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Base operativa dell'Intelligence americana

9.58 a.m

«Sono le 9:58, dicevi di ridarmi il mio cervello per le dieci, Jorge. » sbuffò Thomas, sdraiato su una sedia che apparentemente risultava comoda, ma starci per più di mezz'ora rompeva le ossa. Quello, era il terzo controllo in due giorni. Jorge Cassidy-dottore e miglior specialista di neuroscienza dell'Intelligence- voleva assicurarsi ora dopo ora che non vi fossero hacker, virus o qualcuno che avrebbe potuto decriptare le informazioni del chip. Il timore che i dati fossero divulgati, avrebbe dato inizio a una terza guerra mondiale.

«Appunto hermano, mancano ancora due minuti. » precisò il laureato, e attento, continuò a osservare i numeri che scorrevano su un grande schermo, mostrando le alterazioni che avvenivano nel corpo del giovane a causa della presenza tecnologica.

«ACDAC5? » domandò Thomas, notando una sigla che non aveva mai visto prima. Il dottore lo ignorò per qualche attimo- probabilmente perché distratto da quei valori dai numeri elevati-poi, privandosi degli occhiali, portò uno sguardo poco amichevole sul giovane ficcanaso.

«Il chip nell'ACDAC5 è il nucleo genetico che regola le emozioni, devo essere sicuro che non ci siano anomalie.» scrutò attentamente le espressioni del ragazzo, quasi come se con lo sguardo potesse fargli una radiografia a raggi x e scovare i suoi segreti più celati. Tirò un sospiro pesante «E qui ce ne sono molte.» appurò sospettoso.

Il venticinquenne corrugò la fronte, prima curioso e poi scocciato per aver intuito la piega del discorso «Cosa stai insinuando? »

«Oh nulla, mi baso soltanto a quello vedo. » diede risposta l'adulto in modo professionale e diplomatico, «E qui è successo qualcosa.» enunciò determinato per poi dare il via a delle domande che lo avrebbero aiutato a capire meglio «Ultimamente hai avuto sbalzi d'umore?» Da quando Teresa era venuta a mancare, Thomas era diventato troppo suscettibile e il chip che albergava nel suo cervello rendeva tutto più difficile; quella mancanza sembrava avvicinarlo alla parte robotica di se stesso, allontanandolo dalla sua umanità, dai sentimenti. Per evitare ciò, tutti assumevano un comportamento controllato per non rischiare di tirare fuori un mostro piuttosto che un uomo.

Cassidy cominciò a digitare molto rapidamente numeri e lettere sulla tastiera, via via che uscivano risultati, la preoccupazione era sempre più palese. «Crisi di pianto?» provò, re-indossò gli occhiali avvicinandosi ancora di più allo schermo.

«Crisi di pianto, io? No! » sbottò agitato, ridendo subito dopo per sdrammatizzare. Aveva avuto dei periodacci ma non credeva possibile che avessero portato cambiamenti radicali nel suo cervello.

«La tua amigdala mi racconta tutt'altra storia. » canzonò il neuro-scienziato, zoomando una parte del cervello del giovane. Serrò la mascella, le mani alla bocca, l'espressione tipica di uno che pensa "era come immaginavo". Si alzò di colpo, posizionandosi in piedi di fronte a lui, le braccia incrociate al petto. «Raccontami cosa ti sta succedendo.» enunciò gentile ma deciso.

«Si, raccontaci. Non ti giudichiamo mica.» quella frase melodrammatica e tanto da reality fu proferita da Minho, che sebbene fosse sbucato all'improvviso sapeva perfettamente di cosa stavano parlando i due. Thomas gli rivolse un'occhiata in cagnesco.

«Sì, stavo origliando... » ammise il coreano, aveva compreso la domanda che tacitamente,solo con lo sguardo, il suo collega gli aveva posto.«Ma giusto un po'»indicò la quantità con le dita, discolpandosi mortificato.

Minho, spione e pettegolo, non aveva sbagliato ad affibbiargli quel soprannome mesi addietro.

«Non dovevi essere in servizio?» domandò retorico, privandosi dei due fili tecnologici collegati alla sua tempia, l'altro, quello sul petto e che mostrava i battiti cardiaci lo avrebbe tolto aiutato da Jorge.

«Beh, c'ero...» l'asiatico si schiarì la voce, cominciando a grattarsi dietro la nuca. Esitò prima di dire in un soffio«prima che commettessi una gaffe... »

«Una gaffe? »ripeté l'altro, fintamente sorpreso. Sapeva che l'amico era imbranato e che quando si parlava di figuracce avevano sempre conseguenze drastiche. «Immagino sia piccola come la parte della conversazione che hai udito tra Jorge e me.» Minho dovette capire la battuta, assottigliò lo sguardo, smorzando una mezza linguaccia dispettosa.

«Ho soltanto fatto saltare l'operazione dell'anno.» sminuì, anche se le lacrime erano pronte a rigarli le guance.« Ero convinto di aver preso il delinquente, per me quello era il criminale, quindi l'ho catturato. Gli ho detto cose bruttissime, l'ho fatto inginocchiare, gli ho persino messo le manette. Sì, lo so...sono stato abbastanza duro, dite che dovevo dargli un biscotto? Mica era un cane.»

Minho era agitato e deluso, eppure c'era qualcosa di divertente in quel che stava raccontando. Il discorso era abbastanza ingarbugliato ma aveva la sua comicità, soprattutto per le sue espressioni facciali; l'ultima frase, chiara e concisa, fece intuire tutto il dramma «Beh...non era un cane ma neanche un delinquente. Era un nostro agente sotto copertura, lavorava da tre anni con quella gentaglia per delle informazioni essenziali.»

Jorge portò le mani alla bocca, per nascondere la meraviglia e anche una visibile risata, che educatamente si sforzò di trattenere. Thomas, invece, era piuttosto allibito.

Da quando Minho era entrato nel team non ne aveva azzeccata una, e si chiedeva come aveva superato i test per accedere a quella gran e segreta famiglia non alla portata di tutti.« Ho rovinato tutto, tutti i suoi sacrifici sono stati inutili e appena lo saprà Lillian mi ucciderà.» constatò, il viso divenne pallido peggio di una bambola di ceramica.

«Consolati, in fondo non è la prima volta che capita.» ammorbidì Thomas, anche se quella risultava più una presa in giro che un conforto.

«Che amico!» sbraitò l'asiatico offeso, alzando le spalle e assumendo un'espressione altezzosa.

«Meglio che la finiate.» avvisò il più vecchio, richiamando i due all'ordine. «Lillian è in fondo al corridoio e sembra essere diretta proprio qui. »

Il panico iniziò ad aleggiare sul volto del coreano, che cominciò a muoversi a zonzo per tutto lo studio, un'anima irrequieta del purgatorio «Oddio, è con qualcuno?» strillò in pena , fiondandosi sotto la scrivania, si raggomitolò dietro la sedia, con la speranza di nascondersi. Jorge lo fissò con sguardo indecifrabile. Non era di certo l'atteggiamento per un uomo dei servizi segreti.

«Sì, c'è Brenda e un ragazzo, senz'altro un rappresentante di prodotti cosmetici per i botolini di Lillian.» ipotizzò il dottore, non pienamente sicuro di quell'affermazione. In fondo, cosa poteva farci un rappresentante dei cosmetici alla base dell'intelligence?

«Brenda? Hai davvero detto Brenda? Lillian non può sgridarmi in sua presenza! Sai che vergogna? Non accetterà mai di uscire con me! »

Brenda, capitolo sdolcinato. Da quando la giovane era arrivata, diventando assistente personale del capo dell'Intelligence, Minho era stato colpito da Cupido, in caso disperato. Pensava a quella ragazza costantemente, peggio di un ragazzino alle prime armi con la sua cotta liceale.

Una ragazza niente male, dedita al lavoro e disponibile, tutto perfetto se non per il fatto che lei rivolgesse le sue attenzioni a Thomas. «Jorge posso prendere i tuoi occhiali?» urlò il coreano, saltando fuori dalla scrivania. Non aspettò il permesso, che se li infilò sul naso. Gli altri due guardarono a vicenda, alzando gli occhi al cielo per l'esasperazione.

«Solo una cosa Minho Lee: perché? » quello che indossava il camice portò la mano alla fronte, disperato. Minho aveva bisogno di una visita e non oculistica.

«Mi danno un'aria più da figo intellettuale. Non trovate?» incrociò le braccia al petto, accennò una camminata da passerella imitando un modello.

Thomas ignorò bellamente l'amico, Jorge, invece, smorzò la bocca, pareva in disaccordo con il giovane combina guai. «Secondo me staresti meglio senza, insomma...mostra la tua personalità, sii te stesso.» suggerì, e come un soldato chiamato all'ordine, Minho con un cenno del "sissignore" si privò delle lenti.

«Jorge appena finisci di dispensare consigli, potresti staccare il filo che segna i miei battiti cardiaci?Ti pregherei di farlo prima che quei zig zag diventino una linea dritta. Saresti colpevole del mio decesso.» enunciò Thomas melodrammatico, intanto riuscì nel suo intento; il medico si piombò al suo fianco, lentamente lo aiutò, mentre Minho si teneva occupato a leggere alcune cartelle cliniche, che per l'appunto neanche comprendeva.

«Thomas» proferì Jorge a bassa voce cosicché Minho non udisse «Ciò che rende l'uomo vivo sono le emozioni che prova: felicità, tristezza, paura. Il chip trascenderà sempre le tue capacità umane, non lasciare che porti via la tua umanità. Esci con i tuoi colleghi, conosci altre persone, ridi e soprattutto: vivi. Vivi pienamente ogni attimo della tua vita, innamorati, anche se...» fece una pausa, per Jorge era ridicolo impartire quei consigli, aveva studiato tutta la vita e in compenso non aveva messo su famiglia. Era affezionato a Lillian, sua superiore, ma in quanto tale, lei lo stimava per la sua ardua professione e basta «anche se a volte non va come vorremmo. Troverai qualcuno che resterà al tuo fianco, e nonostante tutto lotterà per te, con te...esiste qualcuno che ti vorrà bene profondamente, che ti amerà.» sussurrò con fare paterno, picchiettò la spalla del giovane e abbozzò un sorriso rincuorante. «Per qualsiasi cosa, io ci sono.» sorrisero entrambi, anche se sottinteso, Thomas aveva capito a cosa alludeva il vecchio amico. Doveva riprendersi la sua vita, anche se Teresa non c'era più.



***



Nello studio del dottore Cassidy entrarono in modo pressoché trionfale: Lillian, seguita da Brenda che come sempre stringeva tra le braccia la sua agenda, e un ragazzo nuovo. Fu così che il cervello di Thomas etichettò l'agente A5, appena entrò nel suo campo visivo. Solitamente il ragazzo-chip non aveva mai squadrato i suoi ex partner come stava facendo con il giovane biondo, e il capo ne colse un buon segnale; Isaac Newton con la sua giovinezza l'aveva stupita e a quanto pareva, aveva catturato anche Thomas.

Il moro sollevò le sopracciglia, continuando a guardare il nuovo arrivato. Non gli rivolgeva semplici occhiate, lo stava proprio studiando. Newton, imbarazzato, cercava di fare lo stesso, ma non riusciva più di tanto e quindi distoglieva lo sguardo. Ormai nella stanza era calato un silenzio pesante: Minho era appoggiato vicino a una colonna in modo malconcio, il viso imbronciato preparato per la bella strigliata, alleggeriva la sua tristezza lanciando occhiate furtive in direzione di Brenda, che solo lei sapeva cosa stesse appuntando in quel momento. Jorge, invece, aveva salutato con un cenno del capo Lillian e subito si era messo a stampare i risultati del chip, e Thomas continuava a guardare Newt.

Fu la donna a interrompere l'imbarazzante silenzio, «Thomas, ti presento-»

«Isaac Newton» anticipò sapientone, fissando il biondo davanti a sé. Newt si trovò costretto a sollevare il capo. Quando i suoi occhi color caramello si scontrarono con quelli color cioccolato, fu colpito violentemente da un tuffo in pieno petto. Nascose la sensazione o almeno cercò, ringraziò il cielo che nessuno avesse notato quel suo balzo, quel suo tremolio caloroso.

Approfittò che il moro davanti a sé avesse lo sguardo basso, un po' perso, forse intrappolato in qualche pensiero che riconduceva all'incredulità del suo sembrare più giovane della norma, per soffermarsi a guardarlo. Il giovane eroe con una mutazione genetica rara era completamente diverso da come l'aveva immaginato; aveva su per giù la sua età ed era bello. Non aveva immaginato che dopo la rarità gli fosse stata regalata anche la bellezza, solitamente credeva fosse presente soltanto una delle due varianti: l'essere genio ma brutto, o un tipo bello ma idiota.

«Agente dell'FBI numero cinque, cinque, cinque, cinque... cinque, cinque...Ho saltato un?» Thomas leggeva le informazioni che gli venivano presentate dal chip, quello che lui vedeva in un tabellone vero e proprio, per gli altri era invisibile.

«No, sono esatti i cinque. » confermò il biondo, schiarendosi la voce. Newt era a un passo dal porgergli la mano in segno di piacere, ma Thomas pareva intenzionato a scavare altre sue informazioni.

«Vediamo, vediamo... Isaac Newton, classe 90. Il chip dà poche informazioni sul tuo conto, non ti piacciono i social network? » indagò il moro, più ficcanaso che curioso. I suoi ex partner avevano social network colmi di loro notizie, stupide tra l'altro, e ogni qualvolta loro lo contraddicevano, lui di risposta ricattava di svelare pubblicamente un loro intimo scheletro nell'armadio. Furbo, no?

«Li reputo una perdita di tempo, creano una trappola nota come realtà virtuale, e costringono la gente a vivere in quella piuttosto che godersi la vita, quella vera. » proferì esauriente, fissando il suo coetaneo dritto negli occhi. Il moro smorzò un sorriso, stupito da quell'affermazione, sì era da moralista ma meglio dei suoi ex partner, tutti idioti.

«Ammirevole, anche se...insomma, un agente come te, elegante e diplomatico, sbronzo. Ubriaco al college?» domandò ovvio, schernendo ulteriormente. « E la CIA ti ha anche premiato, reputandoti uno dei migliori...deve essergli sfuggito questo tuo passato movimentato.» puntualizzò. Newt lo paragonò a una vipera.

«Avevo diciassette anni. »si discolpò, e timidamente fece vagare lo sguardo su tutti i presenti nello studio, tutti lo stavano osservando interrogativi. Che vergogna!

«Sono soltanto dieci anni fa.» ribatté Thomas. Newt stava iniziando a perdere le staffe.

«Beh, anche ad Halloween 2010, il tuo amico Alby ti ha fatto un bel scherzetto.» un'altra risata derisoria.

«Cos'altro sai di me?» troncò il biondo, seccato. Detestava essere umiliato, e per di più deriso avanti a tutta quella gente di alto calibro.

«10 su 60 nei test, dai...» burlesco il bruno continuò a sfornare informazione.

Aveva detto che c'erano due varianti, eh? O genio ma brutto, o bello e idiota; in quel caso Thomas Edison era soltanto un venticinquenne con una rara mutazione genetica, né bello, né genio. Un perfetto idiota.

«Non ero bravo nei test.» giustificò Newt, mentre tutti compresa Lillian guardavano allibiti la scenetta.

«Beh, finché non sei venuto a conoscenza con i dettagli presidenziali. E ora, che fai? Segui lo sconosciuto affascinante che ha un microchip nel suo cervello?» Thomas si poggiò in modo malconcio al tavolo, lo sguardo sfidante e le parole che avrebbero irritato chiunque risuonavano fastidiose nella testa di Isaac. Lillian avanzò, tutti avevano intuito e afferrato l'istigazione; il capo dell'Intelligence stava per scusarsi con il nuovo agente, dirgli che era il classico atteggiamento che Thomas assumeva per far arrabbiare tutti e farli rinunciare all'incarico, ma quello incassò il colpo.

«Quasi ogni parola era corretta.» diede semplicemente risposta.

Thomas corrugò la fronte «Quasi? Quale parola ho sbagliato?» il guizzo di curiosità scintillava negli occhi color cioccolato in modo assai evidente.

«Affascinante.» concluse Newt con un sorriso sornione. Tale risposta spense completamente il moro, provocando negli altri risatine soffuse. Thomas non si era aspettato che quel magrolino all'apparenza tranquillo potesse spegnerlo davanti ai suoi colleghi, dovette avvalersi di un minuto buono per pensare come rispondere a dovere.

«I bei gusti sono pregio di pochi. » ribatté alle strette, dando voce al suo lato vanitoso.

«La simpatia ancor meno. » concluse A5 senza scomporsi, abbozzando un sorriso vittorioso.

«Bene, ora che vi siete presentati, agente A5, non mi basta che augurarle buon lavoro. Sono sicura che ci darà ottimi risultati!» proferì fiera la signora Strand.

Newt strabuzzò gli occhi, confuso.«Buon lavoro?» Corrucciò la fronte, ingoiando un groppo di saliva. «Possiamo parlare da soli?» domandò poco dopo essersi ripreso, il filo di voce appena udibile, gli occhi spalancati e il panico alle calcagna. Uscirono entrambi, il ragazzo cercò di mantenere la calma «Quale lavoro? Io non ho accettato nulla!»

«Mi dispiace contraddirla, agente A5. Io e il suo ex capo Vince Donovan abbiamo pattuito che, qualora lei avesse preso visione del soggetto A2 conoscendolo, l'incarico sarebbe stato accettato, tacitamente.»

«Cosa? Non è legale, dovrei firmare dei documenti. »

«Beh, avevamo previsto il suo disaccordo. Lei è un agente in gamba, ce la farà. Ora mi scusi, ma devo andare.» enunciò sorridente, un sorriso che Newton odiò con tutto se stesso. Voleva fermarla, chiamarla, chiederle ulteriori spiegazioni, ma si trovò a dannarsi in silenzio con un pugno di mosche in mano. «Minho» urlò il capo, infuriata. Come aveva fatto a cambiare così facilmente umore? Da gentile a mostro del diavolo?«nel mio ufficio, subito!» imperò alla Crudelia Demon, allontanandosi a passo spedito; con la coda tra le gambe e le orecchie basse da cane mortificato uscì dall'ufficio il ragazzo dai tratti asiatici, si avvicinò a Newt e dopo avergli dato una pacca sulla spalla, proferì«Benvenuto amico, sorridi e sii raggiante.» Il biondo fu sorpreso, un gesto confidenziale e amichevole da parte di un tizio che non conosceva neanche?Dubbioso, annuì. Era finito in una gabbia di matti.

Quello che doveva chiamarsi Minho si diresse dalla donna che gli aveva appena rovinato la vita. Sbuffò stanco, non gli avevano neanche detto dove fosse il suo ufficio/scrivania/ topaia, gli toccava trovarselo da solo. La rabbia sembrava prendere il possesso, stava per chiamare Donovan e dirgliene di santa ragione, ma quando sentì un rumore di passi, scoprendo che fosse Thomas, lasciò perdere. Terminator, così l'avrebbe soprannominato. Newt lo fissò sprezzante, avrebbe voluto canzonarlo, ma pensò la cosa migliore: ignorarlo. Alzò le spalle, sicuro incamminandosi per il corridoio del verso opposto, evitandolo bellamente.

«Biondino?» chiamò, quella voce antipatica era proprio del soggetto A2.

Newt si voltò, stizzito. Avrebbe voluto dirgli "hai ancora da umiliare, schernire, offendere?" Ma anche stavolta si trattenne, serrando i pugni lungo i fianchi. Aveva un autocontrollo che doveva essere premiato.

«La tua scrivania è vicino alla mia.» avvisò, schioccando la lingua, un gesto da saputello che strizzava ulteriormente i nervi. Newton ci aveva sperato fino all'ultimo, e con quell'ultima notizia il mondo gli era definitivamente crollato addosso.

Ormai quella era proprio una giornata no.

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