19. It's just a vowel






19.  È solo una vocale

L'arrivo di Morfeo si rivelò un miraggio, un'illusione, nient'altro che un inganno.

Quella sera Thomas non riuscì a dormire, neanche con Newt di fianco; tramite il chip riprodusse la sua immagine in auto in Maryland, trasportandola sul suo letto. Erano così vicini, che nonostante non fosse reale, il cuore gli batté così forte tanto da fargli temere che si sarebbe fermato di colpo di lì a momenti. Se il chip aveva una funzione positiva, era sicuro che quella fosse l'unica.

Gli accarezzò la guancia, ma la mano tristemente trapassò l'immagine. Era bello provare ad addormentarsi così, ed Edison pensò a come sarebbe stato se lì, di fianco a lui, ci fosse stato A5 in carne e ossa.

Sorrise, era così assurdo pensare a un "noi", a una quotidianità insieme, a un futuro insieme. Assurdo quanto bello, si trovò ad ammettere.

Disteso sul fianco, stette lì a contemplarlo per ore, come un dipinto famoso.

Non tralasciò nessun dettaglio. Lo sguardo attento e studioso vagò dai capelli color oro mischiato al miele, alla pelle chiara e delicata delle sue braccia, del suo petto in parte coperto dalla sua ennesima giacca di pelle nera. Gli occhi piccoli e magnetici, e quelle labbra sottili ma accattivanti che parevano urlargli "baciami, stupido" con quell'accento inglese che lo aveva fatto andare su di giri dal primo momento che l'aveva sentito.

Per non parlare di quel fisico minuto e longilineo che avrebbe volentieri bloccato sotto il proprio corpo dandogli il massimo di sé, travolto dall'irrefrenabile desiderio, dall'irruenta passione. Avrebbe tanto voluto poggiare le sue labbra su quelle del biondo, ma sarebbe finito col baciare il cuscino e la sua situazione era già triste così: Bloccato dalla paura di desiderarlo così tanto.

«Quante cose vorrei dirti, Newtie...» Si lasciò sfuggire, rannicchiato su un lato, il volto seppellito tra le proprie braccia. Era vittima delle birre scolate tutte d'un colpo o forse, era soltanto vittima di sé stesso, dei paletti che aveva issato nel corso degli anni attorno al suo cuore. Era stato tutto inutile, era caduto anche lui in quella trappola fatale, il gioco più vecchio del mondo.

Paziente, aspettò minuti, poi ore che Morfeo gli facesse visita. Si girò e rigirò, irrequieto cambiò diverse posizioni, da supino a prono, poi sul fianco, spostò anche il cuscino ai piedi del letto, ma niente. Gli occhi erano ancora fissi e spalancati a guardare il soffitto come ore prima, e del sonno nessuna traccia. Non c'era stanchezza in lui, se non quella mentale.

Quanto avrebbe voluto vedere i pensieri auto eliminarsi con la stessa velocità con cui chiudeva le cartelle delle ricerche nel suo chip, sdraiarsi al letto ed entrare in trance. E, invece, irrimediabilmente, continuava a crogiolarsi per ciò che non aveva avuto il coraggio di fare, perché non aveva bussato a quella porta? Ma soprattutto, perché stava così male per non averlo fatto?

Non riusciva a capacitarsi di come fosse successo, era praticamente impossibile, a uno come lui certe sbandate non capitavano, pensava al lavoro, non aveva bisogno di distrazioni del genere. Quello era qualcosa di sciocco, che capitava ai deboli, a coloro che non riuscivano a stare da soli o si annoiavano, una sorta di passatempo che avevano inventato gli umani per rendere la loro vita più interessante, spezzando via la monotonia; eppure, per quanto avesse sotto pelle qualcosa che lo rendeva diversamente umano e speciale al tempo stesso, come qualsiasi altro essere umano, a tenerlo in vita era pur sempre un cuore e, in quello nell'ultimo periodo, si stava facendo sentire più forte che mai.

Chi l'avrebbe mai detto? Adesso si trovava seduto anche lui a quel tavolo, quello che per tutta la vita non gli era mai interessato e che aveva perfino deriso. Era come una partita a poker persa in partenza. Chi in fondo vinceva contro l'amore?

No, non aveva davvero pensato a quella parola, anche se gli era scappata rapida, in maniera spaventosamente naturale. Sbarrò gli occhi più del dovuto, la saliva si incastrò in gola assieme al respiro, quasi si strozzò al solo pensiero che i sintomi che si trattasse di quella parola che iniziava con "A" e terminava con "E" c'erano tutti.

Scacciò quell'ipotesi come potesse cestinarla e di colpo non provare più niente. S'alzò di sbotto dal letto, cominciando a camminare per casa. Un andirivieni che si spostò dal salotto alla camera da letto, allo studio, cucina e anche bagno. Il suo appartamento era troppo piccolo e delimitante per la maratona che aveva in mente.

Lanciò diverse occhiate anche al cellulare sul comodino, sapeva benissimo cosa una parte del suo cervello volesse fare, stava combattendo tra afferrarlo e cliccare su rubrica per scorrere sulla N di Newt e chiamarlo, o addirittura sarebbe tornato sotto al suo palazzo, ma non per restare all'angolo della strada impalato come un deficiente, bensì avrebbe bussato alla sua porta, blaterando qualsiasi cosa, anche sciocchezze, tutto pur di rompere quella torre di silenzio che egli stesso aveva messo su per difendersi, ma che paradossalmente lo stava uccidendo un giorno dopo l'altro.

A quattro occhi non gli avrebbe chiesto scusa, sarebbe suonata come una parola vuota e falsa per la sua totale assenza, sparizione. Forse, avrebbe cominciato col chiedere della caviglia e quasi di sicuro, gli avrebbe ripetuto quanto l'idea di andare in Maryland fosse stata pessima e definitiva per la loro carriera lavorativa. A quel punto Newt gli avrebbe dato dell'egoista, e una cosa tirava l'altra, con i loro caratteri forti e spigolosi, probabilmente si sarebbero scontrati, chissà, forse sarebbero addirittura arrivati alle mani.

La sua fantasia stava decisamente viaggiando. Avrebbe davvero avuto il coraggio di alzare le mani su chi aveva rischiato di perdere la vita per salvare la sua? Newt era vivo per miracolo, ma la sua caviglia era stata gravemente compromessa, non avrebbe biasimato se avesse cominciato a provare del risentimento nei suoi confronti, pentitosi di non essersi fatto gli affari propri; sicuramente se non si fosse sporto, niente di tutto ciò gli sarebbe capitato. 

Era questo che Edison non capiva, che amava e odiava al tempo stesso. Newt in ogni conflitto non esitava a rischiare la propria vita per salvare la sua, sembrava quasi che sfidasse la sorte, come se non tenesse a portare la propria pelle in salvo, come se la sua vita valesse meno di quella di Thomas o quella del bruno troppo per lui. E se Newt ricambiasse per assurdo quei sentimenti? No, no, no. Impossibile.

Non c'entravano niente l'uno con l'altro, eppure, la vita aveva incrociato le loro strade, difficile capire se si fosse rivelata una condanna o la scoperta più preziosa della sua vita.

Sorrise impercettibile al pensiero del loro primo incontro, diamine, gli bastava pensare solo al suo viso per sorridere come un ebete. D'altronde come poteva non farlo?

A5 era il migliore, tra i protettori, Edison lo aveva saputo sin dal primo giorno. Newt era diverso da tutti quelli che l'avevano preceduto.

Era speciale, aveva un bagliore quasi accecante negli occhi, emanava una luce, rara, diversa, unica, mai vista; amava quello che faceva, e metteva tutto sé stesso in ogni missione o compito che gli veniva assegnato, anche uno terribile come proteggere un bambinone apparentemente viziato che credeva d'avere il mondo ai propri piedi. Per questo era maledettamente pericoloso e Thomas si era autoimposto un determinato comportamento. Aveva attuato la tecnica per eccellenza, una soluzione, o almeno la reputava tale: se fosse riuscito a distaccarsi, a mostrarsi sfuggente, sarebbe giunto col farsi odiare.

L'agente Isaacs aveva rischiato tutto per lui, mentre lui aveva mostrato la totale indifferenza, questo sicuramente avrebbe fatto infuriare il biondo e la reazione più logica che ne sarebbe seguita sarebbe stata la rabbia, l'odio, lo schifo totale. Solo così sarebbero potuti tornare alla distanza iniziale, quella giusta. A5 doveva odiarlo. Perché lui non ci riusciva, aveva fallito miseramente nonostante i numerosi sforzi.

La sua, era una costante lotta tra l'incapacità di frenare la sua brama di interesse sconfinata e l'apparire orgoglioso e distante. Mostrava menefreghismo, ma lo aveva sempre vegliato da lontano. Certo, Newt e nessun altro lo sapeva, ma sé stesso sì e ciò bastava per fargli crollare tutte le certezze che aveva issato con gli anni.

Il suo cervello continuava a scoppiare, i neuroni lo abbandonavano un secondo dopo l'altro, mancava poco a una resa imminente. Se era sveglio pensava al biondo, se s'apprestava a dormire una piccola parte di sé desiderava incontrarlo nei sogni, e se non succedeva, poteva farlo accadere tecnologicamente, evocandolo con la funzione del chip. Stava diventando un'ossessione. Newt. Newt. Newt. Nella sua testa non c'era spazio per niente altro.

Provò a ricorrere anche a un aneddoto che gli aveva insegnato Jorge anni addietro, quando qualcosa lo terrorizzava, gli sussurrava: "Ripeti il nome della cosa a voce alta e vedrai che poi perderà valore."

Non era l'inglese a terrorizzarlo, bensì ciò che stava apprendendo di provare nei suoi confronti che gli creava brividi e attacchi di ogni genere. Era qualcosa di peggiore della paura del buio che aveva avuto da piccolo, e non impiegò molto a capire che il metodo Jorge in quella circostanza era destinato a fallire miseramente. 

Provò a sdraiarsi di nuovo sul letto, passò del tempo indefinito a fissare il bianco soffitto, mentre nella testa scorrevano immagini, pensieri talmente vividi che se avesse allungato le mani li avrebbe afferrati e stretti al petto, non lasciandoli più andare. Tramite il chip controllò il suo livello di pressione ed era decisamente elevato per uno che s'apprestava a dormire.

Stupido. Codardo. Sciocco. Rimbrottò a sé stesso, demotivato.

Convenne che restare sveglio tutta la notte senza far niente, limitandosi a fissare il muro avrebbe aggravato il suo stato, quindi repentino fece la cosa più naturale e al tempo stesso insensata che gli passò per la mente: si diede una sistemata, indossò il vestiario sportivo e lasciò l'appartamento.



***



Nel cielo stava ormai sorgendo l'alba, c'erano poche nuvole, e Thomas pensò che quella giornata non avrebbe piovuto, ma la notte successiva era il punto più lontano da quell'inizio, tutto sarebbe potuto cambiare, le circostanze mutavano da un secondo all'altro, figurarsi dopo ventiquattro ore. Era una metafora perfetta per descrivere l'imprevedibilità della vita.

Attraverso la visiera del suo casco poté scorgere il sole che cominciava ad innalzarsi dietro i grattacieli di Langley.

Il tempo era mite, nell'aria c'era un tepore piacevole, persino il vento che gli sferzava in viso ai 100 km/h era più gradevole del giorno precedente, quando era uscito con Chuck; anche allora gli era sembrato di reagire, e per un po' ci aveva creduto, distraendosi da quella brutta realtà in compagnia del piccolo trovatello, ma eccolo di nuovo al punto di partenza, scappato di casa addirittura all'alba, in cerca di una pace che lo facesse stare tranquillo, senza pensieri intrusivi e distruttivi. Le aveva provate tutte, tanto valeva fare l'ultimo sforzo e recarsi nel posto in cui le ansie, paure e frustrazioni spesso svanivano. 

Parcheggiò la maestosa YAMAHA laccata nero lucido nel parcheggio al piano sotterraneo, quello che nessuno usava, nemmeno Lillian Strand. Il cuore ebbe un sussulto quando riconobbe la sua auto, parcheggiata sistematicamente nelle strisce riservate a lui, l'agente Stan l'aveva recuperata, così diceva il messaggio di Brenda. Pensò incontrollabilmente di nuovo a Newt sul suo petto.

S'avvicinò, indeciso se aprire il cofano e prendere la coperta rosa, ma ricordò che Brenda tramite messaggi lo aveva avvisato anche del lavaggio e quindi fanculo! Non avrebbe potuto sentire più il suo profumo, ormai contaminato da quello del detersivo.

Chiuse gli occhi, rivivendo quel momento, a quanto desiderasse che fossero in tutta altra situazione, abbracciati, vivi più che mai, che le sue labbra sfiorassero le sue, scendendo a baciare ogni parte del suo corpo, mentre fuori la pioggia battente si infrangeva sui vetri e il freddo si insinuava nell'abitacolo, riscaldato dalla frizione dei loro corpi. Diamine, aveva lasciato casa sua per distrarsi e si trovava sempre al solito e maledetto punto. Quasi fu tentato di colpire l'auto con un pugno, ma si ritrasse, le diede le spalle e s'allontanò da quel produttore di ricordi, deciso più che mai a sfiancarsi con l'allenamento.

Optò per l'ascensore, sicuramente avrebbe incrociato qualcuno per tutte le cinquanta rampe di scale, e per evitare che si verificasse lo stesso in ascensore, attuò un trucchetto abbastanza cattivo da far risultare la scatola mobile fuori uso nel tempo in cui ci fosse lui dentro. L'ascensore avrebbe respinto tutte le chiamate, comunicando sul display una simpatica frase: "Riprova tra un po', sarai più fortunato".

Incredibile quanto Thomas Edison pure in uno dei suoi momenti peggiori fosse uno stronzo patentato.

Una volta nell'angusto spazio, finalmente da solo e al sicuro da occhiate indiscrete, chiuse gli occhi, respirando a pieno il clima che lo circondava. L'aria dell'Intelligence non aveva odori particolari che accendessero una parte specifica della sua memoria olfattiva, ma quando si trovò lì, a pochi passi dalla stanza che forse avrebbe migliorato il suo umore, si sentì un tantino più leggero.

Il lavoro, in fondo, era sempre stato l'alternativa per sopperire a tutto ciò che non andasse nella sua vita, si era sempre concentrato al punto da dimenticarsi di vivere per sé, dedicandosi pienamente agli altri. Avrebbe potuto pensarci prima a quell'alternativa anziché crogiolarsi, ma era stato un po' difficile giacché era apparsa come un'impresa immane solo strisciare dal divano al bagno, figurarsi se avesse avuto la forza di abbandonare casa sua all'alba per mettersi in sella alla sua moto con lo scopo di distruggersi in palestra.

L'ultimo bip segnò l'arrivo al piano prefissato, l'ascensore si aprì. Dinnanzi si presentò un'ampia vetrata lucente, trasparente e maledettamente familiare. C'era stato un periodo della sua vita in cui aveva vissuto lì giorno e notte, alternandosi solo con il proprio ufficio tre piani sotto, quello del capo dell'Intelligence e il bagno per le pause fisiologiche.

Per quanto potesse raggirare il sistema d'entrata tramite il chip, preferì fare le cose per bene come i suoi colleghi comuni mortali, senza saltare i procedimenti.

Bypassò con un badge, ma non il proprio, altrimenti a cosa sarebbe servito nascondersi per tutti e diciannove piani? Eluse il sistema mostrando la copia del badge di Lillian, in quanto capo, non sarebbe scattato nessun allarme che mostrasse un intruso a un orario insolito come le cinque e trenta del mattino. Di quella infrazione ne sarebbero stati solo a conoscenza Lillian e chiunque avrebbe fatto accesso alla pagina dei badge loggati dal computer principale, come la segreteria. Non se ne curò.

La porta di vetro fece un suono come un plic, e si aprì.

Vi trovò una palestra in tutto e per tutto, che non aveva niente da invidiare a quelle comuni, anzi...era di gran lunga superiore. Tanto per cominciare si estendeva su un suolo di duecento metri quadri, racchiudeva l'allenamento cardio, gli attrezzi, arrampicate di ogni genere ma modeste e tappeti sui quali si simulavano scontri corpo a corpo.

C'era anche un'altra area, di simulazioni tecnologiche, dove grazie a degli occhiali speciali, in terza dimensione, erano visibili nemici che sbucavano da ogni dove, si misurava la prontezza con cui si attaccava o si veniva colpiti, ovviamente con pistole non vere, ma omologate per quel tipo di attività.

Studiò ogni allenamento, c'era davvero di tutto e grazie all'ampia scelta di attrezzature avrebbe potuto allenare qualsiasi muscolo desiderasse. 

Sfilò la felpa nera, restando con una canotta del medesimo colore. I calzoncini elasticizzati in vita cadevano larghi fino al ginocchio, ai piedi indossava semplici scarpe nere da running. Iniziò la fase di riscaldamento con il tapis roulant, una corsa che non fu mai camminata e che un secondo dopo l'altro esigeva sempre più massima resistenza.

Era l'ideale per farlo smettere di pensare, eppure, qualcosa sempre gli frullava in quella zucca vuota. Ricordi sparsi e sconnessi che a volte neanche avevano a che fare con A5. Nei meandri della sua mente, in una stanza buia, dove il sole non splendeva mai, percepiva un ricordo confuso e lontano: l'ombra di una donna.

Era minuta, la voce flebile e bassa appariva delicata e premurosa. Non ricordava cosa dicesse, conosceva il suo nome perché lo sibilava, ma il resto della frase era impossibile da ricordare, seppur certo che fosse breve. La sconosciuta gli porgeva una fumante tazza di the ai frutti di bosco e poi...non ricordava null'altro.

Non riusciva a capire se fosse una conoscenza del passato, o tutto frutto della sua immaginazione, di certo non si trattava del suo capo, né di sua madre, né tantomeno di Teresa, insomma, nella sua vita non c'erano state molte donne e si trovò a pensare che fosse meglio così. O loro portavano sfortuna a lui o era il contrario. Lillian era una stronza, sua madre-la migliore tra le tre- l'aveva abbandonato troppo presto e... Teresa, beh...quella era la peggiore, se non fosse esplosa, era sicuro che l'avrebbe uccisa lui stesso in seguito.

A quel ricordo aumentò il passo. Davanti agli occhi, raffiguratogli dal chip c'era la scena dell'ospedale; lei che lo fissava implorante e lui che come lo stupido cercava una bomba, non aveva capito quanto fosse schizzata, che fosse proprio lei. Poi, senza accorgersene era sbalzato in aria, scaraventato dalla spinta di Newt, che seppure leggero, aveva permesso con vigore ai loro corpi di spostarsi e schiantarsi contro le grosse vetrate, cadendo nel vuoto. Un brivido scivolò gelido lungo la schiena. 

Dall'inizio alla fine era stata una scena raccapricciante: Teresa si era rivelata un mostro e l'insopportabile nuovo arrivato protettore aveva rischiato eroicamente la propria vita per salvare la sua. Avrebbe potuto tranquillamente fregarsene e lasciarlo lì a morire, sotto l'effetto delle sue convinzioni, continuando a vedere del buono in Teresa che non c'era, che non aveva mai avuto, eppure, Newt...l'aveva salvato da lei e da sé stesso una moltitudine di volte.

I tapis roulant erano disposti in fila, l'uno accanto all'altro come nelle comuni palestre, di fronte avevano uno specchio che ricopriva tutta la parete, Thomas vi si fissò. Le gocce di sudore scendevano copiose sulla fronte, contornando la sua espressione che da rabbiosa passò a malinconica. Accelerò ancora fino quasi a perdere il controllo delle proprie gambe, come se con esse potesse perdere anche il controllo della sua mente. Voleva liberarla, svuotarla, come una stanza bianca. Dimenticare ogni cosa, bella e brutta, perché lo facevano impazzire al medesimo modo. Doveva stancarsi, doveva smettere di pensare. Quando fu sicuro che a momenti sarebbe collassato per la mancanza di forza nelle gambe che gli dolevano e bruciavano a più non posso, col fiatone, schiacciò il pulsante rosso dello stop, arrestando di colpo il tappeto mobile sotto i suoi piedi.

Il tempo di recuperare un po' d'ossigeno che si sdraiò a terra, cominciando ad allenare gli addominali con ogni tipo di flessione. Terminate le diverse serie che non l'avevano stancato come desiderava, si sgranchì gli arti superiori e s'attaccò alla sbarra, sollevandosi e sfidandosi sul limite di trazioni da superare. Nonostante fosse fuori allenamento e avesse trascurato la sua alimentazione, per niente salutare e quasi del tutto assente nell'ultimo periodo, riuscì a tirarsi su  correttamente per quaranta volte, le restanti dieci arrancò ridicolo come un pesce fuor d'acqua.

Fece una breve pausa, asciugandosi il sudore e passando la lingua tra le labbra, per umidirle. Aveva dimenticato di portare una bottiglia d'acqua, che coglione! Cercò di recuperare fiato e forza, mentre ogni muscolo, dalle gambe alle braccia bruciava intensamente. L'allenamento stava facendo effetto, temeva solo come si sarebbe sentito i giorni a seguire, era lì che il dolore avrebbe picchiato più forte.

Concedendosi qualche minuto di tregua, s'affacciò alle grandi finestre che permettevano un'ampia visuale sulle quattro strade che si presentavano attorno alla base dell'Intelligence; per un po' si soffermò a guardare il mondo che prendeva vita sotto di sé, dovevano essere già le otto visto il fermento che già circolava a Langley. Notò qualche viso familiare accedere alla base, i soliti professori del cavolo che dietro ai computer svolgevano un lavoro che poteva salvare tutto il  mondo da attacchi informatici ma fatali. Bello salvare gli altri senza rischiare niente, eh? Identità nascoste e culi sulla sedia, in una fortezza come l'Intelligence americana.

Stava parlando di Aris Jones, il classico nerd, taciturno, coccolato da mamma e papà, che aveva trascorso tutta l'adolescenza rinchiuso in una stanza a giocare ai videogiochi o simulando attacchi di hacker professionisti con tre computer sulla scrivania. Non sapeva perché gli stesse più antipatico di tutti gli altri collaboratori, all'apparenza sembrava un tipo sulle sue, a posto, calmo, dalla routine monotona, ma non gli piaceva. In tutti quegli anni avevano parlato si e no due volte, da lontano peraltro, come di recente tramite chip gli aveva chiesto come disattivare le telecamere della fabbrica abbandonata in Maryland, per soccorrere Newt. Le rare volte che lo aveva incrociato nella base, Thomas aveva sempre storto il naso, diffidente, e quello di tutta risposta, si trovava ad abbassare la testa e dileguarsi in fretta e furia.

Paradossalmente, anche in quel momento infatti, come se Jones avesse percepito gli occhi indagatori di Thomas a diversi metri di altezza su di sé,  accelerò il passo, quasi come se stesse scappando da qualcuno, affrettandosi per mettersi al riparo. Era un tipo stranamente misterioso, Thomas ne era sempre più convinto, soprattutto quando colse un insignificante e piccolo dettaglio.

Ricordava troppo bene le peculiarità di alcuni di loro. Aris lavorava per l'Intelligence da anni e non l'aveva mai visto senza la sua borsa color cammello che portava a tracollo, quel giorno aveva una valigetta nera stretta in una presa salda che portava in grembo come se pesasse al tal punto che trasportandola soltanto con il manico potesse rompersi. Era una novità. Una stupida novità, pensò. Certo che si concentrava sulle stronzate pur di non pensare, o almeno cercare di non far cadere i pensieri su una determinata persona.

Sbuffò, dando le spalle al mondo circostante che fluiva al di fuori di quella finestra. Doveva concentrarsi sulle proprie resistenze non sulle vite noiose di gran parte degli esseri umani. Rilasciò un soffio d'aria, ponendo l'attenzione sui prossimi esercizi; decise che si sarebbe arrampicato.

Munito con guanti appositi, per far sì che la presa non fosse scivolosa, senza preoccuparsi di attaccarsi in vita la corda di recupero, poggiò prima un piede e poi l'altro sui massi disposti in punti disparati. Fece leva sulle braccia, protendendo il corpo in avanti, simulando così una vera e propria scalata; certo, dopo le trazioni con già dorsali e bicipiti allenati quella non era l'attività più raccomandata, ma l'obiettivo di Thomas era proprio quello di distruggersi. 

Chissà, forse sarebbe crollato in tutti i sensi...Magari un'addetta alle pulizie o un collega avrebbero trovato il suo corpo steso a terra, privo di sensi per l'urto causata dalla violenta caduta. Beh,  se avesse funzionato per mettere in stand-by la sua testa, sarebbe corso a una soluzione drammatica  del genere, ma purtroppo, neanche quello avvenne, per quanto la stanchezza si stesse facendo sentire e gli occhi fossero leggermente più piccoli, appannati dal sonno. 

Arrivò in cima e vi scese diverse volte, senza sosta, una trottola in continuo movimento. Quando si rese conto che il respiro era dubbio, e le braccia non sarebbero state capace di reggere neanche una piuma, attaccò di nuovo ad allenare le gambe con una corsa al massimo sprint sul tapis roulant.

Gli arti inferiori scattavano in avanti, con essi le braccia per aiutarsi a non perdere il ritmo, l'asciugamano bigio che aveva arrotolata attorno al collo rischiò di cadere diverse volte. Il tappeto mobile pareva in difficoltà sotto i suoi piedi, il ragazzo sembrava riuscire anche ad andare più veloce di esso, sembrava quasi volasse o che stesse per cadere a causa dell'eccessiva velocità. Il sangue fluiva celere nel suo corpo dandogli una sensazione di sollievo, come se si fosse alleggerito dal peso invisibile che aveva dentro. Correre per lui era terapeutico.

Dopo i venti minuti di corsa continua e rigenerante e anche un po' distruttiva, e aver fatto riposare un po' le braccia, decise di stremarle nuovamente, riattaccando con le trazioni. Sembrava impazzito, uno che stava sfidando il suo fisico vedendo fino a che punto riuscisse a reggere tutta quella pressione. 

Si allungò alla sbarra, intento a battere il record di prima, non gli importava che i muscoli fossero in fiamme, e che quindi molto probabilmente avrebbe chiesto loro uno sforzo che non sarebbe riusciti a sopportare, doveva provarci. E riuscirci. Sollevò il proprio corpo e agganciato ai piedi aggiunse un bilanciere di 13 kg, digrignò i denti, tirando su entrambi i pesi: il proprio e quello dell'attrezzo. I dorsali e i bicipiti erano all'estremo.

Gli scappò qualche urlo di resistenza, ma non desistette. S'aggrappò ancor meglio all'asta, seppure i palmi delle mani cominciavano a bruciargli e dolergli in maniera impressionante. Quando rischiò di cadere, si rincuorò pensando a Newt. Cosa sarebbe successo se il biondo fosse caduto da un dirupo, e lui non avrebbe avuto la forza di afferrarlo? Bastò ciò a farlo riscattare e serrare i denti per non mollare. Quell'inglese era capace di stenderlo con uno solo sguardo e di trasmettergli una carica impareggiabili solo con il pensiero.

Un allenamento duro come quello lo aveva fatto poche volte in vita sua, non perché non ne fosse capace, ma chiunque bravo personal trainer per quanto lo spronasse a dare il meglio, sapeva che ci voleva allenamento e costanza, sopraffare avrebbe soltanto danneggiato il fisico. A lui non importava, non voleva allenarsi, voleva distruggersi. Crollare. Perdere completamente i sensi. Non capire più niente.

Era troppo concentrato a resistere con ogni particella di sé, a chiedere di più dal suo corpo che non sentì la porta aprirsi e un ticchettio delicato avvicinarsi sempre di più. Di fronte a sé, ai suoi piedi, due occhi scuri lo stavano scrutando attentamente dai capelli arruffati, scomposti e leggermente bagnati, alla fronte imperlata di sudore, per soffermarsi  all'espressione digrignata del suo viso,  un misto tra il sofferente e il rabbioso. 

I denti che affondavano nel labbro inferiore erano un'ulteriore prova che quell'allenamento lo stesse totalmente distruggendo, era palese che Thomas Edison stesse chiedendo dal suo fisico più di quello che potesse davvero offrirgli. La canottiera nera, immacolata a inizio allenamento, ora da sudaticcia aderiva perfettamente all'addome scolpito, rivelandosi una visione paradisiaca per chiunque lo guardasse.

Quando intravide la sagoma della donna davanti a sé, spalancò del tutto gli occhi, dai piedi gli scivolò il bilanciere che a terra fece un pesante tonfo e un lieve stridio. Lasciò la presa, atterrando sui due piedi proprio come un atleta. 

A pochi passi da lui c'era Brenda che finse di restare colpita dalla sua agilità. Quanto fosse scattante ed esibizionista Thomas Edison lo sapevano tutti, ma lei adorava comunque mostrargli il suo piacere vedendolo.

La segreteria indossava una giacca color bianco panna, una camicia del medesimo colore con il colletto merlettato e svasato e una gonna a tubino beige fasciava il fisico leggermente sinuoso fino alle ginocchia, dei tacchi di circa dieci centimetri con il cinturino latteo circuivano le caviglie. Gioielli in perla arricchivano sia il suo collo che le orecchie. 

I capelli che quella mattina aveva fatto leggermente mossi erano raccolti in una lunga coda di cavallo e un leggero trucco le dava quel tocco di colore in più, Brenda non aveva mai avuto bisogno di incipriarsi tanto, la sua carnagione era già bella olivastra e lei poi...era già di suo una bella ragazza.

Elegante, a modo, capace di svolgere brillantemente il suo lavoro, ma a Thomas non piaceva. Come non gli era piaciuta Teresa, e solo al pensiero che in passato gli era saltato in mente di inscenare un fidanzamento ufficiale, si sentì così stupido. Tralasciando le rivelazioni scioccanti su Teresa, c'era da dire che aveva comunque una sua bellezza, e anche Brenda, d'altro canto. Due bellezze differenti che avevano un difetto. Nessuna delle due era un ragazzo, né si chiamava Isaacs Newton.

«Mi era abbastanza strano come Lillian che a stento sa di questo piano fosse qui, addirittura ad allenarsi.» Proferì, il sorrisino accennato mostrava la sua dentatura perfetta e ben curata. Si vedeva che era davvero felice di vederlo alla base, o soltanto vederlo, in quel vestiario soprattutto. 

A volte Brenda non riusciva per niente a contenersi, né nascondere i suoi occhi languidi e lascivi, il suo atteggiamento poteva rasentare il ridicolo proprio come una fan fuori di sé davanti al suo attore o cantante preferito.  Il ragazzo si mostrò lusingato, raggirando l'imbarazzo diede una fugace occhiata all'orario, per rendersi conto quanto tempo avesse a disposizione per la fuga. Il fatto che la ragazza fosse lì significava che mancavano pochi minuti alle nove e all'arrivo della stronza, il suo capo. 

«Sei sgamabile, Edison.» Dichiarò con tono piatto, le braccia incrociate al petto, mentre lo sguardo vagava sui suoi movimenti lenti, su come facesse scivolare l'asciugamano attorno al collo, per asciugarsi la nuca. Avrebbe voluto asciugargli quella cosa disgustosa come il sudore? Sì, Brenda lo avrebbe fatto. Lo stavo immaginando.

Quando Thomas d'improvviso sollevò gli occhi, incatenandoli in quelli scuri di lei, impacciata deviò lo sguardo, volgendolo dal pavimento agli attrezzi. Le guance si erano improvvisamente colorate di rosso per la vergogna.

«E un piacere per gli occhi. So che l'hai pensato.» Sussurrò, avvicinandosi a piccoli passi e permettendo che tra loro ci fossero solo pochi centimetri. Niente, per quanto ci provasse, e per quanto Brenda fosse davvero bellissima, era inutile. Aveva una grande difetto: non era lui. E sicuramente, se avanti si fosse trovato un ragazzo esteticamente bello, l'avrebbe pensata uguale.

Lui voleva Isaacs Newton, con ogni parte di sé. Si era allenato fino a non reggersi in piedi, aveva stancato mente e corpo, e probabilmente se si fosse ricoricato, non sarebbe comunque riuscito a prendere sonno, il giorno prima si era anche scolato diverse birre, ma nulla era cambiato. Newt restava il suo più grande desiderio, la paura più grande, il desiderio immenso.

«Non ci posso credere, sei appena tornato e già ti comporti da stronzo.» Obiettò lei, sviando la tensione, o almeno ci provò perché era praticamente impossibile mostrarsi ferma e decisa quando a pochi passi da lei si trovava la più grande cotta. Indietreggiò di due passi, indispettita.

«Non puoi cambiare la mia natura, Brenduccia.» Rispose tutto d'un tratto con un sorrisetto inquietante, a tratti malizioso; con le nocche dell'indice e del medio le afferrò la guancia destra, dandole un lieve pizzicotto.

La ragazza, per quanto desiderasse  che quel tocco si approfondisse, si scostò nuovamente come se l'avesse bruciata. 

«Se stai cercando di abbindolarmi, per nascondere che sei stato qui, non funziona. Comunicherò a Lillian di questa tua infrazione.» Sollevò un sopracciglio e le braccia incrociate al petto fecero capire a Thomas che non fosse bendisposta.

«Che bel bentornato che mi dai, wow! Dall'email sembravi preoccupata e ora che sono qui, vuoi cacciarmi.» Sbuffò, strofinandosi l'asciugamano dietro la nuca e sotto le ascelle. Brenda cercò di avvertire nell'aria l'alone di sudore, un puzzo particolare, ma seppur concentrò le narici, non trovò niente, anzi, c'era solo profumo di freschezza, pulizia e di virilità. Sbuffò, infastidita, come poteva detestarlo? Possibile che Thomas non puzzasse?

«Sei stato sospeso, non dovresti essere qui, né tantomeno eludere i pass con la copia di un badge non tuo. Non è da regolamento, anzi è punibile, per non parlare che hai usato il badge di Lillian.» Enunciò glaciale, infastidita dal comportamento immaturo che Thomas assumeva ogni tanto; poi, inaspettatamente, cacciò dalla borsa una bottiglietta d'acqua naturale e gliela porse.

Brenda preferiva l'acqua frizzante, era ovvio che quella bottiglia non l'avesse comprata per sé stessa. Thomas fu sicuro che l'aveva visto dalle telecamere, o avesse capito il giochetto del badge e  si fosse fermata appositamente al distributore per prendergliela. La ringraziò con un tacito sorriso, e in un batter d'occhio la scolò, fregandosene delle buone maniere. Bevve con tanto desiderio che alcune gocce sfuggirono alla sua bocca, cadendo sulla t-shirt, unendosi a quelle di sudore.

«Se vuoi...puoi punirmi tu.» Disse poi, spiazzandola. Era talmente fuso che neanche capiva cosa stesse dicendo o facendo. Stava provocando Brenda, ma perché? Cosa voleva fare con lei? Cosa voleva succedesse tra loro due? Erano da soli, all'ultimo piano dell'Intelligence, e quell'argomento stava prendendo davvero una strana piega.

Bastò quella frase per mandare in corto circuito il cervello della segretaria. Era sicuro che non fosse l'unica a immaginarsi le peggiori perversioni con il ragazzo con un chip sotto pelle, ma se le diceva quelle frasi, da soli, poteva perdere il controllo, o no? Sarebbe stata giustificata, magari il suo non sarebbe stato più un sogno.

«Che diamine stai dicendo? La palestra ti ha bruciato le rotelle? O nell'acqua c'era qualcosa di sospetto?» Aggrottò la fronte, confusa, completamente destabilizzata. Thomas non le aveva mai dato segnali di quel genere, anzi a volte credeva di non esistere per quanto per lui fosse invisibile.

«So che vuoi baciarmi da tutta la vita, beh...fallo.» Okay, era totalmente in tilt. A che gioco stava giocando? Ah sì, certo voleva raggirarla per nascondere la verità a Strand, voleva usarla, prendersi gioco di lei. Brutto meschino stronzo!

«Pensi davvero che per un tuo bacio io non dica a Lillian che sei stato qui? Ti credi così Dio?» La ragazza sgranò gli occhi, a incredula di ciò che stava ascoltando. 

«Lillian sa già che sono stato qui, bambolina. Non è una stupida, la notizia che qualcuno ha fatto accesso con le sue credenziali le sarà giunta appena sono entrato. E sa chi fa questi giochetti...»

«Non chiamarmi bambolina.» Troncò, alzando la fronte e sfidandolo con lo sguardo. «Se è come dici, perché vuoi che io ti baci? A quale scopo, agente Edison?» Balbettò le ultime parole, sconvolta. Era sicura di essere diventata rossa in viso. Il fatto è che lei ci aveva davvero creduto, in passato aveva davvero sperato che un giorno lui l'avesse finalmente vista, innamorandosene.

Thomas per lei era una divinità, lo idolatrava da sempre. Amava davvero tutto di lui, dalla bellezza all'umorismo, aiutava sempre i più deboli seppure si fosse costruito la facciata da stronzo menefreghista. Il carattere era un po' da migliorare, ma comunque aveva una sua particolare personalità. Era l'ideale di ragazzo che aveva sempre sognato da bambina, ma era tutto così diverso tra sogni e realtà. E quelle attenzioni che lei desiderava per sé, lui le riservava a qualcun altro, le era stato così chiaro...

A2 esitò, poi si grattò la nuca. A dire il vero se ne era pentito il secondo dopo averla pronunciata quella frase. Era una di quelle che gli era uscita di sbotto dalla bocca senza passargli per la testa, gli era apparsa divertente e così l'aveva sputata fuori. Senza pensarci. 

Una minima parte di sé avrebbe davvero voluto creare una  simile situazione, solo per vedere se Brenda gli facesse qualsiasi tipo di effetto. Lei era molto bella, una ragazza da un sex appeal elevato , e lui in quanto ragazzo, avrebbe dovuto provare qualcosa, in minima parte. Non era possibile che il suo ventre reagisse soltanto in presenza di quel biondo inglese.

«Mah... scherzavo, l'ho detto così...al massimo me lo sarei fatto dare sulla guancia.» Sviò, continuando a grattarsi impacciato le braccia scoperte.

«Era ovvio.» Rispose lei, trattenendo un accesso di risata scaturita dal nervosismo. «I baci non si chiedono. Si danno d'impulso, prorompenti, altrimenti non sono sinceri. Te ne freghi dei blocchi mentali che ti poni.» Rimproverò con talmente tanto impeto che Thomas per quanto non volesse vedere, vide. Capì. Brenda desiderava con tutta sé stessa che lui le desse quei baci, che la prendesse con tutta la passione che aveva in corpo, ma per quanto fosse brillante, non avrebbe mai acceso in lui quella fiamma.

«Che vorresti dire?» La incitò comunque a continuare. Doveva iniziare a fare i conti con la realtà, ad affrontare le persone, non come aveva fatto con Newt. Sarebbe arrivato il momento in cui non sarebbe neanche più potuto scappare da lui.

Se lei le avesse rivelato i sentimenti a senso unico, quasi certamente, con la stanchezza e la poca lucidità dopo quell'estenuante allenamento, lui da amico si sarebbe aperto, sfogandosi, magari indelicato, le avrebbe anche chiesto aiuto su come fare per dichiararsi. Voleva rivelare la verità, liberandosi una volta e per sempre dal segreto che aveva cercato di sopprimere nel corso del tempo ma che era salito a galla come un tappo di sughero.

Sperava che Brenda gli gridasse in faccia quanto fosse stronzo e insensibile, ma lei non lo fece. Gli era bastata quella frase buttata lì a farlo riflettere, schiarendo dubbi a cui avrebbe già dovuto rispondere da tempo: i baci si danno d'impulso, altrimenti non sono sinceri. Quante volte aveva desiderato baciare Newt all'improvviso, beh...impossibile ricordarlo, aveva perso il conto.

Brenda ingoiò un groppo di saliva, mandando giù tutto ciò che non andava. «Che non posso cambiare la tua natura.» Riprese con un filo di voce, accennando un mezzo sorriso compiaciuto. Quella frase era stata così inattesa. L'aveva completamente asfaltato. «E anche se per poco, bentornato, stronzo.» Aggiunse infine, con un sorriso più largo e fiero; gli fece un occhiolino e dopo avergli dato una forzuta quanto inaspettata pacca sulla spalla, che lasciò Thomas con gli occhi di fuori, si voltò, dirigendosi verso l'uscita della palestra.

Lei abbandonò la stanza e Jorge fece capolino, sembrava quasi che quei due si fossero messi d'accordo, anzi sicuramente avevano organizzato tutto, perché Thomas sentì a chiare lettere che la minuta ma cazzuta ragazza proferì; «Tutto tuo.» Quei due avevano sempre fatto squadra alle sue spalle e quando c'era Minho si univa anche lui. Tre contro uno era praticamente impossibile ogni volta.

Ma in quel momento c'era Jorge, pericoloso anche da solo, chiuse la porta alle sue spalle in assoluto silenzio. Erano rimasti soltanto loro due.

Thomas lo accolse con un accennato sorriso sornione, non riuscendo a smettere di pensare alla frase di Brenda. Fu sicuro di una cosa quando i suoi occhi si posarono sulla sua figura che lasciava la stanza: non l'aveva mai vista camminare così sicura su quei tacchi.

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