20. I'm a danger for him

N/A: Carissimi lettori, ecco a voi il capitolo venti. A contrario di quando l'ho iniziato a scrivere, posso dire che lo amo...c'è finalmente la presa di coscienza da parte di Thomas, altre verità che vengono a galla e un bellissimo rapporto con Jorge. Spero solo di sentirvi, perdonate gli orrori. Un bacio grande.





20. Sono un pericolo per lui

Gli occhi di Jorge Cassidy balzarono scettici prima su Thomas davanti a sé e poi sulla ragazza ormai alle sue spalle. Quando il medico e la segretaria si erano trovati l'uno al fianco dell'altra si erano scambiati un rapido sorriso d'intesa, poi Brenda aveva dichiarato «Tutto tuo» lasciando la palestra.

Erano bastate quelle due parole per confermare ciò che Thomas aveva sospettato minuti prima: quei due, anche quella volta, erano d'accordo.

All'inizio Cassidy parve confuso, spaesato, in tutti quegli anni non aveva mai visto Thomas Edison guardare una donna per tutto quel tempo, con tale insistenza. Brenda era una bellissima ragazza, certo, ma lo sguardo che le stava destinando non era ammaliato, né affascinato, bensì di stucco, per qualcos'altro. Aveva la classica espressione da pesce lesso e il medico conosceva abbastanza bene entrambi da poter immaginare lo scambio di battute che c'era stato. Sicuramente lui l'aveva punzecchiata e lei lo aveva messo in riga. «Ben fatto, ragazza» le avrebbe detto in seguito.

«Chi non muore, ritorna sempre a rompere le palle al vecchio Jorge.» Debuttò, spalancando la bocca in un sorriso compiaciuto.

Era strano vedere Thomas lì, dopo settimane chiuso in assoluto silenzio, ma sarebbe stato peggio andarlo a prendere a casa o chissà in quale parte del pianeta a ubriacarsi. Sapeva anche che quell'allenamento iniziato ore prima non fosse una reazione positiva al suo momento no, bensì una distruzione totale del proprio corpo, ma tra le due alternative quella era la meno peggio. Doveva solo capire quali fili fosse giusto muovere, per cercare di sciogliere e far collaborare il ragazzo di fronte a sé, apparentemente apatico, ma di un gran cuore.

Davanti a sé, invece, Thomas trovò quello che di più simile nel corso degli anni si era avvicinato a una figura paterna, una figura maschile che per temperamento e saggezza gli ricordava il grande Alec Edison. Jorge l'aveva visto crescere, significava quindi che con lui doveva fingere meglio, impegnarsi il triplo, alzare una corazza ancora più alta della solita che poneva alle nuove e brevi conoscenze.

«Tornerei dall'oltretomba solo per rompertele, lo sai...» Scherzò, scoccando la lingua tra i denti. Allargò le braccia teatralmente come per anticipare un abbraccio e avanzò, avvicinandosi al medico; quando una manciata di passi li divideva, Thomas ritrasse le braccia, mostrando la linguaccia. L'aveva fregato.

«Hermano sono anch'io...Felice di vederti.» Ironizzò, il tono seppur basso rimbombò nell'ampia sala. Si era preoccupato davvero tanto in quel periodo, soprattutto perché aveva visto in che stato fosse Thomas in elicottero, e fattore non meno importante: per settimane aveva disattivato il chip, facendo completamente perdere le sue tracce. Ora che lo aveva a pochi passi da sé, non gli sarebbe sfuggito nulla.

Gli si parò di fronte, le gambe divaricate e le braccia incrociate al petto, in viso un'espressione scrutatrice, attenta al dettaglio. Jorge Cassidy non era uno che ricorreva a sotterfugi anzi, spiattellava in faccia la verità senza problemi, non importava quanto fosse brutta e cruda, infatti in quel momento lo stava esaminando attentamente dietro ai suoi occhiali spessi, con espressione truce e giudiziosa, Thomas avrebbe voluto ribattere con "hai finito?", ma decise di restare in silenzio e ricambiare il favore.

Il neuroscienziato indossava il solito abbigliamento, ma di tonalità e fantasie differenti: giacca e pantaloni color tortora, una camicia nera e bianca a quadroni tutta sgualcita che non s'era neanche preoccupato di stirare e degli anonimi scarponi da trekking che sinceramente non aveva mai capito cosa c'entrassero con un dottore che viveva ventiquattro ore su ventiquattro in un laboratorio, peraltro, non apparivano neanche comodi.

«Da quanto sei qui?» Domandò retorico, interrompendo lo scanner che Thomas gli stava facendo.

Secondo Edison, Cassidy sapeva tutto-come a Brenda-anche a lui era risultato l'orario di entrata, quello era soltanto un modo per rompere il ghiaccio. Sinceramente non era in vena di subirsi preamboli noiosi, quindi decise di essere diretto e giungere direttamente al nocciolo della questione.

«Lo sai troppo bene.» Diede risposta, alzando lo sguardo verso il soffitto. Aprì e chiuse gli occhi come se faticasse ad averli aperti. La stanchezza cominciava a farsi sentire? La mano del sonno era pronta a stendersi su di lui? Beh, al momento avvertiva solo tutti i muscoli brucianti e indolenziti.

«Okay, cambiamo domanda ...» Enunciò con tono basso e caloroso, fece finta di pensarci un po' su e poi riprese; «Perché sei qui?»

Thomas si coprì il viso con l'asciugamano, seppellendo la sua faccia annoiata, già esausto per quelle domande. Avrebbe voluto urlare per sfogarsi, liberarsi dai pensieri e anche da quella paternale che Jorge sicuramente gli avrebbe rifilato, ma cercò di ricomporsi e mostrarsi per quanto possibile emotivamente stabile.

«Lillian mi ha sospeso, ma mi ha dato il permesso di poter usare la palestra. Non capisco perché per voi sia un problema.» Argomentò, tirando in ballo parte della breve conversazione avvenuta con Brenda. Il tono era ancora calmo sebbene fossero presenti tracce di stizza e fastidio. Avrebbe soltanto voluto continuarsi ad allenare in santa pace o morire in santa pace, visto lo stato peggiorato.

«Non lo è, infatti. Mi domando solo perché venire qui quando a casa tua hai comunque degli attrezzi. O perché tu non sia venuto qui prima di oggi...» Thomas sapeva già dove quel discorso sarebbe andato a parare, sarebbe sfociato in una paternale contornata da preoccupazioni e brutti pensieri riguardo la sua scomparsa e la cosa peggiore? Doveva subirsela.

«Le due cose non sono affatto paragonabili, Jorge. Qui c'è molto di più, casa mia è piccola e poi...» "se avessi continuato a starci, avrei rischiato di rompere tutto, mura comprese", avrebbe voluto dire, ma si trattenne.

«Avevo bisogno di prendere una boccata d'aria. Respirare aria diversa.» Riferì sincero dichiarando la verità. A poco a poco sembrava che la determinazione che aveva ostentato fino a poco prima stesse cominciando a svanire.

Il medico soppesò quella risposta, era una frase che diceva tutto e niente, e a Thomas piaceva camminare per le vie di mezzo. «Hai il permesso di starci eppure ci sei entrato come un ladro, usando addirittura il pass copiato di Lillian, sei per caso impazzito, hermano? Hai capito cosa rischi qua dentro? La mutazione genetica non è il tuo passe-partout. Se Lillian si scoccia di questi tuoi giochetti, può sbatterti fuori come fossi un agente normale. La stai provocando un po' troppo, hermano.» Oh certo che lo sapeva, ma non gli importava. Era una specie di vendetta, la sua.

«Volevo soltanto farla incazzare. Gustare il momento in cui avrebbe sbroccato e dato di matto.» Perché avesse fatto una simile pazzia lo sapeva soltanto lui. Chiunque, compreso Jorge, l'avrebbe visto come il dispetto di un bambino o di un adulto immaturo in cerca di rogne e grattacapi, ma c'era molto di più alle spalle. Thomas non dimenticava della poca o meglio dire assenza di delicatezza che Lillian aveva avuto nei confronti di Newt, in ospedale. Lillian se ne era fregata dello stato malmesso di Newt, per quanto la missione fosse stata organizzata da loro due, Newt faceva parte della squadra, era un suo agente ormai, e invece, non aveva mostrato la minima compassione, né un briciolo di rispetto.

E ancor di più non si era tolto quella frase che assieme ad altre cento gli vorticava come una zanzara fastidiosa attorno alla testa: è solo una vocale. Una distrazione che può rivelarsi una distruzione. Era lei la causa, la colpa di tutte le sue paranoie mentali, dei suoi freni e paure. Newt non poteva essere la distruzione, non quando con lui si sentiva più vivo che mai, diverso, speciale, migliore.

«Perché stai rischiando così? Cosa ti dice il cervello? Non segui gli ordini, te ne freghi altamente delle ritorsioni che puoi avere e organizzi vacanze suicide con A5.» Jorge l'aveva toccata leggera, ma il nome Newt e la parola morte nella stessa frase Thomas proprio non le tollerava. Restò in silenzio, gonfiò il petto trattenendo un respiro profondo e quando lo rilasciò, dopo poco fece finta di niente, come se avesse ingoiato un boccone amaro.

Gli diede le spalle, e mentre cercava di asciugare l'alone di sudore sotto le ascelle e sotto la maglia, strofinandosi l'addome, enunciò; «Vi ho trovati bene, te e Brenda dico.» Aveva esattamente sviato la conversazione. Il duro allenamento gli aveva quasi distrutto il fisico e Newt attaccava continuamente la testa. Se Jorge avesse intuito qualcosa riguardo il biondo, l'avrebbe fatto confessare e non poteva permettersi di mettersi così tanto a nudo. Ringraziò di non essere riuscito a rivelare la verità a Brenda poco prima in un attacco di debolezza.

Ma Jorge era Jorge e da quell'atteggiamento sfuggente e vago del ragazzo, subito captò che Thomas volesse stargli lontano, come se schivasse l'incontro degli occhi, per celare le sue emozioni. Fece qualche passo per avvicinarsi, ma rispettò la sua privacy, restandogli alle spalle, a pochi passi di lui, con tono schietto e sincero sbottò;

«Tu, invece, stai proprio uno schifo.» Eccola, gettata così, senza mezzi termini tutta d'un colpo. Quanto faceva male essere schiaffeggiati dalla verità?

Il giovane si voltò, scoccò la lingua e incassò il colpo. Uno a zero per lo strizzacervelli, etichettò ironicamente nella sua mente. Doveva riconoscerlo, se lui stava davanti a tutti gli agenti della CIA, FBI e forze di polizia americane messe insieme, Jorge Cassidy comunque era un passo davanti a lui, sempre. Non essere il primo gli arrecava un certo fastidio.

Storse il naso a quella frase e senza pensarci controbatté, con un ghigno in netto contrasto al suo reale stato d'animo, mascherò; «Cosa te lo fa pensare? Potresti almeno chiedermelo, no? Invece di giungere a conclusioni affrettate, sbagliate per altro.» Sottolineò "sbagliate", voltandosi verso sinistra, il giusto per permettere al suo sguardo e quello scuro come il caffè amaro di Jorge di incrociarsi. Stavolta era Thomas che teneva un sopracciglio alzato, l'aria guardinga.

«Sbagliate, dici? Ti sembra normale che non dormi da giorni? Che ti sia allontanato dal mondo per un sacco di tempo? E che un giorno tu sia venuto qui alle 5 e mezzo del mattino allenandoti fino alle nove passate? Quando alle spalle non avevi un allenamento e hai chiesto al tuo corpo sforzi immani? Dovrei bermi il tuo "sto bene, grazie?" Come in ospedale quando ti ho lasciato con A5? Non stavi bene allora e non stai bene adesso, l'altra volta ho fatto finta di niente, ma ora no. Non ci sto a farmi prendere per il culo, hermano, non sono un vecchio rincoglionito con fette di prosciutto sugli occhi.» Sbottò tutto d'un colpo come un fiume in piena e Thomas non solo notò la serie di parole poco carine che non erano solite uscire di Jorge, ma il tono era completamente alterato, per niente calmo e il viso s'era infuocato.

Avrebbe voluto ribattere, ma colse la disapprovazione del medico, l'aria accusatoria, per niente indulgente. Notò anche il solco al centro della fronte, quella ruga non era mai un buon segno, si presentava quando scopriva qualche sua infrazione pesante come colpi di testa rischiosi, ma poiché il suo cervello non riposava da un po', non rammentò nessun comportamento poco etico, a parte l'entrata in palestra stile pantera rosa.

«Io ti guardo.» Sussurrò e con le due dita indicò prima gli occhi di Thomas e poi i suoi. «Vedo quello che fai, ma soprattutto ciò che non fai.» Sottolineò a bassa voce, era la frase perfetta per un trailer di un film dell'horror.

«Seguimi.» Sorprese poi, facendo cenno con la mano. Camminò verso destra, avvicinandosi all'ala del pugilato, sbottonò la camicia restando con una t-shirt grigia; indossò in silenzio i guantoni sotto lo sguardo stordito di Thomas. Voleva scagliare dei pugni al sacco? O fare un combattimento con lui? Cosa si era fumato Jorge? Il medico parlò con gli occhi, rivolgendo prima un'occhiata all'altro paio di guanti e poi a Thomas. Era un invito tacito. Una proposta in silenzio.

Il ragazzo fece spallucce, indietreggiando. «Non capisco, non hai appena detto che mi sono allenato abbastanza?» Balbettò, la fronte aggrottata mostrava a pieno la sua confusione.

«Prima lezione: La vita è un ring. È una bastarda che ti colpisce duro anche quando sei all'angolo, a riposarti perché non hai più forze. Chi meglio di te lo può sapere, hermano? A volte il destino si accanisce con chi ha già sofferto troppo. Quando sei davanti a tante sfide, ti chiedi: perché tutte a me? Ma comunque non spariscono nel nulla finché non le affronti. Beh, questa è una metafora accettabile, non credi?» Proferì agguerrito, chiudendo le mani in pugno e mettendole l'una davanti all'altra.

In effetti quella riflessione non faceva una piega, e per quella mattina, già erano due ad averlo asfaltato, mancava soltanto il terzo. Non restò altro che incassare anche quella lezione moralista e agganciò i guantoni. Inspirò ed espirò diverse volte, aveva bisogno di forza e calma, e soprattutto: doveva essere capace di equilibrarle. Cominciò a saltellare sul posto, molleggiando sulle gambe, per scioglierle. E anche perché voleva apparire pronto e forte.

«Le regole le decido io. Potrai colpire solo quando parli o mi rispondi, quando sono io a parlare, colpisco io, tu ovviamente devi schivare.» Semmai quello avrebbe potuto definirsi "allenamento" Thomas si trovò a pensare che fosse davvero assurdo e sfiancante, ma gli era palese che Jorge stesse testando la sua resistenza, che gli morisse davanti ai piedi. E quasi sicuramente sarebbe accaduto. I suoi muscoli chiedevano riposo, il cervello, invece, pietà.

«Se vuoi, puoi toglierti le scarpe.» Dichiarò infine, si chinò per liberarsi delle calzature. Thomas fece lo stesso, mugugnando disapprovazioni a bassa voce, proferendo qualcosa come "E sarei io quello pazzo?"

«Vuoi tirarti indietro, hermano?» Provocò ancora il medico e con un moto di rabbia, di risposta, Thomas lanciò le scarpe lontano da loro. Jorge ci provava gusto a metterlo in difficoltà, ogni volta se ne inventava una nuova. Non erano poi così diversi. Thomas godeva nel vedere Lillian perdere le staffe, e Jorge le faceva perdere a lui. Qualcuno l'avrebbe definito karma. Che doveva farci ormai...anche quella giornata l'aveva iniziata con il piede sbagliato.

Stremato dall'allenamento che s'era imposto, doveva anche subirsi la lavata di capo, ma soprattutto: non doveva reagire. Era sicuro che quello fosse lo scopo della prova: mantenere il controllo, nonostante provocazioni di ogni genere.

«Ho accettato il tuo allontanamento e il silenzio che ne è seguito.» Disse Jorge, facendo finta di scagliare un colpo, Thomas non si mosse, da subito aveva inteso la finta. Entrambi balzavano sul posto, l'uno di fronte all'altro. Si spostavano lenti, in cerchio.

«Mi sono trattenuto dallo scriverti e dal venire a casa tua, ho accettato che staccassi per il tempo che avessi reputato giusto. Non ci hai dato tue notizie, e a malincuore l'ho accettato, anche se avevo l'impulso di chiederti come stavi. Eravamo preoccupati.» Un altro colpo, stavolta vero. Edison lo scansò.

Eravamo preoccupati. Considerò subito che quel plurale includesse Brenda e Lillian, non pensò affatto a Minho, né tantomeno a Newt. Faceva male, ma era comprensibile e accettabile. Lui era il cattivo della storia, era così che aveva deciso di apparire, ma ne sarebbe valsa la pena? Allontanarsi da Newt, lo avrebbe messo in salvo? Sarebbe bastato?

«Il chip ci diceva che eri irraggiungibile e conoscendo i tuoi colpi di testa abbiamo pensato alle cose peggiori, poi, ieri, sorprendendoci tutti, lo hai attivato, hai deciso di uscire e di prelevare una povera creatura da una struttura infernale senza avvisare nessuno, né preoccuparti dei permessi.» Riferì moralista, e Thomas sbuffò. Stavolta seguirono due guanci, uno a destra e l'altro a sinistra, proprio ai lati della sua testa, li schivò prontamente.

«La burocrazia, Thomas, esiste perché altrimenti ci sarebbe solo un gran disordine civile.» Un gancio provenne dal basso, diretto alla sua mascella, ma il ragazzo indietreggiò. Lanciò un'occhiata al tappeto blu per accertarsi di non averlo superato, se così fosse stato, avrebbe perso. «Non volevi parlare con Lillian, lo capisco, ma potevi rivolgerti a me.» Ribadì piano. Nessun attacco. Glielo aveva abbonato? Strano. «Avrei fatto da intermediario.» Doppio gancio, tutti e due al lato destro della testa del ragazzo, che schivò lanciandosi verso sinistra. Ecco l'altro, pensò Thomas, in quel periodo non era l'unico ad aver fatto un corso accelerato di come essere stronzi.

«Siamo una squadra, te lo ricordi?» Sussurrò Cassidy, camminando in cerchio. Come poteva dimenticarsi di quella frase? Gliela aveva detta e dimostrata al suo dodicesimo compleanno, quando regalandogli un pallone, Thomas con un calcio secco ruppe la grande vetrata dell'Intelligence; Jorge immediatamente eliminò i filmati di tutte le telecamere, addossandosi la colpa. A quel ricordo scappò un sorriso a entrambi. Era il loro segreto.

Il medico lo colpì alla sprovvista con uno sgambetto. In quel momento sarebbe stato adatto replicare con un "alla faccia della squadra", ma Edison restò in silenzio e concentrato. Fulmineo saltò. Nell'aria, le gambe si sollevarono toccando i glutei, per poi flettersi e tornare di nuovo in piedi durante la caduta. Aveva evitato brillantemente quel tiro mancino improvviso.

Non si era mai allenato con Jorge in quel modo, né si aspettava che quello fosse così agile. Nonostante fosse stremato per le ore estenuanti di allenamento pesante, cercava di non mostrare segnali di cedimento, solo che doveva iniziare ad attaccare, e stando al regolamento del neuroscienziato per farlo doveva parlare.

«Lo so, ma non è successo nulla di grave. Chuck ha respirato aria pulita, ne aveva bisogno e anche io. Ti giuro che avevo tutto sotto controllo.» Cercò di tranquillizzare, cominciando a saltellare e spostarsi rapido per il tappeto, schivando gli attacchi che quello aveva iniziato a lanciare anche senza proferire parola. «Perché attacchi? Non avevi detto che l'avresti fatto solo se prima parlavi?» Gli occhi sgranati, e in faccia l'espressione esterrefatta, di uno che non ci stava capendo più niente.

«Seconda lezione: un nemico ti rivela mai le sue mosse, hermano?» Predicò Jorge, mettendolo a tacere. Sembrava star giocando con un bambino, pensò Thomas, pur di vincere, cambiava regole in continuazione. Cominciò a saltare sul posto anche il più grande, spostando il peso prima da una gamba e poi dall'altra.

«Il controllo, è proprio questo che non capisci. Ti credi invincibile perché possiedi una cosa che nessuno ha, ma nulla può essere controllato. Tuteli segreti mondiali per il 50%, ma comunque non hai il potere di controllare le giornate, la vita è imprevedibile. E dimentichi che la tua è in costante pericolo.» Enfatizzò l'adulto, scagliando ben tre colpi, sia ai lati della testa che uno proveniente dal basso. L'ultimo quasi sfiorò il mento di Edison, che indietreggiò di poco. Mancava davvero poco per uscire fuori e perdere pochi minuti dopo l'inizio. Sarebbe stato davvero penoso.

«So quello che faccio.» Asserì determinato, avanzando e tirando un gancio in pieno viso al medico, fu attento a non prenderlo di forza, solo accarezzarlo, non poteva di certo scaraventare davvero la sua forza contro di lui. Dal canto suo anche Jorge ci stava andando leggero o così gli era sembrato fino a quel momento.

«Quindi quando sei entrato in quella fabbrica sapevi che tu e A5 ne sareste usciti indenni? Perché non ricordo sia andata così...» Un altro sgambetto. Stavolta Thomas scivolò, non cadde completamente a terra, riprese giusto in tempo l'equilibrio per mettersi in piedi. Restò sbigottito, ogni momento che passava gli dimostrava quanto Jorge fosse più in forma di quanto si aspettasse.

«Newt...Newt mi ha protetto.» Proferì quel nome a denti stretti, quasi gli si bloccò tra le corde vocali. «Avrebbe potuto non farlo, era quello che volevo, ma l'ha fatto...ha fatto sì che il proiettile colpisse lui e non me.» Riportò, soffermandosi su ogni parola.

«Beh, quindi se non era lui quello con un proiettile conficcato nella caviglia o chissà dove, eri tu...In entrambi casi uno di voi due ci avrebbe rimesso la pelle.» Confutò ancora non contento, voleva fargli capire in cosa si stava cacciando e per farlo doveva ricorrere per forza a quelle manieri da medico stronzo. Attaccò con una mossa illecita. Rapido e di spalle Jorge posizionò una sua gamba tra quelle di Thomas, facendolo inciampare e cadere a terra. Thomas cadde a pancia sotto, ma era ancora sul tappeto blu.

Il ragazzo rotolò, per trovarsi in posizione supina. «Non mi pare sia successo, siamo salvi entrambi e confido che si rimetterà. Deve.» Rantolò con un filo di voce.

"Non posso... Vivere con questo rimorso..." avrebbe voluto dire, ma si bloccò in tempo. Liberare quella frase l'avrebbe condannato. Avrebbe fatto capire a Cassidy quanto stesse male per Newt, confermando la sua incapacità di agire con logica perché ottenebrato dalle emozioni.

«E se così non fosse? Se non dovesse mai riprendersi? Vivo sì, ma con la gamba in quello stato, te lo perdoneresti? Dimmi la verità ragazzino, non sai mentire a questi occhi che hai davanti.» Jorge era in piedi, e guardava Thomas dall'alto. 

Quella sì che era la raffigurazione perfetta di come il ragazzo si sentisse: si era fatto piccolo piccolo sotto la lente di ingrandimento, studiato dall'immenso neuroscienziato Cassidy. Il tono di voce appariva alterato, più greve, colorato da una sfumatura di rimprovero. Jorge gli tese una mano, ma Thomas non l'accettò.

«È l'1%,» Disse dopo lunghi minuti di silenzio. «C'è sempre quella minima possibilità che il 99% vada a fottersi.» Continuò meccanicamente, senza lasciare che la voce trapelasse le miriadi di emozioni dentro di sé. Voleva apparire freddo e insensibile come un robot. Il capo basso tentava di celare lo sguardo spento dalla preoccupazione, non voleva darla a vedere ma c'era, anche troppa.

Il fatto è che non ci aveva pensato, o meglio dire, aveva volutamente ignorare la possibilità che quella variabile potesse realizzarsi. "Non ci penso, non succede" Era così che l'aveva messa, si era illuso che quella probabilità non si sarebbe mai verificata, che tutto si fosse risolto nel migliore dei modi.

Come uno sciocco aveva cercato di farsi forza e credere che Newt sarebbe tornato quello di un tempo, ma se Jorge avesse avuto ragione? Se Newt non si fosse mai ripreso e sarebbe finito col lavorare altrove, iniziando una nuova vita da tutt'altra parte? 

Da un lato, la lontananza avrebbe aiutato a dimenticarlo ma se, invece, ne avrebbe incrementato il desiderio e il dolore al tempo stesso? Sarebbe impazzito senza sentire il suo profumo inondare la stanza appena vi entrava, o l'odore di mentolo del dopobarba- che per quanto comunemente usato, il suo appariva differente, raro e introvabile-lo aveva cercato in lungo e in largo in ogni negozio senza trovarlo mai, doveva esserci dell'altro...Forse era la pelle di Newt che alterava gli odori, inebriando tutti i suoi sensi, perché anche sudicio di sudore, morente tra le sue braccia, in una lava di sangue, Newt emanava un buon odore. Sapeva di qualcosa di buono.

Una rapida immagine gli scorse davanti agli occhi, ritraeva loro due nei bagni dell'Intelligence; A5 era stato colpito da un attacco di nausea e lui gli si era istintivamente avvicinato, lo aveva avvertito al centro del petto come una cosa da fare, dettata dall'impulso, e impacciatamente aveva cercato di ridurgli il malessere. 

Era stata una sciocchezza in confronto alle missioni dove avevano rischiato la vita, eppure, Thomas era stato in pena per le sue condizioni. Per così poco, Thomas si era preoccupato di Newt. Avrebbe dovuto capirlo da molto tempo che ruolo effettivamente stesse assumendo nella sua vita. Non era più il protettore che gli riparava le spalle, non se ne stava all'angolo, marginale, qualcuno visibile o no nella sua vita. Newt prorompente si era piazzato al centro e lui come un cretino stava cominciando a ruotargli intorno, vivendo in sua funzione. Il sole e la terra, uguali.

Per non parlare di quando in auto, la chioma del biondo, sul suo petto, gli aveva fatto sentire per la prima volta a una distanza ravvicinata il profumo vanigliato dei suoi capelli. Quanto aveva desiderato baciargli la fronte, tenere le mani nelle sue per un tempo pari all'eternità, e mentre quello sussultava per i brividi di freddo, si era vergognato di quanto quella parte incontrollabile di sé avesse desiderato scaldarlo col proprio corpo. La sua pelle diafana poi al par di quella degli angeli, liscia come seta gli ricordava la parola casa, non sapeva neanche spiegarsi perché quell'affiancamento con Newt e casa, ma sentiva, nel profondo che tutto del biondo corrispondeva a quel significato.

Newt era un camino acceso, mentre fuori imperava una bufera di neve. Era entrato nella sua vita senza preavviso, come un fulmine a ciel sereno, un vento travolgente che, celere, aveva spazzato via i cumuli di macerie delle sofferenze passate, per dare possibilità di nascere a qualcosa di nuovo e sereno come le calde e luminose giornate della bella stagione. Aveva portato il caos nella sua vita, ma anche la primavera. Una tempesta rivelatosi quiete stessa. Il porto sicuro. 

Possibile che in quei mesi, Thomas non si fosse accorto di quanto Newt fosse diventato per lui... Essenziale. La sua presenza era necessaria e non perché rischiava sempre di perdere la vita per salvare la sua...c'era dell'altro, e sapeva che non avrebbe potuto nasconderlo ancora per molto. Avrebbe mai più potuto vivere senza lo scompiglio di quelle inebrianti emozioni? Se lo aveva intorno nel giro di poco sarebbe impazzito completamente, ma se qualcuno o qualcosa avesse provato a separarli, per la incolumità altrui e la propria, sarebbe stato meglio internarlo e buttare via la chiave.

Nessuno doveva azzardarsi ad avvicinarsi all'inglese con lo scopo di fargli del male o ne avrebbe risposto egli stesso. Si presentava il bivio che in quei giorni gli aveva dato il tormento, al punto da fargli desiderare di sbattere violentemente il cranio contro al muro fino a romperlo.

"Meglio lasciarlo andare e salvarlo o trattenerlo al proprio fianco e vivere con la costante paura che ogni secondo fosse l'ultimo?" Perché sapeva che era lui il più grande attentato della vita di Newt, in quanto protettore, aveva nemici che senza quel lavoro neanche lo avrebbero guardato.

 Erano entrambi sotto al mirino, anzi sotto a migliaia di mirini. Se doveva esserci un capro espiatorio, doveva essere lui, Newt doveva restarne fuori. Ma sapeva anche che non sarebbero stati sempre stati così fortunati, dopotutto era questo che Jorge gli stava urlando contro, facendogli capire che...chiunque gli fosse vicino come ad esempio A5 avrebbe potuto non riaprire più gli occhi un giorno. 

A quel pensiero trasalì, si gelò sul posto come se gli avessero gettato un secchio pieno di ghiaccio addosso, paralizzando. Esatto, era proprio così che si sarebbe sentito senza Newt: paralizzato. Fanculo il suo compito, fanculo il loro lavoro!

Jorge si preoccupò della sua pausa dal mondo, dal non replicare, di quel silenzio freddo come una lastra di ghiaccio e provò a distoglierlo borbottando tra sé commenti poco chiari e carini, tra cui "ma che mammoletta sei, vuoi alzarti?" ma Thomas non li afferrò proprio. Quel silenzio lo infastidiva ulteriormente.

«L'1% dici? Per te basta menzionare numeri per giustificare che a volte può succedere l'irreparabile? Anche tuo padre rientrava nell'1%, allora? Perché se è così, Thomas, la fetta delle probabilità inizia a ingrandirsi. Non si tratta più di un percento.» Liberò tutto d'un fiato il più grande, vedendosi alle strette. 

Il giovane sollevò le sopracciglia e spalancò gli occhi, il suo cervello era andato un attimo in down come il sistema arcaico di un computer. Chi aveva nominato Jorge? E soprattutto con che tono? Cassidy si era trovato costretto a tirare in ballo quell'argomento, con le buone maniere non avevano ottenuto riscontro e a malincuore, doveva rivolgersi a quelle cattive, anzi...cattivissime.

«L'uomo che più di tutti hai sempre stimato, il tuo eroe...» Continuò, ignorando la linea che aveva oltrepassato. Cassidy sapeva bene che una volta intrapresa quella piega non sarebbe più potuto più tornare indietro, quell'argomento rappresentava la zona di pericolo, la zona rossa, meglio che restasse sempre invalicabile, ma era ormai troppo tardi. Il limite era stato superato.

 «Scommetto che anche lui aveva tutto sotto controllo o così credeva.» Si bloccò, il tono leggermente più basso, non sembrava pentito, se ciò serviva per far rinsavire Thomas e farlo ragionare tutto, si sarebbe appellato anche ai morti.

Un fastidioso fischio rimbombò in entrambe le orecchie di A2, era come ibernato nel tempo. Boccheggiò, incredulo che quelle parole cattive che l'avevano spaventosamente ferito fossero uscite dalla bocca di una persona che aveva sempre stimato, idolatrato, idealizzato.

Deglutì. «È un colpo basso, Cassidy.» Proferì lentamente, soppesando le parole. La mano destra aperta e protesa in avanti, che proibiva qualsiasi avvicinamento o frase di scusa da parte dell'altro, gli cominciava fastidiosamente a prudere, il sangue che bolliva ardente dentro la pelle. Si alzò rapido e Jorge lo lasciò fare, rimanendo a debita distanza.

«Non parlare di lui come se lo conoscessi.» Aggiunse glaciale, poi si voltò, dandogli le spalle, in un primo momento si presentò una vocina nella testa, forse l'istinto, gli gridò di attaccarlo di sorpresa, ma la razionalità ebbe la meglio, se avesse dato sfogo alla rabbia, lo avrebbe colpito fino a ucciderlo. Lì Jorge ne colse un buon segnale, il Thomas che conosceva sfacciato e menefreghista dopo una provocazione del genere lo avrebbe fatto e, invece, no...Teneva il controllo sulle sue emozioni, in particolare della rabbia. Poteva ancora farlo ragionare e sistemare tutto.

«Voglio solo farti capire che la vita è imprevedibile e già da un po' la tua amigdala mi preoccupa, forse il chip sta cominciando a mostrare i suoi effetti collaterali...Forse il tuo corpo non lo accetta più e dobbiamo intervenire prima che sia troppo tardi.» Rivelò calmo, ma Edison riuscì a captarne un velo accentuato di preoccupazione e ansia. Non se ne curò, neanche del troppo tardi. Sarebbe stato troppo tardi per cosa? Stesso il chip avrebbe potuto ucciderlo? Divertente, avrebbe anticipato molti di loro.

Non si soffermò su quella notizia rilevante perché colpito da ciò che il medico gli aveva detto precedentemente. Jorge aveva fatto riferimento a suo padre in un determinato modo, ferendolo nel profondo. Inspirò e strinse le mani in pugni, mentre nel suo corpo il sangue ribolliva a una temperatura elevata. Stava esplodendo di collera.

Doveva mantenere la calma, ripeté tra sé; ultimamente la stava perdendo troppo spesso, per delle futili motivazioni, e il più delle volte l'aveva scagliata contro Ben Miller, non poteva scaricare la sua più totale frustrazione su un cinquantenne che gli aveva fatto da tutore per tutti quegli anni, sarebbe stato cacciato via per sempre dall'Intelligence. 

Da un lato forse non gli sarebbe neanche dispiaciuto, dall'altro poi, si sarebbe reso conto nel tempo, che sarebbe rimasto completamente da solo. Non lo era mai stato dalla morte dei suoi genitori, tutto sommato c'era stata Lillian, Jorge e il resto della squadra, la loro presenza nonostante tutto gli aveva alleggerito gli eventi traumatici, avevano attraversato insieme quel periodo di buio totale.

Jorge stava continuando a parlare mentre lui combatteva con sé stesso, cercando di non implodere, voleva calmarsi, trovare modi per calmare il fuoco bollente della rabbia e della frustrazione, gli sfuggì parte del discorso, ma riuscì ad afferrare quella più importante;

«...E non voglio che capiti qualcosa di brutto a te o a chi ti sta intorno, perché ti conosco, non te lo perdoneresti. Ti ho visto in elicottero, avvinghiato ad A5, le tue mani nelle sue, tremavi peggio di un bambino, eri terrorizzato al pensiero che non sopravvivesse.» Alzò la voce, scandendo bene ogni parola che come una freccia invisibile colpiva in un punto ben preciso.

Thomas era di spalle, ma quelle parole gli attraversarono la schiena, avvolgendo il cuore in una morsa calda, non si capiva se lo stessero abbracciando o pugnalando a lenti colpi. Come se quel gesto potesse ripararlo dal mondo esterno, chiuse gli occhi. Jorge parlava e lui riviveva quegli attimi di terrore. 

Aveva avuto davvero una fottuta paura di perdere Newt. Era quello il motivo per cui era stato male, per cui come un codardo era scappato. 

Ti abbandono prima che lo faccia tu. Me ne vado prima che lo faccia tu. Se mi infliggo io il dolore, sopravvivo a stento, se lo fai tu, mi uccidi.

Le lacrime gli pizzicarono gli occhi, se ne fosse scesa una, non avrebbe avuto la certezza di fermarle. Alzò la testa come a gettarle indietro, impedendogli a tutti i costi di uscire.

Le mani, a penzoloni, lungo i fianchi si stringevano in pugni, quelle parole erano lenitive e martorianti al tempo stesso, sapeva che ormai non c'era più scampo. Era condannato. Era successo inevitabilmente come l'incidente che lo aveva visto sopravvissuto anni prima. L'amore era un incidente imprevedibile e devastante.

«Ti sentivi in colpa. Non voglio che tu soffra ancora, non meriti tutto questo dolore, lo capisci? La tua vita è iniziata perdendo persone molto care, e per colpa dei vostri colpi di testa, adesso sei un bersaglio nel mirino di un numero inquantificabile di nemici. La tua identità è a rischio ormai. L'agente Isaacs si trova in quello stato e tu...non stai messo meglio. I tuoi valori hanno alterazioni di continuo e ormai vivo con l'incessante suono degli allarmi dentro casa e in ufficio...» Thomas sapeva a cosa si riferiva, perciò in quel periodo si era disconnesso, i suoi parametri vitali con il chip staccato non sarebbero più arrivati al computer sorgente di Jorge, non avvisandolo più, poteva anche morire non sarebbe scattato nessun elettrocardiogramma piatto, così aveva potuto vivere in pace, senza esser rintracciato né studiato tramite i valori corporei, ma quando lo aveva riattivato in seguito, si era rivelato tutto vano: i dati che aveva celato, erano riapparsi e Jorge era stato avvisato anche del minimo sbalzo di pressione.

Ci fu silenzio, poi Jorge respirò a pieno e lasciò che quella frase che aveva in testa fosse libera nelle sue parole. «Hai bisogno di staccare, Thomas, ma non come hai fatto adesso. Non per stare uno schifo, ma per rimetterti...lontano da qui, magari...» Thomas mosse il capo su e giù, pareva acconsenziente, ma poi sbottò, come un vaso che riempito troppo cominciava a rovesciare l'acqua.

«E chi decide cosa sia giusto che io meriti?» Domandò spiazzante, l'emozione condannò la sua voce, tremante. Si voltò di quarantacinque gradi, non del tutto ma abbastanza per scorgere sul viso l'espressione compiaciuta di Jorge, l'aveva sempre odiata ed era sicuro che il vecchio lo sapesse. «Non mi importa più, sembra che ogni cosa che io faccia, remi sempre contro i miei interessi o le persone a cui...»Stava per scappargli "tengo", ma deviò in tempo con;

«le persone che mi affiancano. Ho riflettuto...giorno e notte su cosa dovessi fare. Vedere Newt in quello stato mi ha paralizzato, ho rivissuto il mio passato, la consapevolezza di non poter fare molto per migliorare le sue condizioni... mi ha fatto sentire inutile, impotente. In questi giorni davanti a me oscillava un pendolo, da un lato c'era l'opzione di reagire, dall'altro marcire in casa e per più di dieci giorni l'ho fatto, mi sono autocommiserato come un fallito, un perdente, come quel bambino che bloccato tra le lamiere non poteva fare niente, se non vedere i suoi pilastri spegnersi un minuto dopo l'altro sotto i suoi occhi. Poi, come un segnale, un aiuto divino, il notiziario ha mostrato il servizio della missione riuscita e mi sono reso conto che, dopotutto, quello che facciamo serve a qualcosa e ...ho pensato a Chuck, quel ragazzino mi ha dato la forza per uscire da qui e cercare di combinare per una volta qualcosa di buono. Volevo dargli momenti felici, leggeri e spensierati perché sono sicuro che non ne ha. E sai cosa mi ha detto?» Proferì lentamente, soccombendo la voglia di urlare e piangere, anche se avvertiva un'urgente necessità di farlo. «Che io sono il bene dopo tutto il male.» Proferì con un filo di voce, rotta dall'emozione, anche Jorge parve commosso, ma era più lucido e razionale.

Tirò un respiro che avvertì davvero pesante, doveva far ragionare Thomas non demoralizzarlo e fargli venire complessi di inferiorità e incapacità. 

«Sei molto più di quello credi, Thomas, lo sei sempre stato. La mutazione genetica è un plus, sei sempre stato visto come diverso e speciale perché hai il chip, ma lo sei anche senza di lui. Sei un bravo ragazzo, un osso duro, non hai paura di niente...Hai tanti pregi, ma anche difetti. Sono ammirevoli i tuoi buoni propositi, ma ciò non toglie che ti sia comportato da irresponsabile, hai messo un ragazzino di cui non si sa niente sulla tua moto, perché anche se l'assistente mi ha detto che eri a piedi, sono sicuro che hai trasgredito anche questa regola, non è così?» Thomas restò in silenzio e ciò bastò per confermare.

«Ma cavoli, hermano! Se qualcuno vi avesse seguito? E se avessero scoperto il tuo indirizzo di casa? E poi cosa ne sappiamo di questo bambino? Non è registrato da nessuna parte, potrebbe essere anche una piccola pedina, chi sospetta dei bambini, in fondo? E poi sanno del tuo passato traumatico, magari è un gioco sporco per attaccarti sui ricordi, sulla sfera emotiva. Tu che ti rivedi in Chuck e hai questo istinto protettivo nei suoi confronti.» Pronunciò a raffica come un fiume in piena, il colore della sua faccia non era cappuccino come al solito, ma di un rosso preoccupante. Il viso sembrava essersi ingrossato e così anche le vene al collo, più gridava e più si evidenziavano. Tolse e rimise gli occhiali, era un suo comportamento tipico che dimostrava agitazione e disappunto.

«Se fosse così, credo che mi avrebbero ucciso ore prima del tuo arrivo.» Dichiarò Thomas neutrale, ancora come se l'argomento morte non lo toccasse minimamente e facendo così accrescere in Jorge la collera, che borbottò con aria stremata uno «Smettila, fai battute di cattivo gusto.»

«Davvero non ti fidi di un bambino? Cosa ha Chuckie che non va? Ero come lui quando tu mi hai trattato diverso dagli altri, per te non ero soltanto una potenziale macchina da guerra.» Ricordò, scettico e incredulo sulla frase sentita poco prima. Lui non aveva mai avuto dubbio sulla fedeltà di Chuck, non l'aveva mai visto come una probabile minaccia, anzi era un bambino capitato all'inferno per sbaglio e per fortuna l'avevano trovato lui e Newt in quel blitz.

«No, di te tutti sapevamo più di quello che c'era da sapere.» Confessò Jorge, calando la maschera. Aveva convissuto con quel segreto per più di dieci anni, ogni giorno era una lotta con la sua coscienza, lo feriva nel profondo mentire spudoratamente a quegli occhioni castani che lo guardavano in maniera tenera e gli chiedevano dove fossero i suoi genitori. Ma ormai Thomas era diventato grande e grosso per incassare colpo e assestarli a sua volta. Era giunto il momento di liberarsi, almeno da un peso.

«Cosa vorresti dire?» Stavolta il ragazzo si voltò completamente. Apparve frastornato, c'erano troppi discorsi in ballo, ma si fermò su quella frase. Jorge non l'aveva detta a caso. «Mh?» Esortò ancora, notando il silenzio da parte dell'interlocutore.

Dopo pochi minuti Cassidy decise di sollevare lo sguardo e mantenerlo. Inspirò, poi rilasciò tutto d'un respiro; «Quando eri piccolo, prima che iniziasse questo calvario da supereroe, come ogni bambino normale i tuoi genitori ti facevano delle analisi per accertarsi che tu fossi in salute, beh... da emocromi emersero delle piacevoli anomalie che fecero accapponare la pelle a dei ricercatori. Una squadra speciale cominciò a studiare il tuo fenomeno. Beh, c'era una donna che quando capì la tua diversità...iniziò ad essere ossessionata da te e tramite fondi e uomini, iniziò a cercarti per tutta l'America.»

Thomas deglutì, scettico e sconvolto al tempo stesso. Sapeva che era un ragazzino particolare con una vita da sempre non tanto normale, ma quella sembrava la trama di un film della Marvel.

«Quel giorno...quel tragico giorno, eri destinato comunque a separarti dai tuoi genitori, certo non per sempre, li avresti rivisti in incontri stabiliti dal governo, e sotto la visione di telecamere, ma era un arrivederci il vostro. Loro ti stavano portando da noi, all'Intelligence. Era il posto più sicuro per te, per proteggere la tua incolumità.»

L'agente aggrottò la fronte, confuso. I ricordi erano foto gettate alla rinfusa in un cassetto che non apriva quasi mai perché doloroso...A distanza di anni, incredibilmente tutti i tasselli come pezzi di puzzle cominciavano a combaciare alla perfezione.

Ecco spiegato perché quel giorno i suoi gli avevano concesso tutto. Era l'addio vero e proprio, era stato tutto studiato e pianificato alle sue spalle. Alec e Lana gli avevano mentito. Buttò giù un groppo di saliva, come se con esso mandasse via anche il passato, voleva apparire forte ma non lo era, e uno sbandamento si presentò, lo nascose bene. Lasciò il tappeto blu, avvicinandosi alla finestra, poggiò i gomiti al davanzale.

Sotto di loro, la città aveva preso già vita, mezzi di trasporto, auto e pedoni camminavano veloci, sempre di fretta per raggiungere qualcosa, incuranti di ciò che si lasciavano alle spalle. Beati loro, pensò Thomas. Avvertiva i rumori esterni e vicini uguali, ovattati, lontani. Forse si trattava di un calo di pressione, era normale dopo tutto quello. La bocca era socchiusa, l'espressione sconvolta in volto. Il viso era diventato improvvisamente pallido, lo teneva tra le mani, la testa pesava così tanto che pareva a momenti staccarsi dal collo.

«Hanno deciso di ...abbandonarmi perché ero un problema per loro.» Elaborò lentamente, farfugliando una simile frase, mentre guardava il vetro della finestra. La voce era bassa, non stava parlando con Jorge, ma a sé stesso.

Il medico corrugò la fronte, si trovava alle sue spalle, di una decina di passi. «Ma cosa blateri? Il loro sacrificio gli è costato tutto, non lo capisci? Separarsi dal figlio che amavano solo per...proteggerlo.»

«Proteggermi? Credo che abbiate una strana concezione del termine protezione. Chi ama non se ne va.» Proferì deciso, calcandolo l'ultima frase. Una luce gialla pari di un fulmine gli saettò negli occhi, come se fosse una legge scritta nei libri di storia antica. I gomiti sul davanzale e le mani strette in pugni.

A Jorge nacque un sorriso sulle labbra, in una situazione del genere non c'era niente di cui sorridere, eppure, aveva ottenuto l'ennesima prova. Thomas gliel'aveva data. "Lo hai fatto anche tu, Thomas." Avrebbe voluto ribattere, ma decise di riservarla a dopo quell'altro tipo di lezione.

«Lo so, Thomas, ma a volte è necessario. Credi che non abbiano sofferto per quella scelta? E tutta la catastrofe che dopo ne è derivata? Vivevano con la costante paura di perderti.» Giustificò avvicinandosi al giovane che non sembrava affatto star bene.

«Vivevano con la costante paura di perdermi che sono stati i primi a lasciarmi.» Replicò demotivato, quella situazione era un controsenso a tutti gli effetti, totalmente assurda. E paradossalmente si era accorto di star tanto criticando i suoi genitori, ma aveva fatto lo stesso con Newt. Si detestava completamente, perché la sua vita era così un casino, dall'inizio? «E il governo poteva agire diversamente, potevano farmi scortare da agenti addestrati come hanno fatto in seguito.» Ormai era stato lanciato un guanto di sfida, Jorge e Thomas ribattevano a raffica, senza fermarsi, pareva in tutto e per tutto un vero e proprio duello di opinioni differenti e contrastanti, poco accettabili l'uno per l'altro.

«Avere delle guardie in casa non sarebbe stata una scelta saggia, potevano rivelarsi degli infiltrati e magari riferire ogni vostro spostamento alla parte nemica, ogni attentato a te avrebbe messo in pericolo anche loro.» Spiegò con ancora un piccolo briciolo di pazienza, s'aggiustò nuovamente gli occhiali che cadevano storti sul naso.

«Non ricordo sia andata diversamente, sai?» Notò sarcastico, le braccia incrociate al petto. Adesso Thomas lo stava guardando dritto negli occhi, battendo i piedi sul pavimento come tic.

«Cerca di calmarti, va bene?» Rimproverò stremato Cassidy, era un uomo tutto d'un pezzo, ma quando quel peperino ci si metteva era insostenibile. «Sei scosso. Hai saputo la verità tutta d'un colpo e con gli attuali squilibri tra stress umano e quello prodotto dalla presenza del chip, non vedi chiaramente. L'Intelligence era davvero l'unica via di salvezza per te.» Fece una pausa, sembrava in difficoltà, come se le cose da rivelare fossero troppe e non sapesse da dove iniziare.

«Quella pazza ti cercò ovunque e se tuo padre non t'avesse preso in tempo, chissà in che posti assurdi ti avrebbe portato... impossibili da rintracciare persino da noi con tutte le risorse all'avanguardia di cui siamo in possesso. E se ti dico questo è perché la donna di cui stiamo parlando non è una stupida, detiene poteri, macchinari e uomini. Se avesse saputo muovere i giusti fili, sarebbe stata la fine per te. Ti saresti trovato in qualche cavò sotto terra con dei fili attaccati giorno e notte, altro che i dieci minuti di ripristino e download con me. I tuoi genitori non avrebbero mai permesso che finissi in un simile inferno e così dissero: "Se puoi aiutare qualcuno che siano i buoni". Pensarono di lasciarti sotto la nostra protezione. In seguito, abbiamo indagato sull'incidente, l'auto di tuo padre aveva dei freni manomessi, lo schianto era inevitabile, nessuno di voi tre era previsto che si salvasse, ma tu hai stupito tutti...e anche se non abbiamo certezze, ho sempre creduto che nell'altro veicolo ci fossero i militanti di quella strega, perché piccola coincidenza: loro come il piccoletto non erano registrati in nessun archivio. Capisci la mia paura, adesso?»

Thomas si grattò in testa, poi la nuca, non sapeva cosa dire. Era interdetto, basito ma più di tutto sconvolto. Tutte quelle informazioni in una botta soltanto, in un periodo difficile come quello erano il vero e proprio colpo di grazia.

Restò in silenzio per lunghi attimi, non trovava parole per descrivere ciò che stava provando. Delusione. Delusione verso i suoi genitori, verso Jorge, verso il governo americano per non aver saputo agire diversamente. Fu quella la parola che gli balzò subito, ma la tenne per sé.

«Forse col tempo capirò la loro decisione e la tua paura, ma al momento ti dico che c'è sempre un'altra scelta. E abbandonare a volte è solo quella che fa più comodo.» Sentenziò rapido, senza convincersi di altro. Le mani davanti alla bocca, strette in pugni al punto che le nocche divennero bianche. Era adirato, confuso e stanco. Voleva scendere in battaglia e combattere fino a morire, ma temeva di essere fuori nel giro di pochi minuti.

«Già, lo so. Molti di noi perché codardi fingono di non vedere quello che effettivamente c'è e lo allontanano, spaventati, temendo che possa ferire.»

«Come hai fatto tu con l'agente Isaacs.» Aggiunse semplicemente, mantenendo lo sguardo. «Sono sicuro che tu come i tuoi genitori hai avuto le tue buone motivazioni, o no?» Istigò, ma stavolta non era per tirare fuori il peggio di Edison, bensì per fargli riuscire a esternare i suoi sentimenti, farlo aprire e vivere diversamente.

Thomas non obiettò, avrebbe voluto farlo, aprì la bocca diverse volte, ma boccheggiò soltanto, in cerca di trovare le giuste parole, di negare il tutto, ma non ci riuscì. Si sentiva così piccolo e impotente di nuovo. Avrebbe voluto scagliare una raffica di pugni al sacco, o contro al muro per rompersi le nocche, correre sulle pendici di una montagna e urlare fino a perdere la voce. Avrebbe voluto fare tante cose, tra cui negare, ma il petto gli doleva all'altezza del cuore. Ed era stanco, stremato dalle bugie, dalle mezze verità e da ancora tutte le altre che avrebbe scoperto in seguito.

Il mento gli tremolò, era sul punto di piangere, conosceva quel calore che si avviluppava agli occhi, quelle gocce non avrebbero tardato a scendere, ma serrò la mascella, i muscoli in tensione avrebbero impedito che perdesse l'ultimo briciolo di orgoglio.

«Ho dovuto. Sono un pericolo per lui.» Proferì a denti stretti, quanto avrebbe voluto una vita diversa, magari con Newt al proprio fianco, ma non era possibile, non se la sua presenza avrebbe decretato la  morte del biondo.  

«E lui la tua salvezza.» Sì, Newt era la sua salvezza, ma anche la condanna alla sua pazzia definitiva. Odiava quell'ammissione, ma non poteva più far finta di niente.

«È qui che ti sbagli, Jorge.» Disse avvicinandosi e per quanto il medico fosse attento, non riuscì a prevedere il colpo che Thomas gli scagliò, facendogli perdere l'equilibrio. Scivolò, ma riuscì ad aggrapparsi a un manubrio. Dovette riconoscerglielo era stata una gran bella mossa: inaspettata, veloce, e quasi distruttiva.

Thomas gli tese la mano, lo fissò dritto negli occhi, di cui il colore oscillava dal verde al marrone, facevano pensare alla radura, alla montagna, alla campagna in netto contrasto con quelli scuri color caffè del medico, un vortice quasi nero.

Mai Thomas Edison fu più falso di allora; «Io mi salvo da solo.» E prima che Jorge afferrasse la presa, lui ritrasse la mano, facendolo cadere con il sedere a terra.

«Ma brutto figlio di...non siamo sul tappeto, hermano!» Ribatté il medico impacciato mentre provava ad alzarsi.

«Beh, lezione numero tre: mai fidarsi, il nemico attacca ovunque e quando meno te lo aspetti.»  Rivelò allontanandosi e dandogli le spalle.

Era proprio ciò che gli era successo quella mattina.

Era stato colpito da tutte quelle informazioni all'improvviso, nell'anonima palestra dell'Intelligence, da chi stimava profondamente. Jorge gli aveva tenuto nascosto la verità per tutto quel tempo, e forse non era neanche del tutto completa. Si sentiva tradito, anche dai suoi genitori e più di tutto era destabilizzato, perso più che mai. Una lacrima incontrollabile scese e anche un'altra, ma Jorge non se ne accorse.

Non si fidava più di nessuno, ma Newt non era nessuno.

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