25. Stand by me

N/A: Promessa mantenuta, cari lettori! Trentasei pagine di Newtmas, quando mai mi è uscita una cosa del genere? Beh, prendetelo come regalo di Natale:P
Chissà se questi due avranno il finale felice che meritano, per il momento mi limito a dire soltanto: Merry Newtmas! Ringrazio urielMTy per il disegno che c'è in alto, un vero capolavoro!

P.S: Alcune delle canzoni che mi hanno aiutato a scrivere questo capitolo: Skyfall-Set fire to the rain-All the things she said-Dusk till dawn-Die with a smile-Love the way you lie-Arcade- Turning Tables-Only love can hurt like this- Supreme robbie williams-I like the way you kiss me- give me love.

25. Stand by me

Era pronto al peggio. Eppure, nonostante i brividi di paura che gli accapponavano la pelle, un fuoco di determinazione cominciò a crescere in lui, un secondo dopo l'altro, alimentato dall'istinto di sopravvivenza, dai rimpianti che avrebbe provato se fosse morto lì, su quella terrazza, e da una rabbia improvvisa e intensa.

Perché non poteva essere felice e spensierato, anche solo per pochi minuti? Perché doveva vivere costantemente con una sensazione di insoddisfazione, tormentato da dolori fisici, mentali, emotivi...

Era stanco, soprattutto di tutte le cose che non aveva ancora fatto e che desiderava ardentemente vedere realizzate. Con quel messaggio che gli rimbombava nella testa, non poteva fare a meno di pensare che le cose si fossero messe male e, molto probabilmente, non sarebbe riuscito in tempo a rivelare ciò che provava a Thomas. Non si era neanche dichiarato, per paura di ricevere una porta sbattuta in faccia. Appariva tutto così patetico, difficile da credere, eppure doveva saperlo più di chiunque altro, visto il lavoro rischioso che faceva, la morte non avvisava nessuno.

Non aveva mai immaginato che la sua vita potesse trovarsi a un bivio così tragico, con una morte prematura che potesse precedere qualsiasi dichiarazione. Il solo pensiero lo paralizzava... Ma no, non sarebbe andata così.

La sua vita era stata troppo intensa, troppo significativa, per finire in modo così assurdo, interrotta in una giornata qualunque da un folle sconosciuto che l'aveva minacciato attraverso lo schermo di un telefono. Avrebbe lottato per vivere con tutte le forze che aveva in corpo. Avrebbe fatto tutto ciò che fosse necessario e poi, forse...

Avrebbe scritto lui la sua storia; non avrebbe mai lasciato a nessun altro il potere di porre fine alla sua vita senza il suo consenso. Magari, davvero, avrebbe abbandonato l'Intelligence e la Virginia. Nel suo computer c'era ancora la bozza delle dimissioni che non aveva avuto il coraggio di rivedere, ma che, se fosse sopravvissuto a quel momento, avrebbe inviato. Se ne fosse uscito vivo, non se ne sarebbe andato senza dire a Thomas la verità. Poi avrebbe dato inizio a una nuova vita, altrove, lontano da lui, dalla CIA, dall'America, ritornando a casa: la sua piccola, piovosa e amata Londra.

Si sarebbe comportato da uomo adulto, abbattendo il silenzio che li aveva separati, un silenzio che entrambi avevano contribuito ad alimentare, costruendo muri sempre più alti e invalicabili.

Era in momenti terrificanti come quelli, in bilico precario su una corda sottile, tra la vita e la morte, che ci si rendeva conto di quanto fossero insignificanti le paure. Il rimpianto di non aver fatto determinate cose, sarebbe stato di gran lunga peggiore. La sua vita, come quella di ognuno, era imprevedibile.

Forse stava per morire e quel messaggio era stato davvero il prologo della sua fine. Non era sicuro di chi l'avesse inviato, anche se i sospetti non potevano che ricadere su Jigsaw. Con tutti i colpi di testa recenti, era ovvio che i suoi uomini si fossero messi sulle loro tracce, prefissandosi di non mandarla buona né a Thomas né a lui. Ma per quanto fossero tecnologici, non li vedeva tipi da avvertimenti e seconde possibilità.

Criminali come quelli puntavano la pistola alla tempia e bang!

Portò dentro tutta l'aria per poi liberarla in un grido incontrollato, prolungato. Sicuramente l'avrebbe sentito tutto l'ospedale, o forse no, per via della pioggia battente che, assieme ai tuoni fragorosi quanto terrificanti, lo avrebbero coperto del tutto.

Patì il fuoco bollirgli nel petto, per poi esplodere in un grido che squarciò il cielo plumbeo sopra di lui. Sentì le vene del collo assottigliarsi ed evidenziarsi sulla nuca, le corde vocali chiedere pietà per lo sforzo che non aveva mai fatto.

Si voltò, ancora con gli occhi chiusi, timoroso di vedere la fine che lo aspettava. Per l'eccesso di adrenalina, le mani cominciarono a tremare mentre sguainava la stampella come una spada, roteandola freneticamente nell'aria, senza alcuna direzione: un gesto cieco e poco efficiente. Prima che potesse scagliare un altro colpo, qualcosa accadde: una mano lo fermò, implacabile e decisa, stringendolo in una morsa di ferro.

Sussultò e il cuore s'arrestò di colpo.

«Ehi, ehi! Calma!» Una voce chiara e incredibilmente familiare gli penetrò nell'anima come una melodia dolce e rassicurante. Ogni parola sovrastò il rumore fitto della pioggia che cadeva fragorosa. Quelle parole, dette a bassa voce con un tono così dolce, sembravano più udibili di tutto il frastuono circostante. Perché? Perché era la voce, l'unica che aveva desiderato per settimane di sentire al capezzale del proprio letto, a rassicurarlo, a ricordargli che tutto sarebbe andato bene... Quella voce adesso era lì.

Ogni parola sembrava avvolgerlo in un abbraccio di sicurezza, calmando la tempesta che lo agitava: il riflesso di una speranza in cui in fondo non aveva mai smesso di credere. Un faro luminoso aveva squarciato l'oscurità, portandola via, lontano da lui. Non era più da solo e, cosa più importante, non era in pericolo.

Newt aprì gli occhi, incredulo, per poi richiuderli, come se cercasse di sfuggire alla realtà, completamente stordito dalla luce che emanava la sua speranza concretizzata. La gola, di colpo, si era fatta secca e la bocca spalancata era la prova di quanto fosse scioccato. Tra tutte le persone che aveva immaginato, in mezzo alla paura e al caos che lo avvolgevano, non avrebbe mai creduto di trovare lui. Thomas, ancora una volta. Due incontri in una giornata? Non era preparato per questo.

Sbatté le palpebre, cercando di scacciare quella visione, ma la pioggia continuava a colpirlo, gelida e concreta. "Non è possibile, deve essere un sogno," pensò, ma ogni goccia che gli scivolava sul viso sembrava ricordargli che non lo fosse. La pioggia era reale e, con essa, il freddo che gli pungeva sotto i vestiti. Cominciava a sentire freddo tanto da battere i denti.

Come aveva fatto Thomas ad avvicinarsi così tanto, inavvertitamente? Quando aveva sentito arrivare lo sconosciuto, aveva calcolato che fosse a diversi passi di distanza e, invece, era vicino, troppo vicino. Di nuovo petto contro petto, con una sola differenza: ricordava di superarlo in altezza, ma ora, visti così, Edison sembrava più alto, più imponente, più forte. Di certo erano quegli stivali con il tacco, pensò. Dovevano essere quelli a renderlo così maledettamente piccolo, così incredibilmente vulnerabile.

Per quanto lo avesse odiato, o meglio, per quanto si fosse imposto di odiarlo per la sua assenza prolungata, in quel momento ogni suo muro di resistenza stava penosamente crollando. Le sue false credenze si frantumavano in mille pezzi, lasciandolo nudo davanti alla realtà. I suoi occhi, solitamente timorosi e sfuggenti, cercavano di evitare quelli di Edison, ma non c'era via di scampo. Quelli di Thomas lo fissavano senza sosta, come predatori famelici, privi di freni. Non poteva nascondere di essere felice di vederlo, stavolta più di sempre.

La tensione tra loro era palpabile, come un filo sottile che si tendeva sempre di più, carico di emozioni non dette, destinato a spezzarsi. Imbarazzo, confusione, paura e qualcosa di più profondo, nascosto, ma che entrambi avvertivano. Tutto ciò che avevano vissuto fino a quel momento sembrava annullato in un battito di cuore: un momento sospeso, dove nulla era più come prima.

Le loro labbra, entrambe socchiuse, accoglievano nella propria bocca il respiro leggermente rumoroso dell'altro. Sembrava che avessero entrambi partecipato a una maratona per il fiatone, ma era il loro cuore a pompare più sangue, e la pressione, abbastanza elevata, procurava in entrambi una scarica elettrica di calore. Quanto potere avevano gli occhi.

«È così che ringrazi chi ti ha salvato la vita?» proferì Thomas, smorzando la tensione. Non accennò ad allentare la presa, né ridusse la forza applicata.

Newt lo riconobbe subito: era una stretta diversa, non come quella di aiuto in volo di ritorno dall'India, quando rischiò di cadere in aereo per la turbolenza, né come quella di soccorso in mattinata per la quasi caduta dalle scale. Era una stretta di appartenenza, di proprietà.

La mano destra del bruno era attorno a quella di Newt, l'una sull'altra, entrambe in alto, attorno alla stampella. La sinistra, invece, gli teneva la schiena, spingendo il corpo del mingherlino contro il suo petto.

L'unica minima distanza era soltanto di pochi centimetri, pressoché azzerabile a livello delle labbra; il resto del corpo combaciava perfettamente.
Tutta l'ansia che aveva provato nel pensare al momento in cui fosse stato vicino a Newt era di colpo dissipata, lasciando spazio al falso sbruffone antipatico. Forse era il suo unico modo di provare affetto: certe cose non le sapeva... non le aveva mai provate fino a quel momento.

Quando i suoi occhi si perdevano in quelli dell'inglese, sembrava che si staccasse dalla terra, viaggiando nello spazio, tra le galassie, passando dai vari pianeti. Era una sensazione destabilizzante e mai provata prima, che gli metteva lo stomaco sottosopra e gli faceva credere che fosse quella la definizione perfetta di "farfalle nello stomaco". Era piacevole quanto la visione della Via Lattea e distruttiva come l'esistenza di un buco nero, ma temeva che ogni cosa potesse esserci tra lui e Newt si sarebbe avvicinata più alla seconda che alla prima.

Un lampo illuminò il cielo, seguito dopo poco dal fragore assordante di un tuono che, come un colpo di cannone, rimbombò nell'aria.

«Mi spieghi che ci fai sotto la pioggia? Sei fradicio. Di questo passo ti ammalerai.» Le parole del bruno arrivarono alle orecchie di Newt, ma ancora di più furono accolte dal suo cuore. L'inglese aprì gli occhi, accennando una lieve curvatura delle labbra che esprimeva un sorriso ironico, che avrebbe tanto accompagnato con una frase del tipo: «Adesso ti importa della mia salute?», ma era ancora nella più completa fase di destabilizzazione. Si sentiva come in un sogno, ancora non credeva che Thomas fosse realmente lì, a pochi centimetri da sé.

Era quasi come se l'universo avesse deciso di esaudire tutti i suoi desideri in una volta sola, accalcandoli tutti nello stesso giorno e non lasciandogli il tempo di metabolizzare e respirare, mentre nella sua testa frullavano altri possibili scenari che aveva sognato e per cui, in quel momento, stava sbiancando.

La sua schiena era leggermente curvata all'indietro, apparendo più basso, i suoi movimenti del tutto limitati perché bloccato tra le braccia dell'americano. Era sopraffatto e sconvolto, il suo corpo sussultava a tratti, tremante, per la paura, per il freddo, per l'emozione. Era così su di giri che non riusciva a capirlo, sentiva solo un certo stato di quiete, di rilassamento totale, di leggerezza, rara quanto inebriante.

«Ho capito... sto davvero morendo.» asserì con voce incrinata, sorridendo debolmente. La folta chioma color grano era così bagnata che dai capelli strizzati ne sarebbero usciti litri d'acqua.

«No, Newt, stai soltanto delirando.» ammonì, smorzando un sorriso per niente felice. Nello sguardo di Thomas era visibile un lampo di rabbia accecante, che rendeva i suoi occhi severi e freddi, completamente in contrasto con il loro colore naturale, ambrato, che ricordava il calore di un camino.

«Troppa acqua ti è entrata nel cervello, tanto da annacquartelo. Dimmi tu se è normale stare qua sopra con un temporale del genere, zeppo da capo a piedi, e se poi vogliamo aggiungere che urlavi come un forsennato e colpivi l'aria con la stampella, manco ci fossero dei fantasmi, beh... è assai preoccupante il tuo stato mentale.» riportò con tono brusco e nervoso, la voce alta e tagliente, come se ogni parola dovesse essere un rimprovero. I suoi occhi, però, tradivano un'ansia che non riusciva a nascondere.

Ogni gesto sembrava un tentativo di mascherare una preoccupazione che lo divorava, ma il suo comportamento non faceva che accentuare la tensione. Conosceva abbastanza bene Newt per sapere che c'era un motivo ben preciso se si stava comportando così, e sapeva benissimo che per scoprirlo doveva aggredirlo. Ormai aveva chiaro da tempo come funzionasse il suo cervello.

«Hai perso completamente la testa, sotto un acquazzone per quello lì che non conosci neanche da un giorno.» sgranò gli occhi incredulo, adirato, alzò le spalle con un gesto secco, come a voler mettere distanza tra sé e ciò che lo stava turbando. La sua espressione raggirava un malessere che cercava di nascondere, ma il suo atteggiamento, pieno di rabbia e nervosismo, non faceva che accentuare la preoccupazione che in realtà lo consumava.

«Perché sembravi terrorizzato poco fa, mh? Perché volevi colpirmi? Perché urlavi? Eri così scosso... Da chi volevi difenderti?» La voce, calda e dolce poco prima, ora era diventata più alta, nervosa e spigolosa. Una raffica di domande incontrollabili sfuggiva dalle sue labbra. La calma che solitamente lo caratterizzava sembrò vacillare; non c'era mai stata una situazione che fosse riuscita a scalfire la compostezza di Thomas Edison. O almeno, non fin quando la vita di A5 era in pericolo.

Il biondo lo guardò assente, con uno sguardo vuoto, distante. Sembrava che l'anima si fosse allontanata dal corpo in quel momento, scappando via da quella realtà. Boccheggiò, ma la sua voce non emise suoni. Era incredulo e sollevato di non avere un nemico da cui difendersi, ma il ragazzo per cui aveva perso tutto.

«Non hai parole, eh?» proferì sincero, una frecciatina che a tutti poteva sembrare un tentativo di stuzzicare. Ma per Thomas Edison, era una verità. Quello che non aveva capito, o meglio, che avrebbe capito a breve, era che la sua conversazione era totalmente unilaterale.

Quei pozzi color nocciola fissavano un punto indefinito, senza realmente vedere ciò che li circondava. Le pupille opache non riflettevano emozioni né curiosità, e la luce negli occhi era smorzata, come se il pensiero fosse altrove. Un sottile strato di improvvisa apatia aleggiava sul suo viso pallido, come sospeso in un limbo.

Newt guardava le labbra di Thomas, ne seguiva i movimenti e le pupille cercavano di rincorrere tutte le volte che quelle superiori lambissero quelle inferiori. Ma non udiva le parole, non gli arrivavano alle orecchie. Aveva desiderato per settimane averlo vicino e sentirlo parlare. E ora che era lì, i suoni erano ovattati, la vista annebbiata e le forze venivano meno, come se qualcuno le succhiasse via.

Era il prologo di un calo di pressione, una circostanza che aveva già vissuto diverse volte in passato. Per quanto si sforzasse di avvisare Thomas, sapeva che era tutta un'illusione. I suoi sforzi immani percepiti nella sua mente non si verificavano nella realtà. Per quanto credesse di urlare, non lo stava facendo realmente.

Tutta l'adrenalina che lo aveva attraversato in quei momenti esplosivi si dileguò improvvisamente, come se fosse stata spazzata via dalla semplice consapevolezza che, in mezzo a tutto quel caos, c'era Thomas. Un senso di incredulità lo pervase, e con esso una quiete inaspettata. Il cuore, che aveva martellato contro il petto, ora rallentava; i battiti, che un attimo prima sembravano ruggire, ora sussurravano, lasciando spazio a una sensazione di vuoto e rilassamento che Newt non riusciva a comprendere pienamente. I suoi occhi rotearono all'indietro così come il suo capo.

Senza un suono, crollò privo di sensi, con la stessa facilità con cui una foglia si staccava dal ramo, come se il suo peso fosse troppo da sopportare. Afflosciandosi nelle gambe, atterrò senza più resistenza tra le braccia del porto sicuro che avrebbe voluto per la vita.

Thomas lo afferrò prontamente, rischiando per poco di perdere l'equilibrio. Si inginocchiò, evitando che Newt finisse a terra. Il corpo, che fino a pochi istanti prima era stato teso come una corda di violino, ora si lasciava andare, abbandonandosi a quella presenza familiare ma al tempo stesso sconvolgente.

Il respiro si fece più calmo, le spalle si rilassarono e in quel momento, in quel contatto, Newt scoprì qualcosa di nuovo. Qualcosa che non avrebbe mai voluto ammettere a voce alta: non era solo la paura a fargli tremare le mani. Era anche la consapevolezza che, nonostante tutte le sue resistenze, Thomas era lì, con lui, nel momento in cui ne aveva più bisogno. Quella presenza colmava tutti i giorni d'assenza, spazzando via tutto il dolore e sostituendolo con un'inquantificabile gioia.

«Ehi, ehi, Newt!» lo chiamò, non riuscendo a celare il tono allarmato, l'angoscia che vibrava nella sua voce. Il naso arricciato e la mascella serrata in un'espressione spaesata. La frustrazione gli stringeva la mente mentre si sentiva completamente incapace di cambiare le cose, come se il mondo intorno a lui fosse fuori dalla sua portata. Cominciò a dare leggeri colpi alle guance del biondo; in quell'occasione sarebbero stati preferibili schiaffi pesanti, ma non avrebbe mai pensato di toccare Newt con violenza.

«Apri gli occhi, dai. Possibile che ogni volta ti ho tra le braccia, svieni? Smettila o inizierò a credere che sia davvero più giusto starti lontano.» Si morse l'interno della guancia, pentitosi subito di quella constatazione.

«Caspiata,» si corresse subito, «la verità, bello addormentato, è che svieni perché non riesci a essere lucido in mia presenza. Sono irresistibile per te.» Continuò, smorzando i toni con una battuta non del tutto consona al momento, con l'intento di suscitare una reazione nell'altro.

Ma il corpo dell'agente Isaacs era immobile tra le sue braccia, troppo fragile per restare in piedi. Thomas, con il braccio sinistro, lo sorreggeva sotto un'ascella, mentre il pollice della mano destra gli sfiorava le labbra, in un gesto che non apparteneva per chi era appena svenuto.

Quella carezza non aveva nulla di medico, niente di pratico: era qualcosa di più intimo, più involontario. Parlava di una connessione che neppure lui voleva ammettere, dalla quale non riusciva a trattenersi. Come poteva, anche in quella situazione critica, pensare per la seconda volta quanto fossero belle e appetibili quelle labbra da cui erano usciti per lo più offese nei suoi confronti?

Come poteva definire Isaacs Newton un bel ragazzo, anche se in quel momento sembrava un pulcino innaffiato? Anzi, colpito in quel modo, capiva ancora di più di essere arrivato a un punto di non ritorno. Non gli piaceva soltanto la testardaggine del biondo, ma anche uno strato che non mostrava, ma che comunque gli apparteneva: la vulnerabilità. Appariva così piccolo e indifeso, da proteggere.

Avvicinò il viso a quello del biondo, inalando l'effluvio dei suoi capelli e della sua pelle. Non era un profumo artificiale, ma naturale, primordiale. Diamine, lo faceva andare su di giri, ne era dipendente. Si accorse in quel momento più che mai di quanto gli fosse mancato.

In quella settimana in cui non si erano visti, aveva cercato di calcare quelle note con la memoria olfattiva, ma non c'era riuscito, sebbene fossero stampate nella sua testa. La pioggia amplificava quell'odore e poté assaporarlo inalandolo assieme al petricore, l'odore della pioggia. Quando iniziò a picchiettare più forte, si destò da quei pensieri poco casti. Che diamine stava facendo?

«Oh, ci mancava soltanto la grandine.» brontolò seccato, per poi issarsi sulle ginocchia sfidando la grandine battente con ancora Newt tra le braccia. A mo' di donzella, lo condusse nel posto più vicino che potesse ripararli. Con una spallata aprì la porta vetrata dell'angusta serra e si intrufolò, chiudendola in egual modo.

Calò il biondo delicatamente, mettendolo in una posizione semi-seduta, la schiena poggiata in modo malconcio a dei piccoli scaffali in legno che ospitavano piante grasse e fiori di vario genere. Non era una delle posizioni più comode, infatti la scelse proprio per quel motivo. Newt non poteva restare rilassato e privo di sensi in una posizione così scomoda.

Thomas gli si sedette di fronte, le gambe incrociate in modo naturale. Poco dopo, l'inglese grugnì qualcosa di incomprensibile, prima di menzionare una frase impastata come «Sono vicini...»

Edison aggrottò la fronte e drizzò le orecchie. «Chi? Chi è vicino, Newt?» Domandò, l'eccessiva preoccupazione che si faceva strada nel suo cuore.

«C'entra per caso quel Richard? Quel porco ti ha importunato? Volevi colpire lui, vero? Hai detto il suo nome prima...» La rabbia esplose improvvisa nelle sue parole. I denti stretti in un'espressione rabbiosa, gli occhi fissi, eppure l'ombra di preoccupazione non abbandonava il suo viso. «Se è così, giuro che gli spezzo le vene.»

Le sue parole furono taglienti come lame, abbastanza da spezzare lo stato assopito di Newt, che si ridestò, aprì appena gli occhi, rintronato, la fronte aggrottata per la confusione. C'era qualcosa di ruvido sul suo viso e, per quanto fosse frastornato, intuì che non potesse trattarsi della pioggia; solo quando curvò la testa notò una garza bianca avvolgere la mano destra di Thomas, poggiata sulla sua guancia. Lo stava forse accarezzando? Doveva trattarsi di sicuro di un'allucinazione.

«Bentornato, ti ho traumatizzato per caso?» Domandò retorico il bruno, seguendo lo sguardo di Newt, che, come palline pazze, andava a destra e sinistra, cercando di capire cosa stava accadendo. Thomas ne colse subito lo scetticismo; il più grande stava cercando di capire se lo stava davvero accarezzando. Si bloccò senza ritrarre del tutto la mano, ma il gesto era sufficiente per fermarsi con un tocco leggero e premuroso. Era stato colto le mani nel sacco, ma per la prima volta Edison non sembrava affatto imbarazzato.

«È giusto che tu lo sappia: gli spezzerei le vene perché non mi accontenterei di rompergli le ossa. Non mi darebbe abbastanza soddisfazione.» Ripeté con una certa fierezza, mentre una luce luminosa quanto pericolosa illuminava i suoi occhi. La frase, sommata alla sua espressione orgogliosa e il sorriso malizioso, rendeva quella frase inquietante più accettabile. Probabilmente era la cosa più romantica che Thomas avesse detto nella sua vita, ma Newt la travisò.

I suoi occhi si aprirono di poco, l'espressione frastornata sul suo viso intuiva che stesse capendo poco e nulla. Provò a schiarirsi la voce, drizzandosi su con la schiena.

In quel momento, Edison notò che la felpa del suo protettore -in quanto larga e per il vario strapazzo- era scivolata oltre le spalle, scoprendo la lattea scapola. Non ci rifletté minimamente e, come se fosse un gesto di routine, afferrò con i polpastrelli i due lembi della maglia sollevandoli. Prestò attenzione a non sfiorare la pelle, per evitare di dare inizio a scenari poco casti, ma Isaacs tremò comunque sotto il suo tocco delicato. Il fuoco era presente in entrambi, per quanto avrebbero domato quell'incendio?

Prima la guancia e poi la spalla? Fissò Thomas con quei tizzoni nocciola, che ardevano bollenti per emozioni tumultuose e contrastanti: desiderio, rabbia e anche un pizzico di paura. Paura di illudersi, paura che fosse un sogno, paura di scottarsi di nuovo. Il bruno ricambiò lo sguardo, la testa lievemente inclinata, l'espressione sfacciatamente determinata e curiosa.

Quando afferrò ciò che stava accadendo, incredulo, Newt sgranò gli occhi; come se si fosse ustionato da una fiamma ardente e incontrollabile, con uno scatto di reni, indietreggiò maldestramente, sbattendo contro diversi ripiani. Rischiò quasi di far cadere un vaso di rose che gli sarebbe precipitato in testa se, come sempre, non fosse stata per la prontezza di Thomas, che lo fermò.

L'americano si era sporto in avanti verso di lui, e Newt si sentiva di nuovo piccolo e vulnerabile, oltre che ridicolmente impacciato. Il suo viso era pari al petto del bruno e il battito del suo cuore risuonava nelle orecchie di Newt come un tamburo, forte e imperioso, il suo respiro agitato. La tensione tra loro si condensava in quell'aria carica di pioggia e sussurri non detti, come un filo visibile che li legava più di quanto entrambi avrebbero creduto possibile.

«Incredibile, sei una calamita attira disastri.» Canzonò e, in un attimo, sembrò aver spazzato via l'aria tesa e rabbiosa di poco prima, scaturita da pensieri che avrebbero danneggiato Newt.

«Mi stavi toccando mentre non ero cosciente!?» Sbottò Newt di un'ottava, giustificando il suo movimento repentino. Non fu comprensibile se fosse più una domanda o una constatazione la sua.

«Mi stai accusando di essere un maniaco, per caso?» Controbatté Thomas, incredulo per l'assenza di gratitudine, ma al tempo stesso divertito. Newt restò in silenzio, le braccia incrociate al petto e un'espressione fastidiosa quanto buffa in viso.

«Eri svenuto, se non ti avessi toccato, probabilmente non ti saresti ancora svegliato. Dovresti solo riconoscere che il mio tocco ti fa bene.» Indugiò sulle ultime parole, quasi a calcare un doppio senso che a Newt non sfuggì; inclinò la testa a destra, lo sguardo fisso e penetrante in quelli ambrati del più piccolo.

«È una frase allusiva. L'hai detta di proposito, con intenzione.» Constatò, lievemente innervosito. Era grato che fosse Thomas e non un uomo di Jigsaw, ma per quanto fosse felice che fosse il suo collega, con il riprendere coscienza, erano ritornati anche i ricordi e tutto il dolore per la sua indifferenza e la sua assenza.

Thomas sbuffò, facendo spallucce. Non riuscivano mai ad andare d'accordo e pensare che poco prima aveva liberato certe frasi cariche di gelosia. Sperò che quelle parole non le avesse sentite, altrimenti meschinamente le avrebbe usate contro di lui. «Sì, forse è una frase compromettente, non ho pensato prima di dirla ad alta voce, ma anche tu sei un mal pesante, un po' troppo malizioso.»

«Non hai pensato prima di dirla? Chissà perché non mi meraviglio.» Derise Newt, trattenendo un ghigno falso. «Io malizioso? Nah, sono convinto che tu l'abbia detto di proposito, a sfondo sessuale.» Ribatté serio, convinto.

L'americano contò mentalmente fino a dieci, tentato di mandarlo a quel paese e negare, ma poi ci pensò su. Era più divertente giocare a carte scoperte, avevano perso già troppo tempo e nessuno dei due sapeva quanto altro ne avevano a disposizione. Poteva essere tanto come poco, ma anche se fosse stato tanto non sarebbe stato comunque abbastanza.

Quello che avevano perso era ormai andato, era irrecuperabile. «Eppure se fosse? Saresti così ipocrita da dire che non ti piace?»

Una vampata di calore salì dallo stomaco fino alla testa, pizzicando la punta delle orecchie di Newt, di colpo diventò un peperone. «Cheee?» Urlò con un filo di voce in uno strillo poco mascolino. 

I denti affondavano nel labbro inferiore, provocando delle piccole lesioni. Erano feroci come quelli di un lupo che si preparava per attaccare la preda, ma Newt più che un lupo, sembrava un pulcino caduto dal nido, atterrato in una pozzanghera. Era maledettamente tenero nonostante tutto. Incrociò le gambe, per cercare di nascondere il pube, ma con gli indumenti fradici che gli si attaccavano addosso non era semplice.

«Beh...mi basta saperti sveglio e con un bel colore in viso. Ora sì che hai delle guance belle rosse.» Stuzzicò ancora Thomas, indossando la solita maschera sarcastica, con quella non sbagliava mai.

«Cerca di contenere l'entusiasmo, biondino, potrei sentirmi lusingato,» rispose Edison con un sorriso ironico, indugiando lo sguardo ambrato e acceso di una strana luce sul petto di Newt o forse stava guardando più in basso. Il biondo seguì la traiettoria e si fece paonazzo in viso. Entrambi stavano guardando la stessa cosa. Missione fallita, non era riuscito a nasconderlo affatto.

«Oh-no-non dipende affatto da te, è la circostanza, il freddo...» Balbettò impacciato, non sapendo più che altro inventarsi, mentre si sfregava le braccia, più per deviare lo sguardo studioso di quello che per il freddo. Seppure avesse la felpa zeppa d'acqua, il calore dell'imbarazzo lo stava facendo andare a fuoco.

«So come funziona il corpo umano, biondino.»

«Ti arrabbi se ti do del maniaco, ma non ti fai problemi a guardarmi il cavallo dei jeans? È del tutto incoerente, brunetto.» Sottolineò ironico e visibilmente stizzito a braccia incrociate.

A2 soffocò un ghigno divertito. «Siamo l'uno di fronte all'altro, anzi...quasi l'uno sopra l'altro per via dello spazio ristretto, è normale che veda una cosa così...evidente, risalta all'occhio, Isaacs.» Proferì poi a bassa voce, senza mai staccare gli occhi dall'altro; lo chiamava raramente per cognome, di solito lo stuzzicava con i soprannomi, ma dovette riconoscere che in quella situazione creare una certa distanza a pochi centimetri l'uno dall'altro era eccitante, come in un gioco di ruoli.

Per quanto Newt volesse sparire nel pavimento per la vergogna, non staccò neanche lui gli occhi dal più piccolo e quello sguardo audace servì per notare una cosa da non sottovalutare: Thomas aveva le pupille dilatate e continuava a passarsi la lingua tra le labbra come un tic ogni tot di secondi. Aveva letto in passato qualcosa al riguardo, entrambi erano segnali di attrazione sessuale. Poteva usare quella carta per vendicarsi.

Mentre un silenzio scomodo si faceva spazio tra le loro parole non dette, ne approfittò per sollevarsi cautamente, evitando ogni aiuto da parte dell'altro. Una volta in piedi, Newt approfittò di respirare l'aria fresca, la grandine si era attenuata lasciando posto a innocue e sporadiche gocce di pioggia. Il peggio del temporale era passato, forse.

Oltrepassò Thomas con una certa nonchalance, imbracciò la stampella. Nonostante lo spazio ridotto, evitò di urtarlo con la spalla e lasciò la serra, ma la distanza durò poco. Sentì subito i passi di quello seguire i suoi. Era alle sue spalle. La luce che andava e veniva dal palo fulminato illuminò il suo sorriso malizioso nell'ombra, era il momento di attaccare.

«Beh, anche io so molto bene come funziona il corpo umano.» Rinfacciò deciso, il mento in alto e un'espressione falsamente imperturbabile in viso.

Thomas con un passo lo raggiunse, posizionandosi sfacciatamente davanti a lui. Newt non si stupì e avrebbe voluto ribattere con una frase solita del più piccolo, come: "Non riesci proprio a starmi lontano", ma ne aveva altre migliori in repertorio.

Il bruno curvò la testa di lato, mostrando la sua curiosità con un sorriso aperto a trentadue denti. «Bene, vediamo chi ne sa di più, allora.» stuzzicò, trattenendo un ghigno divertito, del tutto aperto alla sfida.

A5 voleva ammazzarlo, ma quanto diavolo gli era mancato, quel botta e risposta, quel calore di vicinanza, persino il freddo del distacco gli era mancato. «Le pupille dilatate, ad esempio.» rispose succinto, mostrandosi sicuro. «Si dilatano quando vedono qualcosa di bello, qualcuno che ci piace. Confermi?» Il più piccolo indugiò, per prendere inutilmente tempo.

«Sembrerebbe vero visto che le tue al momento lo sono...» affermò fiero, accarezzandosi il mento, sembrava che stesse pensando, ma scartò quell'ipotesi, Thomas non pensava mai.

«Le mie? Mai quanto le tue, l'iride non è proprio visibile... Per non parlare dell'inumidirsi le labbra passandovi la lingua svariate volte significa la stessa cosa...Due su due, Thomas Edison.» stavolta ad abbozzare un sorriso ampio fu Newt, che con le braccia conserte e un'espressione fiera in volto, si sentiva di aver messo all'angolo il suo protetto. Portò le mani a coppa davanti alla bocca per riscaldarle con il fiato.

Thomas lo osservò lentamente, il suo sguardo si posò sulle mani di Newt, pallide e rigide, come se fossero fatte di ghiaccio. Senza pensarci, si avvicinò.

«In psicologia ti darei una A, ma in matematica una F. Non sai contare o forse non sai vedere...» bisbigliò con voce roca, la solita aria saccente che faceva innervosire Newt, ma che avvertiva maledettamente sensuale. Non poteva più nascondersi, il desiderio era così palese e quello se ne era accorto. Si sentiva un deficiente. Un passo dopo l'altro, l'americano gli si avvicinò completamente, a neanche un centimetro da lui. Inutile, per quanto il biondo si allontanasse, lui annullava la prossemica.

Senza dire una parola, prese le mani del ragazzo tra le sue, riscaldandole con il calore che emanava dalla sua pelle. Newt fece un gesto istintivo, come per ritirarsi, ma il contatto era dolce e rassicurante. Le mani di Thomas erano forti, ma gentili, e Newt sentì un'ondata di calore diffondersi lentamente dalle dita alle sue braccia al suo petto. Il cuore gli si era bloccato. Il suo sguardo confuso incontrò a metà strada quello di Thomas, deciso e finalmente in pace con sé stesso. Non c'era bisogno di parole.

I loro respiri si mescolavano nell'aria fredda, ma qualcosa dentro Newt si scioglieva più velocemente del gelo sulle sue mani. C'era un'intimità silenziosa in quel gesto, una connessione che parlava più forte di qualsiasi parola. Thomas non lasciò andare le sue mani, continuò a tenerle. Immobile e fisso, sicuramente in viso aveva un'espressione da pesce lesso, Newt scrutò il suo protetto e i suoi movimenti criptici, inusuali.

«Sono tre su tre.» rivelò con un sorriso sghembo. I due erano palesi, ma il terzo segnale qual era? Deglutì al solo pensiero di fare quello che la sua mente maliziosa gli aveva appena suggerito, ovvero guardare in basso...

Non sarebbe stato un crimine, lo avrebbe ripagato con la stessa moneta, ma per quanto avesse desiderato da tempo quella vicinanza, non sapeva come interpretare quei momenti. Edison lo aveva lasciato da solo nel momento peggiore e ora era apparso e si stava comportando in un modo completamente diverso, come se non fosse successo nulla. Gli sembrava addirittura che stesse flirtando. Credeva davvero di poter sistemare tutto facendo l'affettuoso? E se stava giocando con i suoi sentimenti perché aveva chiaro che Newt avesse un debole per lui? Non si sarebbe fatto incantare, né usare. Gli costò caro, dovette combattere contro ogni parte di sé, del suo cuore e della sua anima ma ritrasse le mani, sfuggendo al calore di quelle di Thomas. 

«Non perdi mai il senso dell'umorismo.» bofonchiò Newt a bassa voce, allontanandosi. Il tono incerto come se si trovasse bloccato in un limbo incerto se dire quella frase o pensarla soltanto, ma ormai era troppo tardi, quelle parole erano già sfuggite dalla sua bocca. L'americano celò la delusione sul viso, non c'entrava l'umorismo, era sincero, c'era dell'altro e soprattutto un terzo punto che Newt ignorava, ma come un gatto cadde in piedi. 

«È la mia parte integrante e caratteristica, l'effetto collaterale di essere Thomas Edison.» sdrammatizzò, accennando un sorriso a fior di labbra, decidendo che forse sarebbe stato meglio cambiare discorso. Per quanto volesse nasconderlo, si sentiva anche lui in imbarazzo e stava vivendo una simile situazione con il cavallo del suo costume, per quanto indossasse una protezione che non desse a vedere il rigonfio, sentiva il costume tirare proprio lì e cominciava ad essere soffocante, soprattutto se davanti a sé aveva la persona che gli suscitava i pensieri meno puri. 

«Volevi davvero colpirmi con quella?» guardò in basso a destra, Newt aveva lasciato che la stampella cadesse ai suoi piedi, mantenendosi in un precario equilibrio. Forse la sua era una dimostrazione che stava bene, tanto da reggersi senza problemi. «Avresti davvero colpito l'eroe che ti ha salvato?» abbozzò un broncio da bambino fintamente dispiaciuto, per poi dispiegarlo in un lieve sorriso.

«Sì, non mi sarebbe dispiaciuto. E smettila di vantarti per stamattina, non hai fatto nulla di eclatante, non è il salvataggio dell'anno.» Newt alzò il mento e le sopracciglia, l'aria altezzosa di uno che gettava fango sul lavoro altrui, valutandolo al minimo.

«Stai davvero sminuendo il mio aiuto? Avresti preferito una rovinosa e interminabile caduta dalle scale con conseguenze più drastiche di quelle che hai già avuto?» Edison spalancò gli occhi, incredulo. Di quella mattina avevano ricordi diversi. 

«Guarda il lato positivo, già ci trovavamo in ospedale, non dovevi neanche disturbarti ad accompagnarmi.» Newt la buttò lì, accennando un sorriso ironico, privo di umorismo, stretto nelle esili spalle.

Non affrontava i ricordi della fabbrica a cuor leggero, ma Thomas che ne sapeva? Bastava mostrarsi sicuro e distaccato e quello non avrebbe colto il suo malumore e disappunto. O forse si sbagliava e Thomas riusciva a leggerlo oltre le sue criptiche maschere?

«Soccorrerti per me non è mai stato un disturbo.» ammise immediatamente con tono fermo, sapeva che stare in silenzio poteva creare ulteriori malintesi e tra loro già ce n'erano molti. «Già, semplice dovere morale.» accodò Newt, anticipandolo. Deglutì, lo guardò dall'alto in basso per poi distogliere lo sguardo. «Non è mai stato per quello, in Maryland l'ho fatto con piacere, anche se... avrei preferito che non ti fosse successo nulla del genere.» rivelò sincero con un filo di voce.

Una frase carina, così la etichettò Newt. Carina e inaspettata, completamente destabilizzante. Inspirò ed espirò diverse volte, sembrava essersi dimenticato anche come si facesse la cosa più naturale e autonoma al mondo, era ciò che succedeva quando Thomas Edison entrava nei suoi radar: non capiva più niente e a metterlo in crisi era il fatto di essere da solo con lui, e per quanto si allontanasse quello lo inseguiva, allontanando ogni volta sempre di più la distanza tra loro.

Thomas gli era entrato nella testa da parecchio, ma in quel momento sembrava sentire i suoi pensieri gridare: "seguimi", nonostante volesse reprimerli.

E A2 non poté che notare che gli occhi del biondo fossero cambiati dall'ultima volta che l'aveva visto – certo, erano più chiusi che aperti visto che era privo di sensi, morente tra le sue braccia, tremava infreddolito, vulnerabile come un bambino – c'era un guizzo diverso che li rendeva ancora più belli, capaci ancor di più di mozzargli il fiato; avevano esplorato i mondi della tristezza, del dolore, eppure, erano ancora più belli.

Quando lo aveva trovato urlante sulla terrazza, Newt gli era apparso turbato e spaventato, ma sembrava essersi rilassato di colpo dopo averlo riconosciuto, Thomas ne aveva colto quasi un sollievo, e se gli occhi potessero sorridere, quelli di Newt sembrarono farlo. Certo, era un'ipotesi azzardata ma gli brillavano come non mai, e per quanto a Thomas fossero piaciuti dal primo momento quando ancora non se ne rendeva conto, in quel momento avevano una luce diversa, sembrava che le stelle del cielo, che quella sera erano tante, gli fossero cadute negli occhi, prendendo il posto delle pupille.

Il nocciola dei suoi occhi, seppur sera, era visibile e il gioco prodotto dalla luce del lampione a intermittenza si illuminava su di loro creando un'atmosfera magica, surreale, dal potere straordinario. Guardò i capelli, di quel biondo di un principe. Finalmente, il cuore di Thomas batteva per un senso. Agguerrito, falsamente temerario, l'inglese piantò i suoi occhi in quelli di Thomas che ardevano di qualcosa... captò delusione, tristezza e doveva esserci dell'altro che non riuscì a cogliere.

I suoi piccoli nocciola erano fissi sulla figura ben piazzata dell'americano; se avessero avuto il potere di bruciare, di Thomas sarebbe rimasto nel giro di pochi secondi solo cenere, ma non riusciva comunque a capire l'inglese, troppo criptico e misterioso. 

Newt, invece, per quanto falsamente irremovibile e inamovibile, permise agli occhi di fare un rapido giro di perquisizione vagando celere dalle labbra carnose al punto giusto, arrosate e gonfie. Ma Thomas teneva lo sguardo fisso sulla sua spalla, cosa diamine aveva la sua spalla che non andava tanto da fissarla così? Indietreggiò, sollevando quasi al collo la felpa, avrebbe finito di sgualcirla, ma almeno avrebbe interrotto quell'imbarazzo, momento che gli aveva fatto seccare l'aria in gola, lasciandolo a soffocare.

«Scusa, non sapevo fossi di porcellana... E così... ti disintegri al mio solo sguardo?» 

"Sì, avrebbe voluto urlare. Mi disintegro e ricompongo solo con i tuoi occhi."

Riuscì a divincolarsi da quella presa; sapeva che non era stato lui ad applicare la forza necessaria, bensì Thomas era stato abbastanza gentile e mansueto da lasciarlo libero. Ignorò quella vicinanza e quel "scusa" o almeno ci provò e si buttò sulla difensiva, doveva rimettere sui mattoni della sua muraglia di freddezza e apatia.

Roteò gli occhi al cielo, cercando di nascondere la sorpresa e l'ammirazione dietro un'espressione scocciata e infastidita, tentando di mettere ordine agli ormoni e di mantenere un contegno. «Ah, ti piacerebbe. Dovresti sapere che non sono di porcellana. Se così fosse, sarei già sotto terra per tutto ciò che ho passato, non credi?» Rispose acido, cercando di nascondere la vulnerabilità. Forse Thomas aveva intuito che Newt avesse un debole per lui e lo stava prendendo in giro con frasi tenere per portarselo buono, ma non si sarebbe mai mostrato vulnerabile. Aveva sofferto troppo e non sarebbe stata una mediocre frase romantica a farlo vacillare.

«Lo so bene, altrimenti non ti avrei trovato in terrazza, in piedi, in balia di un temporale. Sei svenuto, ti ho soccorso di nuovo eppure non hai perso la tua acidità. Che dire... è sempre un piacere vederti, Isaacs Newton.» Rispose sarcastico, con un sorriso a trentadue denti. Dove nascondesse tutta quella sfacciataggine, restava un mistero. Newt avrebbe voluto assestargli una cinquina. Più che mai, quella sera, Thomas Edison aveva una faccia da schiaffi.

"È sempre un piacere vederti" tanto da non essere mai venuto a trovarmi, avrebbe voluto replicare, ma optò per altro. «Vorrei poter dire lo stesso.» Sputò Newt, gli occhi assottigliati in due fessure, scrutavano l'interlocutore con disprezzo. Quanto era difficile fingere che non gli importava? Quanto era triste mascherare le sue emozioni e dire esattamente il contrario di ciò che sentiva?

Ora che si era tolto quel sassolino dalla scarpa, non stava meglio. Era un po' soddisfatto, ma non felice, e pentito. Tentò di cambiare argomento, senza però abbandonare toni poco garbati. «Perché sei ancora qui da stamattina?» Indagò, fingendo di buttarla lì, ma bramava scoprire la verità e, al tempo stesso, sentire una bugia: "Sono qui per te, Newt. Ho sbagliato tutto." Sapeva che era solo un sogno.

Thomas temporeggiò prima di rispondere con tono tranquillo, le spalle ristrette. «È un ospedale, chiunque può starci il tempo che vuole, compreso me.»

«Certo, ma tu sembri stare fin troppo bene.» Calcò acidamente le ultime parole.

«Ci sono tanti dolori invisibili, Newton, non sta a me spiegarti queste cose. Ma hai ragione, non sono qui per me.» "Ma neanche per me" avrebbe voluto aggiungere il biondo, che si limitò a tacere, muovendo la testa su e giù per asserire.

Evidentemente c'era qualcuno che Thomas considerava importante al punto da andarlo a trovare in ospedale, e ciò gli procurava un dolore martoriante nell'anima. Mai possibile che in quei giorni il bruno non si fosse chiesto delle sue condizioni? Non gli importava di lui, punto e basta. Il mento gli tremolò per pochi secondi, impercettibili. Se fosse stato da solo, qualche lacrima sarebbe scesa, ma riuscì a trattenerle. Era più forte di quanto credeva.

«Tu, invece, cosa ci fai qui, in terrazza? Per giunta da solo, in balia di un temporale? Me lo dici o risvieni? Il dottorino non ti ha detto che devi evitare di stare in piedi inutilmente?» Stavolta le braccia incrociate erano quelle dell'americano, un'aria seria e indagante, come se Newt fosse un imputato e lui il giudice.

Il biondo corrugò la fronte. Le parole poco carine con cui Edison descrisse il suo fisioterapista le trovò subito ambigue, ma non colse subito l'avversità nei suoi confronti, non inizialmente almeno. «Prendevo un po' d'aria... Sono cambiate tante cose in questo periodo che non ti ho visto.» Le ultime parole furono proferite con un sorriso sarcastico che a Thomas non passò inosservato.

Non era un "non ci siamo visti" bensì un "non ti ho visto". Chiunque avrebbe colto la frecciatina e anche Edison non sfuggì, ma era troppo vigliacco per affrontare la situazione da uomo, a testa alta. «Cosa di preciso? Il fatto che tu eri il mio protettore e, invece, sembrerebbe il contrario?» Stuzzicò simpatico, ma Newt non si ammorbidì, anzi abbozzò una smorfia di disappunto.

«No, non ti facevo il tipo che frequentava ospedali, mi sembravi piuttosto allergico.» Alludeva tacitamente al fatto di non aver mai ricevuto una sua visita.

«Davvero ti ho dato questa impressione?» Thomas assottigliò lo sguardo, scrupoloso, attento a non farsi scappare nemmeno il minimo guizzo di un muscolo facciale del biondo. Lo stava studiando con la lente di ingrandimento.

A braccia conserte, Newt mosse il capo in cenno affermativo. Avvertiva quella totale attenzione e... tensione. «Sì, a parte avere un'alta propensione per quelli ad alto rischio di esplosione.» "Grazie a una ex psicopatica" avrebbe volentieri aggiunto, ma preferì tralasciare. Era già stato abbastanza indelicato portando alla memoria quel tragico ricordo: l'ospedale in India, Teresa, la bomba e l'intero reparto di pediatria a rischio.

Thomas incassò il colpo e, a contrario di ogni aspettativa, la sua espressione non mutò. Non sembrò offeso né rattristato, forse perché c'erano stati solo lievi feriti e, grazie all'intervento tempestivo ed eroico di Newt, non era scappato nessun morto, a parte l'agente Agnes. Tasto dolente, senz'altro un colpo basso inflitto senza scrupoli dall'inglese, ma chi in fondo poteva decidere cosa fosse giusto dire o meno? In guerra e in amore tutto era lecito. E Thomas e Newt vivevano costantemente in quel limbo.

A5 avrebbe voluto ribattere con: "Come lo definisci uno che non è mai venuto a trovarmi? Ho rischiato di morire per te, ho messo prima di tutto la tua vita e come dovrei sentirmi ora che realizzo che di me non ti importa niente?" Ma gli avrebbe dato importanza, mostrandosi ferito dalla sua assenza. Non poteva permettere a Thomas di ottenere tale soddisfazione su un piatto d'argento, anzi, avrebbe dovuto fare finta che tutto ciò non lo toccasse affatto, come se non si fosse accorto della loro distanza.

«Mi sono chiesto cosa ci facesse un mezzo robot in ospedale, dopotutto il chip controlla ogni valore e le sue interferenze, se non sbaglio, non sono di competenza medica... Non hai bisogno di medici umani.» Argomentò conciso, e Thomas, a parte muovere la testa all'indietro come per dire "siamo tornati alla definizione robot", si trovò a muovere il capo su e giù, affermando tacitamente ogni parola detta dal biondo.

Thomas trattenne un ghigno privo di umorismo, poi accennò una smorfia. «Un po' hai ragione, e direi menomale... La sanità che c'è qui è abbastanza deludente. Disapprovo alcune competenze di alcuni medici, non sono affatto all'altezza del nome che porta questo ospedale. Ma a parte il chip, sono umano proprio come te, Newt.»

L'inglese schioccò la lingua, roteando gli occhi al cielo. «Chissà perché ne dubito.» Mormorò a bassa voce, ma all'altro fu comunque udibile la frecciatina. Newt gli diede le spalle, mentre Thomas si limitò a sorridere e a soccombere in una breve e finta risata.

L'americano si chiese se il bossolo che aveva colpito la caviglia avesse intaccato qualche nervo emotivo. Newt era più acido di sempre. Con un gesto semplice ma deciso, il bruno avanzò e si posizionò davanti al collega, allungò la mano verso di lui. La sua voce, però, non tradiva alcuna pretesa. «Dammi la mano.» Pronunciò limpido, il tono fermo ma non autoritario, come se fosse una richiesta sincera e non una domanda. «Non è difficile. Semplicemente, dammi la mano.»

Newt lo guardò interrogativo, sorpreso da quella richiesta così semplice, ma al tempo stesso strana. Cosa mai voleva fare Thomas?

«Tranquillo, non la taglio, devo solo mostrarti una cosa.» Espose lentamente.

Newt lo guardò studioso, il suo sguardo era deciso e attento, incatenato in quello amareggiato di Thomas. La sua mano rimase sospesa nell'aria, indecisa. Non voleva cedere, non voleva abbassare quella barriera che si era costruito. Eppure, qualcosa in quella richiesta lo fece vacillare. Il battito del suo cuore, accelerato, lo tradiva. 

Deglutì in silenzio, abbassò lentamente lo sguardo seguendo il movimento della mano dell'americano attorno alla propria, come per seguirla. La mano di Newt si posò con esitazione sul petto di Thomas, quasi temesse di bruciare al contatto con quella superficie calda e vibrante. Le dita, appena tremanti, sfiorarono il tessuto spesso della corazza del costume, ma sotto di esso era perfettamente percepibile il ritmo frenetico del cuore di Thomas.

Era un battito che parlava, un tamburo impazzito che martellava contro la sua mano, quasi volesse comunicare una verità che le parole non potevano esprimere. Newt chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare da quella sensazione, e il mondo intorno svanì, come se esistesse solo quel battito, solo quel momento. Il calore gli si irradiava dalle dita, salendo lungo il braccio fino a raggiungere il suo stesso cuore, che rispondeva con un ritmo altrettanto irregolare e disperato. Ogni battito sembrava un richiamo, un grido silenzioso che intrecciava le loro emozioni in un legame invisibile ma innegabilmente reale.

Newt sentì il petto di Thomas sollevarsi sotto la sua mano, il respiro irregolare che si mescolava al caos di quel battito. Era vivo, così vivo, e in quel momento tutto sembrava crudo, essenziale, inevitabile. Restò lì, immobile, ascoltando quel cuore come se contenesse ogni risposta, ogni promessa che aveva paura di pronunciare.

Newt mandò giù un groppo di saliva, ciononostante non si liberò del nodo presente in gola. Restò in silenzio, interdetto e sconvolto da quel momento. «Tu-tum, tu-tum, tu-tum.» Thomas imitò a voce il battito del suo cuore, notevolmente accelerato. Incredibile come il proprio battesse con la medesima cadenza, notò Newt.

«Cosa può essere se non un cuore?» Dichiarò, più dispiaciuto che offeso. La mano pallida del biondo accompagnata dalla propria cadeva a quei rintocchi sul proprio petto.

«Dovresti farlo controllare...» Constatò, destabilizzato. Si ritrasse poco dopo, attento a guardare ovunque tranne che davanti a sé, e ancor peggio sul viso di Thomas. Il momento era stato intenso e quello strano atteggiamento del bruno non faceva altro che farlo vacillare ulteriormente, abbassare le difese e illuderlo. «Va piuttosto veloce...» Ammise con un filo di voce.

Era possibile che Thomas gli stesse confessando qualcosa? O era uno dei suoi iniziali giochetti? Un flirt illusorio? Non ci capiva più niente e decise di troncare: quanto facevano male quelle maschere, quel continuo fuggire e nascondersi. Il silenzio non faceva altro che accrescere il suo stato d'ansia e d'imbarazzo.

«Sei in ospedale, approfittane per fare un controllo... Qui non c'è nessun bat-segnale che ti tenga impegnato.» Disse, al contrario di ciò che pensava. I loro atteggiamenti erano diversi, nessuno dei due sapeva dove sarebbero finiti...

Edison schioccò la lingua per la battuta in tema e replicò: «Okay allora, andiamo insieme prima che venga giù un temporale. Dovresti startene in tutt'altra parte, seduto e al caldo, non in piedi in attesa di un temporale.»

«Ma smettila di fare quello che si preoccupa, non ti si addice. Vai a fare Batman con i bambini, non con me. So badare a me stesso.» Mimò con le virgolette, il cipiglio appiattito in uno sguardo annoiato.

«So badare a me stesso» Scimmiottò. Incredibile quanto riuscisse a divertirsi nel vedere il collega stizzito. «Devo ricordarti da che catastrofe ti ho gloriosamente salvato oggi?»

Newt rise per sfogare la rabbia o meglio il fastidio. Nella sua risata c'era traccia di umorismo, ma voleva dimostrarsi comunque freddo e distaccato. Non voleva darla vinta a Thomas, fargli capire che, nonostante fosse stato assente per tutto quel tempo, lui ci passava sopra e che bastava poco per rimettere le cose a posto. Non era così.

«Ancora? Ma non ti stanchi? Cosa vuoi che faccia? Che ti stenda un tappeto rosso su cui sfilare?» Domandò, acido più che mai.

«Se non c'è rosso, va bene anche di un altro colore.» Ironizzò il bruno, accennando un occhiolino. Sdrammatizzare in alcune situazioni era il suo forte, anche se cominciava a morire dentro lentamente.

A5 decise che si sarebbe mostrato glaciale. Deglutì, mandando giù tutti i chili di paura, poi gli si avvicinò, lo sguardo alto, gli occhi inchiodati l'uno nell'altro, e proferì atono: «Non ho bisogno di te.»

Inutile negare che a Thomas quella frase fece male, come una spina che non aveva previsto, che inaspettatamente gli si era conficcata nel petto. Ma sapeva che era la rabbia a parlare per Newt, solo frustrazione di un dolore inespresso e, un po' perché lo sentiva nel profondo e un po' perché era meglio credere che Newt lo odiasse davvero, animò il silenzio con una risata breve, che risuonò schifosamente falsa persino a sé stesso. L'odio era l'altra faccia dell'amore. L'indifferenza gli avrebbe causato un dolore peggiore.

«Continua a ripeterlo, forse un giorno ci crederai davvero.» Fece l'occhiolino, aumentando nel più grande il desiderio di picchiarlo.

L'inglese sbuffò, strinse le mani in pugni. Voleva colpirlo, ma una voce gli diceva di fermarsi, di trattenersi. Aveva un sacco di rabbia scaturita dalla sua assenza in quel periodo brutto della sua vita e in quel momento voleva sfogarla tutta.

«Vuoi colpirmi? Anche questo? Beh, fallo pure.» Istigò il più piccolo, cogliendo la rabbia che spingeva Newt. Non era odio, bensì dolore e lui sapeva anche perché. Se lo meritava, meritava di essere picchiato, urlato e sputato anche in faccia. Lo aveva lasciato nel momento peggiore. Se solo Newt avesse saputo perché, forse avrebbe capito...

«Non me lo faccio ripetere due volte, americano. So fare a meno di te.» Dichiarò, cogliendo il momento.

"Solo che non vuoi, e non lo voglio neanche io." Pensarono entrambi, all'unisono, senza rivelarlo.

«Non riuscirai a farmi male sul serio.» Quanto era falsa quella frase. Newt lo aveva ucciso diverse volte, quando lo aveva saputo vittima per colpa sua, lottando tra la vita e la morte per causa sua. Perciò voleva stargli lontano, lo avrebbe tenuto al sicuro così... o forse no, e si stava privando comunque delle cose belle che potevano succedere tra loro.

Stuzzicò il bruno. Negli occhi di Thomas saettò un lampo di sfida che incrementò nel più grande altro nervosismo. Scagliò il primo pugno, ma andò a vuoto, perché Thomas gli bloccò saldamente i polsi con una presa ferrea, soffocante e limitativa, peggio delle manette. Stando attento a non fargli male, Thomas lo strattonò in avanti così da far finire il viso del biondo incredibilmente vicino al proprio, le loro mani ai lati della testa. Quelle forti e grandi di Thomas attorno ai polsi piccoli e pallidi di Newt.

L'inglese completamente bloccato sembrava sull'orlo di una crisi, come se volesse picchiarlo. «Sei sempre così ...»

«Maledettamente irresistibile?» Gli occhi languidi, le labbra rosee e carnose. Era possibile che nel suo sguardo ambrato saettasse desiderio? Questo era ciò che vedeva Newt.

Lo guardò attento, cercando di capire se in quegli occhi ci fosse il mare della passione di Thomas o il riflesso del suo, le mani bloccate in quella presa ferrea, ma le gambe erano libere, poteva fare qualcosa. Per quanto avrebbe resistito? Per tutto il tempo, ne era certo. Odiava Thomas e ricordava costantemente la sua assenza nel momento peggiore, non lo avrebbe perdonato, non facilmente.

«No, stronzo. Credi di sapere tutto e non fai altro che apparire ancora più odioso e detestabile.» Proferì schietto, imponendosi un contegno.

«Apparire? Io sono odioso, detestabile e grandissimo stronzo.» Affermò con un largo e fiero sorriso.

«Ma è quando sei così convinto e sicuro di te che arriva il colpo di scena, mio caro.» Quasi minacciò Newt, preparandosi per la mossa segreta. Con un sorriso malizioso e gli occhi pieni di sfida che Thomas definì "intriganti e maledettamente sensuali", Newt alzò una gamba e, senza preavviso, lanciò una ginocchiata importante al davanti di Thomas. Che non si fece cogliere impreparato; con un movimento fluido e deciso, bloccò la gamba di Newt tra le sue, facendolo perdere l'equilibrio. Con una mossa da atleta esperto, Thomas fece scivolare Newt contro di sé, evitando complicazioni di vario genere. A5 era sano e salvo, solo che per la seconda o terza volta- ormai aveva perso il conto- era finito bloccato tra le sue braccia. La schiena schiacciata contro il torace di Thomas, il respiro bloccato dal calore del corpo dell'altro.

«Potrebbe servirti, fossi in te, sarei più delicato.» Sussurrò a bassa voce, tanto che Newt credette di averlo immaginato. Percepì l'alito di Thomas sulla nuca. Rabbrividì, ma fece appello a ogni neurone per mantenere il controllo. Avvampò per la frase erotica quanto inaspettata; doveva per forza trattarsi di un sogno, il Thomas dei suoi sogni aveva preso vita, non poteva star flirtando così apertamente. Non significava che stava vivendo la realtà, forse era una produzione del suo cervello ed era ancora privo di sensi, magari a un passo dalla morte, solo una produzione per alleggerire il peso della vita che stava abbandonando il suo corpo mentre la morte avanzava.

Non si dimenò, scoprendo con poca sorpresa quanto fosse piacevole quel contatto. Quel sogno, che seppur una minima parte di sé voleva scacciare per orgoglio, l'altra predominante voleva viverlo per sempre, senza svegliarsi. Le sue mani restarono appoggiate sui muscoli delle braccia di Thomas, ma non cercava più di liberarsi. Il petto di Thomas era forte contro la sua schiena, un abbraccio che, seppur non fisico, lo avvolgeva completamente. Le mani di Thomas, ferme e sicure, lo tenevano senza fare pressione, come se lo stessero proteggendo da qualsiasi cosa, anche dal suo stesso impulso di allontanarsi.

«In trappola, di nuovo. Comincio a pensare che ti piaccia.» Rivelò Thomas con un sorriso divertito, mentre tratteneva tra le braccia possenti i tentativi inutili di Newt di dimenarsi.

Isaacs sentì il battito del cuore di Thomas vibrargli attraverso la schiena, ancora e ancora, forte e regolare, come se il mondo stesso si fosse fermato. Era un suono rassicurante, confortante, che gli scaldava l'anima più di quanto fosse disposto ad ammettere. Non riusciva a smettere di sorridere, ma non era solo per il gioco o per la battuta, era per la sensazione di essere così vicino a Thomas, per la semplicità di quel momento che lo rendeva vulnerabile, ma anche incredibilmente felice.

«Sei sempre così convinto... e la convinzione fotte, Edison.» Rispose determinato, la voce bassa, quasi esitante, mentre cercava di distendersi contro di lui. La sua mente sembrava confusa dalla vicinanza, dai battiti di cuore che si intrecciavano in un ritmo che non riusciva a decifrare.

«Io avrei in mente altro, ma okay...» Spiegò il bruno, abbandonando ogni traccia di pudore e vergogna. Fece spallucce e lasciò libero Newt, che seppur riluttante dall'allontanarsi dall'uomo che desiderava di più al mondo, si voltò per guardarlo in faccia e mostrarsi deciso con uno sguardo irremovibile.

Sentiva l'odore di Thomas, il calore che proveniva dal suo corpo, ed era come se ogni parte di lui si fosse tuffata in quell'abbraccio senza volerlo.

«Di' la verità, Isaacs Newton, perché aspettavi qui il dottorino?» Sussurrò ancora una volta, sporgendosi in avanti, verso l'orecchio del biondo. Quella vicinanza, soprattutto in quella posizione, giocava brutti scherzi.

Per quanto Newt fosse intontito da tutti gli avvenimenti e dall'intorpidimento dell'essere svenuto, percepiva molto chiaramente qualcosa che bussava all'altezza delle proprie natiche. Era davvero quello il terzo segnale, il più inconfondibile? Sommato alla frase che Thomas aveva detto poco prima non poteva che essere una prova schiacciante. Ma se fosse stata tutta una presa in giro? Paonazzo in viso, deglutì e cercò di rispondere in maniera naturale, senza tremare: «Ancora a chiederlo? Hai sviluppato un'ossessione per chi indossa il camice? Non eri quello che sapeva tutto?»

«È bello a volte far finta di non sapere quando in realtà si sa già tutto.» Gongolò, accennando un sorriso che Newt lo appuntò nella sua mente con l'aggettivo "amaro". Non era un sorriso di felicità, ma dubitò che si trattasse di fastidio o ancor peggio gelosia. Thomas Edison geloso di lui? Stava dando palesemente i numeri, era una probabilità impossibile. Non poteva verificarsi né in quell'universo, né in nessun altro. Ma decise comunque di andare alla ribalta, mostrandosi sicuro, poco importava che desiderava sprofondare nel pavimento, svanendo nel nulla.

«Ma smettila, lo sai solo perché mi hai sentito chiamare "Richard", stavi origliando. Da quanto tempo eri qui e non me ne sono accorto?» Thomas sapeva che sarebbe stato difficile, sapeva che stava giocando con un Newt arrabbiato e pericoloso, ma era bello leggere nei suoi piccoli occhi vispi color nocciola l'imbarazzo e l'estrema tensione. Edison era arrivato al punto da giocarsi tutto: o avrebbe vinto tutto o perso, ma ci avrebbe provato.

Non avrebbe lasciato che qualcuno gli soffiasse Newt sotto al naso per la seconda volta. Si avvicinò, ignorando il fuoco che stava iniziando in lui. La sincerità era difficile da rivelare, ma una volta fuori, lo avrebbe fatto sentire meglio, ne era sicuro. I loro petti erano vicini e Newt, per quanto volesse indietreggiare, non lo fece. Anche se in quel momento lo detestava così tanto da volerlo schiaffeggiare, per poi farsi perdonare con un bacio lascivo.

«Davvero lo chiedi a me? Sei un agente della CIA, dovresti sempre tenere tutto sotto controllo, o hai abbassato le tue difese per un tizio ridicolo con un camice bianco e un orrendo profumo che conosci da poche ore? Sei distratto a tal punto, Isaacs Newton? E per così poco?» Inarcò un sopracciglio, smorzando le labbra in una smorfia. Non era un sorriso; era un'espressione stranita, da giudice inquisitore. Se l'acidità aveva sempre caratterizzato le arringhe di Newt, stavolta Thomas gliel'aveva notevolmente sottratta.

«Caro collega, detta così, se non ti conoscessi, direi che sei quasi geloso.» Quella frase uscì spontanea, maledettamente spontanea, e per quanto Thomas cercasse di nasconderlo, amava quando Newt eliminava i filtri.

«Non rubarmi l'umorismo, Newton.» Il viso di Edison diventò piccolo e rosso per via dell'imbarazzo e della rabbia. A cosa era valso resistere e reprimere le emozioni se poi con una frase aveva mandato all'aria tutto? «Non potrei mai essere geloso di uno del genere.» Ammise, e bastò quella frase per far spalancare gli occhi di Newt fuori dalle orbite.

In un attimo aveva ribaltato tutto, dal non avere nessuna possibilità all'essere importante per Thomas Edison. Una cosa del genere era davvero plausibile? Aveva capito bene? Bastò poco per farlo andare in tilt, disconnettendolo da quella realtà.

«Allora? Di che affari loschi vi occupate?» Deviò e mentre lo faceva non si preoccupò di nascondere la sua confusione mista alla curiosità. In imbarazzo per la conversazione intrapresa, Newt mandò giù un groppo di saliva, accendendo il display del telefono in cerca di una notifica, forse un messaggio o voleva soltanto vedere l'ora.

«Affari loschi?» Fece eco il biondo, trattenendo una risata incredula, scioccata. Indietreggiò riluttante, di solo mezzo passo. Portò le braccia al petto, incrociandole come se si stesse abbracciando. Il vento s'era innalzato ancor di più, diventando sempre più insopportabile e pungente. Avrebbe desiderato la vicinanza di Thomas per sentirne di meno e anche per altro, ma il suo orgoglio aveva la meglio.

«Esatto, hai capito bene. Insomma, c'è un ospedale a disposizione, stanze enormi e illuminate e vi incontrate qui? C'è per forza qualcosa di poco chiaro, che nascondete. E cosa se non affari loschi? Una relazione la escluderei, non mi sembra che tu abbia un gusto così becero, anche se ricordando Miller...» Alzò gli occhi al cielo, l'espressione vaga e pensierosa, poi tornò a guardare il suo interlocutore. «Diamine, hai gusti così discutibili...» Mosse il capo a destra e sinistra, mordendosi il labbro per il disappunto. Quel comportamento fece innervosire ulteriormente il biondo, che sbottò:

«La smetti di offendere? Da quando sei qui non hai fatto altro che farmi l'interrogatorio, cacciare insinuazioni senza senso, offendermi e ricordarmi quanto sia un idiota senza di te.»

«Queste sono parole tue, ma dovresti ammettere che sì, ti salvo sempre io, e anche diverse volte in circostanze improbabili. Puoi senz'altro convenire con me che attendere in terrazza con questo gelo e trovarti me invece di Richie ne sia assolutamente valsa la pena. Scommetto che i tuoi nervi non erano così felicemente stizziti da un po'.»

«Richie?» Riprese l'inglese, strabuzzando gli occhi. Quando mai aveva usato rivolgersi al medico con quel nomignolo? Ma tralasciò, scuotendo la testa come se farlo potesse cestinare quel pensiero e proseguì: «Terminator, sei fuori strada...»

Thomas rise di gusto, incrociò le braccia al petto e tirò su con il naso. «Siamo tornati al Terminator? Ero convinto di aver sbloccato un livello.»

«Sarebbe?» Domandò pronto, incurante della risposta che sarebbe giunta, non l'avrebbe mai aspettata.

Ci fu un minuto di silenzio, il tempo che l'americano fosse proprio dietro di lui. Si sporse in avanti e con l'alito gli solleticò il collo. A un millimetro dal suo orecchio sussurrò:

«Tommy, no?» Un piccolo accenno di risata colorò quella parola, il suo nome, un nomignolo a cui Newt aveva pensato tante volte, ma non l'aveva mai pronunciato, non che ne fosse coscientemente consapevole. «Lo hai ripetuto più volte.» Specificò, omettendo: "e infinite sono state le volte quando ho chiuso gli occhi e rievocato quel momento, in circostanze poco caste, provando brividi spaventosamente belli." Nessuno dei due si allontanò.

Il biondo avrebbe voluto avanzare per andarsene via, lasciarsi Thomas alle spalle, ma sembrava aver messo i piedi nelle sabbie mobili e una grossa parte di sé, interamente, non voleva scappare via da quel lupo che lo aveva braccato. Desiderava finire nelle sue fauci. Newt chiuse gli occhi, il respiro mozzato. E di nuovo, Thomas come un despota maligno si stava riappropriando del potere su di lui. Cercò di darsi una svegliata, di accennare un passo. Quando si ridestò da quello stato di trance e la distanza tra loro tornò a esistere, Edison, celando la tristezza di quel contatto mancato, proferì:

«A proposito, come sta Raperonzolo?» Non fu una frase di interesse o di premura, Newt lo capì subito. Quella fu la prova, la dimostrazione per rivelargli che anche se non si era fatto vedere, c'era sempre stato, agendo dietro le quinte. Minho aveva ragione, Thomas aveva avvisato Elizabeth, pagandole viaggio e pensione, probabilmente anche la torta era stata una sua idea. Ma ciò non faceva di lui una brava persona e non lo redimeva dall'assenza.

Tralasciò la solita domanda retorica "sei stato tu?" e si voltò, fissando con intensità i suoi piccoli occhi sulla figura solida dell'americano. «Ecco perché Lizzy si è fidata... è questo il soprannome che le ha detto Brenda?» Parlò tra sé, collegando i punti. «Come facevi a sapere che la chiamavo così?» Inarcò un sopracciglio e, anche se stupito, si mascherò dietro una falsa aria nervosa.

Thomas roteò gli occhi al cielo, con un'espressione quasi annoiata. Di solito, Newt era più sveglio. Schioccò la lingua e spiegò: «I social. Mi è bastato scorrere il suo profilo e vedere gli auguri che ti ha fatto su Facebook anni fa per il tuo compleanno. Hai risposto con un glaciale "grazie Raperonzolo" senza emoticon, ma il "Raperonzolo" mi è suonato sospetto. Anche se ammetto di essere stato indeciso tra quello e "stellina" trovato in un post più in alto, ma il secondo appariva troppo banale e scontato, non da te. Tu scegli sempre l'originale, l'autentico.» Newt aveva la bocca aperta, le parole gli mancavano.

«Risparmia i complimenti per l'intuito, sai che sono molto perspicace.» Si affrettò ad aggiungere, prima che Newt potesse replicare con una delle sue solite domande pungenti.

«Quindi ti sei scervellato per trovarmi una badante?»

«Badante?» Fece eco il bruno, un'espressione completamente stranita. «Si tratta di tua sorella, da quel che ho capito siete sempre stati due corpi e un'anima, pensavo ti facesse bene la sua compagnia in una circostanza delicata come questa.»

«Non hai pensato che potessi cavarmela da solo?» Chiese Newt, sollevando un sopracciglio.

«No! Hai chiamato il suo nome mentre deliravi morente nella mia auto. Ho pensato che fosse la persona più giusta. Non vi vedevate da tempo e averla a fianco in un momento così difficile ti avrebbe fatto soltanto bene. Per rispondere alla tua domanda: no, da solo non rientrava nelle opzioni. Era assolutamente fuori discussione.»

L'agente Isaacs inspirò profondamente, trattenendo una miriade di insulti o frasi come "Ma ignorarmi e sparire invece era dentro discussione? Perché non ti sei offerto tu? O ancora: "Perché hai deciso per me?" Ma decise di passarci sopra, espirò, lasciando sfumare la rabbia e cercando di mostrarsi il più accomodante possibile per evitare un conflitto e assicurarsi di non aver biascicato nulla di compromettente in quegli istanti frastornati.

«Ho per caso detto altro? Mi riferisco ai momenti di delirio...» Domandò con un filo di voce, Thomas percepì delle note di paura nella sua voce. Non era chiaro se fosse spaventato di aver posto quella domanda o più per la risposta che ne sarebbe seguita. Newt si voltò a guardare il cielo, notando quanto fosse diventato più scuro in pochi minuti. Il temporale era ormai vicino.

«No, chiamavi soltanto lei.» Mentì atono, guardando altrove, con lo sguardo più serio che mai. Newt faticava a credere che quell'espressione più rigida e imperturbabile appartenesse a Thomas Edison. Certo, era un ragazzo tutto d'un pezzo, ma sembrava diverso dall'ultima volta, come se fosse cresciuto, diventato più uomo e forse, chissà, anche più responsabile.

Indeciso se chiederlo o meno, alla fine un moto di coraggio prese il sopravvento. «Beh... il pensiero non ti ha minimamente sfiorato che avessi bisogno di qualcun altro, Thomas?» Sibilò il suo nome, voltandosi lentamente e piantando sfidante i suoi occhi scuri e accusatori sulla figura palestrata del ragazzo che aveva davanti.

Il bruno ci pensò un po' su, poi se ne uscì con una delle sue solite genialate. «Ben? Credimi, è meglio che un tizio del genere ti stia lontano.» A5 avrebbe voluto ridere, ma si trattenne, inspirò ed espirò un paio di volte, poi con coraggio decise di avanzare verso la porta, pronto per andarsene via. Chissà, adesso non suonava così tanto male andare a cena con Richard.

L'infatuazione che aveva provato per Thomas e che sarebbe continuata per chissà quanto altro tempo era unilaterale; quello non lo ricambiava e sarebbe stato meglio allontanarsi prima di scottarsi ulteriormente. «Non eri tu quello perspicace?» Ribatté stufo, il sopracciglio alzato, l'aria completamente indispettita. Thomas voleva capire quell'atteggiamento di Newt, ma non riusciva a trovare un senso logico.

Restò in silenzio, limitandosi a fare spallucce, mostrandosi del tutto ignaro. Newt preferì arrendersi. Erano così, un passo avanti e cento indietro, ma in realtà non c'era mai stato un loro, un "noi". Era soltanto Newt che avanzava per salvarlo e, ogni tanto, per sdebitarsi, Thomas faceva lo stesso. Non c'era nulla tra loro, niente che potessero riuscire a costruire insieme.

«Adesso è meglio che vada.» Proferì fermo e sicuro, avanzando lentamente alla porta e racchiudendo nel palmo della mano la maniglia. Dentro stava crollando, ma avrebbe mantenuto la facciata da tosto, celando per l'ennesima volta quella fragile come un castello fatto di bicchieri di cristallo. 

«Dal dottorino, immagino... beh, non lo troverai qui. Ha lasciato l'ospedale.» Si incupì il bruno e Newt si bloccò per un attimo, il passo in sospeso. 

«Forse sarai fortunato a trovarlo al ristorante che avevate deciso. Sempre che non ci sia andato con un altro, e se non dovessi trovarlo lì, prova a casa sua, avrai sicuramente già il suo indirizzo.» Newt si voltò di scatto, completamente confuso. Thomas sapeva fin troppe cose e non era certo grazie alla sua funzione plus del chip, aveva indagato sulle sue faccende private e, più Edison parlava in quel modo, più lui assoggettava quel comportamento a una scenata di gelosia. 

«Cosa stai cercando di dirmi, Thomas?» Il suo tono si era di colpo rabbuiato, aveva sperato in un chiarimento, in un avanzamento, in una tregua. Aveva sospettato anche che Thomas gli stesse facendo una scenata di gelosia, ma da narcisista qual era, si sentiva soltanto minacciato dal fatto che qualcun altro – come Richard – gli avesse rubato le attenzioni e che Newt quindi l'avesse lasciato perdere, dimenticandolo.

«Che non lo troverai. Sarà già andato via.» Rispose breve e conciso, con un tono glaciale. La mascella rigida e serrata di prima mostrava tutto il suo disappunto per quella situazione, stava mostrando troppo di sé, troppo delle sue emozioni. Non capitava mai e sapeva che probabilmente se ne sarebbe pentito. Non c'era più un tono scherzoso, la sua voce era fredda e tagliente. 

«Come fai a esserne certo?» Newt spalancò gli occhi, incredulo e confuso più che mai.

«Gli ho soltanto detto che non eri qui.» Continuò, cercando di nascondere l'ansia che cresceva in lui, in realtà si stava trasformando in panico. Un lampo illuminò il cielo, rendendo fin troppo chiaro cosa sarebbe accaduto a momenti. Una goccia, poi un'altra.

«Sta ricominciando a piovere, mettiti sulle tracce del tuo amato dottorino prima che venga giù un altro temporale...» Troncò, celando l'oceano dei suoi sentimenti. Di colpo era diventato serio. Diede le spalle a Newt sperando che sparisse e non dicesse altro, mancava poco per scalfire la corazza che aveva messo su in tutti quegli anni. Provò a concentrarsi sugli enormi alberi, sulle decorazioni natalizie dei negozi accese nonostante il brutto tempo.

«No, tu non puoi semplicemente buttare fuori una frase e poi cambiare argomento...» Sussurrò Newt.

Si voltò lentamente, tanto per guardare Thomas in quel costume ridicolo, ma che gli donava così tanto, enfatizzando tutti i suoi punti forti sotto una pioggia che, se pochi minuti prima appariva delicata, stava diventando sempre più impervia.

«Mi dici di andare, ma se decido di farlo è soltanto perché lo voglio io. Parlare con te mi fa venire l'emicrania, diamine! E poi, anche se volessi stare con lui o con qualcun altro, cosa c'entri tu? Che ti importa, Thomas?» urlò d'un'ottava, avvicinandosi fin troppo al suo viso, esprimendo rabbia e fastidio per quel comportamento criptico e ingiustificabile.

«Se non mi fosse importato, non avrei fatto di tutto per evitare che vi incontraste... Sapevo che eri qui ad aspettarlo,» rivelò, non capendo se fosse diventato un idiota di colpo o se la lucidità avesse completamente abbandonato il suo corpo. Era troppo tentato di bloccare il biondo in un angolo e baciarlo con tutta la foga, come se ne valesse della sua stessa vita.

Newt abbandonò la stampella, rischiando quasi di perdere l'equilibrio, ma riuscendo a restare fermo. Anche se Thomas gli allungò il braccio per sostenerlo, si riprese da solo.

«Quindi si tratta soltanto di pura cattiveria. Sei così subdolo? Perché lo hai fatto? Cosa ti importa della mia vita, me lo spieghi? Ah no, ho capito... Tu sei uno di quelli che si divertono a infliggere dolore agli altri, non è così? Ti sei intromesso con mia sorella, in passato lo hai fatto con Ben, e ora hai iniziato con Richard... Dannazione, Thomas, che problemi hai? Pensi sia normale sparire e piombare nella mia vita a caso, prendendo decisioni al mio posto? Te lo dico adesso, a chiare lettere: io faccio quello che mi pare, con chi voglio.»

Con gli occhi spalancati e il respiro bloccato, Newt quasi urlò quelle frasi, scagliando qualche pugno contro il petto di Thomas, ma risultando innocuo. Quello era muscoloso e protetto dall'armatura fedele di Batman.

Quell'ultima frase fece andare fuori di testa Thomas. Senza pensarci, con poca delicatezza, afferrò i polsi di Newt, circuendoli nelle sue possenti mani e lo fece ruotare di trenta gradi verso la balaustra, così da intrappolarlo tra il muro e il proprio corpo.

«Per favore, Newt, sta' zitto.» biascicò con voce roca, il tono implorante.

«No!» rispose furioso, in collera con sé stesso e con Edison. «Dimmelo che non ti è mai importato niente di me, della mia vita. Avresti potuto lasciarmi morire. Perché non lo hai fatto? Ne avevi occasione, anzi, ne hai avute diverse. O cercavi di redimerti, pagando a mia sorella un volo oltreoceano?» Continuò a colpire il petto di Thomas, mentre quello gli teneva ancora i polsi.

Dio solo sapeva da quanto tempo avrebbe voluto urlargli quelle parole contro, e in quell'esatto momento stava succedendo. Magari lo aveva immaginato in tutt'altra circostanza, tipo al suo rientro all'Intelligence mesi dopo, in un ambiente più caldo e luminoso. Non quasi al buio, mentre le temperature calavano e non poteva nascondere di cominciare a sentire il freddo. Ignorò quanto amasse Thomas, cercando di accantonare le peggiori idee che gli frullavano in testa. Thomas, bagnato dalla pioggia, era una visione paradisiaca nonostante fosse infuriato a morte.

Attese una risposta, in apnea, gli occhi e la bocca spalancati dall'incredulità del proprio atteggiamento. Thomas lo guardava come sempre, non pareva ferito da quelle parole. Non erano insulti, ma non si trattava neanche di un argomento di una conversazione ordinaria e tranquilla.

Newt era lì, e seppur fosse più alto di lui di qualche centimetro, in quel momento si sentiva più basso, piccolo e debole. Bramava sentire la motivazione di Thomas, forse avrebbe portato finalmente il suo cuore a calmarsi. La sua mente non avrebbe più prodotto illusioni e finalmente si sarebbe deciso a lasciare la CIA e l'America.

Edison doveva soltanto dirgli che era un passatempo, una distrazione, il gesto caritatevole con cui redimeva gli errori passati commessi. E sarebbe andato avanti. La verità era brutta da accettare, ma l'avrebbe superata. Avrebbe sofferto, ma sarebbe stato meglio che vivere ogni giorno nell'illusione che potesse esserci qualcosa di più.

Un tuono sovrastò parte di quella frase, mentre dal cielo cominciò a scendere qualche altra innocua e solitaria goccia di pioggia.

Gradualmente, dalle casse si fecero strada le note, dei sibili che iniziarono pian piano a dispiegarsi, rendendo la canzone chiara e riconoscibile. Era famosissima, entrambi la conoscevano. Era "Stand by Me", la canzone che aveva segnato l'infanzia di Thomas, i momenti belli e l'ultimo più brutto. Un dolore improvviso bussò al suo cuore, ma quella vicinanza con Newt glielo fece scacciare, concentrandosi solo sui bei ricordi. In quel momento, quella canzone doveva essere un segno.

Newt aprì la bocca per replicare, ma Thomas gli intimò di nuovo silenzio, e senza pensarci, il suo indice si posò sulle labbra tremanti del biondo. Subito dopo capì quanto fosse alta la tensione tra i loro corpi, scostò il dito, cercando di ricomporsi;

«Faresti bene ad andare adesso, la pioggia aumenterà e potresti...» Ipotizzò, cercando di scacciarlo. Era l'ultima cosa che voleva, eppure era meglio che Newt andasse via piuttosto che dichiararsi. Non ne aveva il coraggio; l'amore era per i coraggiosi e lui non lo era fino in fondo. Newt gli si avvicinò a passi felpati, camminando anche sulla caviglia dolorante, ma soffocò le smorfie di dolore e fronteggiò quegli occhi. Con un gesto rapido, alzò il cappuccio rosso della felpa che gli andava larga ai lati della testa.

«Sei bravo a fare solo questo. Butti fuori qualche parola che suscita la mia curiosità, poi fai marcia indietro, mi intimi di stare zitto, mi intrappoli per manifestare la tua forza, e ogni cosa che dico continui a ignorarmi come se non fosse successo nulla. Dovrei andare perché potrei bagnarmi? Spoiler: sono già fradicio. Non stai temendo la pioggia, ma te stesso, di quello che in questo momento vorresti fare, ma che non hai il coraggio. Sei solo uno stronzo narcisista che vuole qualcuno ai suoi piedi.» Sussurrò con un filo di voce. Erano naso contro naso. Bocca contro bocca. Il sedere era appoggiato alla superficie fredda del cemento che segnava la balaustra, mentre il davanti rischiava di toccare l'avanti di Thomas.

Thomas lo fissava con occhi diversi, senza filtri, famelici e desiderosi di qualcosa di impercettibile, poi scese alle sue labbra. La pioggia stava cominciando a cadere più forte, incurante che loro fossero ancora lì, completamente inzuppati da capo a piedi. I capelli di Thomas si erano attaccati sul viso e Newt faticava a mantenere ogni barlume di lucidità. Anche Newt stava guardando le labbra di Thomas, ipnotizzato.

«Hai ragione, che vuoi che ti dica? Sono uno stronzo? Sì, e anche un egoista. Ho provato a starti lontano con ogni fibra del mio essere, ce l'avevo fatta a vivere prima di sapere della tua esistenza, avrei continuato anche dopo o almeno era ciò che credevo, ma più passavano i giorni lontano da te più il respiro mi mancava. Cercavo di convincermi che per te chiunque, ancor di più un medico, sarebbe stato meglio di un agente dei servizi segreti, con un chip nel cervello che ti esponeva a rischi continui, ma non è valso. Chiamalo...egoismo, sì. È il termine esatto. Sono un egoista di merda, perché se mi facessi da parte, ne decreterebbe l'inizio di una malattia terminale per me e non voglio soccombere. Sono un egoista di merda, perché pur di non starti lontano metterei a repentaglio la tua vita per non perdere la mia.»

Newt lo fissava, incredulo, destabilizzato, disorientato. Thomas si era distaccato, ma gli aveva rovesciato quelle parole addosso con una velocità e un'intensità che lo aveva ibernato.

«Adesso vai, o la sofferenza di questa lontananza risulterà vana. Non devo perdere il controllo, Newt. Non si tornerebbe più indietro, non capisci che lo faccio per il tuo bene...» dichiarò febbrile, tremando per i brividi dell'emozione, non per la paura.

Il biondo si allontanò di poco, le spalle rivolte verso Thomas e il viso verso la porta. Era stata una dichiarazione? Sì. E anche la più bella che avesse mai visto o letto, sincera, emozionante, e dalla persona che amava. Le mani tremavano irrefrenabili.

«Non me ne importa un cazzo, Thomas. Non opporre più resistenza a tutto questo.» disse con voce alta e ferma, mentre si fissavano. I loro sguardi che parlavano più delle parole. «Io non voglio tornare indietro.» Specificò sicuro, carico di desiderio. Lo sguardo aveva abbandonato ogni traccia di rabbia, lasciando spazio alla più fervida passione.

Gli occhi languidi, colmi di desiderio. Il cuore pompava a mille, a momenti sarebbe scappato dal petto. Non riuscì a concludere che Thomas gli si avvicinò rapido, senza più riuscire a trattenersi. Afferrò Newt per i fianchi, le mani forti ma tremanti per il desiderio incontenibile. In un unico, fluido movimento, lo tirò verso di sé, colmando quella distanza che ormai sembrava insostenibile.

La pioggia iniziò a cadere violenta, gocce grandi e fredde che inzupparono all'istante i loro corpi. Ma il gelo non poteva nulla contro il calore che esplodeva tra loro. Thomas afferrò il viso di Newt con entrambe le mani, stringendolo come se avesse paura che potesse sfuggirgli. E quando le loro labbra si unirono, fu come se il mondo smettesse di esistere.

Era un bacio violento, disperato, dove la pioggia faceva da contorno al loro fuoco. Le dita di Thomas scivolarono dalla vita di Newt lungo i suoi fianchi, aggrappandosi al tessuto ormai bagnato che aderiva alla pelle come una seconda pelle. Il biondo gemette piano contro le labbra di Thomas, un suono che sembrava scuoterlo nel profondo, facendo crescere il desiderio inarrestabile.

Thomas si mosse d'istinto, spingendo Newt contro il muro più vicino, il suo corpo che premeva contro il suo, senza lasciare spazio tra loro. Le mani di Newt, frenetiche, salirono a stringere i capelli di Thomas, tirandolo ancora più vicino. Ogni goccia di pioggia che scivolava lungo i loro corpi sembrava alimentare la tensione, accendendo la necessità di sentire più pelle, meno barriera.

«Newt...» ansimò Thomas, interrompendo il bacio solo per un istante, il respiro affannato contro il suo viso. Le sue mani si mossero, risalendo lungo i lati del corpo di Newt, le dita che sfioravano la stoffa bagnata della felpa, disegnando ogni curva. Le mani che viaggiavano da sotto, calcando la sua pelle umida sotto il tessuto rosso.

Newt rabbrividì, ma non per il freddo: era il calore delle mani di Thomas, il modo in cui lo guardava, come se fosse incapace di pensare a nient'altro. Anche Newt si mosse, le sue mani che scesero lungo il petto di Thomas, afferrando l'orlo della sua maglietta inzuppata e tirandola verso l'alto. Il tessuto aderiva alla pelle come una seconda barriera da abbattere, e quando riuscì a sollevarlo appena, le sue dita incontrarono il calore della pelle di Thomas.

Entrambi ansimavano, i loro corpi che si cercavano senza più freni, la pioggia che continuava a cadere violenta intorno a loro, trasformando ogni contatto in una scintilla. Le labbra si trovarono di nuovo, ancora più assetate, i movimenti sempre più frenetici, le mani che esploravano senza più alcuna esitazione, senza più nulla da trattenere.

Mentre la pioggia continuava a cadere, la melodia calda e familiare di Stand by Me risuonava nell'aria, come se fosse nata per accompagnare quel momento. Ogni parola, ogni accordo sembrava raccontare la loro storia: la resistenza, l'attesa, il bisogno insopprimibile di stare insieme, nonostante tutto.

Thomas si fermò, appena un istante, mentre le prime parole della canzone si intrecciavano con i battiti frenetici del suo cuore. Guardò Newt, i capelli bagnati incollati al viso, gli occhi lucidi e profondi come un mare in tempesta. Il sorriso che gli illuminò il volto era carico di qualcosa di diverso, un sollievo, una realizzazione.

«Newt... perdonami se ci ho messo tutti questi anni,» mormorò, il sorriso che cresceva mentre intorno a loro il ritornello si alzava, avvolgendoli. «Finalmente si è realizzato il desiderio di quel bambino inglese che a sette anni scrisse di voler incontrare Batman.»

La voce di Ben E. King riempiva lo spazio intorno a loro, come una colonna sonora scelta dal destino. "No, I won't be afraid, just as long as you stand, stand by me."

Newt lasciò che la canzone gli entrasse nelle vene, amplificando ogni emozione. «Zitto e baciami, testa di caspio,» rispose, tirandolo verso di sé. «Che già mi hai fatto aspettare vent'anni.»

Non gli diede il tempo di replicare che afferrò Thomas per il colletto, tirandolo di nuovo verso di sé. Le loro labbra si incontrarono con una fame ancora più intensa, esplose come un temporale, una fusione di emozioni che avevano atteso troppo a lungo per essere liberate. Le loro labbra si cercarono con urgenza, un incastro impaziente e bruciante, come se entrambi volessero recuperare tutto il tempo perduto. La pioggia scivolava lungo i loro visi, nascondendo lacrime che forse nessuno dei due avrebbe ammesso, ma che raccontavano quanto fosse stato doloroso aspettare così tanto.

Thomas lo strinse più forte, come a colmare ogni distanza accumulata nel tempo, mentre Newt si aggrappava a lui, il cuore che batteva all'impazzata contro il suo petto. Ogni singolo istante di desiderio soffocato, ogni notte passata a chiedersi "e se?", trovava finalmente risposta in quel bacio. Quando si staccarono, le loro fronti rimasero unite, i respiri spezzati che si mescolavano all'odore della pioggia. Nei loro occhi c'era una promessa, ma anche una consapevolezza: avevano atteso troppo, e ora, finalmente, il mondo intero poteva anche cadere.

Le loro labbra si incontrarono di nuovo,  per l'ennesima volta, la voce del cantante sembrò esplodere con ancora più forza, un eco del loro amore finalmente liberato. Il ritmo della pioggia si intrecciava alla musica, trasformando tutto in un quadro perfetto: le gocce che scivolavano sulla pelle, le mani che si cercavano, e la promessa, tacita e potente, di non lasciarsi mai più.

Stand by me. Era più di una canzone: era un giuramento, il loro giuramento.

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