22. Red Wire

N/A: Carissimi lettori, anche stavolta sono riuscita a pubblicare per il tempo previsto. I più attenti ricorderanno che questo capitolo doveva avere un altro titolo, solo che le cose sono andate per le lunghe e quindi trasporterà. Spero di sentire i vostri scleri, perdonate come sempre gli orrori. Vi voglio bene







22. Il filo rosso

Alla notizia che Chuck fosse ricoverato, Thomas salutò veloce Jorge per recarsi il più presto possibile in ospedale. Prima, però, sarebbe passato da casa, per darsi una sistemata.

Nel tragitto, a bordo della sua moto, mentre sfrecciava tra il traffico incasinato di Langley- una costante soprattutto a quell'ora- la sua mente ripercorse tutti gli argomenti clou discussi con il suo maestro, dall'abbandono dei suoi genitori ad Agnes e una probabile teoria complottistica.

Provava tanta confusione quanto voglia di vederci chiaro, arrivare fino in fondo e scoprire la verità a qualsiasi costo, o almeno, era ciò di cui era convinto prima di fare chiarezza sui suoi sentimenti, perché se il "qualsiasi costo" portava il nome di Isaacs Newton, avrebbe fatto repentini passi indietro, rinunciandovi. Insomma, si trovava al fatidico bivio con solo una strada percorribile.

Quale scelta si sarebbe rivelata quella giusta? Mettere in salvo tutti e fare la parte dell'eroe, o quella dell'egoista e pensare soltanto alle persone a cui teneva? Doveva andare avanti o fermarsi?

"Ci vuole coraggio anche per fermarsi" soppesò.

Un dilemma del genere non gli si era mai presentato; tra gli altri e lui, aveva sempre anteposto la salvezza altrui, ma adesso, i piatti della bilancia ospitavano soggetti diversi.

Su uno c'erano migliaia di persone in pericolo, tra cui probabilmente molti bambini, sull'altro un agente inglese a cui era stato affidato il compito di suo protettore. Incredibile quanto Newt pesasse più di tutta quella gente.

Deglutì a quella realizzazione. Non riusciva più a fingere che non gli importasse, per tutto quel tempo si era imposto di non provare niente, come se potesse attivare e disattivare il cuore a comando, come faceva con il chip.

Si era costretto a stargli lontano, e lo aveva fatto soltanto per due ragioni: proteggerlo e tenerlo distante da sé, come se non averlo davanti, avrebbe potuto cambiare qualcosa. Ma che senso avevano avuto quei limiti se poi lo cercava nelle memorie del chip, nei sogni e per strada tra i volti della gente?

Era giunto persino a intrufolarsi a tarda notte in ospedale, solo per carpire le condizioni della caviglia, ogni volta sperava di intravederlo per sbaglio, magari dalle grosse vetrate che affacciavano in corridoio. Ah, quanto era caduto in basso. Trattenne un ghigno tra il divertito e il nervoso.

Il fatto era che non riusciva a stare tranquillo al solo pensiero di Newt in pericolo, ancor di più per causa propria. La sicurezza del biondo era diventata la sua priorità, paradossalmente, senza manco accorgersene, i loro ruoli si erano ironicamente invertiti.

Una volta nel suo appartamento si svestì rapido, gettando la maglia e i pantaloncini a terra nel soggiorno, arrivò in bagno già completamente nudo, spostò la tendina ed entrò in doccia. Sbuffò sonoramente, aprendo il rubinetto; sperò che i pesi accumulati in quella mattinata assieme all'acqua scivolassero via, finendo nel tubo di scarico. A quel leggero scroscio contro la pelle i muscoli delle spalle e delle braccia si rilassarono, dispiegandosi. Il tocco leggiadro dell'acqua sulla sua pelle si rivelò rigenerante e distensivo.

Si insaponò per bene, soffermandosi sul discorso di Jorge, in particolare sulle parole che in modo velato gli avevano fatto intendere di mandare tutto all'aria e provare ad essere felice: «Non concentrarti sulle nuvole, la nostra vita è una continua tempesta, ma c'è qualcosa di più, e quando quel qualcosa di più arriva, devi sapertene prendere cura.» Quella frase risuonò nella sua mente, mentre con lo shampoo si insaponava i capelli.

Sorrise impercettibile pensando a un futuro con a fianco qualcuno che avrebbe amato più del suo lavoro, una persona con cui avrebbe tirato su una famiglia, costruendo mattone dopo mattone la felicità che da bambino gli avevano strappato via. Per quanto Jorge non avesse fatto nomi, Thomas aveva già davanti a sé il volto di quella persona, del qualcosa di più accennato dal suo mentore, peccato però, che lui fosse un continuo auto sabotarsi, e che avesse fatto di tutto- con la sua finta strafottenza-per allontanare l'unica fonte di felicità.

Newt, infatti, era completamente convinto che a Edison non importasse nulla di sé, rimanendo totalmente all'oscuro di quanta premura, timore e preoccupazione ci fosse nei suoi occhi, nei respiri mancati ogni qualvolta percepisse che fosse in pericolo per causa sua. Il terrore che non si sarebbe mai ripreso del tutto lo faceva annaspare, voleva stare lui in quel letto, ferito o anche morto, dopotutto non c'era tanta differenza dalla vita straziante che aveva condotto in quei giorni, ingabbiato da rimpianti e rimorsi. Una lotta interiore continua, estenuante, devastante. Non ne poteva più. Doveva cambiare qualcosa.

Forse la soluzione sarebbe stata fare richiesta di un altro protettore, se proprio doveva averne uno, non voleva più fosse il biondo; non voleva più averlo davanti agli occhi, né ancor di più vivere con la costante paura che morisse da un momento all'altro.

Mentre una parte di sé lo scacciava, allontanandolo fino in capo al mondo, l'altra, feroce, era consapevole che se lo sarebbe andato a riprendere ovunque, strappandolo anche dalle braccia della morte, se fosse stato necessario. Non riusciva a immaginarsi il lavoro senza di lui, la vita in generale senza di lui. Era un martirio a cui non trovava pace, possibile che non ci fossero modi per porvi fine?

Massaggiò il capo, cercando con quel gesto di riordinare i pensieri e far attenuare il dolore incessante e picchiante alla testa. Inspirò ed espirò diverse volte, per calmarsi e tornare a respirare con regolarità, senza affanni e pressioni che comprimevano l'addome, all'altezza dello stomaco.

Era stato soltanto un bugiardo con sé stesso ed ecco presentarsi la temuta resa dei conti.

A5 gli aveva cambiato il modo di percepire la vita già dal primo ingresso all'Intelligence, quando era entrato nella stanza, tutto intorno a sé pareva aver cambiato colore, come se la sua vita percepita sempre in bianco e nero avesse acquisito finalmente le tonalità giuste.

All'epoca il suo cuore aveva già dato segnali, ma la mente provvedeva a cancellarli subito. Si era costretto a non vedere quel cambiamento mettendosi una benda davanti agli occhi, fermando i battiti accelerati e i sussulti ogni qualvolta quello gli fosse vicino, celando le emozioni con quei stupidi battibecchi provocatori che non avevano fatto altro che rivelarsi stupidi flirt velati. Sorrise largamente ricordando uno dei loro momenti vissuti vicini, fin troppo vicini.

Si trattava della prima missione di Newt all'Intelligence, quando si era finto uno spogliarellista di nome Nathan Jones, gli era seduto sulle ginocchia, più precisamente sul pube. A quel ricordo vivido e impresso nella sua mente il suo corpo, incontrollabile, reagì.

«Qualsiasi cosa accadrà questa sera, resterà qui dentro.» Si era trovato a sussurrare Edison in modo pressocché naturale, senza badare che tipo di frase gli fosse uscita dalla bocca, in maniera del tutto spontanea.

Nel corso del tempo, riflettendoci a freddo, aveva cercato di sminuire la cosa, addossando la colpa alle circostanze, trovando giustificazioni a dir poco ridicole: l'alcool in circolo, lo spazio angusto e la troppa confusione dei ballerini, la musica alta che gli stordiva i pensieri, insomma tutto pur di nascondere una verità che in fondo gli era sempre stata chiara, già da allora bramava che accadesse qualcosa tra loro, e per quanto in quel momento si fosse alzato dal divano come se si fosse ustionato, proferendo una frase vuota come;

«Ogni cosa è per finalità della missione», per quanto avesse potuto accantonare quello scombussolamento di emozioni per giorni e mesi, quel brivido non era mai sparito, anzi minacciava di tornare in qualunque momento, forte e irruente più di prima, al pari di un vulcano a un passo dall'eruzione.

Avvertì di botto il getto dell'acqua farsi caldo, in una vera e propria competizione con i suoi ormoni, restò fermo, sotto l'acqua che scendeva a pioggerellina, gli occhi chiusi e la mente altrove, a fantasticare su Newt e lui.

I ricordi scorrevano l'un a fianco l'altro, avvalendosi di scenari memorizzati dalla sua memoria umana, o dal chip- come l'inglese con indosso boxer glitterati e camicia, o come di recente, del tutto svestito nella sua auto, con solo gli slip e il suo gilet appoggiato alle spalle - con la mente, inevitabilmente stava calcando il suo corpo, i punti visibili e quelli che per rispetto e imbarazzo non si era allungato a scorgere.

Stava vivendo un vero e proprio viaggio di ricordi, aggiungendo anche scene che non c'erano mai state ma che avrebbe desiderato. Rammentò le loro lingue quando al Barcode stavano assaporando la panna attorno alla falange affusolata e lattea del biondo.

In quel momento immaginò Newt lì assieme a lui, nella doccia, inginocchiato e ...la sua lingua non stava leccando più il dito, ma qualcosa tra le sue cosce.

Inarcò indietro la schiena a quella scena, spostando lentamente il bacino in avanti, in cerca di un contatto, un qualsiasi, minimo contatto. Oh, se fosse stato possibile e reale, gli avrebbe fatto vedere di cosa era capace.

Quegli occhi, maledettamente belli e piccoli di quel nocciola sciolto, raro, intenso fissi davanti a sé, impressi nella sua mente, maledettamente intriganti, comuni per chiunque ma non per lui. Ricordò quanto maledisse la penombra della sala del locale che li oscurava abbastanza da non rendergli giustizia; ogni tanto però per fortuna, qualche fascio di luce balzante qua e là dava modo di intravedere e percepire quanto fossero languidi, colmi di desiderio, proprio come i suoi.

Come aveva fatto a non crollare in quel momento? Era davvero riuscito a ricorrere a ogni suo dovere morale e capacità di freno? Non sapeva se alimentato dalla nostalgia di vederlo si era rammollito, perdendo l'autocontrollo, ma era certo di una cosa: se si fosse ripresentata una simile situazione, avrebbe mandato all'aria tutto, liberando il lato peggiore di sé.

Ricordò le loro tempie, appoggiate l'una all'altra, i nasi che si sfioravano, le bocche vicine. Aveva tenuto il suo viso tra le mani. Gli sguardi, bramosi, erano inchiodati l'uno all'altro, i rumori esterni del tutto ovattati per un attimo gli avevano fatto credere che fossero da soli.

Aveva avuto troppo caldo allora per la calca di gente e lo avvertiva anche in quel momento, sotto il flusso cocente dell'acqua. Girò la manopola, raffreddando il getto.

Rammentò le morbide labbra sottili attorno al proprio dito, quanto avrebbe voluto morderle fino a farle sanguinare e bloccarle nella sua bocca in un bacio famelico, senza scampo, come un affamato che non perdeva la fame, come un assetato che non esauriva il desiderio di bere; le avrebbe bloccate nella sua bocca, lambendo con le proprie ogni centimetro del suo corpo longilineo e asciutto che lo faceva impazzire, il portamento da inglese perfettino, all'apparenza impossibile da scombussolare, ma sapeva che lui sarebbe riuscito ad abbattere ogni percezione casta del biondo, la passione li avrebbe fatti viaggiare all'inferno per permettergli di vedere il paradiso.

Avrebbe tanto voluto fermare quei pensieri impudichi, arrestare la propria mano che senza rendersene conto aveva preso a scorrere verso la lunghezza prima in un movimento delicato e poi veloce, dall'alto al basso; i denti che affondavano nel labbro inferiore, sempre più violenti. Il respiro ansante, le labbra schiuse, se l'avesse avuto lì con lui in quel momento giurò che l'avrebbe baciato senza staccarsi, senza importarsene della mancanza d'ossigeno. Newt era il suo ossigeno, in fondo.

Un altro ricordo si fece strada nei vicoli tortuosi della sua mente: lui sull'uscio dalla porta dell'appartamento di Newt, lui uscente dalla doccia e quell'odioso di Ben tra loro due che aveva completamente ignorato perché completamente folgorato dall'inglese a petto nudo, in quell'occasione aveva visto ben poco, ma bastò per alimentare l'immaginazione di quel momento. Era impossibile restare indifferenti a quel pensiero: Newt senza niente addosso, lì con lui.

Era una roba che gli mozzava il fiato, era iniziato con alcuni sogni, quando riusciva ancora a dormire; inizialmente aveva provato a scacciarli, ma man mano si era reso conto di provare quel tipo di emozioni anche da sveglio, lucido, in maniera consapevole, e quando i sogni non mostravano ciò che una parte nascosta di sé desiderava, lo immaginava volutamente. Non gli era più facile da reprimere come l'inizio... doveva ammettere che l'inglese accendeva una parte animale di sé, piacevole e vera, ed era stanco di reprimere, di opporsi, di resistere. Non ne aveva più le forze. C'era sempre stato qualcosa tra loro, che si era ostinato a soccombere, ma ormai ogni parte di sé stava cedendo.

Aprì gli occhi, grazie all'acqua corrente pulì subito le mani, non era la prima volta che immaginava il biondo in quelle circostanze, perché si era sempre imposto dei limiti, trattenendosi, ma quella mattina era stato pressocché impossibile, andando fino in fondo. Le guance erano rosse, infuocate, avvampate per l'imbarazzo, si sentiva completamente sporco per essersi immaginato il collega in determinate circostanze, per essersi dato piacere pensando a lui. Si morse il labbro inferiore, in modo punitivo, in collera con sé stesso. Cercò di ricomporsi, tornando in sé.

Le goccioline d'acqua abbracciarono il corpo nudo e tremante per quell'orgasmo. Distese il braccio, appoggiandosi al muro, per evitare che scivolasse. Avvertiva le gambe molli, incapaci di reggere il proprio peso. Si sentiva stanco, ma al tempo stesso non era mai stato così bene, soprattutto nell'ultimo periodo. L'acqua continuò a rigare i lineamenti del viso, accarezzando i pettorali ben definiti per scendere all'addome scolpito ricoperto da una lieve scura peluria verso la zona alba per infine avvolgersi attorno ai polpacci.

La stanchezza e il sudore scivolarono completamente via, il caffè e i cornetti gli avevano dato la giusta carica, sostituendosi alle mancate ore di sonno. Paradossalmente si sentiva meglio dopo la distruzione in palestra che prima, forse perché oltre a scaricare la tensione tramite gli esercizi, il vecchio Jorge gli aveva sbrogliato i nodi creati dai suoi neuroni, e pensare Newt in determinate circostanze lo aveva liberato anche da altri tipi di tensione.

Uscì dal box doccia, avvolse un asciugamano attorno al pube e con un altro strofinò i capelli, li avrebbe asciugati dopo con il phon.

Indossò abiti alla rinfusa, senza neanche scervellarsi per un abbigliamento interessante, tanto all'interno dell'ospedale avrebbe indossato altro. Aprì l'armadio e tirò fuori un completo, un costume ben fatto che chiunque l'avesse visto, avrebbe sospettato fosse l'originale. Lo aveva acquistato per gioco quando aveva compiuto la maggior età, ma nel corso degli anni si era rivelato un ottimo acquisto, usato per nobili cause.

Aveva sorriso fiero quando tramite ricerche, inaspettatamente, era emerso che tra i tanti, quel costume appartenesse al personaggio dei fumetti che facesse impazzire Newt, chissà, forse un giorno glielo avrebbe fatto vedere, o forse si sarebbero persi per sempre e il biondo non avrebbe mai saputo che dietro l'antipatico e insensibile Thomas c'era molto di più.

Una cosa era certa, per quanto potesse essere a conoscenza dei segreti mondiali grazie al chip, non avrebbe mai potuto prevedere ciò che il destino aveva in serbo per lui quella giornata.

***

Newt era finalmente pronto. Aveva impiegato molto tempo per prepararsi, lento al pari di una moviola; non perché la caviglia gli dolesse e lo rallentasse, quella non c'entrava un bel niente, bensì perché sarebbe uscito controvoglia, e mentre si lavava, vestiva con una certa lentezza, in modo abbastanza ridicolo, si stava appellando a santi e divinità di qualsiasi religione pur di far accadere qualcosa che rendesse impossibile recarsi lì.

Sarebbe andato bene anche un evento astrale, si sentiva tanto parlare di asteroidi che all'improvviso cadevano dal cielo, gli sarebbe bastato un pezzettino innocuo che non avrebbe leso nessuno, solo il poco per fare andare in tilt la civiltà e chiudere diverse strade. Ma ovviamente nulla di tutto ciò era successo, e con un cappio al collo, ora, sul marciapiede attendeva che Minho rendesse i sedili posteriori più comodi con tanto di cuscino per farlo stendere e poggiare la caviglia. La sua testa, nel frattempo, inevitabilmente, stava frullando una marea di imprevisti, possibilmente più reali ed efficaci. Quale scusa si sarebbe rivelata più credibile?

"Ho mal di pancia?" La scortò subito, non ci si vedeva tre ore chiuso in bagno, seduto sul water inscenando una dissenteria. "Ho la febbre?" Fuori anche quella, un termometro lo avrebbe smascherato subito. "Mi fa troppo male la caviglia?" No, quei due avrebbero allertato immediatamente Jeff e Clint e sfortunato com'era, avrebbe ottenuto l'effetto contrario, trovandoseli addirittura a casa.

S'imbronciò, constatando che non ci sarebbe stata via di scampo, doveva solo sperare che quella giornata sarebbe finita quanto prima.

Stizzito, teneva le mani nelle tasche della sua felpa rossa over che cadeva sui jeans chiari modello boys. A quello stile preferiva il solito da figurino da agente dell'Intelligence, preparato di tutto punto con un completo della migliore sartoria fatto su misura, scarpe a punta laccate e cravatta ben annodata, ma doveva recarsi in ospedale, un'aria più sbarazzina, quasi trasandata, era l'ideale, nulla di impegnativo. Tanto chi avrebbe incontrato?

Sua sorella aveva storto il naso quando l'aveva visto uscire dalla camera, ma non se ne era proprio curato, liquidandola con: «Ogni tanto ci vuole un cambio look.»

Adesso, con le braccia conserte, un'espressione mista tra l'annoiato, lo sguardo vagava qua e là: sui passanti, sulle auto che sfrecciavano incuranti del limite di velocità, per le quali Minho si era trovato a imprecare diverse volte, cacciando fuori la testa per urlare al vento; «Se non vedi lo specchietto, vieni qui che te lo faccio mangiare.» L'automobilista che quasi gli aveva rigato la macchina, era già sfrecciato via.

Il biondo sollevò le sopracciglia, quasi ammirato. Certe volte invidiava la determinazione di Minho, sosteneva completamente la sua tesi, anche se palesemente in difetto; avrebbe voluto ribattergli di non alterarsi troppo perché la sua auto non era parcheggiata nel migliore dei modi, abbastanza distante dal marciapiede, ma decise di restare in silenzio, concentrando la propria attenzione alle nuvole, assoggettando forme di animali o di oggetti, giusto per fregare la mente, perché se ricordava dov'era diretto, poteva essere colpito improvvisamente da una crisi.

Già il fatto che andassero in auto era stata letteralmente una botta in fronte, ma come sarebbe dovuto arrivare a destinazione altrimenti? Nel suo stato, prendere mezzi pubblici non si sarebbe rivelata un'impresa, bensì una battaglia all'ultimo sangue, quindi si diede un pizzicò sulla pancia, cercando di sviare l'attenzione su altro e dimenticare l'ultima volta che s'era trovato in auto, la circostanza e soprattutto la compagnia.

A proposito dell'ultimo punto, per fortuna dopo il breve ma intenso battibecco che c'era stato con sua sorella, non avevano toccato più quel tasto e sperò che continuassero così.

Fu proprio in quel momento che la figura di sua sorella fece capolino sulle scalinate, che dividevano il palazzo alla strada, con una corsetta li raggiunse in un batter d'occhio.

La studiò, cercando di capire cosa avesse cambiato del suo outfit, visto che era esattamente a quello di quando era sceso lui quindici minuti prima, cosa aveva fatto per tutto quel tempo? Le solite cose di donne; incipriarsi, schiaffarsi quintali di profumo e vedere quale borsa fosse più adatta per un outfit da urlo, lui, invece, doveva arrivare in ritardo, fare la figura di quello che del maleducato, privo di rispetto e che non sapeva organizzarsi. Ma quando si trovò a portare una mano alla fronte, per fargli da parasole, tutto gli fu più chiaro.

Il volto s'incupì di sbotto, gli occhi si sbarrarono e peggio di un cane rabbioso, digrignò a denti stretti; «Che cos'hai preso?»

Elizabeth indietreggiò intimorita, suo fratello quando si arrabbiava diventava decisamente brutto. «Scusami se mi preoccupo per te.» Ribatté offesa, colpendolo al petto per dargli ciò che premurosamente si era procurata. «Sei uscito soltanto con questa felpa addosso, e il meteo dice che pioverà.» Si trattava di quella giacca. Beh, ad essere sinceri, non era difficile che Elizabeth avesse trovato proprio quella di Terminator, Newt ne aveva ben due sue.

Cercò di trattenersi da uno sclero urlante, allargò le braccia, arreso, poi guardò a destra e sinistra, provando a essere ragionevole, senza litigare. «C'è il sole, qui fa caldo anche in autunno. Il meteo dice un sacco di caspiate. Non siamo a Londra.» Proferì a rallentatore ogni parola, restituendole la giacca. Pareva che sfiorandola rischiasse che le mani gli andassero a fuoco. Quanto detestava che si sentisse ancora il suo profumo. Quel maledetto profumo di maschio, che gli ricordava la sicurezza, la sfrontatezza, tutto ciò che non aveva lui. Di ritorno dalla fisioterapia avrebbe inviato quell'email.

«Vero, ma c'è comunque una probabilità, fratello caro. Non sappiamo quanto tempo impiegherai in ospedale.» Marcò "fratello caro" ironica, afferrò la giacca per restituirgliela, ignorando il viso inferocito del fratello e la crisi di nervi imminente che sarebbe scoppiata a minuti.

«Beh, potevi prendermi un ombrello, non questa.» Surclassò lui, la fronte aggrottata e lo sguardo truce. Delle persone che passavano a fianco a loro c'era chi destinava occhiate interrogative, chi divertenti e poi alcuni soliti antipatici commentavano in malo modo alle spalle, ma Newt li ignorò o li avrebbe presi tutti a bastonate con la propria stampella. Quella giornata già doveva fare tappa in ospedale, finire anche in questura lo reputò eccessivo. «Sali e riponila dove l'hai trovata.» Disse, e non era un invito, ovviamente, bensì un ordine, che Lizzy, non avrebbe seguito. Incrociò le braccia al petto, la testa all'insù stentava la sua sicurezza e resistenza.

«Che hai contro a una giacca? Ti va larga? Beh, la prossima volta prendila della tua taglia!» Ecco, finalmente l'aveva capito, il problema non era affatto la sua premura, ma della giacca appartenente al più stronzo e insensibile sulla faccia della terra. Newt irrigidì la mascella, incassando il colpo e immagazzinando tutta la frustrazione.

Minho, che era stato in quella posizione scomoda e fraintendibile per circa dieci minuti, piegato in avanti a novanta gradi, le ginocchia contro il sediolino posteriore, quando alzò il capo per uscire, urtò maldestramente la testa contro la cappotta; gli scappò un urletto poco virile, ma i due fratelli non si scomposero, sulle loro labbra non fu presente neanche un ghigno leggero. Erano troppo arrabbiati, entrambi.

«Ragazzi, ma qual è il problema? Giacca, ombrello, noi siamo in auto.» Enunciò calmo, in modo teatrale, tutta la collera che aveva provato prima nei confronti di Newt si era dissolta in automatico quando gli aveva proposto di accompagnare sua sorella a visitare la città. Era di ottimo umore, spruzzava felicità da ogni poro. «Non avremo bisogno di tutte queste cose, soprattutto tu, Newt, che chissà quanto ti tratterrai in ospedale, la fisioterapia sai com'è... andrà per le lunghe...Noi, piuttosto, Lizzy, che cammineremo all'aria aperta, noi sì che rischiamo di beccarci il temporale.»

Lee, che vedeva per la prima volta l'outfit di Elizabeth quella mattina, le destinò uno sguardo sognante, Newt d'altronde, non poté dargli torto. Nonostante lo stile fosse casual, sua sorella era di una bellezza disarmante: una felpa bianca aveva al centro del petto ospitava un disegno ben fatto dei Looney Tunes, jeans azzurri chiari ad alta vita modello skinny e scarpe bianche da ginnastica. Un giacchettino del medesimo colore faceva da soprabito, a ultimare il look una piccola borsa color panna cadeva trasversale al petto. I lunghi capelli biondo paglia erano raccolti in una treccia da una specie di foulard dalle tonalità rosa.

«Ho solo un maglione io, se dovesse piovere, soffro molto il freddo, sai Liz?» Proferì, ammiccando.

Newt roteò gli occhi al cielo, il moto di rabbia per tutto ciò che aveva accumulato e mai esternato poteva farlo sbroccare da un momento all'altro, alimentato dalla totale apprensione verso sua sorella, che alla frase del coreano si limitò a sollevare le sopracciglia, imbarazzata, abbozzando un sorriso timido, di circostanza. Newt non voleva scaricare la sua rabbia contro Minho-che non c'entrava niente con le cose che non andassero nella sua vita-ma in quel momento aveva pochi capri espiatori a disposizione.

«E io ho solo questa stampella, ma sarà sufficiente. Se fai altre allusioni, so già dove infilartela.» Avvisò senza mezzi termini, accennando un sorriso sghembo, malizioso.

Il coreano deglutì più volte, terrorizzato. «Okay...» Proferì lentamente, sconvolto. Perché diamine aveva immaginato quella scena? No, no e no. Scrollò la testa come potesse liberarsi di quel pensiero, sul viso un'espressione indecifrabile, un mix tra il terrificato e lo schifato. «Che ne dite di metterci in macchina e partire?» Propose sbrigativo, e neanche il tempo di raccogliere i consensi che si fiondò al lato del guidatore, entrando in auto.

Elizabeth fece cenno a Newt di aiutarlo a salire in auto, e lui anche se riluttante, accettò. Purtroppo era bassa e ciò implicava qualche sforzo in più. Si appoggiò a lei, mentre lentamente con la gamba in buono stato spingeva verso il basso, cercando di toccare con il sedere il sediolino quanto prima.

Quando ci riuscì, Lizzy sul marciapiede, prima di chiudere lo sportello, con sguardo rattristito, completamente diverso da quello battagliero di poco prima sibilò a bassa voce un sincero «Scusa» che fu sovrastato dai rumori del traffico, Newt lesse comunque il labiale. Le accennò un lieve sorriso, per farle capire che non era lei il problema, o la giacca che profumava così tanto di Thomas.

Il problema era proprio lui, che aveva trasgredito la regola principale di qualsiasi lavoro, soprattutto uno impegnativo come quello della CIA: mai iniziare una relazione con un collega o invaghirsene. Al ritorno dalla fisioterapia avrebbe inviato quella lettera, deciso, senza più temporeggiare.

Quando tutti e tre furono finalmente in auto, l'asiatico partì così veloce che furono sbalzati all'indietro, verso i sediolini. Per fortuna Newt aveva deciso di sedersi e non sdraiarsi. Lee, come sua vecchia abitudine, accese la radio e subito esclamò;

«Non ci credo! Adoro questa stazione, è una radio che dà sempre canzoni che mi piacciono, gli speaker non perdono tempo a parlare, nelle altre è una palla sentirli parlare ogni volta, io voglio la musica.» Di quel suo parere, ai due fratelli non importò molto, ma Lizzy per educazione si finse interessata, intavolando una conversazione sui generi musicali preferiti, Newt, invece, restò in silenzio, sbuffò soltanto, nervoso.

Si sentiva perseguitato dalla sfortuna, per quanto volesse convincersi di allontanarsi da ogni cosa che ricordasse Thomas Edison, quell'argomento glielo ricordava, e per assurdo rammentò perfino la voce dello speaker: era lo stesso che aveva sentito quando in macchina con Terminator e Minho erano diretti per il Barcode, per la sua prima missione sotto copertura all'Intelligence.

Provò a cestinare quei ricordi, chiuse gli occhi, sarebbe volentieri tornato a dormire, non ce la faceva a guardare cosa aveva lasciato sua sorella sul sediolino accanto, ma per quanto si sforzasse di non guardarla, la sentiva: la giacca di Terminator non impiegò molto a inondare l'abitacolo di quel profumo meraviglioso.

Inevitabilmente, sedutovi a fianco, con quel profumo quasi impresso addosso, nelle ossa, Newt pensò al giorno in cui stava morendo. Tutto era simile, tranne l'assenza di pioggia e di Thomas, quanto gli faceva male, come se fosse una parte di sé che i medici avevano amputato, strappandola via. Non sapeva più niente di lui. E il dolore provocato dalla sua assenza era ben peggiore di quello fisico e passeggero della caviglia, sapeva che quel dolore prima o poi sarebbe scomparso, ma Thomas? Sarebbe riuscito a lasciare indietro l'Intelligence, l'America e Thomas?

"Deve essere così" Convenne amaramente, ognuno per la propria strada, meglio prima che i sentimenti avrebbero preso il sopravvento diventando inarrestabili.

Portò il capo all'indietro, fermo al poggiatesta, sbuffò contrariato e anche un po' triste: non era comodo come il petto di Thomas Edison.

***

Newt camminava al centro di un viale ben curato, per l'estrema dedizione che veniva riservata a quel posto, a terra notò che non vi fosse neanche per sbaglio alcun tipo di cartaccia, né il minimo mozzicone di sigaretta, soltanto alcune foglie secche e marroncine per la stagione autunnale, che fragili avevano abbandonato i propri ceppi, spazzate via dal vento.

Due lunghe file di alberi ergevano sia a destra che a sinistra a contornare il selciato. Nonostante gran parte di essi fosse già ormai spoglia, alcune chiome degli alberi di destra si incontravano in alto con quelle di sinistra e unendosi, facevano da parasole a chi vi camminasse sotto, proteggendo dal sole accecante, donando un'ombra fresca.

Newt si trovò a pensare che chi avesse progettato quella disposizione fosse un romantico, com'era fatto il tutto gli ricordò per assurdo la navata nuziale, solo che in chiesa al centro c'era l'altare, invece, lì a diverse centinaia di metri lì attendeva l'ingresso dell'ospedale.

Nelle siepi, qua e là, spuntavano cartelli decorativi e simpatici impiantati nel terreno a circa duecento metri l'uno dall'altro a ricordare di non pestare le aiuole, che si estendevano anche oltre le spalle degli alberi. La struttura dell'ospedale era enorme, ma anche lo spazio botanico che la circondava non scherzava, ricoprivano quasi la stessa percentuale di territorio.

Dell'erba massiccia si estendeva in altezza per un metro e cinquanta, a Newt sembrarono mura di un piccolo labirinto, nel percorso tracciato, di tanto in tanto si trovavano fontane con piccole statue e panchine per riposarsi.

Alcune persone vi erano sedute e parlavano, altri, pazienti abbastanza anziani con le loro bombole d'ossigeno camminavo lenti, godendosi l'aria fresca.

Sarebbe stato possibile immergersi in quel piccolo paradiso tramite piccoli acciottolati interni a zig zag, ma scartarono l'idea poiché in ritardo. Minho occupava la sua sinistra, Lizzy la sua destra; ogni tanto lo superavano di qualche passo, se fosse scivolato, era sicuro che nessuno dei due sarebbe riuscito ad afferrarlo in tempo, a patto che se ne fossero accorti.

Mentre loro proseguivano, si fermò ad ammirare l'ampia struttura che ergeva a pochi passi. Gli ospedali non erano di certo un bel posto in cui stare, ma si trovò ad ammettere che quello era fatto talmente bene da dimenticarsi che nascesse come un posto orribile.

Le mura esterne dell'ospedale si presentavano di un bianco accecante, probabilmente avevano dato una tinteggiata di recente. Quella struttura si mostrava davvero perfetta, una sorta di piccolo paradiso, faceva quasi dimenticare le brutalità che avvenivano all'interno.

Alla sua destra, quando si voltò per guardare Lizzy, fu colpito dalla rarità di un albero, dei fiori stavano germogliando nonostante la stagione autunnale; colse la metafora perfetta di non dare mai nulla per scontato e che in fondo, una speranza c'era sempre e un leggero sorriso si distese sulle sottili labbra.

«Newt, scusami, ma se aspetto te rischio di svenire. Ho bisogno di trovare subito un distributore di merendine.» Avvisò, nonostante a casa Isaacs si fosse strafogato l'inimmaginabile solo una mezz'ora prima. Da galantuomo chiese a Lizzy se volesse qualcosa e quando lei rifiutò ringraziandolo, corse via, scomparendo in un batter d'occhio dietro le vetrate scorrevoli dell'ospedale.

Minho aveva sempre avuto il motore nelle gambe, Newt l'aveva notato dal primo ingresso all'Intelligence, il coreano appariva buffo e impacciato, ma era sicuro che prima o poi avrebbe avuto la sua rivincita, mostrando a tutti il suo vero valore e che se era finito all'Intelligence, non si trattava di un colpo di fortuna.

L'agente portò la mano davanti alla bocca e con colpo di tosse si schiarì la voce. «Scusami, Lizzy.» Sussurrò appena, approfittando che fossero da soli. Minho non era un estraneo, ma la faccenda era delicata e privata.

Sua sorella fece orecchie da mercante, fintamente assorta nella contemplazione di tutto ciò che la circondava. Newt accelerò il passo e quando le fu spalla a spalla, la urtò leggero, stando attento a non compromettere il suo equilibrio, già abbastanza precario.

«So che mi hai sentito, beh...mi dispiace.» Ripeté alzando di poco la voce, non era un tipo orgoglioso, o meglio dire, non con sua sorella. Da ragazzini più segnava le cose e gliele faceva pagare alla lontana, ma crescendo aveva superato quella mentalità, proteggendola e dandogliele vinte anche quando doveva essere più severo.

Lei si strinse nelle spalle, le braccia incrociate al petto e un'espressione indecifrabile in viso. Dopo alcuni minuti rilasciò un respiro affranto, muovendosi a parlare.

«Non so che dirti, Newt, sembri totalmente un'altra persona. Sei nervoso, sfuggente, non parli più come prima e non mi riferisco alla nostra adolescenza, anche quando eri all'FBI eri come sempre. Le nostre videochiamate sembravano durare un'eternità, ci raccontavamo tutto e litigavamo per chi doveva agganciare per prima, ora sembriamo due estranei. Non chiedo molto, voglio soltanto indietro mio fratello, quello di sempre, spensierato e felice» Proferì decisa, piantando i piedi a terra e fermandosi davanti a lui.

In realtà A5 avrebbe voluto puntualizzare che neanche all'FBI le cose erano rose e fiori, ma dietro a uno schermo riusciva più a nascondere i suoi sbalzi d'umore, per quanto riguardava il termine felice, beh...era decisamente una parola grossa, non si sarebbe vergognato a rivelare che non lo fosse mai stato né all'FBI, né con Ben. Le sue gioie provenivano soltanto dalle vittorie lavorative, nient'altro, poteva definirsi tutto al più sereno.

La felicità l'aveva accarezzata per assurdo nei momenti peggiori, morente tra le braccia di un uomo che non sarebbe mai stato suo.

Si voltò meglio a guardare sua sorella, gli occhi grandi e verdi apparivano acquosi, come se fosse sul punto di piangere o le fosse finito un moscerino nell'occhio-sperò si trattasse della seconda ipotesi- perché già si sentiva abbastanza uno schifo.

Rallentò il passo per evitare che le foglie cadute e scivolose potessero rivelarsi un attentato alla sua vita, si fermò anche lui più per guardarla dritto negli occhi che per riposare la caviglia.

«Lo riavrai.» Enunciò deciso, parlando di sé in terza persona. «Prima vado via da qui, prima mi salvo.» Continuò, ma più che convincere sua sorella, si rese conto che quella frase servisse a capacitare sé stesso.

Elizabeth ignorò quell'affermazione, dando voce al suo dubbio. «La giacca non è tua, vero?»

Newt si passò la lingua tra i denti, tipico segno di quando si sentiva sotto minaccia, colpito in pieno.

Scoccò la lingua, alzando il pollice «Beh, o sono io troppo sgamabile o tu hai un fiuto impeccabile. Sicura di non voler diventare una detective un giorno?» Confermò sarcastico, sistemando meglio la stampella sotto l'avambraccio e avanzando a piccoli passi.

Lei gongolò soddisfatta, congiunse le mani, unendo le punta delle dita l'una all'altra. Tra quei ghigni e battute almeno la tensione di poco prima sembrava essersi smussata.

«Mh, ci penserò...La tua reazione esagerata di poco fa spiegherebbe che è proprio del soggetto innominabile. Che ci faceva a casa tua?» Azzardò, inarcando un sopracciglio, l'aria sospettosa.

Newt conosceva quello sguardo, la diabolica mente di sua sorella stava elaborando qualche teoria assurda. Si guardò intorno, toccandosi sotto il naso. «Niente di che, me l'aveva prestata e ho dimenticato di restituirgliela. Tra le tante cose che sono successe l'ho dimenticato, non per altro.» E prima che potesse interrogarlo con un'altra domanda, perché forse aveva beccato anche l'altra, anticipò; «Ne ho anche un'altra, sempre sua.» Elizabeth non si preoccupò di mostrare la sua più totale confusione, gli occhi incrociati, mentre la sua testolina produceva teorie, ipotesi e tanto altro...

«Ma perché ti presta le giacche?» Domandò con tono acuto, stranita.

«Prestava.» Puntualizzò Newt a malincuore, sarebbe stato bellissimo usare il presente, invece, doveva accontentarsi di un misero imperfetto.

«Ai fini delle missioni, nulla di più. Entrambe le volte ero quasi nudo, sai com'è.» Minimizzò poi, ed era sicuro che quello fosse il motivo, quale altro poteva essere? Thomas odiava le giacche e le prestava a chi gli capitasse davanti? Nah, era soltanto un gesto carino che faceva ogni mille anni, tutto qui, e non aveva altre finalità, questo era poco ma sicuro.

«E te le ha mai richieste indietro?» Continuò, evidentemente non trovava nessuna delle tante sue teorie che corrispondesse al caso Thomas Edison, come spiegarle che quello era particolare?

«No, insomma...non abbiamo avuto modo di parlarne, concentrati a sopravvivere.» Proferì, convinto, probabilmente Thomas le aveva anche dimenticate e chissà quante altre cose aveva prestato ai tizi che lo avevano preceduto.

«Beh, poteva sempre fregarsene e lasciarti nudo, al freddo, mh...» Elizabeth portò l'indice sotto al mento, le rotelle del suo cervello stavano lavorando. «Comincio a pensare che non è insensibile come dici.»

«Stai scherzando, vero? Tu non hai idea di chi stiamo parlando... Dell'essere umano più egoista, stronzo, doppiogiochista e manipolatore che esista e ho in mente tanti altri aggettivi che non sto qui a dire perché farei l'alba del tremila.»

Elizabeth riprese a camminare, assorta nei suoi pensieri, chissà cosa continuava a frullare in quella testa. Era pericolosa quando taceva. «Che ti piace.» Appurò convinta, allontanandosi un attimo per prendere un piccolo fiore da un cespuglio lì vicino.

Newt appiattì il cipiglio, stufo e arreso. Detestava quando gli sbattevano in faccia la verità; «Piaceva, e comunque non è mai stato niente di serio.» Precisò falso, sollevando la testa e drizzando la schiena.

Davvero l'agente Isaacs credeva che sollevare il mento e assumere una posizione dritta fosse indice di sicurezza? Elizabeth trattenne un ghigno, limitandosi a rivolgergli un'occhiata di sbieco, il sorriso appena accennato sollevava di poco le labbra.

Suo fratello non era mai stato bravo a mentire, già dai tempi dell'asilo. Non riusciva a nascondere che fosse il colpevole di un giocattolo rotto, e venti anni dopo non era cambiato nulla. Sempre il solito incapace a mascherare la verità.

Incurante che lui potesse scostarla, la ragazza lo tirò a sé, mettendosi sotto il braccio sinistro, il fratello finse di sbuffare a quel contatto, ma non oppose resistenza: sua sorella non l'aveva contraddetto, non a voce almeno.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top