23. I need a hero
23. I need a hero
Chuck era in un letto, l'avambraccio sinistro disteso sul lenzuolo bianco per permettere alla flebo di fluire senza intoppi, una leggera copertina azzurrina copriva il resto del corpo.
Era in dormiveglia, quando un fischio delicato bussò alle sue orecchie, disturbando l'agognato sonno che bramava da tempo; se fosse già riuscito ad appisolarsi probabilmente non l'avrebbe neanche udito dolce com'era, ma in dormiveglia lo sentì perfettamente, purtroppo.
Quella notte era già stata tumultuosa per tutto ciò che aveva passato, ora si metteva anche un idiota a importunarlo. Certo che quando qualcosa iniziava storto, continuava così...
Inizialmente lo ignorò, sicuramente il visitatore non cercava lui, dell'incidente in fondo ne erano a conoscenza soltanto le signorine che gli facevano da educatrici al riformatorio e dubitava che sapessero fischiare.
Temporeggiò, con la speranza che il rompiscatole andasse via, ma i minuti passarono e quello restò lì, così Chuck si arrese, e spazientito decise di aprire di poco gli occhi.
L'avrebbe felicemente colpito con un cuscino- se un cuscino avrebbe potuto recare danni permanenti-, anche se con le poche energie che si ritrovava, non sarebbe stato in grado neanche di schiacciare il pulsante per chiamare i medici, e ad essere sinceri, anche nel pieno delle sue forze non era mai stato un tipo aggressivo.
Di primo impatto non gli fu chiaro distintamente, c'erano solo chiazze sfocate davanti agli occhi, poi pian piano cominciò a sforzare la vista. Come prima cosa scorse delle orecchie nere simili a quelle di un gatto, ma per quanto fosse intontito lo escluse subito, non esistevano felini così alti. Serrò gli occhi un altro po' per mettere meglio a fuoco, il viso dello sconosciuto era celato da una maschera nera che si appoggiava sul naso, a pensarci appariva abbastanza inquietante.
Spalancò del tutto gli occhi mosso dal panico, doveva trattarsi di un animatore o, nel peggior dei casi, di un malato con cattive intenzioni, trasalì a quel pensiero, ridestandosi completamente dall'anestesia. Impiegò diversi minuti per riconoscerlo, forse per colpa dei medicinali o perché non l'aveva mai visto con niente del genere addosso, ma a quella scoperta, il respiro si tranquillizzò e un largo e sincero sorriso si distese sul viso paffuto. Fece per alzarsi di scatto, quasi come per corrergli incontro e andare da lui, ma l'agente gli fece cenno di stare fermo.
«Tho-Thomas...» Sibilò con un filo di voce impastata dal sonno, le sopracciglia aggrottate rendevano gli occhi piccoli, sopraffatti dalle guance gonfie e rosee.
Edison sorrise di rimando, avvicinandosi. Già che l'avesse riconosciuto in quello stato malridotto faceva ben sperare sulla sua ripresa.
«Sta' tranquillo, arrivo io da te.» Avvisò, mantenendo un tono di voce basso. Lo sguardo scorse rapido sui letti vuoti degli altri bambini, dovevano essere già in piedi, occupati ognuno nella loro attività di routine: analisi, terapie o nella sala di disegno.
Chuck fece leva sulle sue piccole e tozze braccia, provando a issarsi, con la mano destra libera da qualsiasi tubo ospedaliero batté leggermente sul letto, esortando tacitamente Thomas a sedersi. L'agente gli si affiancò, poggiandosi a malapena sul bordo.
Si diedero amichevolmente il cinque e Thomas in un gesto affettuoso gli scompigliò il cespuglio che aveva al posto dei capelli. Il ragazzino portò la testa all'indietro per scostarsi da quel gesto, ma non servì a molto.
«L'intelligence ti fa uscire così quando non lavori per loro? O sei anche un animatore nel tempo libero? O un medico? Beh, l'ultima farebbe di te una persona interessante.» Ipotizzò con un timbro elevato, sembrava già essersi ripreso.
«Ha, ha, ha.» Thomas imitò completamente una risatina ironica, fingendosi arrabbiato e offeso.
Beh, medico non era la definizione adatta, anche se molti genitori dei piccoli pazienti che intratteneva, negli anni lo avevano soprannominato: il medico dell'umore, giacché trasformava sempre in positivo l'umore dei bambini; incredibile come i loro bronci quando lo vedevano, si trasformassero in sorrisi raggianti per poi diventare di colpo nuvole di pioggia quando doveva andare via.
«Mi spieghi come ci sei finito qui?» Domandò poi dolce, dando un affettuoso pizzicotto alla guancia destra di Chuck.
Il ragazzino piegò il labbro all'ingiù, stringendosi nelle spalle. «Non so dirtelo, so soltanto che sono andato in cucina per bere del thè caldo, dopo circa mezz'ora ho avuto vari crampi allo stomaco... e poi all'improvviso sono svenuto.»
Thomas valutò quelle informazioni, con o senza chip quei sintomi poteva già assoggettarli a diverse cose, di lieve o grave entità, ma attese, ponendo altre domande che avrebbero automaticamente scartato alcune opzioni.
«I crampi li avevi già prima di bere il thè?» Interpellò con aria circospetta.
«No, non mi sembra.» Diede risposta il bambino poco convinto, mosse la testa qua e là come se farlo, potesse aiutarlo a ricordare meglio, ma non si rivelò utile.
A2 aggrottò la fronte, voleva collegare quei punti, cercare un nesso, una giusta motivazione. Voleva che si trattasse di un malore innocuo come un'indigestione e nulla di più, ma in piccola parte, c'era quell'ipotesi che gli faceva credere che ci fosse dell'altro, di losco, assolutamente da approfondire.
«Ricordi il gusto del thè?» Era una domanda sciocca, apparentemente senza senso, ma la sua bocca la proferì comunque, poteva rivelarsi d'aiuto, che avrebbe paragonato a un altro evento successo in precedenza a qualcun altro, insomma, ogni indizio era importante.
Chuck mosse il capo in cenno negativo. Beh, era abbastanza strano. Il giorno prima si erano visti, stava bene e poi...quello, sembrava quasi come se fosse organizzato.
Un dubbio lo pervase un attimo: e se la donna che lo cercava da sempre gli avesse teso una trappola?
Era chiaro a tutti che Thomas tenesse a Chuck, ed era una pedina facilmente attaccabile. L'ospedale poi incrementava le paranoie...era da lì che Jorge aveva fatto partire i sospetti e a dirla tutta, il neuroscienziato aveva espresso di non fidarsi neanche del bambino, ma lui continuava a sostenere la propria versione: Chuck non c'entrava un bel niente, era una vittima come tutti gli altri bambini.
«Quanto sei riuscito a berne?» Continuò, terrorizzato dalla risposta. Davanti a sé aveva due alternative, completamente opposte. Una era l'indigestione e quindi qualcosa di fisicamente personale, dall'altra...Non osava neanche pensarlo.
Chuck provò a scervellarsi, gli occhi stretti in due fessure, concentrati, gli riservavano un'aria pensierosa e attenta, ma il vuoto aleggiava attorno a sé. «Mezza tazza più o meno...» Proferì, e Thomas cominciò a mordersi il labbro. Il volto teso, palesemente preoccupato. Un goccio già lo avrebbe preoccupato, ma una simile quantità lo terrorizzava del tutto.
«Prendi spesso il thè prima di andare a dormire?» Se ciò che era successo a Chuck era di natura fisiologica non c'era niente da temere, ma se qualcuno aveva osato fargli del male, non riuscendoci, ci avrebbe di sicuro riprovato, bisognava capire solo quando e prevederlo. Chuck mosse il capo per far segno di sì.
«Ma non ti è mai successo questo...» Più che una domanda quella di Thomas suonò come un'affermazione, il piccoletto si trovò a muovere il capo su e giù per confermare.
Purtroppo quelle nozioni non si rivelarono tanto utili, lo lasciavano al punto di partenza, oscillante tra le due alternative. Sperò che fosse la prima, perché se si trattava della seconda, Chuck era in serio pericolo. Si doveva capire chi volueva colpirlo, perché è soprattutto: perché c'erano sempre dei bambini di mezzo?
«È colpa mia, prometto che la prossima volta non ti porterò in una caffetteria.» Informò sdrammatizzando, Chuck aveva storto il naso, era un tipetto sveglio se aveva capito della strana situazione con Newt, figurarsi di quello che stava ipotizzando in quel momento che lo riguardava in prima persona.
«Opteremo per una bella pizza.» Si affrettò ad aggiungere, cercando di chiudere il discorso senza fare più domande, si finse sereno e tranquillo, mentre dentro di sé la paura aumentava sproporzionalmente, forse avevano attentato alla vita di Chuck, e avrebbero potuto farlo a chiunque di loro, all'improvviso.
Il nemico camminava tra loro, e lo terrorizzava il pensiero che si trovasse più vicino di quanto sospettasse. Cacciò indietro quelle preoccupazioni o almeno ci provò, distraendosi a giocare con Charles, gli scompigliò di nuovo quell'ammasso di capelli senza garbo, cominciando una piccola battaglia di solletico.
«Va bene Batman, anche se ormai sei fuori moda, Iron Man ti ha fregato il posto.» Informò il ragazzino saccente, cercando di scansarsi, ma nulla poteva salvarlo dalla furia del solletico di Thomas. Riccioli di cioccolato si dimenò per quanto possibile, ma scoppiò a ridere al via con il solletico.
Si fermarono solo quando qualcosa, un suono seguito da un altro, una musica proveniente da tutte le direzioni, ad un volume non eccessivo, ma ben udibile, si estese per tutto il ripiano se non addirittura per l'intera struttura. Chuck strabuzzò gli occhi, confuso.
Era da poche ore in ospedale, ma riconosceva che fosse un'anormalità, non aveva mai visto niente di simile prima di quel momento.
«Che diamine è questo suono?» Domandò rivolgendo a Thomas un'espressione stranita, ma l'agente si limitò a sorridergli tranquillo, per niente sorpreso, come se fosse perfettamente a conoscenza.
«È la giornata della musica.» A rispondere fu una terza voce, chiara, limpida, estremamente giovane. I due si voltarono in direzione della porta. Sulla soglia fece capolino una bimba dall'aria decisa, autoritaria, più piccola e più bassa di lui. Chuck curvò il capo da un lato, studiandola, poi portò la mano destra nei capelli per darsi una sistemata.
La bambina che in altezza arrivava a stento al ginocchio di Thomas indossava un pigiama lilla; le braccia incrociate al petto, le sopracciglia aggrottate e il broncio manifestavano il suo più totale disappunto.
Thomas la conosceva fin troppo bene, sapeva come smuovere quel piccolo cubetto di ghiaccio. Si alzò dal letto, in posizione sull'attenti le fece un saluto militare come se lei fosse un generale, poi accennò uno di quei sorrisi che la facevano sempre sciogliere, erano così efficaci che riusciva a mangiare anche il tanto odiato passato di verdure. Come ci riuscisse Thomas Edison restava un segreto anche per sé stesso.
La bimba abbandonò immediatamente la porta per correre verso di lui, allargò le braccia per afferrarla in una presa da supereroe e la lasciò sospesa a mezz'aria, come se stesse volando, lei spalancò le braccia a sua volta, sognante, e quando la calò attimi dopo, lei come un koala con un bambù gli si aggrappò al petto, stringendolo forte a sé.
«Perché non sei venuto da me?» Piagnucolò, per poi stringere le loro guance l'una all'altra. Thomas si sentì stritolare e senza che la bambina lo vedesse, mimò a Chuck di salvarlo, che si rifiutò bellamente di aiutarlo, era l'occasione perfetta per vendicarsi del solletico, non l'avrebbe sprecata. Thomas gli fece cenno che si sarebbe vendicato dopo per la sua mancanza di soccorso.
«Perdonami piccola regina del mio cuore. Chuck si è sentito male e dovevo assicurarmi che stesse bene, sarei passato da te a momenti, giurin giuretto.» Adulò, ricambiando i baci sulla guancia con la stessa dolcezza. Chuck sollevò un po' le sopracciglia, contrariato, per niente d'accordo con la paraculata con cui se ne era uscito Thomas.
Lei alzò la testa per mostrarsi diffidente e sospettosa, poi cedette, sciogliendosi completamente, e i suoi occhi grandi, lucidi di un castano scuro sorrisero.
«Ho conservato il tuo mantello, ogni notte ha dormito sempre con me, ora non ho più paura del buio e puoi riprendertelo.» Snobbò, facendo capire di voler scendere. Thomas l'appoggiò a terra, sorridendo. Almeno quella giornata aveva ricevuto una bella notizia, distese le labbra in un sorriso sereno, fiero; a distoglierlo da quel momento ritagliato per il suo orgoglio personale fu Chuck, con una domanda semplice e banale.
«Lei chi sarebbe?» Non c'era traccia di gelosia nella sua voce, in realtà, a Chuck di quella bambina non importava molto, ma si sentiva un po' il terzo incomodo e Thomas era anche suo amico, perché dovevano ignorarlo?
«Chuck ti presento-» Edison non riuscì a fare le dovute presentazioni che la piccoletta si frappose tra loro, parlandogli sopra.
«Piacere, il mio nome è Joy.» Gli si avvicinò pimpante e sorridente, quanta carica che aveva. Chuck la invidiò parecchio, chissà quanto aveva dormito e mangiato, lui oltre al mancato sonno, non aveva fatto neanche colazione per colpa della flebo. Si sentì male al solo pensiero che il suo stomaco fosse vuoto, avrebbe chiesto a Thomas di mangiare qualcosa.
Neanche pochi istanti dopo, come se l'avesse evocata col pensiero, un'infermiera fece ingresso nella stanza, accertandosi che la flebo fosse finita; attenta a non lasciare lividi sul suo braccio, rimosse delicata l'ago e finalmente Chuck poté tornare a muoversi in libertà, senza temere di fare pasticci.
«Lucy, adesso che ha finito, Chuck può venire con noi a ballare?» Domandò spiccia la bambina, abbracciata a una gamba di Thomas.
«Sì, Joy, l'importante che Charles non si stanchi.» Rassicurò la ragazza con indosso il camice verde, poi guardò Thomas, accennò un sorriso, le gote tinte di un rosso naturale altro che blush.
«Ma che importa a me di ballare. La domanda è: posso mangiare?» Sbuffò scocciato Chuck, completamente spazientito.
«Certo, ma solo cibi dalla mensa dell'ospedale, niente distributori.» Rimbrottò con fare materno l'infermiera sorridendogli teneramente.
Il ragazzino si rattristì di botto, non che prima il suo umore ballasse YMCA dei Village People.
«Cosa? Ma questa non è vita!» Ribatté, seppellendo il viso sotto le coperte. La sua era una protesta, uno sciopero. Fece credere che sotto le coperte non passasse aria e che morisse in assenza di ossigeno, Thomas notò un piccolo buco, ma fece finta di niente, l'aria divertita per quella scenetta era sostituita dalla preoccupazione per la risposta alla domanda posta.
Si avvicinò all'infermiera e stando attento che nessuno dei due bambini sentisse, domandò; «Sono già arrivate le sue analisi? Era un'indigestione?»
«Non lo sappiamo ancora, l'avviseremo appena saranno pronte.» Riferì balbuziente Lucy era palesemente in iperventilazione per la vicinanza di Thomas, lo notarono tutti, persino Chuck, da sotto le coperte.
«Siete i bambini più al sicuro in questo momento, sapete? Avete Batman con voi.» Proferì infine, ed ecco la prova schiacciante. Quella frase poteva anche evitarla.
Thomas le sorrise educato, per poi darle le spalle, incurante che quel costume gli mettesse in mostra i glutei in modo pazzesco, da far scattare qualsiasi fantasia. Doveva immediatamente recuperare il mantello. Aiutò Chuck a scendere dal letto, gli occhi ruotati verso il soffitto, le sopracciglia appiattite.
«Ci mancava poco che dovessi raccoglierla con il cucchiaino.» Constatò il ragazzino, con un colpo di reni si calò giù, indossando le scomode ciabatte monouso concessogli dall'ospedale.
«Come vedi, Batman fa ancora stragi di cuori.» Pavoneggiò l'agente, sventolandosi con la mano al pari di una drama queen.
Joy e Charles risero all'unisono, poi la piccoletta affermò; «Come darle torto? È bellissimo, ma Thomas è soltanto mio.» Portò le mani sotto al mento, fissando Thomas da capo a piedi con occhi a cuore, sognante, con anche il respiro da innamorata. Chuck rise di gusto, e non poté che chiederle; «Scusa, ma quanti anni hai?»
«Cinque, ma l'amore non ha età.» Rispose lei, convinta di averlo messo a posto.
«Ehm...Thomas, non penso che la legge ti permetta una simile relazione.» L'agente lo guardò di sbieco, minacciandolo;
«Muoviti a scendere dal letto o saremo in due a non avere pietà per il solletico.» Joy lanciò un'occhiata d'intesa a Thomas, poi inchiodò lo sguardo su Chuck; «Siamo distruttivi con il solletico noi insieme.» Avvisò con tono basso e minaccioso. Quella bambina iniziava a spaventarlo.
«Ecco, quindi sbrighiamoci e andiamo a recuperare il mio mantello, che sento le chiappe all'aria.» Propose Thomas, scatenando una risata irrefrenabile nella piccoletta, Chuck, invece, alzò gli occhi al cielo, l'espressione sul suo viso urlava a chiare lettere: "ma dove sono capitato".
«Mh, va bene, però mi porti sulle spalle.» Pattuì la più piccola dopo aver ripreso fiato dall'estenuante risata. Abbozzò il suo sguardo da cucciola, quello a cui Thomas non era mai riuscito a dire di no.
Aveva ragione Joy, certe volte era proprio un pappamolle; Thomas cedette e con molta attenzione la sollevò sulle proprie spalle.
Chuck avrebbe camminato di fianco, in viso un'espressione implorante e piagnucolosa che protestava: «Ma io volevo dormire.» alternato a «Ma io voglio mangiare.»
***
Lizzy e Newt entrarono sottobraccio nella hall dell'ospedale, Minho era già lì, più precisamente al distributore di snack. I due gli fecero cenno di raggiungerli quando avesse finito di consumare la sua barretta proteica, diretti al bancone dell'accettazione; quando l'operatrice disse loro di recarsi al settimo piano, Lee si precipitò a gambe levate a prenotare tutti gli ascensori.
I fratelli Isaacs rimasero di nuovo da soli, in prossimità degli ascensori lato ovest, quelli ad est avevano una fila chilometrica manco fosse il bagno pubblico dopo aver mangiato pasta e fagioli alla festa di paese, si trovò a dire Newt facendo sorridere sua sorella. Finalmente una battuta al posto del solito muso lungo.
A interrompere quel momento di leggerezza furono delle piccole casse situate in alto dalle quali si sentì uno stacco di musica, inizialmente non le diedero peso, ma quando notarono l'aumento di volume e un leggero rimbombo, presero a guardarsi intorno per capire da dove provenisse, se fosse solo all'hall o anche nei vari reparti, se ci fosse un evento particolare o semplicemente il sistema audio era impazzito.
«Aspettami qui che vado a leggere quel dépliant, prima all'esterno ho visto un cartellone interessante.» Avvisò, congedandosi. Non si allontanò di molto, Newt la vide prima leggere fugacemente qualcosa e poi parlare con una ragazza bruna, un'infermiera. Tornò poco dopo, con un sorriso a trentadue denti.
«Non posso crederci!» Esclamò entusiasta, il fratello che era sovrappensiero, a quel tono squillante più del solito, sollevò le sopracciglia, curioso. Una simile reazione lui l'avrebbe avuta solo se...
La ragazza gli sventolò il giornale sotto il naso, e quasi rischiò di starnutire per l'odore dell'inchiostro. Era una piccola rivista dell'ospedale, dove erano sistematicamente elencate tutte le attività, i laboratori, le vari analisi possibili, e i nuovi macchinari avanzati che avrebbero portato la ricerca di malattie rare e ancora incurabili un passo avanti. Era fatto bene.
La testata era evidenziata in grassetto, presentando il titolo dell'iniziativa che più spiccava tra le tante: la giornata della musica. Newt la guardò distrattamente, ed Elizabeth cominciò a raccontare, ignorando quanto fosse palese il disinteresse di suo fratello.
«All'improvviso partono canzoni intere o parti di esse e si è costretti a ballare. Nessuno può stare fermo. L'infermiera mi ha detto che così hanno deciso anni fa.» Riportò, non smettendo di sorridere. Perché era così felice che si potesse ballare in ospedale? Era una cosa assurda, completamente fuori contesto secondo Newt. Una mancanza di rispetto per chi lottava tra la vita e la morte, ad esempio.
«Ballare?» Ripeté, scettico. Sperò di aver capito male, di aver frainteso. Accennò poi una risata spenta, priva di umorismo. Che storia assurda. Certo che ormai se ne sentivano di tutti i colori.
«E chi l'avrebbe deciso?» Sollevò un sopracciglio, l'aria snob leggermente accennata. Era curioso di quale mente avesse partorito un'idea assurda del genere, e ancora più curioso di sapere cosa sarebbe successo a chi si fosse nettamente rifiutato, lo avrebbero lasciato morire, senza curarlo?
Sua sorella sorrise sognante, indicando un tizio di spalle, abbastanza lontano, travestito da supereroe. «Quel ragazzo lì. È per questo che sono completamente su di giri.» Newt seguì la traiettoria del dito di sua sorella.
Beh, già per come andava conciato... pensò Newt, ma se lo tenne per sé, a volte Elizabeth era intrattabile, avrebbe potuto replicare con "sei geloso" e caspiate del genere.
«Non lo trovi bellissimo?» Adulò la ragazza, portando le mani sotto al mento. Ma se era di spalle e abbastanza distante, come faceva a dire che fosse bello?
«Ho scoperto da poco che se l'ospedale sta migliorando moltissimo è grazie alla sua beneficenza, per non parlare di quella bambina che gli tiene le braccia al collo, lui l'ha praticamente salvata.» Si avvicinò per non farsi sentire dalle persone che gli passavano di fianco.
«I suoi genitori sono tossicodipendenti e lui ha dato loro un'altra possibilità, capisci? Sono al centro a disintossicarsi, seguiti da personale esperto che li aiuta giorno dopo giorno, mentre lei è qui amata e coccolata da tutti i medici.» Gli sussurrò all'orecchio e Newt si trovò ad ammettere che era un gesto carino, gli faceva onore.
«Quindi è anche lui un medico, la bambina vive con lui?» Chiese, continuando a fissarlo, anche se gli era visibile poco e niente, la bambina, invece, riuscì a vederla quasi per bene. Era una tipetta carina dai capelli castani scuri corti e un pigiama lilla, non smetteva di trotterellargli intorno, saltellando per salirgli in braccio. Beh, Batman aveva anche una certa pazienza.
«Non l'ho chiesto, ma ti giuro, sono così felice che esistano ancora persone così! Per non parlare che da qui è già visibile quanto sia ben piazzato. Guarda che sedere gli fa quel costume! Tu dovresti capirne più di me.» A quell'ultima affermazione colpì Newt a gomitate, ammiccando in maniera spaventosa.
Il tono sufficientemente alto fece imbarazzare Newt, si trovavano comunque nella hall dell'ospedale, abbastanza trafficata, con le persone che a momenti gli si strusciavano di fianco. Le occhiate della gente a quel commento erano esilaranti. Elizabeth portò la treccia davanti alle labbra, come se potesse coprirsi con i capelli.
«E che spalle...Cioè, se uno del genere è single io mi ci fiondo! Per non parlare di quanto sia tenero con i bambini e di buon cuore, sono cose che dovresti guardare Newt, non soffermarti solo alla lunghezza della proboscide...» Beh, quella poteva decisamente evitarsela. Newt sgranò gli occhi e la bocca, sconvolto. Lizzy era raramente sfrontata, ma quando si lasciava andare era inarrestabile.
A5 arrossì di colpo imbarazzato, certi argomenti nel dettaglio con sua sorella non voleva toccarli e poi non era vero...il suo ultimo compagno di letto, Ben, non aveva chissà quali prestazioni...Ma non proferì altro.
Gli bastarono occhiate scrutatrici di persone che gli stavano passando vicino in quel momento per farlo scoppiare in una risata incontrollabile, fragorosa e sincera, la prima dopo tempo.
Forse fu un tantino squillante perché il buon samaritano inclinò leggermente la testa, voltandosi proprio nella sua direzione, come se avesse sentito un richiamo, come se Newt conoscesse il suo nome, chiamandolo a gran voce; per ripararsi, di scatto, con il respiro e il battito mozzato si voltò di spalle, sul viso un'espressione colpevole come se fosse stato colto in flagranza di furto. Avrebbe voluto anche sollevarsi il cappuccio, ma con la stampella che non poteva mollare, si sarebbe rivelato estremamente difficile. Perché aveva indossato una felpa color rosso? Dava nell'occhio, caspita.
Gli era parso quasi che quello l'avesse sentito, percependo che stava ridendo di lui, era impossibile, lo sapeva, ma...non poteva mai sapersi con la sfiga che si ritrovava ultimamente. Lizzy, ancora sognante, del suo cambio repentino d'umore e fifa non se ne accorse proprio, continuando a dare sfogo alle sue fantasie. «Nel caso non fosse etero, te lo cedo.» Concordò infine, come se fosse già tutto fatto.
«Ti ringrazio sorellina, ma passo.» In quel cambio di battute, i due fratelli troppo presi dalle loro considerazioni riguardo al fisico e alle nobili azioni di uno sconosciuto, non si accorsero che alcuni ascensori si erano liberati e già anche riempiti, chiudendosi.
«Meraviglioso, li abbiamo persi di nuovo.» Guardò l'ora sull'orologio ed era incredibile come rischiasse di essere in ritardo anche se fosse già lì. Guardò indietro, cercando di intravedere il supereroe mascherato, ma lo vide allontanarsi ed entrare nell'ascensore dell'altro lato. «Potrebbe essere la tua occasione, vai corri da Batman e digli: se sei tanto gentile cedi il posto a mio fratello, che non ce la fa. Lui fa tanti gesti nobili e poi si permette di prendere l'ascensore con quei polpacci che...»
«Polpacci che?» Fece eco Lizzy, facendo la gnorri. Era ovvio che Newt avesse studiato il potenziale del tizio travestito da supereroe.
In difficoltà A5 si strinse nelle spalle, deglutendo. Detestava darle ragione. «Beh, sono tonici o forse glieli gonfia il costume, magari ha lo stesso marchingegno per il sedere, che ne sai?»
«Beh, bisognerebbe spiarlo quando lo toglie.» Ammiccò maliziosa, ma più che per sé stessa, Newt capì dove sua sorella volesse andare a parare, con quello sguardo aveva esortato il fratello a pedinarlo e alla giusta occasione, ficcarsi con lui in bagno o nello spogliatoio. Sembrava a tutti i costi che volesse sistemarlo con qualcuno.
«Credo tu non stia bene, Elizabeth. Palesemente non è il mio tipo, già il fatto che si vesta così fa pensare a uno che vuole stare al centro dell'attenzione, fare la figura dell'eroe e salvare il mondo. Beh, tipi così fintamente perfetti possono starmi alla larga. E sai che c'è? Con uno snob come quello non ci condividerei neanche l'ossigeno, figurati restare insieme per qualche secondo in ascensore. Me la faccio volentieri a piedi.» Sputò a raffica peggio di un serpente velenoso, sua sorella era sul punto di ribattere, sicuramente in difesa di Batman, ma lui alzò la mano per vietarglielo, lo sguardo truce padroneggiava sul volto piccolo e pallido, così lei decise di ribattere su altro.
«Ma sei al primo piano e devi arrivare al settimo.» Rimbrottò scioccata, per niente d'accordo con l'iniziativa del fratello. Accennò qualche passo per impedirgli di farne altri.
«Lo so benissimo, ma cosa vuoi farci se io e la fortuna oggi-in realtà da sempre, ma tralasciò quella precisazione, era abbastanza umiliante per sé- siamo due rette parallele che non si sfiorano neanche per sbaglio? Proverò a chiamare qualche altro ascensore ai piani superiori, da solo, senza distrazioni, senza un amico che sparisce per degli snack e una sorella che adula il culo di Batman.»
Stavolta era stato lui a urlare, e al diavolo chiunque lo avesse sentito, destinandogli occhiate giudicanti. Quella giornata era iniziata malissimo, e solo il pensiero che fosse ancora e soltanto mattina gli venne l'ansia. «Non impedirmelo.» Rimproverò infine, con sguardo truce. La superò in modo malconcio e ridicolo, quasi rischiò di scivolare, ma si tenne in tempo, proseguendo a passo di lumaca.
«Salirò le scale con te, allora.» Lo avvisò da dietro le spalle, mogia.
«Fa' come vuoi.» Riferì, dandole definitivamente le spalle per iniziare l'ascesa. Il lato positivo, o almeno si sforzò di trovarne uno, era che i gradini fossero bassi e larghi, così aveva modo di stendere più a lungo la stampella e avere un migliore appoggio, anche se avrebbe preferito una sedia a rotelle ed essere semplicemente spinto su una rampa, ma era un combattivo e avrebbe superato anche quella prova.
Passo dopo passo avanzò sempre più, per ogni scalino salito, al successivo si fermava, dandosi qualche secondo di ripresa per non affaticarsi troppo. Il giusto equilibrio, era più facile a dirsi che a farsi. Nel caso peggiore, Lizzy, dietro di qualche piolo, lo avrebbe afferrato, sempre che Batman non si fosse trovato in zona, distraendola.
A metà scala, sentì qualcuno dietro correre veloce, fino a raggiungerlo e affiancarlo. All'inizio pensò si trattasse di Elizabeth, ma scorgendo con la coda dell'occhio, la stazza era da uomo, pensò a Minho, che finalmente era pervenuto, ma dal tessuto bianco che svolazzava, scartò pure quell'ipotesi.
Solo qualche secondo dopo, guardando meglio con la coda dell'occhio, capì che si trattasse del camice di un medico. Pensò che stesse correndo per un'emergenza, mai avrebbe pensato che fosse lì per lui, né che quello gli circuisse il proprio braccio attorno alla vita.
Newt s'arrestò, voltandosi a guardarlo completamente, non si preoccupò di celare l'espressione scioccata. Chi era quello per mettergli le mani addosso? Avrebbe tanto voluto rispondergli a modo, ma era così stranito che restò in silenzio, senza muoversi.
L'uomo era vestito come ogni altro suo collega, una camicia con una cravatta leggermente allentata, dei pantaloni comodi ed eleganti, delle scarpe lucidissime e un camice bianco sbottonato che svolazzava al di sopra del completo sobrio. Un accenno di barba lievemente ingrigita era accennato su tutto il mento, il viso non era vecchio, doveva avere all'incirca trent'anni massimo trentacinque.
Senza chiedere permessi o altro, afferrò il braccio di Newt, sollevandolo per poi passarselo attorno al proprio collo. Ma tutta quella confidenza senza neanche conoscersi dove l'aveva presa? Era così...invadente. Se si fosse trovato in un'altra situazione, già lo avrebbe steso a terra e lo avrebbe malmenato di brutto, ma non si scompose, stordito, si lasciò fare tutto.
«Lei deve essere Isaacs Newton.» Proruppe con un tono basso e sensuale a qualche centimetro dal suo viso.
«Mi scusi se mi sono piombato senza presentarmi, ma quando l'ho vista intraprendere le scale, il mio istinto ha avuto la meglio. Ho temuto per la sua incolumità.» Avvisò premuroso, accennando un sorriso timido.
L'agente sollevò di poco lo sguardo per guardarlo bene, scontrandosi con lo sguardo intrusivo di un azzurro ghiaccio, penetrante nel suo, abbassò immediatamente il capo, gli era parso che quello lo avesse spogliato con gli occhi, quasi gli fece paura.
Sentì una risatina repressa nello sconosciuto, soddisfatto evidentemente per l'effetto provocato; il medico sapeva di essere bello, e Newt doveva ammettere che possedeva un certo fascino, i modi eleganti lo portarono a pensare che si celasse lui dietro la maschera di Batman.
«Piacere di conoscerla, sono Richard Stewart, il suo fisioterapista. Clint mi aveva parlato del suo temperamento, ma non immaginavo rischiasse così tanto. Voleva davvero fare tutti e sette i piani a piedi?» Newt lo fissò in silenzio, era una domanda a trabocchetto quella e intelligentemente non rispose, né mosse il capo, impalato peggio di un tronco d'albero. In realtà era sconvolto, si aspettava delle noiose lezioni di fisioterapia e invece...
A contrario delle sue aspettative, non gli era affatto capitato un fisioterapista antipatico che incutesse timore anzi, si trovò a pensare che l'uomo dinnanzi a sé avesse un carattere accomodante e simpatico. Cercarono di darsi la mano, ma risultò impossibile e buffo, visto che le avevano bloccate per reggersi in equilibrio, e se le avessero tolte, sarebbero caduti ridicolmente. Scappò ad entrambi una breve ma calda risata, il giusto per rompere il ghiaccio.
«Avremo tutto il tempo per conoscerci per bene dopo, non si preoccupi.» A Newt parve che il "per bene dopo" fosse sottolineato da un timbro di voce più marcato e fraintendibile, allusivo...beh, senz'altro il medico ci sapeva fare con le parole, con i modi e anche con gli occhi; dava certe occhiate...non da semplice dottore a paziente, che fosse bisessuale o completamente gay? Chissà perché aveva il sentore che non avrebbe tardato a scoprirlo.
«Mi aspetti qui, risolverò il problema in pochi secondi.» Informò cordiale, toccando la spalla di Newt. Beh, di quel contatto poteva farne anche a meno, si trovò a pensare l'agente, che non impiegò molto ad alimentare la sua teoria: Stewart non era etero.
Il medico si allontanò rapido, mostrando quanto fosse atletico, superando gli scalini a due alla volta. Beh, quello poteva essere classificato come esibizionismo, una tattica di corteggiamento, Newt iniziò a temere di restare da solo con lui. Ancor prima che si conoscessero già l'aveva toccato senza permesso e ritegno, cosa avrebbe fatto dopo la conoscenza? Scosse il capo, cestinando paranoie. Era meglio non pensarci.
Mentre il laureato si allontanò fino a sparire, lo osservò per bene, era alto quanto lui, ma il fisico sembrava più smilzo di quello di Batman; se fosse stato lui il supereroe mascherato, doveva ammettere che indossava dei rigonfiamenti al di sotto del costume che falsificavano un po' troppo la sua fisicità, e chiunque l'avesse spogliato, sarebbe rimasto abbastanza deluso, ma nel complesso reputava che avesse comunque un portamento interessante. Uff, non c'era niente di male a definire un uomo bello, e perché si sentiva maledettamente in colpa?
Si girò intorno, lo sguardo perso tra la folla, in cerca di sua sorella. Era convinto di averla alle calcagna, già pronta a fantasticare sul medico sexy, ma rimase deluso vedendo altra gente, di Lizzy come di Minho non vi era più alcuna traccia. Completamente svaniti. Entro la fine di quella giornata li avrebbe mandati al diavolo. Afferrò il cellulare dalla tasca, inviò un messaggio ad entrambi, e poi lo ripose nei pantaloni.
Grattò un po' gli occhi e il naso, più per noia che per prurito. Non sapeva cosa fare, chi aspettare, dove guardare, i luoghi pubblici come ospedali e aeroporti soprattutto se affollati gli creavano una certa ansia, perciò cercava di andarci il meno possibile.
Trepidante, aspettò che almeno Stewart riapparisse quanto prima, non si sarebbe stupito se come gli altri si fosse volatilizzato, ormai quella giornata non gliene andava bene una; e infatti, a confermare quell'affermazione, a rompere drasticamente il silenzio e il suo stato rilassato, rischiando quasi di procurargli un infarto, un gruppo chiassoso di bambini, composto da maschietti e femminucce sbucò improvvisamente dall'angolo del corridoio, correndo e urlando all'impazzata.
Newt strabuzzò gli occhi, confuso e stupito al tempo stesso, impiegò minuti per capire che si trattasse di grida di felicità, che in un posto simile era quasi un ossimoro, per alcuni bambini più di altri, eppure, nessuno aveva in viso una ruga di tristezza, erano tutti maledettamente felici e ciò gli riscaldò il cuore.
Neanche il tempo di riprendersi che sobbalzò di nuovo per colpa di una cassa che rintronò, emettendo quasi uno scoppio come se avesse smesso di funzionare, poi di botto, con un audio elevato, assordante e pericoloso per l'incolumità dei timpani di tutti, partì con una canzone. E come dichiarava quell'assurdo regolamento, tutti cominciarono a ballare sulle note di Holding out for a hero di Bonnie Tyler.
Un flashmob completamente scoordinato che coinvolse tutti i presenti: bambini, pazienti di ogni età, medici, paramedici, infermieri, persino i parenti in visita si lasciarono trasportare dalla musica.
Non si trattava di vere e proprie coreografie, ognuno si muoveva come meglio gli riusciva; c'era chi mostrava la sua abilità nel ballo e chi, invece, muoveva i piedi a destra e sinistra, sballottandosi un po' a caso. Alcuni apparivano abbastanza ridicoli, ma Newt notò che sui visi di tutti c'era un sorriso e forse era proprio quello il senso di tutto: la spensieratezza, il distacco per un po' dai problemi della vita quotidiana.
Se quella trovata di Batman portava a quei risultati, doveva riconoscergli che sapeva fare bene il suo lavoro, che si trattasse del dottor Stewart o di uno sconosciuto qualsiasi.
Osservò le persone davanti a sé, incantato dalla loro felicità. Un bambino gli fece cenno di unirsi, ma con una smorfia gli indicò la stampella, la musica sovrastò la sua risposta, ma il «Non ne sono capace» fu comprensibile dal labiale; il ragazzo si allontanò sorridendo, non smettendo di ballare.
Isaacs continuò a guardare tutti i ballerini, incantato. Sistemò la stampella sotto l'avambraccio, riversando su di essa tutto il peso, la fece scendere fino a toccare terra, un gesto automatico che faceva sempre senza più guardare perché ormai era entrato a far parte della sua quotidianità, ma, in quel momento tale sconsideratezza si rivelò maledettamente ingannevole, fatale.
Il tutto avvenne così velocemente che non ebbe neanche il tempo di metabolizzare.
La stampella non toccò il pavimento, slittò, e Newt scivolò con essa, inevitabilmente.
Inutili furono i tentativi di aggrapparsi a qualcosa, c'era soltanto il corrimano che era distante, e neanche il tempo di pensarci e provarci, che era già traboccato all'indietro.
Perché non si era allontanato dalle scale? Almeno sarebbe caduto soltanto a terra, evitando di rotolare per tutta la tromba. Quel volo durò meno di un secondo, ma lo visse a rallentatore, la vita che gli passava davanti e il cuore che accelerava all'impazzata, come se stesse esaurendo tutti i battiti di una vita in un colpo solo.
Sbarrò di sbotto gli occhi, guardando in basso: una macchinina si era intromessa tra la stampella e il pavimento. Meraviglioso. Sarebbe morto per mano di un giocattolo.
Avvertì la famosa e comune morsa alla bocca dello stomaco, tipica compagna nelle cadute. Un urlo incontenibile gli uscì strozzato dalle corde vocali. Sperò che qualcuno gli si trovasse di fianco, per afferrarlo in tempo, ma era distante da tutti, persino quel ragazzino che gli si era avvicinato era scomparso, tutti erano travolti dalla musica, dal ballo, e incredibile come si fosse catapultato proprio al punto in cui la cantante urlasse: I need a hero.
Beh, lui in quel momento ne aveva fottutamente bisogno, ma quella non era una favola, bensì la sua vita, che da un po' di tempo sembrava intenzionata a metterlo fuori gioco con ogni carta possibile. Terrorizzato e tremante, chiuse di scatto gli occhi, come se quel gesto potesse salvarlo. Era pronto all'impatto, all'arrotolamento e a morte certa.
Ma non successe.
Non sentì lo schianto, né le ossa scricchiolare contro la superficie fredda e scoscesa delle scale. Non sentì dolore irradiarsi al viso, busto o gambe.
La mente era completamente ottenebrata, incapace di pensare, di chiedersi dove fosse finito. Non aveva neanche il coraggio di aprire gli occhi, era completamente pietrificato, ibernato, paralizzato.
Newt era soltanto respiro mozzato, cuore serrato dal panico e assenza di gravità.
Fu sospeso nell'aria per un breve istante, fin quando qualcosa di rapido, fulmineo, impossibilmente prevedibile si insinuò tra lui e la morte certa, evitandogli di schiantarsi.
Qualcuno lo aveva afferrato in uno strano modo, non per le mani-lì, avrebbe rischiato di far ulteriormente male a Newt-, bensì per la schiena, un salvataggio più eroico, ma compromettente per la propria incolumità; l'eroe gli si era parato davanti e poi aveva allungato la mano per prenderlo direttamente di schiena.
Sì, convenne dopo Newt, era stata proprio una mano a salvarlo, a trattenerlo dal capitombolare per le scale, ma perché quella stretta intensa gli era maledettamente familiare? Non era simile a quella del medico di poco prima, era diversa, coinvolgente... Dove aveva vissuto una simile esperienza?
I capelli scomposti dal volo breve ma intenso erano ancora all'indietro, lambirono per un secondo lo scalino, poi fu tirato su, verso qualcosa o meglio qualcuno. Aveva quasi sfiorato il pavimento, aveva quasi visto la morte, ma gli era sfuggito.
Si sentì sballottare in avanti, così facendo, lo sconosciuto lo aiutò a mettersi completamente al riparo, lontano da scale e possibili altre cadute.
Urtò contro un corpo, ma nessuna voce gli fu udibile per capire. Intanto, la mano ignota era ancora lì, alla sua schiena, tesa e rigida la sentì muoversi lentamente, come se stesse ammorbidendo i gesti, quasi come se a sfiorarlo delicatamente con i polpastrelli, disegnando cerchi invisibili.
A contatto con un altro petto, Newt avvertì un calore propagarsi al suo torace, dietro di sé, invece, il freddo glaciale delle scale. Gli occhi ancora chiusi, le mani vaganti in cerca di un appiglio, di altre mani che lo afferrassero del tutto.
Distese i palmi in avanti, e sì... davanti a sé c'era un petto che si alzava e abbassava a respiri irregolari quasi quanto ai suoi, gli si aggrappò grato, a corto di parole. Le unghie corte cercarono di aggrapparsi salde a quella figura, come se rischiasse di cadere di nuovo da un momento all'altro e vanificare tutto.
Stremato, privo di forze, si accasciò nelle sue gambe, la testa cadde sul petto del suo salvatore, senza neanche accorgersene. L'adrenalina che aveva avuto in corpo stava scemando così. Poteva sembrare ridicolo, ma non se ne curò, sapeva soltanto lui il terrore che aveva provato.
Il salvatore allontanò la presa dalla schiena, portò le proprie mani sotto le braccia di Newt, e dolcemente lo sollevò, avvicinandolo ancora di più a sé. Com'era possibile che si sentiva maledettamente al sicuro?
Era qualcosa di spaventoso e al tempo stesso adrenalinico, salvarsi a un secondo dalla fine, era riuscito sempre lui a farlo per qualcuno, ma in quel momento, con i ruoli capovolti, aveva scoperto che bella sensazione fosse: essere salvati nel momento in cui non ci aspettava, in cui si dava tutto perduto, come quel fiore che era nato nel periodo più inaspettato dell'anno, con tante situazioni avverse come il clima.
Avrebbe sicuramente raccontato quell'avvenimento a sua sorella e a Minho che di sicuro l'avevano perso. Nel momento del volo, i suoi occhi chiusi non avevano visto nulla, né le orecchie udito qualcosa; ora i suoni non erano più ovattati, la canzone era ancora in riproduzione, e lui era tra le braccia di un medico eroe.
Mai canzone fu più adatta. Richard non avrebbe soltanto permesso alla sua caviglia di mettersi in sesto, ma in quel momento gli aveva completamente salvato la vita.
"I can feel his approach like a fire in my blood, like a fire in my blood..."
Era talmente bloccato dalla paura che non capì nulla, aprì a rallentatore gli occhi, con la coda dell'occhio destro, vide dove sarebbe finito se il suo salvatore non si fosse prontamente mosso. Beh, si sarebbe spiaccicato ai piedi delle scale. Doveva ringraziare il medico Richard, quell'uomo era un angelo, indossava un camice anziché le ali, ma gli andava bene lo stesso.
Deglutì ancora, terrorizzato, aprendo completamente gli occhi e tutti i sensi, che si erano come bloccati di colpo, smettendo di funzionare; anche le orecchie adesso sembravano essere tornate a sentire, nella caduta le sue percezioni si erano totalmente bloccate preparandosi alla fine peggiore.
L'olfatto fu il primo dei suoi sensi a ridestarsi, ed emerse qualcosa di tristemente incredibile: il profumo.
Quel maledetto profumo era ritornato, presente e prorompente a un millimetro da lui. Inspirò, come se potesse trattenerlo dentro di sé, portandolo ovunque. Quel medico poteva avere tanti pregi, ma già che indossasse quella fragranza partiva svantaggiato, gli ricordava maledettamente lui.
La musica andò a sfumare, proferendo l'ultima frase della canzone: "He's gotta be sure, and it's gotta be soon, and he's gotta be larger than life. I need a hero"
«Grazie, Richard. Grazie.» Ansimò affannato con un filo di voce. Il sangue gli si stava andando alla testa, e anche se un po' imbarazzato dalla vicinanza dei loro corpi e bocche, perché il respiro di quello era leggero sul suo viso, decise di aprire gli occhi, pronto a ringraziarlo da lì all'eternità.
Ma quando gli occhi tornarono a guardare il mondo, si bloccò di colpo. Immancabilmente si paralizzò come se fosse atterrato su un pianeta a duecento gradi sotto zero, di colpo era diventato un cubetto di ghiaccio, una statua di ghiaccio rendeva più l'idea.
Non è possibile. Non è possibile. Non è possibile.
Quelle tre parole circolavano nella sua mente, attorno alla sua testa, in maniera ripetitiva, disturbante, martoriante.
Ma dirlo sempre non avrebbe cambiato il corso degli eventi. Era successo, era possibile perché...beh, era proprio lì davanti a lui. Newt era totalmente scioccato. Le parole sospese, le labbra schiuse e gli occhi bloccati sulla figura davanti a sé, o meglio dire addosso.
A qualche millimetro dal suo naso si trovò tutt'altro che Richard, bensì un eroe in carne ed ossa, non il Superman citato dalla canzone, bensì un cavaliere mascherato, o più correttamente il cavaliere oscuro.
Per quanto avesse la maschera che gli celasse parte del viso, quegli occhi li conosceva già, anche se gli avessero fatto centinaia di elettroshock o fosse morto e rinato in cento vite diverse quegli occhi non li avrebbe mai dimenticati.
Deglutì, notando come quelle due sfere ambrate, in quel momento, lo stessero studiando severe, rimproveranti, piene di rabbia, possibile? Beh, lo sguardo che prima gli aveva rivolto il medico era totalmente diverso da quello di Edison, che sembrava sul punto di volerlo uccidere, perché quindi l'aveva salvato? Inghiottì un groppo di saliva, distogliendo l'attenzione dagli occhi per portarla giù alle labbra.
Ah, quella bocca che aveva soltanto visto muoversi per dire sciocchezze e fare sorrisi sghembi, labbra che non aveva mai toccato, né baciato, ma che aveva sognato ogni notte che sfiorassero le parti più nascoste del proprio corpo erano lì, a un passo dalle sue. I nei sulla guancia confermavano inoppugnabili l'identità che aveva già scoperto.
Non era un semplice e comune costume di Batman, quel costume era indossato dall'unico capace di avergli tolto la pace, la fame e il sonno. E in quel momento anche il respiro.
Com'era possibile che fosse lui? Per un attimo che aveva finto di interessarsi ad un altro, era apparso così, furente nei panni di un cavaliere mascherato e per di più lo aveva salvato anche eroicamente? Sembrava quasi che volesse ricordargli che fosse lui il suo destino, crudele e bellissimo al tempo stesso.
Come diceva la canzone aveva il fuoco nel sangue, e l'agente Isaacs, mai come in quel momento, era tutto un bollir di sangue e calore, il freddo che fino a poco fa aveva avvertito alle spalle non c'era più, sovrastato pienamente dal colore che sentiva tra i loro corpi, era sicuramente un'immaginazione, e quello davanti a sé non era Thomas Edison. Forse era caduto ed era morto sul colpo, e quelli erano i sette minuti di saluto terreno prima di andare dall'altra parte.
Un dolore gli si bloccò sul petto e allo stomaco, un peso insopportabile comprimeva la cassa toracica, in quello stato il respiro era davvero difficile, voleva liberarsi da quella stretta, da quell'abbraccio, ma non voleva dargli soddisfazione e parlargli, così si limitò a morire annegando nei suoi occhi.
Era completamente perso nel suo sguardo, da che pensava di temerlo e sfuggirgli, nonostante non fosse il più bello che gli avesse destinato, si rese conto che non era capace di staccarsi, come il polo e la calamita sembravano attrarsi; forse fraintese, ma captò in Thomas la medesima intensità, lo stesso blocco e coinvolgimento, quasi come se le persone intorno a loro non ci fossero.
Erano scomparsi tutti tranne loro. Occhi inchiodati negli occhi, se qualcuno l'avesse ucciso in quel momento neanche se ne sarebbe accorto, era tra le braccia dell'uomo che...
Eppure quegli occhi che inizialmente gli si erano presentati freddi e apatici, col passare dei secondi stavano cambiando, ammorbidendosi e cambiando totalmente il messaggio dello sguardo. C'erano parole invisibili che stavano fluttuando tra loro, bisognava soltanto che entrambi le recepissero.
Un battito di mani partì dalla fine del corridoio per aumentare con un applauso vero e proprio proveniente da tutte le persone che avevano assistito a quell'eroico salvataggio, quel rumore li distolse da loro, dalle loro intense occhiate e conversazioni criptiche portando entrambi crudelmente alla realtà.
Newt deglutì, sconvolto, quel rumore ridestò anche Thomas che allontanò gli occhi dal collega e lo tirò su, lentamente così da non fargli avere le vertigini, ma quando si trattava di Thomas Edison, Newt aveva sempre le vertigini, le vampate e i brividi.
Impacciato A5 quasi gli rischiò di finirgli di nuovo addosso, le loro fronti si sfiorano. Persero entrambi i battiti, ma nessuno dei due si sollevò a guardare di nuovo negli occhi l'altro.
Solo in quel momento Newt notò delle gambine apparire sul petto di Thomas, agganciate attorno al collo di A2, c'era una piccola intrusa tra loro, la bambina di cui gli aveva parlato Elizabeth.
Era lui Batman, quello su cui sua sorella aveva fantasticato, l'ideatore di tutte quelle cose bellissime, di quei gesti effettivamente eroici. Newt restò in silenzio, sbatté diverse volte le palpebre, ma non disse nulla. Si sincerò soltanto che quello non fosse un sogno e rimase stupito constatando che fosse tutto reale.
La paura e la gioia erano reali. Notò che anche Thomas fece lo stesso, non gli chiese come si sentisse o che altro, erano cambiati entrambi. Erano lontani e quella lontananza, da vicini, si avvertiva in modo peggiore.
Erano due galassie che si erano scontrate e ora stavano tornando alle loro vite, nulla di più, nessuna delle due apparentemente sembrava aver intaccato l'universo dell'altra. In realtà lo avevano fatto, eccome, per sempre. Una volta saputo l'esistenza dell'altro non avrebbe più potuto vivere separati come prima.
A5 destinò l'attenzione altrove, a nessun punto ben preciso l'importante che non fosse al suo fianco, su Thomas. Di Minho e di Elizabeth non c'era ancora alcuna traccia e li maledisse, sentendosi assolutamente solo e piccolo.
Il suo protetto nei panni di Batman era acclamato dalla bambina e da tutta quella gente, lui era il povero scemo che non si era saputo reggere sulla sua stampella.
Chiunque fosse stato il suo salvatore, lo avrebbe ringraziato a parole, stringendogli la mano, offrendogli un caffè, ma con Edison cosa avrebbe potuto fare?
Gli venne in mente solo l'ipotesi di insultarlo per la sua assenza inspiegata e il dolore che gli aveva causato, ma non era il caso, forse non lo sarebbe mai stato, non avrebbero mai affrontato una discussione del genere, ormai lui aveva preso la sua decisione e Thomas lo aveva salvato solo per puro caso, era lì e...gli aveva teso la mano, l'avrebbe fatto con chiunque.
Riconobbe la figura del medico farsi spazio tra la calca di gente, trainando una carrozzella.
«Davvero un bel salvataggio.» Complimentò sincero Richard, rivolgendo uno sguardo ammirevole a Thomas e un sorriso a Newt.
Un sorriso da non sottovalutare annotò Edison nella sua mente.
«Gliel'avevo detto, Newton, le scale sono pericolose, soprattutto nel suo stato, si sieda che prendiamo l'ascensore.» La folla, intanto, si era disgregata, la musica era finita e ognuno era tornato a ciò che stava facendo prima. Newt non accennò a muoversi, né a spiaccicare alcuna parola, era bloccato, inerme.
«Ha avuto paura, si vede, è completamente sbiancato.» Il medico si avvicinò premuroso, toccandogli ancora una volta il braccio.
Se prima Newt aveva sentito la mano di quello sulla propria spalla, quel contatto non lo avvertì. Era ancora troppo vicino a Thomas, senza stampella, e tra le sue braccia. Quello, come se gli avesse letto nel pensiero, si calò per restituirgliela e Newt pronto ad afferrarla, toccò per sbaglio la sua mano. Diamine, mai possibile che voleva evitare quel gesto, e invece, gli era andato incontro come un idiota?
Una piccola scarica di corrente saettò tra i loro corpi e si ritrassero entrambi di scatto, il respiro ansante. Nessuno dei due si scusò, figurarsi, quella piccola scossa era una sciocchezza in confronto a tutto il male che si erano inflitti.
Non si rivolsero più alcuno sguardo, se non alternandosi, nell'esatto momento in cui l'uno non guardava l'altro, come due bambini sciocchi.
Newt non ringraziò Thomas, Thomas non gli domandò come si sentisse. Due stronzi menefreghisti che ignorarono di aver fatto l'amore soltanto con gli occhi pochi attimi prima, davanti a tutti.
Il biondo si lasciò aiutare dal medico che lo fece accortamente sedere sulla sedia a rotelle, il capo basso e sfuggente non notò gli occhi colmi di gelosia di Thomas su di sé o meglio sull'uomo che lo stava aiutando.
Se il suo sguardo avesse avuto il potere di incenerirlo, non sarebbe rimasto neanche un briciolo di lui. Edison aveva colto che non si trattava di gentilezza, Richard Stewart aveva adocchiato Newt, in quel senso. Frequentava spesso l'ospedale per nobili cause che segretamente portava avanti, conosceva i polli e le loro vite.
Stewart non era un adescatore seriale, perciò lo temette maggiormente. Poteva rivelarsi un avversario, un degno avversario. Il laureato lo ringraziò ancora e senza alcun consenso e autorizzazione parlò anche per Newt.
«È stato davvero fenomenale, il mio paziente è ancora sotto shock, ma sono sicuro che la ringrazia con tutto il cuore, le è davvero grato, Batman.» Riprese il nome, facendo un occhiolino a Joy, per farle capire i supereroi esistevano davvero.
Thomas indugiò, anche il silenzio aveva un suo fascino, ma decise di parlare. Preferì poche parole che a Newt avrebbero aperto un mondo, lo sapeva.
Sperò che l'inglese non avesse dimenticato niente di loro, perché lui non l'aveva fatto, anzi teneva tutto impresso nella sua mente, dai momenti più critici a quelli più belli.
«Dica al suo paziente che non serve che mi dica grazie a voce, l'hanno già fatto i suoi occhi.» Sussurrò flebile, con voce roca e profonda che arrivava dal diaframma, quella frase fu soltanto udibile al medico e a Newt che trattenne il respiro, in apnea.
Un brivido corse lungo il petto che alla schiena. Thomas lo scombussolava sempre, non importava da quanto tempo non si vedessero o sentissero, era l'unico a procurargli un simile effetto.
E quanto gli era mancata la sua voce e quanto era maledettamente più bella di quanto ricordasse; quella frase poi, cosa stava a significare? Che sapeva leggere il suo sguardo? Beh, in qualsiasi altra occasione si sarebbe mostrato incattivito, pieno di rancore per essere stato abbandonato, ma in quel momento, tremante tra le sue braccia possenti che lo avevano salvato da una caduta pericolosa si era rivelato più fragile di sempre, ma soprattutto grato, e maledettamente felice che fosse lui.
Non si azzardò a sollevare lo sguardo, il medico ringraziò ancora e salutò cordiale, cominciando a spingere la sedia a rotelle su cui Newt era seduto.
I due si allontanarono da Thomas, Newt non si voltò, ma poté giurare di sentire alle sue spalle la una voce di una bambina, proprio la tipetta che Thomas aveva ancora sulle spalle.
«Un bel casquè era il finale perfetto per questa canzone, bravo il mio Batman!»
Chuck che era rimasto in disparte, e di cui Newt non si era proprio accorto, si avvicinò solo quando la figura di A5 e del medico sparì in ascensore; mosse il capo qua e là per contraddire le stupidaggini della più piccola e, attento a non farsi sentire da lei, proferì all'orecchio di Thomas;
«Se non fosse stato per il dottore che te l'ha portato via, altro che l'infermiera di prima, a momenti, avrei dovuto raccogliere te con il cucchiaio.» Thomas gli diede un leggero scappellotto dietro al collo, innervosendosi.
«No.» Disse fermo, la voce dura come poche volte l'aveva sentita.
Edison era incredibilmente arrabbiato, Chuck poté giurare di non averlo mai visto così, subito si pentì di non essersi mangiato quella stupida riflessione. Inarcò il sopracciglio, destinandogli un'occhiata preoccupata, Thomas aveva la mascella rigida e le mani strette in pugni.
Avrebbe di sicuro ripreso la falsa tiritera che Newt non gli piaceva, che non si scioglieva quando lo vedeva e varie baggianate simili, stavolta Chuck non l'avrebbe contraddetto anzi, si sarebbe scusato, Thomas era suo amico, non voleva vederlo perdere le staffe o rattristirsi- perché in quel momento più che arrabbiato, lo vide triste-, ma a contrario delle sue previsioni, il resto della frase non fu quello di sempre, come se l'era immaginato, anzi lo lasciò interdetto, completamente sbalordito;
«Nessuno può portarmi via Newt.» Disse semplicemente, un fulmine di rabbia e gelosia gli saettò nello sguardo.
Molte verità erano venute a galla quella mattina, certezze che doveva rivalutare, di cui era stato convinto tutta una vita ed erano crollate. Tranne quella. Quella era indiscutibile.
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