21. The eyes, hermano

N/A: Carissimi lettori, come promesso ecco il capitolo 21, ci fa capire cosa rischieranno davvero i personaggi e  fa da capitolo introduttivo alle belle cose che arriveranno. Troverete entrambi i punti di vista: sia di Thomas che Newt. Perdonate come sempre gli orrori. Sono 12000 parole, quindi trenta pagine di word. Spero di sentire i vostri scleri :')




21. Gli occhi, hermano

La notte è consuetudine dormire o almeno è ciò che comunemente fanno gli esseri umani, poi c'è chi lavora, chi felicemente fa l'amore con la persona della sua vita o sesso occasionale con qualcuno appena incontrato, c'è chi piange, chi si ubriaca, chi viaggia, chi legge un libro, chi torna da una festa, chi lavora, chi fa missioni sotto copertura, ma Isaacs Newton non stava facendo niente del genere.

Sveglio, si imponeva di restarsene seduto sulla sedia, i gomiti poggiati sul tavolo mentre i pollici giravano l'uno attorno all'altro, le mani congiunte, il mento su di esse, e i piccoli occhi fissi sul pc di fronte a sé saettavano a destra e sinistra con aria spaesata, confusa. La gamba sinistra poi, batteva in un tic nervoso sul pavimento senza interruzioni che se fosse stato umanamente possibile, il pavimento sarebbe crollato al piano inferiore.

Il sangue gli ribolliva a tremila, senza un apparente motivo, o forse ce ne erano così tanti che sarebbe stato complicato classificarli per ordine e rilevanza. Non sapeva definire precisamente il suo stato d'animo, ma era come sentirsi in catene, e la caviglia per quanto dolorosa non c'entrava un bel niente con quel suo stato di malessere generale. Quella realizzazione lo faceva sentire anche peggio.

La luce dello schermo del pc illuminava parte dell'openspace, il chiarore fioco di qualche lampione ai margini della strada dava la sensazione che non fosse così buio, rischiarando la parte del soggiorno più esposta alla via, quella vicino al piccolo balcone. Le tende bianche -in contrasto con il pavimento a quadroni color cenerino-dal motivo geometrico, con cerchi grigi e neri oscillavano, mosse da un leggero venticello, che gli pizzicava dolcemente sulla pelle; era una sensazione gradevole, in mezzo a tutto lo scompiglio che aveva dentro di sé, quel tocco gli ricordava che nonostante tutto fosse ancora vivo, anche se infinitamente triste.

La porta che aveva di fronte che dava sul terrazzino, l'aveva lasciata semi aperta così che potesse entrare un leggero spiraglio di luce, permettendo la giusta visibilità e passaggio d'aria, che con l'assenza dei rumori dell'esterno trasmetteva un apparente senso di calma. Era una bella pace, peccato fosse l'unica.

Infatti, seppure la sua amabile sorella gli avesse preparato tre camomille, bevute tutte d'un sorso, non aveva ricevuto l'effetto desiderato. Lizzy, che non ne aveva preso neanche un goccio, era crollata nella stanza degli ospiti, subito dopo aver rassettato la casa. Già da lì era facilmente intuibile quanto la vita fosse ingiusta, per non dire bastarda.

Si trovò a inspirare ed espirare lentamente più volte, come se farlo potesse alleggerire l'invisibile e opprimente macigno sul petto che pareva privarlo dall'aria che aveva nei polmoni da un momento all'altro, ma purtroppo non ci furono migliorie.

Chissà, forse la colpa era di quel disegno che aveva di fronte a sé, - che fu tentato di capovolgere ma poi lasciò stare- doveva strapparlo, si ripeteva, ma puntualmente non lo faceva mai. O perché era turbato per aver accennato di lui a sua sorella, o ancora, perché prima di recuperare il telefono aveva vissuto con la speranza che Thomas gli avesse scritto un messaggio, e, invece, quando si era trovato a sbloccare il display, non aveva trovato nessuna notifica a suo nome, né un come stai, una chiamata persa. Niente. E solo in quel momento si era reso conto di quanto avesse desiderato che una simile cosa si realizzasse, beh...la speranza si era brutalmente frantumata. Anche se sapeva che era giusto non aspettarsi niente, perché se Thomas avesse voluto vederlo, avrebbe potuto andarlo a trovare a casa, gli aveva fatto comunque male anzi, era sicuro che il termine specifico per descrivere come si sentisse ancora non era stato inventato. Male non era abbastanza.

Per tale ragione alle cinque del mattino d'impeto aveva afferrato il pc, deciso più che mai a mettere fine a un martirio che si era creato con le proprie mani, con le sue idealizzazioni, film mentali e varie paranoie; gli era balenata un'idea all'improvviso, sulla qualche non aveva minimamente riflettuto, ma risultava la più sensata e giusta, tanto da chiedersi: "perché non ci ho pensato prima?"

Accese il computer e rapido cliccò sulla casella postale, inserì l'email del destinatario e riempì anche il campo denominato "oggetto", poi, s'arrestò di colpo, non perché voleva tirarsi indietro, bensì perché in difficoltà su come far scivolar le parole, nel giusto ordine. Cominciò a torturarsi le pellicine delle mani, mangiucchiandole voracemente, per poi strapparle via con i denti.

Se fosse stato per lui, avrebbe rifiutato quella situazione sin dal principio, dopotutto lo avevano ingannato, Strand e quello stronzo di Vince, il suo ex capo dell'FBI. Gli avevano teso una trappola vera e propria quei due, e ora finalmente se ne sarebbe liberato. Fanculo alla gratificazione, all'ambizione e fanculo anche al rivolo di sangue che gli usciva dalla pellicina del pollice destro.

Appena era arrivato al quartier generale, scrivere quella lettera era stata la prima cosa che aveva messo in conto di fare e, invece, in quel momento gli stava risultando estremamente complicato.

Decise che avrebbe lasciato stare i convenevoli e le varie moine travestite da ringraziamenti e paraculate su quanto gli avesse insegnato l'Intelligence, sarebbe stato breve e conciso; l'importante, si disse, che il messaggio arrivasse forte e chiaro usando poche parole, d'altronde non era neanche uno che parlava molto. Nessuno avrebbe avuto niente da ridirgli, ripeté a sé stesso e spronato da quel pensiero espose ciò che più sentiva, che non gli faceva bene e che doveva lasciare andare.

Dopo essere riuscito a scrivere la prima frase, i tasti finalmente cominciarono a scorrere automatici sulla tastiera, come se andassero da sé ancor prima che le mani li sfiorassero, procedevano spediti, con un linguaggio professionale ma al tempo stesso freddo e distaccato. Dopotutto era ciò che voleva l'Intelligence, che esigeva Lillian Strand.

Era così concentrato che quando vide una sagoma avanzare nella penombra, sussultò; si riprese poco dopo quando riconobbe i lunghi capelli biondi scompigliati conciati alla bella e meglio in uno chignon che non esisteva più, la maglia del pigiama larghissima color pesca e il pantalone bianco ricoperto con tante fragoline. Era Lizzy, che troppo assonnata neanche fece caso che come un fantasma suo fratello a quell'ora fossa ancora in piedi; arrivò al bagno brancolando nel buio, guidata dalla fioca luce dello schermo del pc, poi chiuse la porta alle spalle.

La lettera -sfogo, confessione o qualsiasi cosa fosse- fu ultimata prima che Elizabeth tornasse, Newt reputò giusto non inviarla a quell'ora, sarebbe risultato strano e chissà cosa ci avrebbero ricamato sopra, commenti del tipo: "Doveva essere ubriaco" oppure "Ma chi invia una lettera di dimissioni all'alba?" se non addirittura " Sarà stato sicuramente rifiutato da Thomas, non vedevate come lo guardava". Meditò a pieno, decidendo poi che l'avrebbe spedita l'indomani mattina, per non destare ulteriori sospetti e incrementare nuove e mal dicerie.

Calò lo schermo e si recò nella sua stanza, chiudendo mogio la porta alle sue spalle cosicché sua sorella non si accorgesse di nulla. Poco dopo la sentì brontolare qualcosa, per poi accendere la luce e spegnerla una volta tornata in camera a dormire. Newt accennò un lieve sorriso nel buio, nonostante tutto, era felice che lei fosse lì.

Cauto a non compromettere ulteriormente lo stato della caviglia, si lasciò cadere dolcemente sul letto, trascinando il piede malconcio per poi sollevarlo delicatamente sul cuscino ai piedi del letto. 

Avrebbe anche lui desiderato chiudere gli occhi, ma non ci riuscì, così li tenne aperti, fissi sulla metà vuota. A fargli compagnia sul cuscino accanto c'era il ritratto fedele di Thomas Edison.


***


A contrario delle aspettative di A2, Lillian Strand quella mattina non si recò in ufficio, né lo contattò per rimproverarlo. Ciò colpì duramente il suo ego. Avrebbe tanto voluto vederla sbraitare e perdere le staffe, magari farle salire la pressione alle stelle-una reazione del genere forse avrebbe migliorato il suo di umore, che dopo le allusioni di Jorge su Newt e i segreti del passato svelati, lo avevano peggiorato al punto da destabilizzarlo completamente- ma purtroppo niente di tutto ciò avvenne.

Così restò a fissare il vuoto, lo sguardo perso a esaminare distrattamente il mondo che scorreva al di fuori della finestra, sotto di sé. Non stava bene, Cassidy lo aveva intuito dalla schiena curvata, non dritta e impostata che gridava sicurezza da ogni poro come sempre. Gli voleva bene e raccontargli parte della verità, aveva fatto male anche a lui, ma si era rivelato necessario.

Il ragazzo in cui vedeva il figlio che non aveva mai avuto, non poteva continuare a vivere nella menzogna, doveva sapere la verità sulle sue origini e rendersi conto in maniera concreta dei rischi che correva ogni giorno; come se non bastasse, si era anche azzardato a toccare il tasto dolente agente Isaacs, e fargli capire che se la vita gli poneva qualcosa di bello, non doveva scappare perché abituato a prendere solo batoste.

Per la prima volta forse da quando ero nato c'era qualcuno che gli faceva bene, perché rinunciarci? Era da stupidi, pensò, ma non avrebbe insistito oltre; gli aveva dato l'input, per il resto avrebbe lasciato decidere lui. Non era giusto che si immischiasse così, e per quella serie di discorsi abbastanza delicati si era creata una bolla di silenzio spaventosa.

Se le porte della sala d'allenamento non fossero state di vetro e quindi trasparenti, chiunque avesse camminato su quel piano, avrebbe pensato che la palestra fosse deserta; infatti, dopo quell'attacco improvviso che Thomas aveva destinato a Jorge, si era nuovamente allontanato, in assoluto silenzio.

Cassidy di qualche manciata di passi più dietro, gli guardava le spalle nel senso letterale del termine, metaforico poi, lo faceva da quando poco più di un bambino era entrato all'Intelligence. Ai tempi, Thomas era soltanto un ragazzino spaventato e lui un uomo adulto, tutto d'un pezzo e solo, fargli da padre gli era uscito stranamente naturale.

Forse era un termine che non avrebbe mai espresso ad alta voce al ragazzo davanti a sé, sapeva quanto fosse legato alla sua famiglia e definirsi padre sarebbe stato un attacco che Thomas avrebbe preso sul personale, come a sminuire Alec Edison o a sostituirsi a lui, così in quegli anni si era comportato tacitamente da tale: era presente, si preoccupava, gli tirava le orecchie, gli allacciava le scarpe, quando c'era bisogno gli porgeva la propria spalla su cui piangere, ascoltava i suoi silenzi e cercava di scemare i suoi attacchi di rabbia e crisi di panico, proprio come un genitore ma nei panni di un vecchio amico.

Si massaggiò con un lento movimento circolare il fondoschiena ancora indolenzito per la caduta, poi spazzò via il sigillo di antipatico silenzio;

«Beh, credo che dopo tutte queste acrobazie, andrò alla caffetteria più vicina e comprerò un vassoio intero di croissant, ci rifocilleremo per bene come due porci senza vergogna, che ne dici, hermano? Proprio come ai vecchi tempi.» Propose con ilarità, sperando di ricevere un assenso da parte dell'agente il più presto possibile, non gli piaceva quel distacco, quell'apatia che incrementava la lontananza seppur fossero vicini, stava avvertendo Thomas davvero distante e questo gli procurava un dolore al petto insopportabile.

Il giovane - o perché voleva restare un po' da solo o perché lo stomaco stava bussando insistente a causa del digiuno- mosse il capo in cenno affermativo senza voltarsi, e questo bastò a Cassidy per decidersi ad andare. Quando chiuse la porta, la figura lontana di Edison era ancora visibile: di spalle, i gomiti poggiati alla finestra e la mano destra che s'avvicinava alla guancia. A Jorge gli si strinse il cuore ricevendo tacitamente la conferma del perché Thomas non si fosse voltato.


***

"Consumare cibo in palestra è severamente vietato"

Un cartellone abbastanza grande affisso a uno dei grandi pilastri centrali recitava la sopracitata frase, seguita da altri divieti, come il vietato fumare. Era stato messo lì a posta, una strategia vera e propria, con tutti gli specchi sulle pareti frontali permetteva di essere riflettuto da qualsiasi punto della palestra ci si trovasse, come un promemoria, visibile da qualsiasi prospettiva, così che nessuno potesse uscirsene con la frase: "Oh, non lo sapevo, e chi l'aveva visto..." Ma quella scusa nessuno dei due l'avrebbe usata giacché vi erano seduti bellamente sotto, ignorandola del tutto.

Cassidy era tornato con l'inimmaginabile, tanto che l'agente speciale-che a quella vista sembrava essersi ripreso, come se avesse avuto l'apparizione di un santo- non solo l'aveva accolto con un ampio sorriso, ma gli era andato incontro per evitare che rotolasse con tutti i cornetti e i due caffè.

«Temo finiscano a terra prima che nella mia voragine infinita.» Appurò Thomas con un sorriso di circostanza, e con attenzione liberò cordiale le braccia del suo strizzacervelli. Cassidy accolse di buon grado il suo umorismo e aiuto, seppur dubbioso sul suo vero stato d'animo.

«Fa' attenzione ragazzo, sono stati appena sfornati.» Riferì, premuroso. Presero posto entrambi sulla stessa panca di pelle nera, Edison poggiò la colazione tra loro e poi si sedette a una delle estremità, a cavalcioni, Jorge dal lato opposto, assunse una posizione più composta, poggiando una gamba sull'altra.

Come un dannato infernale che aveva avuto l'assoluzione, con foga, Edison strappò via la busta, liberò il cornetto dall'involucro e l'addentò, sbriciolando ovunque, a terra e addosso.

«Impressionante.» Fu l'unica parola che riuscì a dire Jorge, di stucco, la bocca e gli occhi spalancati; adagio poi prese il bicchiere di Starbucks e bevve il suo caffè amaro a piccoli sorsi.

Non c'era nessuno a parte loro, ma a tradirli, a testimoniare quella loro trasgressione sarebbero state le quattro telecamere posizionate in alto in ogni angolo della sala, ma tramite il suo chip Thomas avrebbe agito in tempo, cancellando le riprese delle telecamere e montando filmati che ritraevano la palestra vuota. Grazie al chip aveva impedito cose ben peggiori, quello era un gioco da ragazzi.

Gustarono la calda e saporita colazione, parlarono poco a parte qualche complimento rivolto alla cornetteria per la qualità dei prodotti e sulle bevande ancora calde seppure fuori si fosse alzato un antipatico vento freddo, dopotutto era ancora dicembre.

Mangiarono a voglia, deliziandosi della cioccolata che colava calda e sciolta nel cornetto soffice e ben cotto; quando ebbe finito di mangiare, mentre puliva via le briciole che ridicolmente gli era cadute sulla t-shirt, prima di sorseggiare il suo caffè fumante, Thomas spezzò finalmente il silenzio;

«Andrò fino in fondo con la faccenda di Chuck.» Dichiarò semplicemente quanto inaspettato, portando alle labbra il bicchiere e bevendo il suo cappuccino. La tranquillità con cui aveva proferita quella frase era al pari di "vado a fare una doccia" e Jorge appena la sentì, gli destinò un'occhiata truce, il sopracciglio sollevato dimostrava a pieno il suo completo disappunto. 

Quel ragazzo era incredibile, gli aveva parlato del passato della sua famiglia e si aspettava come minimo migliaia di domande al riguardo, eppure, come sempre si era fossilizzato su altro, su ciò che non lo toccava in primis, per aiutare gli altri. Per Jorge era chiaro che Thomas lo facesse di proposito, si distraeva con le vicende altrui per non soffermarsi a pensare che inferno era stata la sua vita, ma doveva farlo ragionare, fece per aprire bocca, per replicare, ma il ragazzo continuò;

«Se è come dici, l'abbiamo trovato lì perché loro volevano che lo trovassimo. Magari è davvero un modo subdolo per attaccarmi, in ogni caso, sarò io a scoprirlo.» Spiegò repentino, fissando un punto davanti a sé.

Cassidy mosse lentamente il capo a destra e sinistra, chiaro segnale di contrarietà. «Smettila, Thomas, hai una mutazione genetica rara e sei un eccellente agente della CIA, a volte» Abbozzò un sorriso per sdrammatizzare e per evitare che la suscettibilità di quello non rovinasse tutto.

«Ma non sta a te occuparti di questo. Devi capire che quel bambino sarà assegnato al governo, e se ci reputeranno idonei, lo seguiremo noi, ma dobbiamo essere ligi alle regole e soprattutto prudenti, perché a me questa storia non convince per niente. Devi strane assolutamente fuori, soprattutto adesso. È l'unico bambino che avete trovato lì, ma se non c'era nessun parente, perché era in quel postaccio? Puoi chiedertelo, per favore, e lasciare che il tuo istinto ti eviti di commettere cazzate?» Poche volte il medico sbroccava, solitamente deviava le parolacce, ma quando succedeva, significava che la situazione era critica.

La domanda era: come poteva Thomas starne fuori? Era stato lui a trovare Chuck, con lui era iniziata quella vicenda e con lui sarebbe finita. E poi necessitava di distrarsi, soprattutto dopo ciò che aveva scoperto riguardo al suo passato, ottenendo la conferma che era stato lui la causa della loro morte. Chissà perché lo aveva sempre sospettato, e non c'era cosa peggiore. Come avrebbe fatto a conviverci per il resto di tutta la sua vita? A un lato pensò che Jorge non avrebbe mai dovuto rivelarglielo, ma sicuramente lo aveva fatto per il suo bene, per fargli capire che da quando era nato la sua vita fosse sempre in costante pericolo.

Doveva stare attento per sé e per gli altri, qualche bastardo avrebbe potuto di nuovo mirare Newt, e forse non sarebbe stato più in grado di salvarlo. Non poteva perdere di nuovo. Avrebbe voluto sbattere la testa contro al muro, e smettere solo quando si fosse aperta sanguinante, incapace di pensare, ma c'era altro che poteva fare, di più utile ed efficace: proteggere chi ancora gli era rimasto.

Lasciò per un po' i suoi problemi, sicuramente ci avrebbe rimuginato in seguito, tipo per tutta la vita, in quel momento era in cerca della verità su Chuck, e sperava davvero di trovare fonti e prove che confermassero la sua innocenza.

«Un'alternativa potrebbe essere che Chuck sia il figlio di uno che sta nel brutto giro, o che voleva liberarsene della malavita, ma come sfregio, quei bastardi lo hanno sequestrato.» Solo a dire quelle parole si sentì male, era orribile solo pensare di uccidere, figurarsi fare del male a un bambino.

Jorge ci pensò su, poi liberò la sua ipotesi; «Nah, c'è sotto qualcosa di più.» I suoi occhi scuri come caffè erano fissi su un punto davanti a sé, cercava di collegare pezzi di puzzle completamente sconnessi.

«Non so perché ma credo che sia tutto collegato. Quando sei andato in India, Agnes si trovava in ospedale...ricordi il reparto?» Domandò diretto, senza preoccuparsi di fare preamboli ingannevoli, né tantomeno di girarci intorno con convenevoli.

«Cosa c'entra adesso lei?» Controbatté stizzito, il petto gonfio e le narici dilatate, sembrava un toro che stava reprimendo il desiderio di  prendere la rincorsa per attaccare il mantello rosso.

Teresa era diventato nel tempo un argomento tabu, non perché gli arrecasse dolore come ricordare i genitori, bensì perché non riusciva a inquadrarla, neanche da morta. Da un lato si sentiva in colpa con sé stesso per non essere riuscito ad aiutarla, dall'altro, l'avrebbe uccisa lui stesso per le azioni disumane commesse.

Non sapeva se lei un giorno avrebbe mai meritato la redenzione, lui, si rammaricava soltanto di non essere riuscito a farla ragionare, a capire i suoi problemi e ad allontanarla da quei mostri, ma col tempo finalmente aveva capito che lei non era un agnellino, era cosciente e consapevole di ciò che aveva fatto, dimostrando una fierezza che gli metteva i brividi ogni volta che ci ripensava. Gli salì di nuovo il sangue al cervello, se in quel momento se la fosse trovata davanti, l'avrebbe soffocata senza pensarci.

All'Intelligence era stata la prima collega che lo aveva trattato come un semplice umano, gli era stata da subito simpatica, o almeno non riversava su di lei l'indifferenza che aveva nei confronti di tutti.

Tra loro pareva essersi creata una certa sintonia che all'inizio aveva confuso con un sentimento più intimo, col tempo si era rivelato un miraggio, ma nonostante ciò si erano rivelati l'uno l'ancora dell'altra, si erano spesso affiancati forse perché entrambi accomunati da un passato difficile, argomento di cui Thomas non sapeva nulla, perché quando lo apriva, lei si mostrava subito evasiva, uscendosene con frasi di circostanza come;" Fa troppo male ricordare".

Edison non era mai andato oltre, non aveva mai chiesto chissà quali spiegazioni, perché non avrebbe mai voluto vederla triste, ma alla fine, crescendo, si era reso conto di non conoscerla affatto, a stento sapeva il suo nome e gli ideali che, sembravano aver sempre condiviso che simbolizzavano quello dell'intelligence "servi e proteggi" erano tutta una mera menzogna, lei faceva parte di quella categoria che non rientrava nemmeno nel genere umano. Lei era il fronte opposto, quello per cui si batteva, il nemico.

«Pediatria...» Rispose riluttante, lo sguardo annoiato sembrava che non destinasse la giusta attenzione al ragionamento del neuroscienziato. Nervoso, tamburellava con le dita sulla panca. Jorge quella mattina lo stava davvero stremando, mettendo a prova la sua pazienza, prima la boxe, poi il colpo basso tirando di mezzo i genitori, ora quella... «Ma che c'entra?»

Il medico si privò degli occhiali. «Gira e rigira ci sono i bambini di mezzo. E i bambini sono il futuro.» Confutò risoluto, sembrava che stesse tracciando un'invisibile linea temporale e tutto cadesse al giusto posto, come i pezzi di un puzzle che si stavano rassemblando alla perfezione.

La fronte aggrottata e gli occhi incrociati erano la chiara dimostrazione di quanto l'agente fosse confuso. «Non ti seguo...è uno di quei tuoi indovinelli strani? Come Gervaso mi ha rubato il naso, non fateci caso?» Ricordò Thomas, l'espressione confusa e gli occhi incrociati. Era una frase che Jorge gli ripeteva sempre quando ero piccolo, quando per farlo ridere, fingeva di rubargli il naso con un pizzicotto.

Il neuroscienziato accennò una breve ma calda risata. Era felice che Thomas non avesse dimenticato quei momenti, erano belli e teneri, ma non impiegò molto a tornare subito alla serietà del discorso precedente. «C'è qualcuno che divulga le informazioni personali dei pazienti. I piccoli pazienti proprio come hanno fatto con te.» Suggerì, l'espressione studiosa al pari di un detective. Forse Jorge aveva sbagliato lavoro.

Thomas era un tipo sveglio, ma Cassidy in quel momento appariva davvero incomprensibile, sembrava avesse davanti a sé formule matematiche, equazioni, funzioni che aveva risolto in un batter d'occhio come un genio, lasciando i compagni di classe indietro, senza capirci niente.

Il ragazzo si grattò la testa e fece un respiro soppesato. «Una spia intendi?» Provò quasi tremante, temeva di dire qualche sciocchezza, ma davvero non riusciva a collegare. Cassidy mosse veemente il capo in cenno affermativo, rimise gli occhiali e s'alzò, cominciando a camminare avanti e indietro.

«Ma chi potrebbe essere? E tra l'altro come può uno solo lavorare per tutti gli ospedali? Non è un lavoro troppo grosso per un solo individuo?» Ragionò Thomas, lo sguardo fisso su Jorge che si spostava per la palestra, la testa assorta nelle sue teorie.

«Nessuno ci dice che è un'unica persona, è questo che mi preoccupa. Forse è una società, a delinquere sicuramente, magari fondata da medici e infermieri e quando trovano queste informazioni speciali comunicano tutto a qualcuno al vertice, ovviamente è potente.» Convenne, mentre i muscoli facciali si irrigidivano, non gli piaceva per niente quello a cui stava giungendo, ma la verità non era mai piacevole e questo doveva tenerli pronti per un colpo grosso. Il nemico era scaltro e imprevedibile, ogni mossa era studiata e avrebbe potuto rivelarsi l'ultima.

Ma Jorge aveva accennato la frase: Proprio come hanno fatto con te e questo gli fece accendere una lampadina, lo fece soffermare su un dettaglio che non doveva essere trascurato;

«Non dovrebbe preoccuparti.» Comunicò con tono tranquillo, la rabbia che era scoppiata per la scoperta sulla verità del proprio passato e per la piccola sosta che avevano fatto sull'argomento Teresa sembrava essere scemata via, in quel momento i suoi occhi stavano brillando in maniera esponenziale, come se avesse avuto d'improvviso un colpo di genio.

«Sembra che tu abbia già la soluzione, ragazzo.» Dichiarò sconfitto, detestava l'ingenuità travestita da sicurezza del giovane.

«Sei stato tu a suggerirmela, capo.» Inarcò le labbra in un sorriso, non era al 100% divertito, né tantomeno felice, ma almeno i toni sembravano essersi calmati.

Cassidy storse il naso, aggiustò gli occhiali sul naso e borbottò incredulo; «Io?» Gli uscì un suono gutturale, come se volesse rimangiarsi le parole, temeva quella sfrontatezza del più giovane. Avrebbe sicuramente fatto il passo più lungo della gamba con le sue ipotesi e piani mortali.

Thomas fece una pausa, poi prese un respiro profondo per esplicare il proprio ragionamento; «Hai detto che una ricercatrice era ossessionata da me, sarebbe stata capace anche di rapirmi, quindi fa pensare a una che non guarda in faccia a niente e nessuno...Hai collegato anche il fatto che Agnes avesse organizzato il nostro incontro proprio in un ospedale e ancora peggio il reparto dei bambini...»

L'agente pareva parlare più con sé stesso che con Jorge, in quel momento pareva che i ruoli si erano capovolti. Adesso, sembrava che fosse lui ad avere davanti a sé una linea temporale e stesse collegando tutti i momenti con un'incredibile e al tempo stesso terribile precisione.

«Magari...quella donna è ancora viva ed è proprio lei la figura al vertice. Forse sono io la soluzione. Sono io quello che lei ha sempre voluto. Sono l'unico che può farla cadere.» Disse tutto d'un fiato, definito più che mai.

Sì, pensò Jorge, decisamente il Thomas abbattuto di poco prima sembrava essere sparito, gli faceva certamente piacere, ma temeva comunque ciò che la sua mente bacata stesse creando.

«Figliolo, lascia il piede dall'acceleratore e rifletti, per favore. Oggi hai assimilato troppe notizie e accumulato troppa pressione, non è detto che il tuo ragionamento sia giusto, non giungere a conclusioni affrettate, solo perché le situazioni possono sembrare analoghe non vuol dire che siano collegate.» Sentenziò il medico, in quel momento si pentì di tutto, anche di essere andato lì, a confortarlo, a dirgli la verità, perché agire portava sempre a un bivio e come sempre, Thomas non aveva intrapreso la strada più razionale.

«No, Jorge, sto bene. Sto davvero bene. Finalmente tutto scorre chiaro come l'acqua di un torrente. La mia vita è stata completamente una menzogna, dall'inizio. Teresa è stata mandata nella mia vita, non perché fosse un'agente in gamba per proteggermi, lei è sempre stata dall'altra parte, sfuggente e falsa, voleva raggirarmi per ottenere la mia approvazione al suo folle ideale. Non volevo crederci, non credevo che un essere così aberrante potesse fregare l'Intelligence.»

«Ragazzo, Agnes prima di essere quel tipo di...persona,» Ci volle coraggio a definirla tale, Jorge deglutì, quella parola Teresa non la meritava. «Era un'agente dell'Intelligence, anche in gamba...non possiamo farci nulla se...» Lasciò lì il discorso, per riprenderlo dopo una breve pausa «Se fosse come dici, e dico se.... ne puoi mai essere sicuro al 100%? A1 ti aveva rivelato qualcosa? Eri a conoscenza della sua diserzione? Del motivo e dello schieramento terroristico?»

Thomas abbassò il capo, in quel momento non gli faceva schifo Teresa, si faceva schifo lui, per aver sempre voluto credere altro, vedere solo metà dell'intera faccenda. O meglio non vedere ciò che, invece, risultava piuttosto evidente.

«Purtroppo sì, al cento per cento.» Ammise, mentre la vergogna gli colorava il volto e la rabbia avrebbe voluto fargli schiantare le nocche contro le colonne.

«Una volta, tramite il chip, dopo la sua falsa morte, quella che credevamo tutti...trovai un file senza origini, non mi è mai stato visibile il mittente, fatto sta che aveva una durata, poi si sarebbe autodistrutto. Senza pensarci, lo scaricai e lo stampai, era la bozza di un articolo di giornale mai pubblicato.» Si fermò, non perché non aveva fiato, bensì perché non sapeva come lo avrebbe guardato Jorge in seguito.

«Prima di cominciare a leggere fui colpito dalla foto in bianco e nero che ritraeva Teresa in mezzo a una donna e ad un uomo più grandi di lei, si parlava di loro come il trio del terrore. Non ho mai voluto crederci...neppure quando ho visto che voleva trascinarmi nella morte con lei, che voleva far saltare in aria l'ospedale in India, e neanche dopo, quando per le strade del Messico ho picchiato a sangue New, reputandolo colpevole di averci separato. La verità è che io e Teresa non siamo mai stati uniti o simili...» Proferì con le lacrime agli occhi, ma non le diede a vedere, portò rapido la mano davanti al viso e poi tirò su con il naso, come se fosse raffreddato. Jorge non glielo fece pesare, coinvolto com'era per il racconto.

«Quella donna indossava un camice, probabilmente si trattava di una dottoressa o come hai detto una ricercatrice, e se è così...è davvero tutto fottutamente collegato. Teresa era un' agente dell'Intelligence e quando quella donna ha scoperto che io fossi qui, l'avrà corrotta e a lei è convenuto, per forza, si è unita a loro!»

«Beh, non possiamo saperlo, ragazzo...se fosse stata costretta?» Ipotizzò, accendendo lo sguardo a quell'alternativa. Bisognava osservare la stessa situazione da diversi punti di vista, era una delle prime regole degli agenti dell'Intelligence. Quasi sempre niente è come sembra.

«Oppure si conoscevano da prima e lei ha fatto le selezioni per l'Intelligence con il solo  scopo di avvicinarsi a me e farmi cadere...» Ipotizzò poi, alzandosi in piedi e portandosi le mani nei capelli.

«Non lo so, la mia testa scoppia, non so niente della sua vita, non ho mai saputo niente di lei. Vorrei davvero credere che non avesse avuto scelta ma non per lei, bensì per me, per alleggerire il senso di colpa che ho da quando è morta. Non sentirmi così stupido per aver visto che c'era qualcosa di buono in lei. Ah Jorge, se avessi visto la felicità nei suoi occhi quando elencava le stragi commesse, che riguardavano bambini...» Strinse le mani in pugni e serrò la mascella, adirato. Stava provando tante emozioni e non gli faceva bene, Jorge desiderava cambiare discorso il più presto.

A Thomas faceva bene parlare e tirare fuori ciò che lo attanagliava dentro, nella parte più oscura di sé, ma a quale costo se poi per evitare un male ne accendeva un altro?

«Beh, è sicuramente un fatto da approfondire, ma adesso è altro che cattura la mia attenzione e preoccupazione. Questo fatto che ti sia arrivato queto messaggio autodistruttivo, significa che sono in collegamento con il tuo chip, nessuno ha il tuo IP, a parte me, i sistemi di protezione tecnologica sono altissimi da essere valicati da hacker principianti, c'è qualcuno di preparato dietro...e se sono riusciti ad hackerare gli accessi di entrata devono essere subito cambiati, possono davvero giungere alle tue ultime posizioni, i contatti, e le strade che percorri, se riescono ad accedere anche ai tuoi parametri vitali è la fine. Potrebbero attaccare con un virus che manda il sistema KO e potrebbe risentirne anche il tuo fisico, cominciando a rigettare il chip, e con rigettare intendo che sono capaci anche di farti vomitare, o fermarti il cuore con delle scosse a distanza.» Fermargli il cuore? Quella sì che era una novità, che lui sapesse, soltanto uno era in grado di farlo e portava il nome di Isaacs Newton.

«Eccola spiegata...la cicatrice sul petto.» Ripeté. 

Gli era stato detto che fosse il risultato di  un incidente di molto tempo addietro, che neanche ricordava, non erano mai stati chiari se fosse quello con i suoi genitori o un altro, ma in quel momento non fece domande, distratto da un ricordo, sorrise appena. Era la stessa cicatrice sfiorata dalla delicatezza di dita marmoree e affusolate. Se chiudeva gli occhi, potevano ancora avvertire il tocco delicato di Newt sul suo petto, ma con Jorge davanti era meglio cestinare quei pensieri.

«Sapevo che c'entrasse il cuore, ma non credevo che potesse essere davvero tutto così collegato, comunque...»

Comunque un bel niente, avrebbe voluto ribattere Jorge prendendolo a schiaffi. Il ragazzo di fronte a sé aveva davvero appreso di poter morire da un giorno all'altro ed essere completamente apatico? Immagazzinò la rabbia per la sua indifferenza, costringendosi ad ascoltare cos'altro avesse da dire. Prima o poi lo avrebbe fatto ragionare, a suon di mazzate.

Edison, dal canto suo, era indeciso se proferire tutta la verità, ma se quella era la giornata dedicata alle rivelazioni, avrebbe sganciato anche quell'ultima bomba. «Mi controllano già da tempo visto che ho avuto tre di queste...» Esitò, cercando di trovare il termine adatto per descrivere quegli ospiti indesiderati. «Intrusioni.»

«Cosa?! E quando diavolo avevi intenzione di dirmelo?» Jorge scattò in avanti, gli occhi sgranati descrivevano pienamente quanto fosse terrorizzato da quella notizia. Tra quelle che poteva ricevere, quella non l'aveva mai messa in conto, ed era la peggiore variabile che potesse verificarsi.

«Non c'è stato tempo, né modo.» Provò a giustificarsi il ragazzo visibilmente in colpa. «Diciamo che è successo tutto nei momenti meno opportuni. La prima volta era poco dopo la morte di Agnes, giorni prima che il nuovo protettore arrivasse alla base...»

«Ora ricordo...ecco perché in quel controllo mi risultò l'ACDAC5 alterata...» Jorge parlò a bassa voce, tra sé, ma Thomas riuscì comunque a udire quel pensiero proferito ad alta voce.

«Il secondo arrivò mentre ero con A5 nel bordello, nel bel mezzo della sparatoria, stavamo salvando Chuck, e un messaggio lampeggiava nella casella postale: "soggetto a1 in movimento". Mi sentii mancare la terra sotto ai piedi, era così strano, sapevamo tutti che fosse morta, le avevamo fatto un funerale, senza salma ma pur sempre funerale. Fu in quel momento che non vidi il proiettile che mi stava colpendo, e anche allora Newt mi salvò.» Sorrise malinconico a quel ricordo, ma andò avanti. «E terzo, ultimo, recente, è successo nella fabbrica, qualcuno mi è letteralmente entrato nella testa, mi ha detto di fidarmi e di premere il grilletto, di lui però almeno so qualcosa, sempre che si tratti della verità...si chiama Gally e ha detto che è dalla nostra parte.»

Jorge abbozzò un'espressione sconcertata, non sapeva niente di quel tale, mai sentito. «Avresti dovuto dirmelo, prima, razza di rincaspiato!» Sbottò, sbattendo il punto sul tavolo. Quando Jorge perdeva le staffe, era meglio correre, fuggire il più lontano possibile. Era una persona estremamente calma e questo la diceva lunga su chi diventasse quando la rabbia si impossessava di lui.

«Non credevo fosse importante, o meglio, non credevo che qualcuno sarebbe riuscito a distruggere la fortezza tecnologica che avevi creato.» E non credevo che qualcuno sarebbe riuscito a distruggere la mia corazza, facendomi entrare in crisi totale al punto da preoccuparmi della sua vita.

«Non c'è da fidarsi di questo Gally, ma se vi ha aiutato a uscire, forse può esserci d'aiuto anche per altro...sai come rintracciarlo?» La mente di Jorge stava elaborando una moltitudine di ipotesi, si sentiva la fronte accaldata e il cervello letteralmente in fumo.

Thomas mosse il capo in cenno negativo, poi informò; «Ha detto che si sarebbe fatto vivo lui e che osserva me e Newt da tempo...» Quell'ultima informazione non era stato sicuro di rivelarla visto l'estrema preoccupazione da parte del più grande, ma se dovevano iniziare a giocare a carte scoperte, sarebbe stato meglio non tralasciare niente.

«Ecco, meraviglioso! Ora ti rendi conto di quanto le cose stiano peggiorando? Vuoi pensare saggiamente e agire in modo scaltro, tutelando te e chi ti sta intorno? Non hai neanche idea quanti mirini avete puntati addosso!» Jorge aveva gesticolato tutto il tempo e in quel momento si trovava leggermente chinato in avanti, le mani aperte e gli occhi anche. Stava perdendo il senno a badare quel ragazzo, terrorizzato di come tutto il lavoro di decenni andasse in fumo da un momento all'altro. Bisognava allertare la sicurezza nazionale e internazionale. Capire quali notizie tra le migliaia fossero trapelate, se quelle di lieve importanza o i codici rossi.

Thomas inspirò, prese un sospiro lungo e poi fece una pausa.

«Okay, ragioniamo. Non potremmo usare questa loro intrusione a nostro vantaggio? Fingere di non essercene accorti e caricare nozioni fasulle?» Tentò di prendere in mano la situazione, ma ogni tanto Edison scordava di avere a che fare con terroristi e professionisti del male. Non erano stupidi.

«Spiegati meglio...» Jorge era restio, ma preferì mantenersi aperto. La fronte aggrottata, gli occhi vicini e studiosi.

«Per quanto loro siano riusciti ad entrare nel chip, non significa che a tutte le informazioni che risaliranno saranno veritiere, potremmo alterarle.» Continuò, a tratti non sapeva neanche egli stesso cosa stava blaterando.

«Beh, hermano, se sono nella tua testa da mesi, dubito che non abbiano scoperto già tutto.»

Edison irrigidì la mascella, detestava quando gli ricordavano ovvietà indiscutibili, ma era giusto vedere la situazione da ogni prospettiva. «Questo è vero, ma se fosse stato così, mi avrebbero già ucciso. Hai detto tu poco fa che basta poco per far saltare il sistema del chip e di conseguenza anche il mio corpo, che ormai ne subisce gli effetti collaterali.» Cercò di trovare la falla, ma parve non riuscirci.

«Forse gli servi vivo, essendo l'unico con questa mutazione rara, vogliono portarti dalla loro parte, poco importa che tu sia volontario o meno.»

Thomas pulì via le briciole cadutogli sulla t-shirt. «Abbiamo una certezza: non tenteranno di uccidermi, se così non fosse, di occasioni ne hanno avute e ne hanno anche adesso, in questo momento tramite il chip.» Teorizzò deciso.

«Certo, è indiscusso che ti vogliano vivo, soprattutto se al vertice c'è quella donna che ti cerca da tutta la vita. È una pazza ossessionata...» Proferì Jorge, arrabbiato, avvicinandosi alla finestra ed estraendo dal taschino della camicia un sigaro. «Ma c'è anche la possibilità che toccano qualcuno a te vicino...» Si lasciò sfuggire, pentendosene poco dopo, diamine, aveva di nuovo parlato ad alta voce.

«A volte studiano così tanto l'obiettivo da capire il suo punto debole, e anche se all'apparenza sembra non esserci, con la loro temperanza riescono a scovarlo. A volte non importa che male fisico possano infliggere a noi, ma a chi teniamo.» In quel momento Thomas trasalì, un brivido di freddo gli scorse lungo la spina dorsale e s'arrestò. Era come avevano fatto con i suoi genitori, se davvero c'entrava quella gente di nuovo, li avrebbe uccisi uno ad uno, non importava se ne fossero migliaia.

«A5 è uscito, lo sapevi?» Proferì inaspettato, d'un colpo. Aprì un po' la finestra, il tanto per permettere al fumo di uscire. A quella domanda Thomas trattenne il respiro, una reazione naturale, non avevano proferito il suo nome, eppure, il minimo riferimento a quel ragazzo lo destabilizzava. Perché Jorge aveva accennato a Newt quando poco prima si era riferito alle persone a cui tenevano? Era forse una correlazione?

Fece segno di allungargli una sigaretta e quando Jorge gliel'accese, una volta tra le labbra, inspirò. Restò in silenzio, mentre tirava fuori la nicotina. Fumare dopo essersi distrutti ad allenarsi era un altro modo intenso di morire, i polmoni gli avrebbero fatto causa. In segno di risposta alla domanda si limitò solo una volta a muovere il capo su e giù.

Stavano violando un'altra regola. Non potevano fumare lì, ma chi se ne fregava, si sarebbero sbarazzati delle prove.

«A parte averlo accompagnato in ospedale, non ti sei mai presentato.» Rifletté, gustandosi il sigaro. Era giusto che lui sapesse così, che tutti sapessero quella verità e che lo stesso Newt fosse convinto di ciò.

La verità era che aveva vegliato su Newt, da lontano, come aveva fatto all'inizio, in missione al Barcode. Di notte, si era intrufolato in ospedale e aveva temporeggiato dinnanzi alla porta della sua stanza.

Certe volte aveva davvero sentito il forte impulso di entrare e parlargli, dirgli tutto, altre, si era accontentato di sbirciarlo mentre dormiva. Una volta, mentre furtivo attraversava il corridoio, aveva notato le tapparelle della finestra non del tutto calate, ciò gli permise di intravedere meglio il biondo e, attento a non farsi beccare, lo vide a letto, perso in chissà quale lettura, stringeva un libro tra le mani, doveva averglielo portato Minho o quella merda di Ben. Diamine, quanto gli infastidiva quell'essere.

Per non parlare di un'altra volta, dove avrebbe volentieri picchiato il coreano per essersi seduto sul letto, avvicinandosi troppo alla caviglia dolorante di Newt. Non era possibile che si appostasse lì fuori per sentire le loro conversazioni, ma le volte che era capitato, non aveva mai sentito Newt chiedere di lui.

«E allora?» Decise di mantenere quella versione, era troppo orgoglioso per lasciare che la verità trapelasse, doveva saperla soltanto lui.

«Ti ho visto, in elicottero, come lo guardavi.» Dichiarò Jorge, lasciando che le tracce di sicurezza della sua voce fossero ben udibili, con quel tono lì, Thomas non avrebbe potuto negare l'evidenza, la chiarezza.

Il medico lo guardò di sottecchi, poi destinò l'attenzione ai palazzi davanti a sé, al sole che sorgeva impavido, alto e sicuro sui grattacieli della contea di Fairfax. Thomas seguì il suo sguardo, tra tanta gente, in mezzo alla più totale confusione e fermento di Langley, c'erano due ragazzi, dello stesso sesso, che si tenevano per mano.

Avrebbe voluto ribattere con: "Perché? Che faccia avevo? Era così palese che morissi con lui?" ma si limitò a boccheggiare come un pesce fuor d'acqua, facendo spallucce, come se la situazione non lo toccasse, gli fosse estranea, sconosciuta. Dimenticava un fattore importante: Jorge era Jorge, e come se avesse sentito i suoi pensieri rispose a quelle domande.

«Come se dalla sua sopravvivenza dipendesse la tua vita...E quando si hanno quegli occhi lì, quando si ha quel tipo di sguardo per qualcuno, hermano... diventa tutto estremamente pericoloso.»

Edison deglutì, e l'immagine di Newt tremante sul suo petto ritornò. Lambì le labbra passandovi la lingua e poi con un filo di voce proferì; «Non ho idea di cosa parli.» Negò, abbassando di colpo il capo, sentendosi colpito in pieno. Per un pelo non rischiò di soffocarsi, per il fumo, per la sua stessa saliva o per l'eccessivo imbarazzo. Quel non ho idea di cosa parli lo schiaffeggiò in pieno viso, rimbombandogli per tutto il cuore, il petto. Ultimamente era più falso di sempre.

«Scusate.» 

Una manna dal cielo, pensò Thomas udendo una voce fuori contesto. Erano così presi da quella conversazione che non si erano accorti che Brenda avesse aperto la porta e fosse entrata su quei suoi tacchi rumorosi.

I due dottor Jekyll e Mr. Hyde, presi alla sprovvista, lanciarono i rispettivi sigaro e sigaretta dalla finestra, cercando di comporsi in fretta e furia, sebbene le briciole a terra e il rivolo di cioccolata agli angoli della bocca del medico fossero la prova schiacciante del regolamento infranto. Tornarono a respirare solo quando capirono che si trattasse solo ed esclusivamente di Brenda. Si voltarono di quarantacinque gradi, nella sua direzione, mostrandole un sorriso a trentadue denti.

«Sta arrivando il capo?» Domandò Jorge frenetico, cercando di pulirsi e darsi un contegno. Rapido domandò a Thomas se avesse qualcosa fuori posto e il ragazzo gli indicò la crema sul labbro.

La ragazza li ignorò, era abituata a quei siparietti e da brava complice di Jorge non avrebbe neanche riportato il misfatto ai piani alti. «No, no...mi è appena giunta notizia dall'istituto dei minorenni. Charles è stato ricoverato. Pensavo volessi saperlo.» Rivelò infine glaciale, rivolgendo lo sguardo a Thomas.

Il suo sguardo era diverso, decisamente distante dalle solite occhiate languide, beh...forse per lei era davvero finita l'epoca in cui vedeva Thomas al pari di un Dio. E a Thomas non poteva far altro che piacere, in passato non aveva fatto niente per cibare le sue illusioni, e poi... in quel momento pensava esclusivamente alla notizia ricevuta.

Fu infatti subito invaso dallo shock e da un cattivo presentimento. Avvertiva che qualcosa non fosse normale, che quel ricovero fosse ...il termine esatto era sospetto. In quel momento stava pensando a quella donna, la ricercatrice che ossessionata lo cercava da una vita, aveva forse colpito Chuck, per lasciare che uscisse allo scoperto? Poteva essere, in quel momento tutto poteva essere, eppure sentiva che gli sfuggiva qualcosa. 

Quella donna aveva creato una società terroristica, magari era proprio lei a capo della pericolosa Wicked, ma cosa avrebbero potuto fare medici senza eserciti? E se avessero assunto un esercito esterno? E se fosse stato proprio il braccio destro, aiutato dallo stesso Jigsaw? Alcuni tasselli si incastravano forzatamente, ma era già qualcosa suppore...prima o poi la verità sarebbe saltata fuori, a qualsiasi costo giurò a sé stesso.

«Sai per cosa è stato ricoverato?» Chiese con occhi spalancati e il respiro bloccato nei polmoni. Temeva che fosse successo qualcosa al piccolo Chuck, qualcosa di orribile.

«No.» La segretaria non si rivelò molto d'aiuto, ma grazie a lei almeno sapeva cosa doveva fare: correre da Chuck. Non avrebbe fatto finta di niente anche stavolta, come era successo con Newt.

Si alzò di scatto, temerario. «Va be-bene, grazie.» Balbettò celere, raccattando le proprie cose, Brenda lanciò un'occhiata d'intesa a Jorge, ma lui le fece cenno di andare e con la stessa velocità con cui era piombata, si volatizzò.

«Thomas lasciami organizzare e inizieremo subito il ripristino. È meglio che tu sia pronto subito, dobbiamo stravolgere tutte le impostazioni del chip. È davvero una questione di vita o di morte.» Jorge parlava, ma l'agente aveva la testa tutt'altra da parte. «Thomas, ti prego di non sottovalutarla...» Calcò stremato, quando Thomas s'intestardiva era la fine, come un cavallo con i paraocchi vedeva soltanto ciò che aveva dinnanzi, nient'altro.

«Va bene, solo che... adesso lasciami andare da Chuck, ne riparleremo...Escogiterò un piano, sta' tranquillo.» Raccomandò il ragazzo, accelerato. Jorge sapeva che "tranquillo" e "piano" nella stessa frase si sarebbe rivelato assolutamente preoccupante e di cattivo auspicio, ma lasciò correre, al momento un altro insegnamento aveva la priorità.

Gli si piazzò davanti, invitandolo ad ascoltarlo attentamente. Il puzzo acre di fumo di sigaro inondò le narici dell'allievo, a solo un passo da lui. Il medico gli bloccò il il viso tra le mani, l'unico modo per farlo fermare in quella corsa pazza. Esigeva la massima attenzione per quello che gli stava per dire. Le dita grosse e tozze parevano dei salsicciotti di wurstel, pensò Thomas e quella constatazione gli strappò un breve sorriso.

«Hermano...» Proferì a bassa voce in maniera lenta, fissandolo dritto negli occhi. Era da lì che partiva tutto e il messaggio che gli avrebbe detto, lo avrebbe spedito alle sue pupille, al suo lato umano, a quello che era a rischio costantemente ogni secondo della giornata. Sperò che quelle parole gli arrivassero sia al cervello sia al cuore, lasciando che agisse con prudenza e sentimento, commettendo la scelta più giusta.

«Il tuo passato non è la tua vita, ora che lo sai, vai avanti. Dai il giusto valore a ciò che ti capita. Apri gli occhi e svegliati, fai caso alle cose belle che ti arrivano. Non concentrati sulle nuvole, la nostra vita è una continua tempesta, ma c'è qualcosa di più, al di là delle montagne e dei nuvoloni del cattivo tempo, e quando quel qualcosa di più arriva, devi sapertene prendere cura. Non rinunciarci solo perché è qualcosa di nuovo. Hai capito?» Chiese conferma, i suoi occhi scuri in quelli più chiari del ragazzo, che a seconda della luce che vi era nella sala, cambiavano tonalità a seconda di quanta luce li illuminasse da un marroncino cioccolato a un verde collina.

Thomas mosse di nuovo il capo su e giù e, Jorge, nonostante non fosse il tipo da convenevoli e da dimostrazioni d'affetto inaspettatamente lo tirò a sé, in una stretta amichevole, calda e paterna. Un vero abbraccio tra maestro e allievo, come un padre con un figlio. Edison accettò felice quel contatto, anche se un po' impacciato. Entrambi avevano caratteri forti, e quello sembrava un gesto che all'apparenza poteva indebolirli, ma non era affatto così.

Sprofondò il viso nella spalla del medico. «È normale cadere, Thomas, è la vita. Ma dobbiamo rialzarci per noi e per quelli che amiamo e ci amano.» Continuò a dire Jorge mentre erano ancora abbracciati, poi il ragazzo si allontanò di poco, dandogli qualche affettuosa pacca sulla spalla. Aprì bocca per ribattere, ma quello che aveva intenzione di dire era così prevedibile che Jorge lo batté sul tempo, l'indice davanti al viso e proferì;

«Sono convinto che là fuori c'è chi farebbe i salti mortali per te, anche se sei un completo idiota. Devi tenertelo stretto, perché è lo stesso qualcuno che ti fa battere forte questo.» E gli indicò il centro del petto.

Thomas era convinto che Jorge sapesse tutto, il chip dopotutto era un'arma a doppio taglio. La prima volta che aveva incontrato A5, era collegato a un macchinario che tra le tante cose segnava anche il battito cardiaco, e fu convinto che Jorge stesse alludendo proprio a quel momento. Era tutto così chiaro dall'inizio.

Smorzò un sorriso di circostanza imbarazzato, sarebbe volentieri sprofondato nel pavimento fino a scomparire, ma davanti a sé non aveva qualcuno che stava ridendo di lui anzi, Jorge gli stava illuminando finalmente la strada giusta, cosa fosse meglio fare.

Avrebbe voluto dirgli "grazie" ma sarebbe stato poco, quindi lasciò parlare gli occhi, sempre sinceri e veri. Ci pensarono loro a gridare in silenzio tutta la gratitudine a quel maestro che, anche se era ricorso a metodi brutali e cattivi, lo aveva fatto solo per il suo bene, per fargli capire cosa non doveva perdersi e che il passato era ormai alle spalle, bello o sofferente che fosse.

Gli diede un'altra pacca sulla spalla e distese le labbra in un sorriso vero, era vero perché anche gli occhi sorridevano, erano felici, Jorge certe cose le notava. Si salutarono ancora, come un padre Jorge gli raccomandò come sempre di fare attenzione e Thomas tornò a casa sua per darsi una pulita e mettersi addosso qualcosa di inusuale ma che avrebbe fatto la sua figura, poi in fretta sarebbe corso da Chuck.

Ignaro che la sua tempesta, quella bella, travolgente, e che lo spiazzava l'avrebbe incontrata proprio lì, dopo settimane, proprio dove l'aveva lasciata.


***

Come riuscì ad addormentarsi si rivelò una sorpresa anche per sé stesso. Aprì di poco gli occhi, stiracchiandosi lentamente. La luce filtrava tramite le tapparelle che ore prima non aveva chiuso, non era stata una dimenticanza, le aveva volontariamente lasciate così; gli piaceva il gioco di luci creato dal bagliore dell'alba che inondava la stanza,  mentre sul cuscino, al suo fianco c'era il ritratto fedele di Thomas. Per quanto triste, quel momento gli era apparso stranamente magico e aveva percepito A2 assurdamente vicino. Che magra consolazione, pensò. Gli bastava poco per sorridere.

Lanciò un'occhiata verso il comodino, con un occhio socchiuso scorse la piccola sveglia: segnava le nove passate. Aveva dormito quasi quattro ore ed era un nuovo record, decisamente un passo avanti. Se ci fosse riuscito, sarebbe volentieri tornato a dormire, dopotutto era stato sospeso, non aveva nessun vincolo lavorativo, avrebbe potuto comodamente poltrire tutto il giorno, riempiendo la sua giornata di tante cose belle e interessanti da fare.

La novità? Beh, non le aveva, anzi, era depresso dalla testa ai piedi. L'unico spiraglio di luce erano sua sorella Elizabeth e il suo collega nonché amico Minho, ma a volte entrambi sapevano risultare abbastanza asfissianti da fargli desiderare di restare da solo per deprimersi per bene, perché anche per stare male, aveva bisogno di una sua tranquillità e predisposizione ben precisa.

Sbuffò, indeciso su cosa fare, avrebbe preferito restare in camera sua a fissare le pareti, ma perché rintanarsi nella solitudine quando aveva l'occasione di stare finalmente con sua sorella? Avrebbero potuto organizzare qualcosa di divertente, che lo distraesse dal dramma continuo che era la sua vita, sia dentro che fuori dalle mura dell'Intelligence. Per quanto una voce lo spronasse a fare ciò, dall'altra parte voleva soltanto trascorrere quei giorni seppellito sotto due, tre coperte, come faceva da piccolo per tenere lontano i mostri, ma i mostri peggiori, purtroppo, crescendo, erano finiti nella sua testa.

La vibrazione del cellulare lo distolse dalla programmazione dei suoi piani giornalieri, era un suono a cui non era più abituato, del tutto raro, anzi inesistente negli ultimi tempi; pensò che fosse l'avviso di qualche pubblicità, ma non poté negare che una parte di sé desiderò che si trattasse del messaggio di una specifica persona, anche se si sarebbe limitato a farlo sorridere, nulla di più. 

Il cuore avrebbe fatto capriole se lo avesse trovato inaspettatamente sulla soglia di casa con tanto di una bella dichiarazione pari a quella dei film, ma sapeva che quel lato romantico doveva cestinarlo, o meglio non destinarlo ad A2, riguardo lui doveva aprire una volta e per sempre gli occhi.

Doveva rendersi conto di cosa fosse davvero per Thomas Edison: un collega in fin di vita che aveva salvato perché mosso da quel minimo di coscienza rimasta, niente più, niente meno. Mica era Teresa Agnes, per la quale bel faccino aveva addirittura rischiato di morire, mentre a lui, non aveva esitato a puntargli una pistola in fronte in quella fabbrica dannata? Beh, in tutto quel trambusto e lo stordimento dei suoi pensieri aveva sorvolato quel particolare.

E non c'era da aggiungere altro: Thomas aveva corso quel rischio. Se avesse tenuto a lui, non avrebbe fatto una simile mossa azzardata. Stava cominciando a vederci chiaro piano piano, perciò era più convinto che non si sarebbe pentito della scelta presa. Ci avrebbe sofferto? Sicuramente all'inizio, poi sarebbe diventato un lontano ricordo.

Seduto sul letto, con i piedi che lambivano la moquette, abbozzò un'espressione contrariata. Mai possibile che non trovasse mai le pantofole? Si insinuavano sempre sotto al letto e ogni volta si trovava a camminare per casa a piedi nudi. Un altro bip segnò un nuovo messaggio, con uno sbuffo interruppe la ricerca e allungò le braccia per afferrare il telefono sotto al ritratto di...Ah, doveva assolutamente farlo in mille pezzi. Prima o poi.

Sbloccò il cellulare, vide il mittente e lesse più volte il testo, sembrava non capire, o era colpa del sonno arretrato o delle troppe camomille.

«Grandioso» Grugnì sarcastico, portandosi una mano in viso, massaggiandosi le palpebre e la tempia.

A dire il vero avrebbe voluto fingere di non aver visto quell'sms, o perlomeno posticipare l'incontro, o detta francamente non accettare e quindi non andare, ma non aveva scelta, era per il suo bene e se si fosse messo in sesto prima del previsto, avrebbe detto addio a tutto quello ancor prima del tempo stabilito. 

Inviò un "Ok, grazie. A dopo "affiancato da uno smile, che poi...si trovò a pensare che non ci fosse niente di più falso di quella faccina dal sorriso anonimo, a parte Thomas Edison, a come in auto gli era sembrato quasi geloso che fosse vicino al fallo di un altro. Diamine, a fanculo i ricordi. E a fanculo le pantofole.

S'alzò dal letto con un colpo di reni in assoluto silenzio, -altrimenti sua sorella si sarebbe fiondata ad aiutarlo-, afferrò la stampella e lentamente aprì alla porta, zoppicando verso il soggiorno.

Con stupore trovò Lizzy già sveglia, ancora in pigiama ma con i capelli sciolti e pettinati.  Si domandò a che ora si fosse alzata visto che fosse tutto già pronto e non aveva prodotto alcun rumore. In quel momento stava mangiucchiando una fetta biscottata con della marmellata all'amarena, al centro della tavola troneggiava la teiera, perché lei era sempre del team "siamo inglesi, il thè è il nostro credo" e tutto sommato a Newt piaceva continuare quella tradizione anche in America.

Era seduta esattamente sulla stessa sedia che lui aveva occupato solo poche ore prima; si meravigliò che non avesse poggiato il pc altrove, lì non era forse scomodo, limitandole i movimenti per il primo pasto della giornata? Poi ricordò un dettaglio: l'aveva chiuso e in quel momento lo schermo era sollevato. E non aveva messo una password.

«Sei serio?» Debuttò, la fetta biscottata sospesa in aria e la faccia indignata. Lo fissava con incredulità, e nei suoi grandi occhi verdi-che cazzo,  li aveva ereditati dalla mamma ed erano fottutamente belli, Newt aveva sempre provato un po' di invidia per quella genetica cattiva- c'era delusione. Potevano degli occhi far male? Newt avrebbe risposto di sì.

Passò la lingua tra le labbra, accennando un ghigno finto. C'era ancora la possibilità che non avesse visto l'email. 

«Già, lo so, sono un agente dei servizi segreti e non ho la password al pc, che scemo, eh?» Depistò, ma per chi lo conosceva, come Lizzy, sapeva che in quella frase non c'era traccia di umorismo. «E buongiorno anche a te, sorellina. Dormito bene?» Domandò poi, abbozzando falsamente un sorriso a trentadue denti, per intenderci quelli da paralisi facciali, privi di vita, a tratti inquietanti, come se si fosse freezato.

Lizzy inspirò profondamente, cercò di contenersi per quanto possibile, il fatto era che sin da bambina aveva un temperamento agguerrito, a tratti aggressivo, e quando Newt cercava di fare quello evasivo, lei si imbestialiva, sbottando di brutto. Non c'era salvezza per nessuno, anche i genitori la temevano.

A5 roteò gli occhi, lo sguardo vago, di uno pieno di impegni, come se dovesse fare chissà cosa e non avesse tempo per subirsi una lezione. Le diede le spalle, aprì la credenza e finse di cercarvi qualcosa dentro.

«Dimmi che hai bevuto o che hai fumato.» Alzò di un'ottava la voce, il tono di qualcuno che stava concedendo l'ultimatum prima del grande attacco.

Newt tamburellò con l'indice contro il mento, in viso un'espressione falsamente pensierosa come se la sua mente stesse andando a ritroso calcando gli ultimi avvenimenti.

«Mh...bevuto no, fumato sì, ma soltanto sigarette.» Diede risposta, richiudendo il mobile, senza niente tra le mani. Si voltò, un sorriso si stendeva sulle labbra. Era un pessimo attore.

Elizabeth spazientita, di risposta sbatté i palmi delle mani contro il tavolo, quel gesto fu così improvviso che Newt sobbalzò.

«Anche peggio, allora!» Urlò d'un ottava, infuriata. Quindi hai scritto consapevolmente tutta quella merda. Wow, mi congratulo con te, fratellone! Hai sbloccato il prossimo livello di come essere coglioni e non saperlo.»

Quanta aggressività. Newt non poteva tollerarla, non dopo tutto quello che aveva vissuto e che voleva urlare al mondo. Non si sentiva capito e continuamente attaccato o da troppa apprensione o  dalla totale indifferenza come stava facendo un tale di nome Thomas.

«Calmiamoci, Lizzy, ok? Non hai diritto di frugare tra le mie cose, io non ho mai invaso il tuo spazio.» Accordò ragionevole, seppure fosse abbastanza stizzito per la sua privacy violata, il suo tono era basso e calmo, in netto contrasto con quello di sua sorella, alto e agitato.

«È vero, ma siamo fratelli ed esisto per evitare di farti commettere simili cazzate.» Ricordò lei, alzandosi.

Lui passò la lingua tra le labbra, erano secche come la gola. Non aveva voce e non aveva voglia di discutere soprattutto dopo il messaggio che aveva ricevuto già quella giornata era destinata a rivelarsi uno schifo, iniziarla con un litigio era anche peggio.

«Chi ti dice che sia una cazzata? La cazzata è stata accettare questo incarico, che poi tralasciando non l'ho neanche accettato, ma ...» Fece una pausa, in difficoltà, era così difficile cacciare fuori tutto ciò che sentiva;

 «La cazzata è continuare a dare tutto di te a uno che se ne fotte. Okay?» Balbettò, mentre Elizabeth lo fissava con espressione ferita. Sembravano essere stati colpiti entrambi, Newt dall'indifferenza di un certo stronzo americano e Lizzy a sua volta dalla tristezza che segnava suo fratello.

«So che vuoi la verità, beh...Thomas non è un semplice collega, nel corso del tempo quello che credevo fosse stupida attrazione è diventato qualcosa di più, di ingestibile e di incontrollabile. E non posso affrontare le giornate al suo fianco, guardandolo con occhi sognanti e lui, invece, neanche mi vede, anzi fa una specie di flirt per illudere e poi...mi ammazzerebbe pure.» Per bene della missione stesso lui aveva detto a Thomas di farlo, ma non aveva creduto possibile che quello davvero avesse impugnato l'arma e premuto il grilletto. A quel ricordo, al sentire la sua stessa voce dire ciò, le  lacrime bussarono prorompenti negli occhi, ma lui sarebbe stato forte, non avrebbe pianto.

«Aspetta, cosa?» Elizabeth boccheggiò, portò una mano sul petto come se fosse vittima di un malore improvviso. Era di colpo impallidita, al solo pensiero di poter perdere suo fratello.

«Non voglio parlarne...» E stava male, ma davvero nel profondo. Si era concentrato così tanto sul momento tenero e da brividi in auto, che non aveva pensato a ciò che aveva preceduto quella scena. «È già dura ricordare, credimi...» Si chiuse nelle spalle, diventando piccolo piccolo e abbassò il capo. Ingoiò un groppo di saliva e poi fece un colpo di tosse per cacciare indietro sia la commozione sia le lacrime.

«Newt sai che puoi dirmi tutto...Sono sempre io il tuo»

«Porto sicuro.» Concluse lui, smorzando un sorriso.  «Non è venuto a cercarmi, Lizzy. Ho rischiato di morire...e non mi ha mai cercato, il che è schifosamente peggio.» Sussurrò, deviando gli occhi colmi di pena di sua sorella. Non voleva che lei lo guardasse in quel modo, come se fosse lui il più piccolo e indifeso, ma al tempo stesso sapeva che dirle ciò, le avrebbe fatto capire che quella decisione si sarebbe rivelata l'unica soluzione, che non doveva infierire. 

«Mi sento uno stupido, l'ho aspettato ogni fottuto giorno. Fino a ieri non ho avuto il telefono, ma poteva presentarsi qui, sa dove abito. La verità è che non gliene frega un cazzo di me, neanche come un semplice collega, e mi fa rabbia...» Strinse le mani in pugni, ma era così scoraggiato che liberò subito dopo, senza fare assolutamente niente, neanche colpire un tavolo.

«Una rabbia che paradossalmente non provo neanche per lui, non riesco neanche a odiarlo, che stupido, eh?» Accennò una risata, ma era priva di umorismo. Niente di Newt faceva intendere che stesse davvero ridendo, a partire dagli occhi.

«Ma che testa di cazzo è? Cioè io non lo capisco, perdersi uno come te...E non rifilarmi la scusa che è etero, perché sei così affascinante che sarebbe diventato gay solo per te.» Dichiarò lei, e quella frase seppur seria fece sorridere il fratello.

«Beh, non possiamo giudicarlo negativamente solo perché non prova per me ciò che io provo per lui, devo solo accettarlo e andare avanti, ma ho bisogno di farlo lontano da lui, non so se altrimenti potrei riuscirci. Capisci adesso la mia scelta?»

«Non voglio dirti che sia sbagliato, ma perché per lui mandare all'aria tutto? Ricordo le tue e-mail riguardo alla proposta che il tuo ex capo dell'FBI ti aveva fatto per l'Intelligence, eri entusiasta! Su di giri...un incarico importante, tu vivi per questo lavoro, Newt, e parlo prima di incontrare quel deficiente.»

«Già, ma le cose sono un po' cambiate, devo ammetterlo. Thomas mi confonde, mi fa perdere la concentrazione e sbaglio obiettivo. Se avessi lui tra me e un bersaglio, destinerei completamente il mio interesse a lui, lo salverei in centinaia di occasioni, anche rischiando la mia vita, anche se continuassimo a restare così, anche se non provasse mai nulla per me... è diventato un punto debole e io ho  già te, la mia attenzione deve concentrarsi solo ed esclusivamente su di te, o altrimenti perdo il focus. Tu sei mia sorella ed è te che devo proteggere. Questo non è un lavoro semplice, non puoi permetterti la minima disattenzione o cambia il corso delle vite, prendi me e questa caviglia.»

«Va bene, Newt, anche se detta così mi sento più un peso che altro. Ma perché rinunciare a quello che più ti piace? Puoi sempre scegliere  un lavoro simile senza dei rischi così elevati...Magari non ti darà le stesse soddisfazioni, ma recupererai la tua salute mentale, che è più importante. Torna all'FBI allora, credo che la tua vecchia squadra ti accoglierà a braccia aperte.» Incoraggiò con un sorriso smagliante, seppur non del tutto convinta, ma davanti allo strazio di suo fratello che era finalmente crollato mostrando le sue fragilità, cosa poteva fare? Voleva soltanto il suo bene.

«Voglio abbandonare completamente il continente, Lizzy. Voglio tornare con te in Inghilterra, il più presto possibile, appena mi riprendo con la caviglia o anche prima...Tanto la sospensione dell'Intelligence è il primo step al licenziamento e prima che mi mettano davanti a quell'umiliante realtà, spezzo io la corda.»

«Capisco le tue ragioni, ma non credi di star prendendo decisioni avventate?» Incalzò sua sorella, cercando di farlo ragionare per salvare il salvabile.

«Ho fallito, Liz. Non ho portato a termine nessuna missione da quando sono nella CIA, ho agito senza seguire gli ordini del capo e questo ha portato una sciagura dopo l'altra, non sono in me, andarmene dall'Intelligence, dall'America...credo che sia la scelta più sensata, l'unica che ho fatto da quando sono entrato al quartier generale.»

Lizzy non riuscì a rispondergli alla domanda, che il campanello di casa suonò. Newt la guardò confuso, non aspettavano nessuno, perché lei non sembrava sorpresa?

«Tu sta' fermo, apro io.» Propose veloce e con una leggera corsetta arrivò alla porta. Sulla soglia un Minho ben vestito fece il suo ingresso: un pullover rosso a collo alto scendeva comodo su un pantalone nero che aderiva più stretto e uno scia di profumo che invase la stanza e fece starnutire Newt, nonostante fosse di una manciata di passi distante. Era orribile, non profumava, puzzava. Come poteva un profumo definirsi tale?

«Elly, ho fatto il più in fretta possibile.» Avvisò il coreano, chiudendo delicatamente il portoncino alle spalle. Rivolse uno sguardo amichevole alla ragazza, poi lo spostò al fratello e mutò completamente. Avanzò in silenzio a grosse falcate, parandosi davanti al biondo.

Bene, quell'incontro era stato palesemente organizzato. Elizabeth aveva chiamato i rinforzi e cosa aveva pensato Newt quella mattina? Beh, che per quanto volesse bene a quei due, spesso risultavano asfissianti, trovarseli insieme era una condanna a morte.

«Buongiorno, Minho.» Salutò l'inglese, con tono ironico. Le braccia incrociate al petto, il fastidio che bussava prorompente nei meandri di sé. Una nuova lite era all'orizzonte e si stava preparando per affrontarli entrambi, temerario.

«Buongiorno un cazzo, Newt. Che cos'è questa storia?» Ecco, aveva fatto tanto per spiegare a sua sorella il suo stato d'animo, le sue motivazioni, che doveva cominciare da capo e per quanto volesse bene a Minho, a volte aveva le capacità cognitive pari a un criceto. «Una lettera di dimissioni?» Gli occhi sgranati e di nuovo quel velo nello sguardo, lo stesso che poco prima aveva scorto in sua sorella: delusione.

«Vuoi lasciarmi così? Cosa avresti fatto se Elizabeth non me l'avesse detto, eh? Saresti andato via senza neanche avvisare? Venivo qui a trovarti e trovavo l'appartamento vuoto? Non avresti risposto alle chiamate, cancellando per sempre il mio numero? Alla faccia dell'amicizia.» Proferì a raffica, senza neanche respirare.

Il tono melodrammatico che lo caratterizzava particolarmente. Per quanto Minho fosse sempre leggero e divertente, l'incazzatura era sincera e forse faceva anche più male, perché quello era un atteggiamento non propriamente suo, ma che Newt aveva innescato. E si sentiva terribilmente in colpa.

«No, Minho, non ti avrei mai lasciato, credimi.» Rispose piano, celando un po' di falsità. In tutto quello scompiglio di emozioni a Minho aveva pensato ben poco, se non niente. La sua testa era occupata soltanto dall'ossessione Thomas che non c'era spazio per nient'altro. «Sarei andato via, ma non avrei troncato i rapporti con te. Ci saremo sentiti...fatti gli auguri di Natale e qualche volta visti in Inghilterra...ti piace viaggiare, no? Puoi sempre venire a trovarmi.»

«Cioè aspetta...tu non solo lasci l'Intelligence, ma anche la Virginia, l'America?» Ripeté, sconvolto. Insomma, doveva pur sempre farsi i suoi calcoli geografici. A quella notizia, Minho si bloccò, scioccato. Un'espressione indescrivibile aleggiava in viso.

«Che senso ha restare qui? Non ho più stimoli...lavorativi.» Appurò, allargando le braccia e facendo spallucce.

«Stimoli lavorativi, eh?» Ripeté l'asiatico, con lo stesso tono di uno che la sapeva lunga, molto lunga. Lo stimolo era tutt'altro, ma se lo tenne per sé. Le sopracciglia aggrottate e lo sguardo sfuggente, era irremovibile, Newt non gli avrebbe fatto cambiare il suo pensiero, non lo avrebbe rammollito con le vacanze oltreoceano, di Natale o del ringraziamento. Newt doveva restare all'Intelligence e in America.

«E poi uno zoppo non serve più niente alla CIA.» Aggiunse, abbozzando un sorriso sornione.

L'asiatico sbuffò, c'erano troppe cose che voleva dire e fare, eppure, sentiva che la migliore fosse restare immobile, mantenersi sul vago, limitarsi a fare l'amico.

«Amico tu guarirai, hai davvero questi dubbi?» Il coreano si era di colpo intristito, il capo basso nascondeva un'espressione mortificata. Lee tendeva sempre a prendere situazioni di una grave entità sotto gamba, era possibile che la caviglia del suo amico inglese non tornasse più come prima, allora perché voleva illuderlo?

«So che guarirò, che la caviglia si rimetterà.» Rispose subito, abbassando lo sguardo e trattenendo un ghigno ironico. Ma ci sono certe ferite che non guariscono, Minho, nonostante il tempo continuano a sanguinare e non voglio soffrire più, non credo di meritarlo.

«Ma nel frattempo, non avrei incarichi che mi piacciono, mi metterebbero in ufficio, tra le scartoffie...» S'apprestò a dire, fingendo.

«E ti andrebbe comunque di lusso, ricordati di me, avevo due gambe perfettamente funzionanti eppure mi hanno ricoperto di piscio...» Rimbrottò.

A quella frase tutti e tre scoppiarono in una breve risata, Newt si limitò a sorridere, ricordando i vecchi tempi, ad esempio la missione al Barcode, quasi nudo e seduto sulle gambe di Thomas. Scosse la testa come se potesse rimuoverli così, quei ricordi.

«Mi prometti che ci penserai? Molto, ma molto a lungo?» Proferì speranzoso Minho, sperando di smuovere compassione nel biondo.

Sapeva che anche se l'inglese gli avesse detto di sì, non sarebbe stato sincero e infatti non ci avrebbe creduto, ma lui nel frattempo non sarebbe rimasto con le mani in mano, avrebbe organizzato qualcosa, impedendo a Newt di fare quella cazzata. Per il momento aveva soltanto bisogno di tempo.

Il biondo si trovò alle strette, poi fece cenno di sì col capo, abbozzando un sorriso sornione. Accettò sia perché erano appena le dieci del mattino e già era stremato e quindi non riusciva a subirsi altre tarantelle dai due che aveva di fronte e sia perché sfogarsi e liberare tutto quello che aveva dentro era pressocché impossibile, quindi restò in silenzio, temendo di non essere capito.

Minho lo imitò, ma non era del tutto convinto ed Elizabeth non sapeva come muoversi, da un lato voleva tutelare suo fratello e farlo allontanare dalla causa dei suoi problemi, dall'altro voleva rischiare e confrontarsi con quel tale di nome Thomas. Se le cose fossero andate male, lo avrebbe picchiato, dopotutto alle spalle aveva anni di karate.

«Che bontà...» Asserì l'asiatico, vagando con lo sguardo sulle prelibatezze che troneggiavano sulla tavola. «Per il cibo ho un tempismo da paura, lo avessi anche per trovare l'amore della mia vita...» Lanciò uno sguardo indecifrabile a Lizzy che gli sorrise tenera di rimando, facendogli cenno di accomodarsi e servirsi.

«Beh, io vado a fare una doccia, Jeff e Clint mi hanno contattato, la mia riabilitazione inizia oggi e voglio andarci, prima inizio, prima guarisco e prima vado avanti.» Proferì con uno spirito di iniziativa e di ottimismo, si capiva a chiare lettere che fosse un atteggiamento falsamente positivo, più per convincere sé stesso che i suoi interlocutori.

«Vuoi una mano?» Chiese timidamente sua sorella, non sapeva come comportarsi, non erano più bambini, ma la mobilità di Newt era comunque compromessa, come poteva aiutarlo?

«Farò finta di non aver sentito.» Ammonì, augurando ad entrambi buona colazione.

Poi si voltò, aveva dimenticato qualcosa; «Visto che mi accompagnerete e non so quanto durerà nel frattempo potreste andare a fare un giro, no? Minho potresti far vedere alla mia amata sorellina le attrazioni di Langley...» Il coreano a solo pensiero di trascorrere tempo da solo con Elizabeth mosse il capo su e giù fin troppe volte.  Newt destinò a entrambi un sorriso falsamente sereno, poi si voltò dirigendosi a passo lento in bagno, scalzo come sempre. Aveva rinunciato a cercare le pantofole e chiunque altro, non avrebbe più aspettato, non avrebbe più perso tempo.

Intanto Lizzy aveva preso posto e stava versando una tazza di  thè a Minho, che stava rischiando di strozzarsi per la fetta biscottata che gli era andata di traverso. Forse era emozionato perché avrebbe trascorso del tempo con la bellissima e dolcissima sorella Isaacs?

«Sta' tranquillo, Minho, lo faremo ragionare.» Rassicurò, dandogli un colpo leggero dietro la schiena per farlo riprendere. La ragazza smorzò un sorriso di sbieco, Minho ricambiò, si sentiva meglio, respirava meglio grazie alla mossa della sua nuova amica, ma la preoccupazione non lo abbandonò.

Era sul punto di dire a Newt cosa aveva visto in ospedale, quelle mani intrecciate nelle sue, quella vicinanza, il panico negli occhi di Thomas quando lo aveva sgamato, era terrorizzato come se fosse stato colto in flagrante, come se stesse facendo qualcosa di...sbagliato? Beh, aveva intuito di cosa poteva trattarsi. Avrebbe scommesso che se non fosse entrato, Thomas avrebbe baciato Newt, ne era certo.

Avrebbe voluto tanto raccontargli anche di come poi lo aveva difeso con Lillian Strand, che era ancora convinto che la torta fosse un'idea sua e che era stato lui a prenotare il volo di Elizabeth, e a pagarle il viaggio e la pensione, anzi...per quell'ultimo punto Brenda poco prima gli aveva dato tutte le conferme, gli aveva persino rivelato che Thomas si fosse recato lì all'alba, distruggendosi con l'allenamento in palestra. 

Che stessero male entrambi? Beh, era sicuro. Thomas scaricava la tensione in quel modo e Newt deprimendosi. In fondo ognuno metabolizza e supera il dolore come meglio gli riesce.

Dopo aver assaporato a pieno l'intera tazza di thè ed essersi ripreso, tornando a respirare regolarmente, con lo sguardo fisso davanti a sé, gli occhi concentrati e più piccoli di sempre, Minho dichiarò combattivo, al pari di un soldato al fronte; «Ci serve un piano.»

Elizabeth mosse il capo in cenno affermativo, la luce negli occhi mostrava l'assoluta determinazione che la caratterizzava sin da quando era piccola. Era sempre stata più decisa di suo fratello, ed era certa che la determinazione fosse la carta più importante da possedere per raggiungere qualsiasi obiettivo.

Nessuno dei due però sapeva che il destino li avrebbe largamente anticipati.

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