita per uno che a malapena conosceva e, cosa peggiore, neanche sopportava.
Rivolse una rapida occhiata verso le bancarelle esposte, c'era davvero di tutto: dal cibo ai vestiti, dalle sciarpe alle calzature, alcuni negozietti vendevano anche oggettini sfiziosi per l'arredamento della casa. Si soffermò a guardare una strana scodella di legno, per la forma richiamava a un piatto ma al suo interno aveva delle corde, che facevano pensare a un mandolino, uno strumento musicale particolare, tipico del posto. Bastò quella piccola distrazione per odiare se stesso. Riportò lo sguardo davanti a sé e, seppure non si fosse soffermato a lungo, quel pizzico di curiosità gli costò caro.
Prima che l'ansia potesse travolgerlo del tutto, si allungò con il collo a mo' di giraffa, saltellò sul posto mettendo in discussione il suo pudore maschile, beccandosi occhiate stranite sia da parte dei passanti sia dai venditori. Il panico aumentava.
Nervoso, si faceva spazio tra la gente chiedendo docilmente -o almeno cercava di restare calmo-"permesso", avvertiva già le lacrime pizzicargli gli occhi, profondamente in panico.
«No, no, no ... non può essere.» Sgranò le orbite, sperando di trovarlo.Si girò su se stesso, guardando in ogni dove, in qualsiasi direzione, ma niente.
Portò le mani tra i capelli, esasperato, avvertendo pian piano la resa. Non ce l'aveva con il collega, bensì con se stesso; era soltanto colpa sua se era lì, nessuno gli aveva imposto di fare ciò, né gli era stato attribuito come incarico. Camminò, senza arrendersi.Cercava disperatamente il viso di Thomas tra la gente, ebbe diversi miraggi, di cui si scusò una volta scoperto che nessuno fosse realmente lui.
Provò a respirare a brevi intervalli, cercando di immagazzinare coraggio. Doveva esserci una soluzione, non poteva avere tutta quella sfortuna: il travestimento, il proiettile, il pesante litigio con Ben, l'improvvisa sparizione di Thomas.
Se non credeva nella sfiga, avrebbe dovuto iniziare a farlo. Da quando aveva messo piede alla base dell'Intelligence pareva andargli tutto per il verso storto, una catastrofe dopo l'altra, come se non bastasse proprio in quel momento quasi inciampò nei suoi stessi passi, credette che si trattasse dei lacci snodati, ma erano perfettamente integri, l'equilibrio scarso lo fece traballare in avanti, bastò poco per cadere. Inspiegabilmente, si trovò a terra, stordito. Impiegò diversi istanti per comprendere a pieno che non aveva perso l'equilibrio per la sbadataggine di qualche passante, bensì per un dispetto commesso intenzionalmente: uno sgambetto, di cui qualcuno aveva approfittato per tirargli via anche il cappello.
Sul ruvido asfalto, confuso, guardava la gente passargli accanto, a nessuno pareva importare cosa gli stava accadendo.
Il mondo, visto dal basso, presentava tutt'altra visione. Era incredibile:nel giro di mezz'ora aveva visto l'umanità sia dal punto più alto che da quello più basso, e nessuno dei due lo entusiasmava così tanto da restarvi per un tempo indefinito.
Provò ad alzarsi, ma fu vano. Qualcuno alle sue spalle gli teneva le braccia bloccate, incrociandole con forza dietro la schiena, riducendo così ogni movimento e via di scampo; astutamente poi, l'aggressore lo trascinò al vicolo più vicino e per niente affollato. Portò una mano davanti alle labbra dell'agente, tappandogli la bocca, urlare o addirittura respirare risultava difficile.
Fu trascinato rapidamente all'indietro, lontano dalla folla, in un vicolo isolato. Sgranò gli occhi inondati dalla sorpresa e successivamente dal terrore. I battiti accelerati del proprio cuore rimbombavano come tamburi nelle orecchie a un ritmo eccessivo, da infarto.
Un violento panico serpeggiò nelle membra e il sangue si gelò per il terrore. Cercava di parlare, di mugugnare qualcosa, ma più faceva quello più la stretta aumentava, facendogli male. Strattonò le spalle prima da un lato, poi dall'altro, nel tentativo di divincolarsi dalla possente stretta del rapitore, che però continuava a tenerlo senza scomporsi.
Per quanto tentasse di liberarsi, i suoi tentativi si dimostravano vani, non facendo altro che affaticarlo; provò anche a mordere la mano sconosciuta, ma senza alcun riscontro positivo, anzi, quell'atto di ribellione infastidì ulteriormente l'assalitore che spingendo al muro, lo intrappolò definitivamente tra la parete fredda e il proprio corpo.
Essere messo al muro così facilmente lo irritava tanto, era un agente dell'Intelligence non una mammoletta.
La guancia destra, schiacciata contro il tramezzo, gli impediva di emettere respiri regolari. Ingoiò a fatica un groppo di saliva, la gola era secca in assenza di acqua. Lo sconosciuto stava esercitando con il proprio corpo una lieve pressione dietro la sua schiena. Di sicuro era un malvivente codardo che voleva derubarlo, chi se no lo avrebbe attaccato alle spalle? Newt incoraggiò se stesso, gonfiando il petto, temerario. Non gli importava se il tizio fosse armato o meno, era un agente dell'Intelligence e da tale conosceva sia mosse di attacco sia di difesa, doveva soltanto attendere il momento migliore per voltarsi e sferrargli un calcio nei gioielli di famiglia.
La mano di quello era salda dietro la sua nuca, gli impediva anche di ruotare la testa. Il capo basso, chinato in avanti e spinto contro il muro, portò l'attenzione ai propri piedi.
Le gambe erano l'unica cosa che poteva muovere, le avrebbe usate per liberarsi. Inspirò ed espirò per assumere coraggio, poi attaccò. In una rapida mossa pestò il piede dello sconosciuto, il quale imprecò qualcosa di incomprensibile dal dolore, allentando la presa, fu così che Newt riuscì a voltarsi, finendo spalle al muro e petto a petto con l'uomo.
Il tizio dall'identità sconosciuta indossava il cappuccio di una felpa, calato quasi fino al naso, per nascondersi. Il ventisettenne era nella perfetta posizione per dargli un calcio dritto nelle parti basse, ma quello lo anticipò, ponendo una gamba tra le sue, limitandogli anche il movimento degli arti inferiori. Le dita dell'aggressore erano intrecciate alle sue, contro il muro. Restò in quella posizione compromettente per attimi che parvero indeterminati, con il fiato sospeso.
Ecco, di nuovo quella strana sensazione si faceva strada in lui, la stessa che aveva percepito sull'aereo; in cielo, tra le nuvole, non era difficile sentirsi distaccati dal mondo, ma in quel momento, anche se in un vicolo isolato, gli stramazzi della gente erano comunque ben udibili, perché allora quella percezione era di nuovo presente? Si sentiva come avvolto in un'ampolla, che lo teneva estraniato dal mondo, lontano dal pericolo ... Assurdo, visto quello che gli stava accadendo proprio in quel momento.
L'uomo finse di tossire, probabilmente aveva notato il suo essere sovrappensiero. Newt tremò peggio di una foglia, dandosi mentalmente del ridicolo.
Spalancò gli occhi, sentendo le mani di quello lasciare le proprie. Ne seguì la traiettoria, sussultò notando che si avvicinavano al volto, afferrando il copricapo.
Inaspettatamente, lo sconosciuto abbassò il cappuccio, mostrandosi. Newt schiuse le labbra, boccheggiando. Il tempo parve fermarsi, ibernandolo. Il respiro corto, i battiti del cuore accelerati, la paura che cominciava a sfumare e la testa che riprendeva a connettersi, a capire.
Riprese fiato poco dopo, pian piano che lo shock lo abbandonava, lasciando spazio alla sorpresa. Apriva e chiudeva gli occhi a intermittenza, per assicurarsi che la persona davanti a sé non fosse l'ennesimo miraggio.
Non si sarebbe stupito se oltre ai sogni, il viso dell'agente sbruffone si fosse mostrato ovunque, anche nella realtà, su corpi di gente che non c'entrava nulla, come era successo poco prima tra la gente. Passò la lingua tra le labbra, inumidendole. Continuò a sbattere le palpebre, incredulo.
«Thomas...» Riuscì a dire soltanto qualche secondo dopo, stordito. Era incredibile come in pochi istanti si potesse passare dal provare terrore all'essere sorpreso. Da un lato si sentiva sollevato per essersi imbattuto nel collega, anziché in un pazzo malvivente del posto, dall'altro, il suo piano era miseramente fallito, in modo davvero penoso e principiante, a soli pochi minuti dall'inizio.
Quei pozzi scuri lo stavano scrutando attenti, tanto da mettergli soggezione. A5 si trovò costretto ad abbassare il capo, tentando di eliminare quei pensieri poco puri, richiamanti scenari appartenenti al sogno che lo aveva tormentato la notte precedente. Possibile fosse la medesima posizione? Si augurava vivamente che non avesse avuto lo stesso epilogo: un letto sfatto e ansimi incontrollati che inondavano la stanza.
«Ma ciao Newt...Sembri sorpreso.» Appurò A2, sollevando di nuovo il cappuccio per coprirsi. Quello chiamato in causa tornò sugli attenti schiarendosi la gola, destabilizzato. Riconosceva un tono aspro, poco amichevole nel moro, ma lo ignorò completamente, provando a concentrarsi su cose serie, cestinando anche i pensieri poco puri, del tipo: quanto fosse maledettamente bello e misterioso anche con l'atteggiamento di un malvivente.
«Beh-i-io...sono colpito... » Ammise debolmente, pizzicandosi subito dopo la lingua. Perché aveva detto una cosa del genere? Non volente gli aveva dato una soddisfazione. Impacciato, si grattò la nuca. Seppure non ci fosse uno specchio, sapeva benissimo che le proprie guance stavano andando a fuoco, sarebbero stati perfetti carboni ardenti per cucinare di tutto.
«Tu eri... » Continuò, arrestandosi subito dopo. Avrebbe voluto chiedergli come fosse stato possibile trovarselo dietro giacché si trovasse centinaia di metri avanti a lui, ma non avrebbe fatto altro che servire all'antipatico ulteriori spunti per deriderlo, sottolineando quanto fosse incapace; lasciò in sospeso il discorso, per tutelare la propria immagine già messa in discussione troppe volte.
«Dovrei essere io quello senza parole, non credi?» Controbatté il più piccolo, il cipiglio appiattito in un'espressione seccata.
Thomas era nervoso, ancora di più rispetto a poche ore prima, a casa sua. L'espressione era un misto di agitazione e incazzatura, le braccia conserte al petto davano l'aria di un tipo poco paziente; lo sguardo scrutatore e fisso negli occhi scuri del biondo, pareva scavare nei meandri più bui, a caccia di verità. Sbuffò, inarcando il sopracciglio, l'espressione più accusatoria che curiosa. «Che ci fai qui?» scandì, scocciato.
Newt strinse gli occhi in due fessure, guardandolo in cagnesco. L'atteggiamento menefreghista e scostumato di Terminator non faceva altro che far accrescere in lui moti di rabbia, riducendo incredibilmente la sua tolleranza "divina". Al diavolo che Thomas non fosse gentile e ubbidiente come i suoi ex colleghi dell'FBI, si sarebbe fatto rispettare anche da lui, se non con le buone con le cattive maniere ci sarebbe sicuramente riuscito; che andassero all'inferno quegli occhi tonalità cioccolata misto a caramello, quel naso che adorava, e quelle labbra appetibili che parevano risuonare come un richiamo ogni volta fosse nei paraggi, o peggio, a pochi centimetri.
In un colpo deciso e disordinato ripulì gli skinny che da neri, per via della polvere, parevano essere diventati bianchi.«Mi hai appena sbattuto al muro manco fossi un delinquente, sono io che mi faccio in quattro per salvarti la pelle, quindi tocca a me fare le domande.» Sputò furibondo, avvicinandosi al moro con una camminata sicura. «Che cosa ci fai tu qui?!» Sbottò infine, puntandogli l'indice contro il petto. Ormai il timore si era dissolto, lasciando spazio ai chiarimenti. Se l'Intelligence non doveva saperlo, almeno a lui toccava, in quanto suo protettore.
Thomas portò lo sguardo a terra, trattenendo un ghigno divertito. Doveva confessarlo: nonostante fosse un momento difficile, si divertiva vedendo quel lato di Newt, nonil solito serio e pragmatico, ma guerriero, peperino. Beh, se fosse stato abbastanza sveglio, avrebbe capito che gli piaceva vedere il biondo e basta, ma era troppo presto per rendersene conto.
«Relax, okay?» si buttò sulla difensiva, fintamente spaventato. «Non sapevo che anche i gattini sapessero ruggire.» Ironizzò, con espressione derisoria.«E tu Newtie ... ti ricordo che sei un gatto, non un leone.»calcò il nomignolo con aria divertita, sicuro di aver demolito la determinazione del biondo. Rivolse un'occhiata prima a destra e poi a sinistra, assicurandosi che non vi fosse nessuno, poi gli si avvicinò;«Quindi ... limitati a miagolare.» Soffiò all'orecchio, e irrefrenabile un brivido scese lungo la nuca di Newt, per giungere alla schiena e percepirlo infine anche in avanti, all'altezza del ventre.
Perché il suo cervello travasava quelle minacce, portandole a sfondo sessuale? Odiava quando avveniva, e la cosa peggiore gli accadeva sempre e solo con Thomas, l'essere umano peggiore che aveva conosciuto.
Scosse la testa in un breve movimento, sperando di spazzare via quei pensieri malsani, tentando di tornare in sé. A2, intanto, non smetteva di guardarsi intorno, lo sguardo attento squadrava in ogni dove, come se si sentisse sotto attacco. Si girò, allontanandosi, senza dire nulla. Era un atteggiamento che a Newt faceva perdere le staffe, così strinse i pugni lungo i fianchi, non demordendo.
«Sei così stolto da dimenticare che le cassette che possono rovinarti la reputazione sono in mano mia.» proruppe, furbo.
Il venticinquenne s'arrestò, chiuse gli occhi sorridente, schioccò la lingua per poi voltarsi lentamente. «Cado io, cadi tu.» Ricordò, indossando gli occhiali da sole.
Il biondo fece spallucce, lasciandosi scorrere addosso quella che quella che poteva risultare a tutti i costi una minaccia. «Nessun problema, i gatti cadono a quattro zampe. » Zittì, smorzando un sorriso maligno.
Thomas schioccó la lingua, incassando il colpo.
Era sempre così con l'altro, Thomas s'illudeva di metterlo fuori gioco, zittendolo, ma puntualmente gli rispondeva a modo, facendogli fare la figura del cretino. "Per fortuna stavolta erano da soli" Si rincuorò Edison, avvicinandosi al trolley che aveva lasciato nel vicolo prima di quella sorta di rapimento. Non riuscì ad afferrare la valigia che un colpo di pistola partì, librando tra lui e l'oggetto di sua proprietà.
«Cazzo.» Sgranò le orbite, preso alla sprovvista. Il colpo era destinato a lui, eppure lo sguardo preoccupato di Thomas si fiondò subito in cerca di Newt, per assicurarsi che stesse bene.
«Che caspio è stato?»Domandò il biondo, guardandosi attorno, spaesato e impaurito. Thomas, senza pensarci, estrasse la pistola dai jeans, avvicinandosi. «Che sta succedendo?» Persisté A5, notando l'omertà del più piccolo.
«Non fare domande e corri.» Ordinò il moro, cercando di contenere il terrore, che pulsava nelle vene assieme al sangue. «Non comportarti come una donzella in pericolo!» Sgridò canzonatorio, afferrando brutalmente il braccio dell'altro per trascinarlo con sé, verso la salvezza. Il panico si stava insinuando tra la folla, la gente correva a destra e manca, terrorizzata dagli spari che sì, erano aumentati, ma erano diretti ai due agenti.
Newt dedusse che dovevano esserci almeno due cecchini che, sorvegliandoli dai tetti, sparavano nella loro direzione. Avevano cominciato a correre dimenticandosi del resto;Thomas aveva lasciato la valigia lì a terra, lo stesso ne era stato del cappellino di Newt, smarrito chissà dove. Il protettore non sapeva cosa gli attendeva, la paura per l'ignoto lo destabilizzava più di tutto, soprattutto sommata a Thomas, un tizio leggermente spericolato, imprevedibile e insubordinato, che con una mano impugnava la pistola e l'altra teneva in una presa salda la mano del collega.«Corri più che puoi.» Insisté deciso, scansando a slalom i proiettili diretti alle proprie gambe. Thomas sapeva doveva andare, stava correndo verso un posto sicuro.
Il più grande restò in silenzio, cercando di reprimere il senso di nausea per quella vita fin troppo movimentata.Lo seguì evitando di obiettare, senza lasciare per nessuna ragione la sua mano.
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I due agenti riuscirono a respirare solo quando Thomas aprì la porta di un'abitazione, che per la polvere, l'intonaco rovinato, e il resto trasandato, pareva essere abbandonata.
Tossì, avevano corso per molto tempo, a perdifiato; l'ansia da prestazione li aveva spinti a scappare verso la salvezza, insicuri, si erano nascosti un po'ovunque, tra la folla, sotto i tavoli delle bancarelle, senza mettere in pericolo la gente del posto. Alle strette, il venticinquenne aveva risposto poche volte, sparando a caso, non ad altezza d'uomo. II nemici dovevano essere in alto, probabilmente su qualche tetto, ma occupati a correre e a scansare i colpi d'arma da fuoco, non si erano sforzati per vedere da dove provenissero. Avevano abbandonato il centro dirigendosi in periferia. Adesso, erano davanti a una piccola casa dalle pareti di color cremisi, l'incrostatura rovinata.
Sulla soglia, Thomas si scostò per dare la precedenza al collega, che lo guardava allibito.
«Dai, entra.»Intimò il più piccolo, frettoloso. Il biondo si riscosse, annuì con il capo e si affrettò a fare come gli era stato detto. Una volta entrati in casa, A2 chiuse con forza il portoncino, bloccando la serratura. Si precipitò verso un tappetto color vermiglio a terra, lo sollevò senza troppe cerimonie, mostrando un accesso nel pavimento. Newt teneva la bocca aperta in "o", esterrefatto.
«Una botola?» Domandò, accovacciato in avanti per riprendere il fiato. Il cipiglio corrucciato in un'espressione stranita e preoccupata gli riservava un'aria turbata.
«Ti sorprende?» Chiese di rimando Thomas, portando la mano sotto il naso, con l'altra stringeva ancora la pistola.«Posso assicurarti che è la cosa più normale e sensata che hai visto oggi.» Rassicurò, suscitando ancora più terrore nel biondo. Cos'altro gli attendeva? Mai avrebbe pensato che la vita di un agente dell'Intelligence fosse movimentata come quella che raccontavano nei film. Istintivamente trattenne il respiro, provò a dare un'occhiata più scrutatrice, ma fu inutile, non c'era luce, niente di niente.
Puntò gli occhi su Thomas, in cerca di nozioni, di chiarimenti, ma quello si limitò a fare spallucce, esortandolo tacitamente a scendere. Con la tensione a mille, Newt portò nuovamente lo sguardo in basso, se aveva paura dell'ignoto, sapeva che si nascondeva proprio lì, dentro una botola, sotto terra.
Il più piccolo non lo avvisò neanche di quanto fosse profondo, e fu per questo che optò maggiormente per la razionalità, scendendo lentamente; si sedette al bordo, con un colpo di reni si calò giù, distendendo pian piano le gambe, e pregando di toccare presto una superficie piana. Fu più difficile a dirsi che a farsi.
Appena i suoi piedi sfiorarono la pavimentazione della botola, una luce bianca, prodotta da una fila di neon, si accese, illuminando il posto.
Fu sorpreso e, inevitabilmente, si chiese come fosse possibile che sotto terra funzionasse l'elettricità, attivando i sensori; rimase ancora più senza parole, notando davanti a sé quello che a tutti gli effetti poteva essere definito un mini appartamento. Subito gli saltò agli occhi un gran tabellone bianco su cui erano affissi migliaia di appunti e post-it gialli. Era ancora troppo distante per scoprire cosa ci fosse scritto, lo sguardo continuò a vagare, curioso: da un tavolino scorse verso una sedia, per poi a dei pesi da palestra a terra, messi in modo disordinato. C'era anche un piccolo stanzino distante, si trattava sicuramente di un bagno, e poi vicino alla parete, una brandina su cui era poggiato un materasso dall'aria poco comoda.
«Ti avevo detto che la botola era normale in confronto a questo.» Proferì Thomas sorridente, al suo fianco.«Non è mica come nei film che ci sono topaie, nidi di animali rari e cose così.»Si pavoneggiò, riponendo la pistola nel fodero.«Dubito che Hitler avesse un bunker del genere...Con me è tutto diverso, speciale. » calò il tono, affievolendo le parole, dandogli un inspiegato senso di malizia. Newt gli rivolse un'occhiata sospetta, chiedendosi mentalmente chi fosse veramente il tizio che aveva a fianco.
«Batman credo sia ora che tu mi dia una spiegazione.» Sentenziò serio. « Tanto per cominciare...Uno:cosa ci fai in India? Due: perché quando ti seguivo eri vestito di verde? Tre:perché mi hai quasi "rapito" ed eri vestito in modo diverso? Quattro: perché ci hanno sparato? Cinque: perché conosci questo posto e che diamine è?» elencò spazientito, tenendo il conto sulle dita. Thomas ignorò bellamente l'interrogatorio.
In contemporanea alle strigliate di Newt, che si basavano su quanto fosse odioso e irritante non essere ascoltato, il più piccolo continuava a fare orecchie da mercante, camminando avanti e indietro improvvisando melodie fischiettate. Attimi dopo, scocciato delle sue stesse canzoni, Thomas aprì la zip della propria felpa, togliendola e fece lo stesso anche con la t-shirt grigia che gettò malevolmente sul letto, restando a torso nudo.
Newt fissò la scena, inerme. Non sapeva perché il collega si fosse spogliato, ma era abbastanza intelligente da capire che il proprio cervello, a quella visione, gli stava andando completamente in pappa. Aveva perso abbastanza colpi vedendo Thomas a casa sua con indosso solo una canottiera nera, figuriamoci in quel momento. Si sentiva avvampare, possibile che non ci fosse alcuna finestra?
«Una spiegazione, le domande sono cinque.» Notò Terminator avvicinandosi con uno strano sorrisetto in viso.
Newt roteò gli occhi al cielo, sbuffando esasperato; con premura teneva lo sguardo lontano dall'altro, qualora gli si fosse caduto sul petto bronzeo e muscoloso al punto giusto, avrebbe svelato il suo orientamento sessuale nel giro di pochi secondi.«Non prendermi alla lettera.» Rimediò, torturandosi le mani, un gesto di nervosismo.
«Figurati, non prendo alla lettera uno stalker bugiardo.» sminuì Thomas facendo spallucce, naturale. In silenzio, avanzava verso Newt, che indietreggiava, leggermente imbarazzato da quelle parole e da quell'atteggiamento, sembrava la riproduzione reale del suo sogno erotico.
«Stalker bugiardo?» ripeté, stranito. Un'incredibile vampata di calore gli salì vertiginosamente alla testa, traballò.
Quando Thomas gli era vicino percepiva calore, come se avesse la febbre, per non parlare di quanto si sentisse scombussolato, di gran lunga si sarebbe sentito meglio sulle montagne russe, con tutto il senso di nausea a seguire. Deglutì a vuoto, intimorito poi si sforzò di alzare lo sguardo, quel poco che bastava per guardare l'altro. Non lo sapeva, ma i suoi occhi erano lucidi, le labbra erano schiuse, pronte come sempre a replicare qualsiasi cosa, i capelli biondo miele spettinati gli riservavano un'aria sensuale seppure lui fosse convinto del contrario, e le gote erano fin troppo arrossate per star vicino a un normale collega.
Continuava a fare passi indietro a ognuno che Thomas compiva verso di lui. Il petto nudo, il sorriso malizioso e le parole fraintendibili non facevano altro che peggiorare il tutto. Pregò che fosse una riproduzione della sua mente, un altro stupido sogno, tutto, fuorché la realtà. Sgranò le orbite quando sentì le proprie spalle urtare la parete, non avrebbe più potuto indietreggiare. Era letteralmente spalle al muro, di nuovo, nello stesso giorno per la seconda volta.
Thomas gli sorrise vittorioso, scrutandolo attentamente.Lo sguardo malizioso fissò i suoi occhi, per scorrere inconsapevole alle labbra, lento e studioso arrivò al petto, squadrando il fisico esile e slanciato del biondo, che stava andando letteralmente a fuoco per la soggezione, la dedizione che Thomas gli stava riservando in quel momento lo faceva sentire scoperto, nudo davanti a sé.
D'un tratto, gli occhi del più piccolo si incupirono, spegnendosi come un sole. A centro della fronte si presentò una ruga di preoccupazione, di spavento. Qualcosa aveva catturato la propria attenzione, sicuramente nulla di positivo. Newt ne seguì la traiettoria e capì. Le dita del moro sfiorarono suo braccio, quello che solo due giorni fa aveva beccato un proiettile, salvandogli la pelle. In quel preciso punto, la maglia era sporca di sangue.
«Stai perdendo sangue...» Bofonchiò il più piccolo, lo sguardo angosciato. «Ti sarai strapazzato troppo. » Ipotizzò, riscuotendosi dal timore.«Prendo il kit medico, siediti.» Enunciò determinato, precipitandosi verso lo stanzino.
«Non ce ne è bisogno, è solo un po'di sangue.» Minimizzò Newt, toccandosi il braccio, il liquido denso color scarlatto non solo aveva sporcato la benda ma anche la maglia.
«Ho detto di sederti.»Tuonò il ragazzo con il chip, un lampo di determinazione gli attraversò lo sguardo, il tono alterato fece capire a Newt che era meglio fare come suggerito. Si sedette sulla sedia bianca, restando in silenzio.
«Se non riesci ad alzare abbastanza la manica, togli la maglia.» Suggerì Thomas, la voce distante proveniva dallo stanzino. A5 si sforzò di alzarla, entrambi a petto scoperto sarebbe stato troppo da sopportare. Agì con la massima cautela, attento a non peggiorare l'ecchimosi più di quanto già non fosse, per fortuna riuscì a sollevare la manica il giusto. «Eccomi.» Pronunciò Thomas, con in mano la valigetta bianca di pronto soccorso.«Ho le ultime bende, sei fortunato.» Informò, inginocchiandosi ai piedi di Newt, sfiorandogli il braccio.
«Cosa vuoi fare?» Il più grande portò la testa all'indietro, evitando il contatto.
«Impedire che dissangui...Non voglio averti sulla coscienza, stalker imbranato.» Proferì con un ghigno simpatico, aprendo il case e munendosi del necessario. Newt a quel soprannome sbuffò, infastidito. Restò stupito della sua delicatezza, le mani grandi e forzute di Thomas, le stesse che lo avevano trascinato prima con quella potenza, sapevano essere leggiadri e piacevoli come piume. Amava i suoi tocchi, lo stava contemplando come un angelo.
«Perché lo hai detto all'Intelligence?» Chiese Thomas a bassa voce, mentre toglieva lentamente la benda per pulire il braccio con dell'ovatta.
«Detto cosa?» Domandò di rimando, scrollandosi quei pensieri che non gli davano tregua.
«Di questo mio viaggio, credevo di essere stato chiaro.» Specificò, bagnando con acqua ossigenata il taglio, togliendo ogni residuo di sangue. Il moro era arrabbiato, ma a differenza di poco fa controllava il tono; continuò a disinfettare, in silenzio. Newt non sapeva se dirgli la verità o no, trascorsero attimi di lotta interiore prima di scegliere per la sincerità.
«Non sanno che sei qui. » Svelò, il tono incerto, leggermente spaventato per qualsiasi reazione che avrebbe auto il collega. Sollevò lo sguardo, voleva studiare l'espressione di Thomas, che si bloccò nei movimenti, corrucciò le sopracciglia, in cerca di risposte.
«E come fai a stare qui? Una volta sbandierato tutto, Lillian ti avrà incaricato di seguirmi.» Concluse frettoloso, disinfettando la lesione. Bruciava, ma Newt represse il fastidio, muovendo il capo lentamente verso destra e sinistra. Thomas, con attenzione, stava sistemando la benda sul braccio, il sangue sembrava essersi fermato.
«Nessuno sa che sei qui.» dichiarò secco, passando la lingua per umettare le labbra.«A parte me.» puntualizzò ovvio, attimi dopo.
«Co-?» Lo sguardo di Thomas era indecifrabile, confuso. «Continuo a non capire ...»
Newt sbuffò, gli costava tanto ammettere che lo aveva seguito di sua spontanea volontà. «Potevo seguirti anche senza dire nulla alla base, e così ho fatto.» Rivelò, mostrandosi più naturale possibile, quella notizia suscitò qualcosa in Thomas, forse sorpresa o addirittura ammirazione, Newt non seppe riconoscerlo con certezza, perché il più piccolo sagacemente si affrettò a celare le proprie emozioni.
«Allora non sei così stronzo ...» realizzò il più piccolo, ampliando la bocca in un sorriso che subito sfumò.
«Direi di no... » diede risposta Newt scherzoso, digrignando appena i denti per la sensazione di prurito misto a bruciore. Si aspettava che Thomas gli fosse grato o che almeno continuasse a scherzare e, invece, quando riportò gli occhi sulla figura del più piccolo notò un distacco glaciale.
Lo sguardo del moro era tetro, agghiacciato. Era stato un cambiamento radicale in pochi istanti, come se fosse posseduto.«Mi dispiace ...» soffiò all'improvviso, stringendo i pugni.
«Mi dispiace per averti messo al muro, mi dispiace per ora.» parlò rapido, confondendo il maggiore. In un gesto rapido, il biondo si sentì in trappola, legato. Thomas aveva ammanettato la mano sinistra allo schienale della sedia.
Si alzò in piedi, allontanandosi.
«Thomas, che caspio hai fatto!?» Quella del biondo era sia una domanda sia un'affermazione. Fissava inerme la mano intrappolata, non comprendendo. Si contorceva, provando a divincolarsi. Si trascinava con il sedere, ma nessun risultato. Gli occhi sgranati dal terrore. «Liberami! » Urlò, infuriato, il respiro affannato. Il petto si alzava e abbassava a respiri pesanti.
Edison indossò in fretta la felpa, attento a nascondere le lacrime agli occhi.«Scusami, ma per una volta voglio disconnettermi. Seguirò l'unica cosa che mi rende ancora umano.» Confessò malinconico, tirando su i muchi.
«Che vuoi fare?!» Imperò Newt, alle strette. «Thomas! » gridò ancora, con voce strozzata. Il moro gli rivolse un'occhiata inspiegabile, quello sguardo profondo gli stava dicendo molto, quasi si commosse paragonandolo all'ultimo saluto. «Dove stai andando? Thomas, parlami! » A2 collocò la scala, vi salì e velocemente andò via, lasciando il collega da solo, sottoterra.
«Thomas! » Urlò ancora, sperando che quello ci avesse ripensato, tornando indietro, ma niente.
Respirò a pieni polmoni, muovendosi qua e là insistendo per liberarsi. Gli si illuminarono gli occhi dopo qualche minuto, notando sul tavolo bianco delle pinzette, sarebbe riuscito a svincolarsi. Con il sedere strusciò fino al tavolo, con la mano libera le afferrò. Inevitabilmente lo sguardo finì anche su degli appunti, su una foto che ritraeva due ragazzi felici, un ragazzo e una ragazza. Il maschio era Thomas, la femmina una ragazza coetanea dai capelli corvini e occhi blu cobalto. Una bella coppia felice, sicuramente stavano insieme. Si intristì immaginando Thomas con una sua compagna, ma d'altronde quella era la sua vita.Il respiro gli si mozzò in gola, scoprendo tramite gli altri appunti che si trattava di Teresa Agnes, ne aveva sentito parlare nella sua ex base dell'FBI, alcuni colleghi credevano persino che lei fosse ancora viva, seppure tutti la davano per morta in un attentato terroristico.
Newt continuò a spingere le pinze nella serratura, per sua fortuna quello gli aveva soltanto ammanettato una mano, con quella libera cercava di liberarsi quanto prima. Aumentò il ritmo quando gli occhi scorsero sull'ultimo appunto sui cui c'era segnata in grande la data di quel giorno, in piccolo c'era scritto:"Incontro, ospedale A. C. N Hospital"
Il cuore parve fermarsi.
Doveva liberarsi al più presto.
Doveva liberare Thomas dal ricordo di lei.
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