11. Your lips

11.Le tue labbra

Per i due agenti raggiungere l'aeroporto non fu un problema, a parte le occhiatacce ficcanaso che ricevettero dai passanti che incontrarono durante il tragitto.

Con quei lividi sul viso era impossibile passare inosservati, davano l'impressione che si fossero acciuffati a vicenda e adesso, come se niente fosse camminavano l'uno al fianco dell'altro.

Newt si reggeva a stento in piedi, aveva cominciato ad avvertire fitte al costato destro, probabilmente anche lì vi stava nascendo un livido, ma nonostante i dolori lancinanti, le fitte all'addome, e un senso di malessere non era in collera con Thomas, il quale aveva scaricato su di lui tutta la rabbia e la frustrazione, trattandolo da capro espiatorio.

Edison, che moralmente era distrutto, a contrario del collega, riusciva a mettere un piede dopo l'altro seppure il suo equilibrio lasciasse a desiderare, per non parlare del resto... ancora più discutibile; l'alito cattivo era il risultato di un insieme di alcol che davano la nausea solo a sentire, figurarsi a bere.

I pantaloni gli andavano decisamente troppo larghi a differenza di come Newt ricordava, le alternative erano due: o erano di qualche taglia in più, o si era ridotto solo ad alcol eliminando il cibo, il che era preoccupante.

Inoltre, la felpa che indossava, aveva al centro del petto una piccola ma visibile chiazza di sangue, che sommata ai lividi e al labbro spaccato gli riservavano inevitabilmente l'aria da bad boy, sì... figo ma inquietante.

A conti fatti, Newt escluse che il sangue fosse il proprio, giacché la chiazza sulla maglia del moro non era fresca.

I due giunsero all'aeroporto alle 3:30 p.m, impiegando poco più di dieci minuti per comprare il biglietto.

L'attesa per imbarcarsi, invece, ne durò circa venti, nei quali nessuno dei due osò rivolgere un'occhiata o una parola all'altro, neanche ad accennare alla più stupida conversazione, come parlare del tempo o esprimere pareri sui locali messicani molto simili tra loro.

Newt ritenne una buona idea recarsi in bagno, non solo avrebbe smaltito la tensione ma il tempo sarebbe passato più velocemente, doveva soltanto decidere se sparire o avvisare Thomas del proprio allontanamento; dopo diversi tentennamenti, scelse la seconda opzione, dopotutto si erano chiariti e sembrava esserci una sorta di "tregua".

«Vado a darmi una sistemata.» bofonchiò a voce bassa, Edison scosse il capo in cenno di aver capito, poi si allontanò rapido come se stesse scappando via da una tarantola.

Fu un vero trauma specchiarsi, quasi dovette reprimere un urlo. «Un quadro di Pablo Picasso sarebbe più bello e interessante.» sentenziò rigido, calcando con l' indice il graffio che inspiegabilmente si era trovato sotto l'occhio sinistro.

Gli era chiaro che Edison lo avesse malmenato, ma aveva avvertito solo pugni, non graffi felini.

«Ci vorranno delle settimane per farli andare via.»constatò amareggiato riferendosi ai lividi e a quello strano graffio; afferrò della carta igienica, la imbevette sotto il getto d'acqua, e la portò a pulire le narici ancora intrise di sangue.

Non aveva un bell'aspetto, ma guardando il lato positivo della storia non aveva riscontrato fratture alle costole o al setto nasale; con un po' di fortuna, i lividi sarebbero andati via nel giro di qualche settimana, lo stesso per il graffio, per i capillari rotti invece avrebbe continuato a vivere tranquillamente senza problemi.

Gettò la carta sporca nel water e, dopo essersi sciacquato le mani, uscì. Sorrise impercettibilmente, vedendo Thomas a pochi passi, di spalle. Era rimasto lì, quasi come se lo avesse aspettato.

Tornò da lui e il moro gli rivolse un'occhiata del tipo: "Finalmente, sei più presentabile", come se fosse dipeso da lui finire in quello stato pietoso.

Lasciò stare, indeciso se intraprendere una conversione con il pretesto di chiedergli novità sul volo; poteva capitare che ritardasse o che addirittura fosse spostato.

In fondo, da quando era entrato alla CIA, si sentiva continuamente perseguitato dalla sfortuna, non si sarebbe per niente meravigliato di un tale fuori programma.

Quando finalmente si decise a parlare, una voce riecheggiò dall'altoparlante avvisando che l'aereo diretto Messico era appena arrivato.

«Buon volo.» Augurò sbrigativo il biondo, incamminandosi rapido verso la porta dell'aereo.

S'imbarcò direttamente, dirigendosi verso il proprio posto; vicino all'oblò, per uno che soffriva di vertigini e odiava l'aereo, non era chissà quanto emozionante. 

Poggiò la borsa al sediolino accanto, ma non ebbe neanche il tempo di prendere il cellulare per spegnerlo che dovette spostare lo zaino, tra tanti posti liberi c'era chi voleva sedersi accanto a lui.

«Desculpe.» scusò, mettendo la borsa sulle ginocchia e alzando il capo.

S'immobilizzò vedendo che si trattava di lui. Lo stupore gli mozzò le parole in bocca, percependola improvvisamente secca.

Non si aspettava che tra tanti posti, Thomas occupasse proprio quello accanto al suo, non l'aveva proprio messo in considerazione.

Lo guardò sorpreso e si meravigliò notando che la medesima intensità era ricambiata.

A differenza del ritorno dall'India, stavolta gli occhi del bruno erano scoperti dagli occhiali, e non trasmettevano un'aria furibonda, bensì una più calma.

«Non farti strane idee, ancora non ti ho perdonato.» ammonì, occupando posto e sistemando lo zaino a terra, tra le gambe.

«Quando sono fuori, non mi fido molto, cecchini, ladri, drogati ... » aggiunse, come se stesse facendo la lista della spesa«e poi l'hostess di terra mi ha riservato il posto accanto al tuo.» sbuffò, socchiudendo gli occhi.

Era visibile lontano un miglio che fosse stremato, non che Newt stesse meglio fisicamente, ma Thomas era distrutto anche psicologicamente.

A5 capiva il trauma e la sofferenza nel vedere una persona cui tieni saltare in aria. Era capitato anche a lui sebbene non conoscesse Teresa, figurarsi a Thomas che c'era legato.

L'inglese boccheggiò, titubante, non sapeva cosa dire, ma non voleva neanche continuare il silenzio imbarazzante. Voleva approfittare di quel minimo dialogo per parlare di tante cose. 

Quel viaggio avrebbe potuto rivelarsi utile per chiarirsi, magari avrebbe scoperto lo stato d'animo di Thomas, quello che gli passava per la testa, ciò che aveva fatto in quei giorni, a parte gironzolare mezzo ubriaco per le strade degradate del Messico.

Sospirò, provando a non fare scemare il discorso, essendo più naturale possibile.

«Non preoccuparti, so cavarmela.» sbottò, scrollando le spalle. Si voltò in direzione di Edison che gli stava riservando un'occhiataccia, un misto tra menefreghismo e l'offeso.

«Non sono preoccupato per te.» sbraitò di risposta, sdegnato.«È che non mi va di fare altri spiacevoli incontri.» espose poi, indicando la guancia colorata dal livido violaceo.

Newt sollevò le sopracciglia, sgranando gli occhi per fingersi colpito.«Oh capisco, ma almeno a te hanno pestato degli sconosciuti.» ribatté sarcastico per poi portare lo sguardo fuori dal finestrino.

A breve l'hostess avrebbe comunicato il decollo, doveva stringere bene le dita attorno ai braccioli dei sediolini se non voleva gridare come una femminuccia.

«Ti lamenti anche?» istigò il più piccolo, spaparanzandosi e mettendo una gamba sull'altra, stile zotico. Newt provò a mantenere la calma, senza rispondere alla provocazione.

Che cosa aveva detto poco prima? Doveva parlare con lui e provare a chiarire? No, grazie. Aveva notevolmente cambiato idea, e doveva troncare la conversazione al più presto o avrebbe rischiato di strangolarlo.

Dopo l'avviso comunicato dal pilota, e la prassi delle cinture di sicurezza valide, l'aereo cominciò a innalzarsi in volo, facendo sussultare il biondo.

Si voltò alla ricerca di qualche distrazione, sua fortuna trovò una ragazza dai capelli bruni raccolti in una coda, il corpo fasciato dalla divisa blu tipica dell'assistente di volo. L'avrebbe raggiunta per acquistare una bottiglia d'acqua.

Si alzò con un po' di difficoltà giacché Terminator era stravaccato e, le sue gambe, lunghe e atletiche, potevano rivelarsi un vero e proprio pericolo; poteva inciamparvi o quello, desideroso di continuare a torturarlo, poteva fargli uno sgambetto.

Si limitò a rivolgergli occhiate in cagnesco, senza proferire alcuna parola, Edison sbuffò riluttante, tornando in una posizione adeguata per affrontare un viaggio in aereo. Appena superate le gambe del moro, Newt fu nel piccolo corridoio.

Il viaggio stava procedendo bene, quindi non pensò di aggrapparsi ai braccioli o ai poggi testa dei sediolini vuoti. Errore. Grosso errore.

Aveva sempre odiato gli aerei, gli procuravano mal di testa, nausea, e avvertiva lo stomaco sottosopra.

Era un mezzo instabile e poco sicuro, eppure non avrebbe mai pensato che mentre era lì, in piedi, pronto a raggiungere l'hostess con il carrello degli snack e delle bevande, avrebbe perso l'equilibrio.

Ecco la sfortuna manifestarsi sotto una forma che non aveva messo in considerazione:una turbolenza non segnalata.

Non ebbe tempo di metabolizzare il movimento sotto i suoi piedi che fu scaraventato in avanti, violentemente. Nella caduta gli scappò un urlo che provò a contenere quanto più possibile, tremante, chiuse gli occhi, cominciando a sudare per il panico.

Percepì lo stomaco chiudersi in una morsa, la paura serpeggiava nelle membra per il brutale incontro con il pavimento. Stranamente non avvenne.

Sentì l'impatto di una stretta, qualcosa all'altezza dell'addome lo aveva bloccato, evitando il brusco urto tra il suo viso e la moquette azzurrina dell'aereo.

Aprì lentamente gli occhi, il respiro corto e il pallore in viso. Aveva sempre temuto gli aerei, ma dopo quell'avvenimento dubitava fortemente che vi fosse salito di nuovo.

«So cavarmela, eh?» stuzzicò una voce irritante, anche dopo quello shock riusciva a riconoscerla. Schiuse completamente gli occhi, il cuore in gola e il terrore nello sguardo. Alzò il capo verso sinistra, in direzione di Thomas.

Guardò il ragazzo e la traiettoria del suo braccio. Il cuore ebbe un nuovo tuffo quando capì che era stato Edison a evitare che avvenisse l'incidente.

«Sei impallidito all'improvviso, tutto bene?» chiese poi, scostando i capelli dorati dalla fronte marmorea del più grande.

Un nuovo brivido di eccitazione mischiato alla paura del momento. Lo stomaco era sottosopra come ogni volta che prendeva l'aereo, ma stavolta lo avvertiva attorcigliato e invaso da migliaia di farfalle. Le guance erano sicuramente rosse, le sentiva andare a fuoco.

Inizialmente preferì starsene in silenzio, avrebbe sicuramente balbettato e detto cose senza senso; provò a tornare su due gambe, aggrappandosi ai poggia testa.

«Non mi preoccupo per te, eh?» ribatté Isaac punzecchiante, proferendo le medesime parole che prima il bruno aveva detto su di sé, rimettendosi in piedi e avvertendo un freddo incredibile una volta allontanato il braccio di quello dal suo addome.

«È per avermi salvato la vita.» sbottò inaspettatamente il moro, sollevò il capo dapprima basso portandolo sulla figura del più grande.

Quell'affermazione fece spalancare gli occhi del biondo, che si precipitarono a fissare quelli del più piccolo. Thomas gli stava rivolgendo un'occhiata quasi... amichevole(?)

«Faresti bene a sederti, non ti salverò di nuovo, principessa.» avvisò, fingendo una risata per il "principessa".Era tornato Thomas lo stronzo di sempre.«Tra poco l'hostess tornerà e potrai prendere la tua bottiglia d'acqua.»

Newt corrucciò la fronte, non gli sembrava di aver accennato che avesse sete.«Come, come hai fatto a saperlo?» domandò sbigottito una volta seduto e allacciato la cintura.

Poteva capire che Thomas avesse un chip nel cervello, ma come faceva a sapere che aveva sete e quindi doveva comprare una bottiglia d'acqua?

Il più piccolo abbozzò un sorriso sghembo, vantando la sua aria da saputello.

«Intuizione ...» lasciò in sospeso, per poi guardare il collega in modo profondo e che forse non aveva mai fatto.

Newt sentì la bocca andare a fuoco, era possibile che il moro gliela stesse fissando o era soltanto sua impressione? Deglutì, turbato. «Le labbra ...» sussurrò Thomas, lentamente «Hai le labbra screpolate ...»concluse infine, curvando la bocca in quello che a Newt parve tanto un sorriso;uno dalle sembianze paradisiache, ma che era l'accesso al suo inferno, all'ossessione e ai sogni erotici, gli stessi che lo facevano sudare la notte e sussurrare senza alcun controllo il nome di Thomas. 

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Il più piccolo lo mandava decisamente fuori di testa.

Il modo in cui lo aveva afferrato per i fianchi evitandogli la caduta, scostato la ciocca bionda dalla fronte, e detta la frase delle labbra in modo soave, gli aveva fatto battere fortemente il cuore, oltre che a dare inizio a un' imbarazzante pulsazione nelle sue mutande.

La cestinò, pensando a cose brutte, del tipo: un incidente aereo e la morte di tutti i passeggeri, aiutandosi anche a non voltarsi in direzione di Thomas, meno avrebbe visto la sua aria da bello e dannato-anche con un livido color melanzana sulla guancia-meglio sarebbe riuscito a frenare l'eccitazione.

Sembrava riuscirci.

Non avevano più parlato dopo che il più piccolo aveva accennato alle sue labbra screpolate. Newt aveva finto interesse al cielo, anche se più lo guardava più la paura di cadere aumentava.

C'erano stati attimi in cui terrorizzato per essere sospeso in aria, le mani avevano cercato automaticamente un appiglio, aggrappandosi fortemente ai braccioli, stringendo diverse volte gli occhi, terrorizzato.

Era sicuro che l'altro se ne fosse accorto, e per questo si sentiva un idiota. Era saltato dal terzo piano infrangendo una vetrata, cosa c'era di tanto diverso?

Dal nervosismo poté giurare che a momenti gli si sarebbe caduto il labbro, non solo era già spaccato -per via dei colpi inflittogli dal moro - ma pareva proprio intenzionato a staccarselo a morsi. Ogni cinque secondi, portava nervosamente lo sguardo all'orologio, sbuffando silenziosamente nel constatare che mancava ancora molto.

Quando il pilota annunciò di essere arrivati e che a breve sarebbe iniziata la fase di atterraggio, ogni parte di sé gioì.

Scesero dall'aereo nello stesso modo in cui vi erano saliti, senza parlare o guardarsi, solo quando furono fuori dall'aeroporto, Thomas indicò un taxi, facendo intuire a Isaac che avrebbe preso quello, Newton acconsentì con il capo, abbozzando un sorriso non troppo pronunciato. Sì, forse quello era una sottospecie di saluto.

Dopo che il più piccolo fu salito nella vettura gialla, e sparito dietro l'angolo, Newt accese il cellulare, digitò un messaggio, corto ma conciso, e lo inviò alla base: "Interrompete le ricerche, Thomas è a Langley."


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Svegliarsi il giorno dopo fu traumatico.

La sera precedente era andato a dormire tardi, sia perché aveva continuato la pulizia che aveva iniziato con Minho sia perché nel frattempo delle faccende la sua mente aveva rievocato gli istanti con il moro: dal litigio a quell'aiuto che non riusciva a togliersi dalla testa.

Thomas lo aveva sfiorato all'addome ed era andato in estasi, figurarsi se fosse stata una parte più sensibile.

Era ovvio che Edison non gli fosse indifferente, aveva ripensato a lui tutta la sera e la notte, ragion per cui si era appisolato tardi, e motivo per cui stava imprecando già a prima mattina. Erano le 8:40, sicuramente era tardi per essere in ufficio alle nove in punto.

«Perché quella caspio di sveglia non ha suonato?» strillò melodrammatico, buttandosi giù dal letto. Non poteva attribuire colpa a un oggetto inanimato, dopotutto era stato lui a non averla impostata.

«E anche stamattina si fa colazione domani.» borbottò nel soggiorno, rivolgendo un'occhiata amareggiata alla cucina, mentre con solo indosso i boxer e a piedi nudi, cercava i vestiti che avrebbe indossato.

Nel pieno della sua crisi esistenziale sul vestiario che avrebbe indossato quella giornata, il telefono prese a squillare continuamente. Spazientito, schiacciò il pulsante segreteria, chiunque fosse non aveva tempo per parlare.

«Che fine hai fatto? Lillian verrà a momenti, non voglio metterti ansia, ma faresti bene a muovere il culo.» Anche quella volta Minho era rassicurante. Newt aggrottò le sopracciglia, era prima mattina e già non ne poteva più.

«Dove caspio sono i calzini?»urlò rabbioso come se condividesse l'appartamento con qualcuno, era in momenti come quelli che gli mancava Ben; il barista lo svegliava, gli preparava la colazione, lo accompagnava a lavoro. Si rendeva utile in linea generale, non solo a letto (anche se non era il massimo del divertimento).

Corse in bagno per lavarsi i denti e sciacquarsi il viso. Notò con amarezza che da un giorno all'altro i lividi erano sempre gli stessi, non avrebbe potuto fare molto per nasconderli, quindi pensò di sfoggiarli in modo sorridente e fiero, come un trofeo.

Lanciò un'occhiata all'orologio indossato al polso, in preda al panico.«Non posso fare ritardo il primo giorno di lavoro dopo le ferie!» dichiarò frettoloso, passò una mano tra i capelli per sistemarli, afferrò in un lampo le chiavi dell'auto, e uscì dall'appartamento.

Come previsto rimase bloccato nel traffico per dieci minuti, arrivando alla base dell'Intelligence alle 9:15; corse all'ascensore, lanciando saluti rapidi a chiunque incontrava, e digitando finalmente il numero due.

Era l'unico in ascensore e ne approfittò per sistemare il colletto della camicia e le grinze del pantalone nero che non aveva avuto tempo per portare in lavanderia.

Appena si aprirono le ante trovò Minho alla hall, più nello specifico alle prese con la macchinetta del caffè.

«Dopo una settimana di pacchia, il nostro A5 si degna di venire a lavorare con quindici minuti di ritardo.» enunciò a gran voce con un ghigno simpatico in volto, attirando l'attenzione dei presenti sull'inglese, che arrossì per l'imbarazzo e sgattaiolò in direzione del coreano.

«Minho, non sai cosa ho dovuto passare. » sussurrò al suo orecchio, tirandolo per il braccio e allontanandolo dalla stanza affollata.

«So eccome. La tua faccia dice tutto.» notò, reprimendo un ghigno fuori posto.

«Ah guarda, meglio lasciar stare... Lillian dov'è? Immagino voglia vedermi. » dedusse il ventisettenne, con il cipiglio annoiato, pronto e preparato per una sicura strigliata. 

Il capo dell'Intelligence lo aveva strigliato abbastanza quando era andato in India, avrebbe affrontato una discussione simile per essersi diretto in Messico senza avvisare la base.

«Infatti, è passata alle nove in punto, ha detto che qualora ti fossi scomodato a venire a lavoro, Brenda avrebbe dovuto avvisarla, poi ci avrebbe raggiunto nella sala conferenze. A quanto pare deve dire delle cose a te, a me e a Thomas.» informò, sorseggiando il suo caffé caldo.

«Hai fatto colazione?» domandò poi, scrutando attentamente il biondo di fronte a sé.

«Ma figurati ... la sveglia non ha suonato, non trovavo i vestiti, il traffico...Credo che mangiare sia l'ultimo dei miei pensieri.» ragionò, toccandosi la fronte. Era stato a casa per ben sei giorni in una monotonia totale, al settimo aveva affrontato missione: "ritrovamento di Thomas", e sembrava già a corto di energie.

«Io credo tu debba rilassarti, ma seriamente. Niente spionaggio, ma neanche coma stato vegetativo sul divano. Ti ci vorrebbe una vacanza e... molto sesso.» concluse a bassa voce, smorzando un sorriso, uno di quelli che a Isaac fece pensare, molto.

In realtà Minho non aveva tutti i torti, era da qualche tempo che non andava in vacanza seriamente. 

Per non parlare che da quando era entrato nell'Intelligence, la sua vita era peggiorata, molte cose gli erano andate storte, tra cui proprio il sesso.

Aveva avuto diversi incontri occasionali con Ben, ma era stato soltanto uno sfogo, se ne era reso conto soprattutto da quando i suoi occhi erano finiti su Thomas, dando inizio a film erotici mentali, gli stessi che lo avevano portato ad allontanarsi dal barista, approfittando della scenata di gelosia.

«Comunque scusa se io e Chuck siamo andati via da casa tua senza lasciarti un avviso, ma ho dovuto accompagnare urgentemente mia nonna all'ospedale, ha rischiato di avere un infarto ieri pomeriggio.» avvisò, l'espressione incerta e lo sguardo vago.

«Ah, mi dispiace...spero si rimetta.» rispose banale l'inglese a corto di consigli, era da tempo che non vedeva i suoi familiari e dubitava fortemente che alcuni di loro fossero ancora vivi, tipo i suoi nonni.

L'asiatico smorzò un sorriso di circostanza, abbozzando un'espressione più serena, divertita, come suo solito. Newt si girò attorno, lo sguardo sembrava tanto alla ricerca di qualcosa o forse qualcuno.

«Ancora non è arrivato.» avvisò l'asiatico, avviandosi nuovamente verso la macchinetta del caffè, immettendoci degli spicci. Newt lo seguì, il cipiglio corrucciato in un'espressione confusa.

«Chi?» domandò l'inglese, esterrefatto. Era così palese che fosse in cerca di Edison?

«Non fare il finto tonto, sai benissimo a chi mi riferisco.» tagliò corto, quasi innervosito. Il biondo spalancò la bocca, bloccato sul tempo. «Oh cazzo, Newt ... » imprecò rattristato. L'inglese inarcò il capo, stupito da quella reazione. «Capisco che ci conosciamo da poco, ma già mi sono affezionato a te, ti ho aiutato, portato la cena a casa, gran parte l'ho mangiata io ma apprezza il pensiero... Ti ho anche parlato di una relazione tra due uomini e tu ne hai fatto un problema, poi cazzo, vado nel bagno di casa tua, e mentre apro i cassettoni per trovare la carta igienica, ci trovo un pene enorme...finto, per fortuna.» enunciò di un'ottava, gli occhi sgranati dalla sorpresa e da anche un po' di terrore.

Newt era scioccato e profondamente in difficoltà, ma almeno aveva avuto il buon senso di tappare con la propria mano la bocca dell'asiatico.

Era sbiancato dalla figuraccia, dal terrore che potessero deriderlo, allontanarlo, ma ringraziò il cielo perché, anche se il collega aveva blaterato a voce alta, nessuno sembrava averlo sentito e preso in considerazione. Lee si svincolò dalla presa, offeso.

«Ho pensato che fosse un gioco perverso tra etero, ma era molto più probabile l'ipotesi che tu fossi... Poi ho collegato tutti i pezzi, da come quel rossiccio aveva corso da te la sera in cui fosti sparato al Barcode, e dal modo in cui ti crucci per Thomas, che diciamocela tutta non vedi come un collega protetto, né vorresti che fosse tuo amico.» analizzò, aprendo lo sportello della macchina per prendere il caffè.

Newt sbuffò sonoramente, portando la mano tra i capelli per spostarli all'indietro.

Avrebbe preferito cancellare quel momento, svenire o dissolversi nel pavimento ma niente di quelle possibilità era concepibile, poteva fare soltanto due cose: ammettere o mentire spudoratamente, anche se era abbastanza complicato spiegare come quel dildo fosse finito in casa sua. 

Se Minho gli avesse giurato di mantenere il segreto, avrebbe potuto confidarsi senza torturare il cervello di paranoie, il problema sorgeva se il coreano, peggiore di un'oca, avesse rivelato tutto a tutti.

«Okay, lo hai scoperto. » ammise arreso a bassa voce e a capo chino. Non avrebbe tolto né aggiunto qualcosa, Minho sembrava già abbastanza informato. Lanciò una rapida occhiata intorno, per assicurarsi che non ci fosse nessuno attorno, e a bassa voce sussurrò «Sono gay.»

«Cazzo, sì! Sono un genio! » Newt corrugò la fronte, portando la testa all'indietro. Niente denigrazione? Niente "che schifo, sei un frocio e allontanati da me". 

«Beh, visto che siamo sinceri, mia nonna ha ancora una vita sessuale attiva e sta meglio di noi due. Dopo aver visto quel coso, mi sono spaventato e sono scappato assieme a Chuck, ovviamente lui non l'ha visto, la scusa che mia nonna sta male va avanti dalla quinta elementare, credo che le allunghi la vita.» sussurrò divertito all'orecchio dell'inglese, che non si trattenne dal dargli una forte gomitata.

Il coreano stava per rispondere scherzosamente, ma fu interrotto da Lillian alle sue spalle.

«Voi due, smettetela di fare i bambini e raggiungetemi in sala conferenze!» tuonò severa, sorpassando i due agenti, senza neanche augurare il buongiorno.

«Proprio Crudelia Demon. » commentò Minho a bassa voce con intento derisorio. «Faremo bene a sbrigarci prima che rapisca dei cagnolini, muoviamoci, mio primo caro amico gay.» chiamò affettuoso, poggiando la mano sulla spalla di Newt, che gli rivolgeva uno sguardo indecifrabile.

«Primo amico gay? Ce n'è un altro?» ripeté Newt a bassa voce, confuso.

«Sì, a breve arriverà il secondo.» enunciò con tono ovvio, per poi continuare a sorseggiare il secondo caffè. Inevitabilmente Newt arrossì, ed entrambi scoppiarono a ridere.


-



Lillian Strand indossava la solita aria rigida e severa, Newt era sicuro che l'avesse puntato da quando aveva rifiutato l'incarico privilegiato e sicuramente gliel'avrebbe fatto pagare, soprattutto in quel momento, che andando in Messico aveva trasgredito il regolamento della base, gli aveva servito l'occasione sul piatto d'argento.

Per il momento erano in tre: Lillian era in piedi a capo della tavola rotonda di vetro, Minho era seduto accanto a Newt, ai posti laterali.

Il capo guardava l'inglese da testa a piedi, soffermandosi infine sul volto. Era sicuro che le domande fossero partite da lì. La mascella rigida e gli occhi, truccati il po' che bastava, erano attenti a studiare ogni espressione di A5.

«Un altro salvataggio, A5. È riuscito dove un'intera squadra speciale, con i mezzi appropriati ha fallito. Edison si è messo in contatto con lei per dirle dove si trovava?» chiese, poggiando le mani sul tavolo, i bracciali dorati al polso ciondolavano, creando un suono fastidioso e snervante.

«No, capo Strand.» rispose cordiale e succinto, ricordando la raccomandazione fatta da Minho prima di entrare: stai calmo e rispondi con rispetto.

Dall'espressione contrariata di Strand sembrò non credergli, ma sorvolò.«Davvero agente, lei è incredibile. Non c'è verso per farle capire che le è vietato partire senza avvisarmi. È la seconda volta, a distanza di poco tempo, prima l'India adesso il Messico, vuole viaggiare tutto il mondo per riportare a casa Thomas ogni volta?» domandò, nel tono era presente fin troppa acidità.

Il ragazzo esitò, stringendosi prima nelle spalle, per poi decidersi e liberare un «Perché no? È il mio lavoro.» leggermente più determinato.

La donna sospirò, scocciata. Si allontanò da dov'era, cominciando a camminare per la stanza, aumentando il nervoso di Newt e anche dell'asiatico.

«A5 vuole farmi credere che ha chiuso gli occhi, fatto girare il mappamondo e che il dito sia caduto sul Messico per pura casualità? Tra tante parti in cui poteva essere, lei l'ha trovato al primo colpo. »

«Capo Strand se sta insinuando che sapessi dove fosse Thomas, è fuori pista. Ciò che ho fatto è stato mettermi nei suoi panni, sapevo che aveva trascorso molto tempo con l'agente Agnes in Messico, e lui era distrutto moralmente, ho iniziato da lì e mi è andata bene. » riportò seguendo ancora le indicazioni di Lee, si sentiva provocato e messo sotto pressione, ma non solo stava mantenendo un perfetto autocontrollo, ma riusciva anche a riferire tutto con una certa diplomazia.

La donna serrò le labbra, restando in silenzio, il giovane non aveva tutti i torti.

«Quello che mi meraviglia è che anche la base sapeva di questa informazione, ma l'ha trascurata...» accennò un sorriso, sottolineando l'insufficiente operato.

«Beh...resta da capire che Thomas è testardo e senza regole. Cosa gli ha detto o fatto al punto da convincerlo a tornare?» domandò insospettita, avvicinandosi al biondo; lo sguardo profondo pareva scavargli dentro, alla ricerca di segreti.

Cosa si aspettava che le rispondeva: "gli ho fatto un pompino?"

«Si è fatto pestare. È evidente, no?» proferì il coreano sogghignando.

L'inglese gli riservò un'occhiata in cagnesco che se avesse avuto il potere di incenerirlo, lo avrebbe ridotto a brandelli di cenere. Si voltò poi in direzione della donna, nervoso. «Gli ho parlato, a parte beh ... essere preso a pugni. Ce l'ha con me, ma non credo sia irrimediabile, col passar del tempo confido che il nostro rapporto possa...beh, migliorare. » balbettò, intimorito dalle occhiate sempre più perfide e gravi della Strand.

«Senz'altro Isaac Newton lei è un agente scapestrato non come Thomas, ma ci si avvicina. Le ripeto di non sottovalutarlo, il mio incarico è sempre disponibile.» rammentò, spostando i capelli dalle spalle, in un movimento di superiorità.

«Quale incarico?» riprese una voce, entrando nella sala convegni. Terminator non poteva tardare di qualche minuto?

Fece la sua entrata in scena con gran stile: i capelli sparati in aria con una quantità indefinita di gel (doveva essere mezzo barattolo), una giacca da motociclista nera di pelle, dei pantaloni del medesimo colore che vestivano bene, risaltandogli le gambe e il di dietro, e delle scarpe adatte per un giro in moto, sembrava l'abbigliamento per andare in discoteca non per un agente segreto della CIA. 

Passò di fianco ai tre, lasciando una meravigliosa scia di profumo, che stuzzicò le narici di Newton;doveva trattarsi di One a million di Paco Rabanne. Il moro occupò posto di fronte ad A5, afferrando una penna sul tavolo e giocherellandoci.

«Oh grazie Thomas che dopo un'ora dall' inizio del tuo lavoro, ti sei deciso a degnarci della tua presenza.» sbuffò spazientita la donna, guardandolo in cagnesco.

«Figurati, Lillian.» diede risposta, smorzando un sorriso. Certamente Edison sapeva come mettere in crisi il suo capo, per il resto, dall' atteggiamento spavaldo e sicuro sembrava stare meglio o era un ottimo attore.

«Pff ... Sei proprio insopportabile, ma a quanto pare esiste qualcuno che ti tiene testa. A contrario di tutti i protettori che hai fatto fuori con l'esasperazione, Isaac Newton sembra non mollarti, ha persino rifiutato di capitanare la squadra speciale una settimana fa e sembra essere dello stesso parere anche oggi.» informò Strand, voltandosi in direzione del moro, che teneva la penna tra le labbra e lo sguardo magnetico fisso su Newt.

Edison sembrava non aver prestato attenzione alle parole, era concentrato fisso sul nuovo collega e la cosa sembrava reciproca. Il capo rivolse prima un'occhiata a quello appena entrato e poi al biondo, quei due continuavano a comportarsi come se fossero da soli nella stanza. «Comunque... » proferì, alzando di un'ottava la voce e ripristinando ordine e attenzione; «Vi ho chiamato per un motivo.»

I ragazzi assunsero un'espressione curiosa e attenta, anche Minho aveva un'aria ... interessata o falsamente, ma sembrava andar bene a Lillian. L'inglese poggiò i gomiti sul tavolo, le mani sotto il mento e lo sguardo incuriosito, A2 invece aveva una gamba sull'altra, il solito stile grossolano, ma almeno aveva avuto la decenza di spostare lo sguardo su Lillian che si era avvicinata alla piccola lavagnetta bianca, facendo notare uno schema.

«Stavolta, per motivi famigliari, sarò io ad assentarmi. Non sarò alla base per qualche giorno, massimo una settimana, ma tranquilli, ho preparato una scaletta per ognuno di voi, aggiunta ovviamente alle situazioni che accadranno ogni giorno: suicidi, omicidi, rapine, violenze, decriptamenti di codici dello stato e cose che dovrete risolvere da soli.» proferì impeccabile, voltandosi verso lo schema e puntando con la penna il coreano.

«Minho, iniziamo da te. Dovrai aiutare la squadra di Cassidy con i vari codici per bloccare siti terroristici, sono in molti e pericolosi, i nostri computer sebbene protetti hanno riscontrato tantissimi virus, necessitiamo un sistema più potente, qualcosa che controbatta e non ci blocchi a un passo dalla verità. Poi, dopo aver finito ogni giorno, aiuterai per l'igiene della base, ordinerai delle scartoffie ma tranquillo ti aiuterà Brenda, poi darai una mano a John sembra che abbia problemi a sturare i water dei bagni del terzo piano. » stuzzicò derisoria, facendo scrollare il coreano. Sicuramente era felice per lavorare assieme a Brenda ma a quale costo? Newt gli riservò un'occhiata rapida di incoraggiamento.

«Newton, lei invece ricoprirà incarichi più responsabili. In questa settimana dovrà interrogare tutte le persone del Barcode, proprietari e gente che ci lavorava. Deve chiedere e cercare di carpire se qualcuno del braccio destro c'è sfuggito, un pezzo più grosso. Poi controllerà la relazione di una nostra tirocinante riguardo a tutti gli oggetti trovati all'interno del bordello, una sorta di inventario, dove infine lei dovrà scrivere tutti i nomi delle persone con cui ha interagito e descriverli minuziosamente nel dettaglio. Aggiungo che ogni sera, assieme ad Edison o a Lee, dovrà fare un giro in auto per perlustrare la zona a sud di Richmond, sembra ci sia qualche trafficante che va ammanettato.» informò la donna, impeccabile. «Ha qualche parente qui a Langley, agente Isaac? » domandò la donna, togliendo gli occhiali da vista con la solita aria da intellettuale.

«No, capo Strand, la mia famiglia vive a Londra. » diede risposta, curioso per l'insolita domanda.

«Neanche un amico?» riprovò interrogativa. Il biondo mosse il capo a destra e sinistra stringendosi nelle spalle.

«Beh, allora veda di darla a qualcuno visto che non abiterà più lì. Entro la fine della settimana voglio che gran parte della sua roba sia nell'appartamento di Teresa Agnes.
Nuovo agente, nuova vita, nuova casa. Ciò impedirà al nostro Rambo di sgattaiolare via come un ladro.» sentenziò, voltandosi in direzione di Edison.

I due in questione avevano facce sconvolte, Newt perché aveva impiegato molto per trovare quell'appartamento che rispondesse a tutte le esigenze e di certo non gli andava di abitare nella casa dell'ex di Terminator, per Thomas, invece, era un'idea folle e improponibile. «Thomas per te va bene? Newton ti ha protetto molto, e visto che hai una capacità immane di cacciarti nei casini...abitare all'appartamento sopra il tuo non può che esserci utile, vero?» enunciò voltandosi in direzione di A5 e chiedere conferma, il ragazzo si limitò a deglutire, spossato.

Con quella scelta del cazzo, perché Lillian Strand cominciava a essergli antipatica e a dare direttive del cazzo, Newt escludeva definitivamente ogni possibilità che Thomas potesse perdonarlo.

«Uhm ...»mugolò il moro, allontanando la penna dalle labbra. «Per me va bene. » rivelò con un sorriso appena pronunciato. Newt alzò la testa di scatto, incredulo, convinto di aver sentito male.

«Perfetto, Thomas, per te non ho chissà quali incarichi, mi basta che ti tenga lontano dal pericolo. Niente colpi di testa, altrimenti non ci metterò nulla a sollevarti dall'incarico.»

«Sarai fuori, no?» inarcò il sopracciglio, sapientone. Newt doveva capire perché tutti erano distaccati e rispettosi con Strand, mentre Thomas le rivolgeva sempre il "tu" in modo poco educato.

«Già, ma esiste internet, posso farlo anche tramite whatsapp. » la donna abbozzò un sorriso sornione a trentadue denti, vittoriosa.

Lee guardò A2 e il capo, diverse volte, rivolgendogli occhiatacce sempre più scettiche. «Non è giusto! Sono io quello che lavora di più, qui dentro! » ribellò, allargando le braccia. Il capo gli rivolse un'occhiata infuocata, Newt pensò che a breve il coreano sarebbe diventato cenere. «Oltre a fare da babysitter al piccolo Charles e alle altre infinite mansioni, sarai tu a stampare la relazione che oggi pomeriggio consegnerai al tuo collega. » Minho protestò tra sé, ma lo ignorarono bellamente.

La parola passò nuovamente al superiore, che con un sorriso sarcastico in volto, proferì «Allora agenti, tutto chiaro?»


-


Newt aveva interrogato gran parte della gente del Barcode già in quel pomeriggio, ottenendo informazioni non chissà quanto rilevanti, seppure alcuni di loro avevano dato già qualche segnale di cedimento, era ottimista che di lì a breve sarebbe giunto alla verità.

Lillian, che aveva osservato l'interrogatorio dietro la vetrata nascosta, si era complimentata con lui, lasciandolo libero prima del previsto; gli altri interrogatori sarebbero continuati il giorno dopo.

Nello spazio di tempo tra le sette e le dieci- orario del giro di perlustrazione a sud di Richmond - Newt aveva programmato di correggere la relazione della tirocinante così da agevolarsi con il lavoro, sarebbe andata così se Minho non avesse riscontrato problemi con la stampante, rimandando tutto in tarda serata. 

«Ti porterò i fogli a casa appena finisco, dovrei farcela per le 9:00. È incredibile, decine di stampanti velocissime, e Lillian mi obbliga a usare questa. Quella donna è il male!» aveva espresso l'amico con aria sfacchinata. Gli incarichi attribuiti al coreano erano davvero quelli più grevi e quelli, che senz'altro, avrebbero fatto perdere la pazienza e l'autocontrollo a chiunque.

Pazienza e autocontrollo, li perse anche Newt, esattamente alle nove di sera. Stava guardando in tv un reality cui non era minimamente interessato quando gli squillò il cellulare, sul display apparve il nome dell'asiatico, ciò bastò a fargli capire che il collega era in strada verso casa sua. Accettò la chiamata, manifestando tutto l'entusiasmo; «Finalmente, a che punto sei? Ti vengo incontro?» domandò rapido, sollevandosi dal divano, in cerca di un cappotto.

«Ehi, Newt, frena!Sono ancora alla base. » interruppe, facendo crollare immediatamente l'esaltazione del biondo. Non avrebbe mai avuto quei fogli.

«Brenda mi ha chiesto aiuto con dei codici e non ho potuto rifiutare ... sai la cotta che ho per lei, è davvero una buona occasione per dimostrarle che figo ha davanti, per questo non posso venire a casa tua a portarti i fogli. » avvisò con aria innamorata e sicuramente gli occhi sognanti. Newt ne era felice ma aveva bisogno di quella relazione.

Fece per replicare ma il coreano parlò per primo «Tranquillo, ho pensato anche a te. Ho dato tutto a Thomas, verrà da te a consegnarti tutto. » Solo in quel momento Newt capì quanto il nome "Minho" stava bene vicino alla parola: "morte".

«Cosa? Verrà a casa mia?» urlò balbuziente. Spalancò gli occhi, precipitando lo sguardo in direzione dell'orologio. Doveva sbrigarsi e sperare che quello si bloccasse nel traffico quanto più possibile.

«Beh, più che futuro, userei il presente. Sta già venendo.» informò A7, con non-chalance.

«Oh cazzo, Minho, e me lo dici adesso?» diede un nuovo urlo, in preda all'agitazione. Gettò lo sguardo anche alla sua tenuta casalinga, doveva decisamente farsi una doccia, e cambiarsi.

«Dai, non reagire così. È probabile che questa sera con una fava si prendano due piccioni, mi capisci, vero? Io con Brenda e tu con -» accennò da inguaribile romantico, Newt, invece, era l'opposto.

«Sta zitto, per favore. Ora stacco, vado a rendermi presentabile.» sbuffò, non riusciva a capire cosa provava: da un lato voleva uccidere Minho, dall'altro voleva fargli addirittura una statua.

«Okay, ma non annusare l'ascella sul pianerottolo, non dai una bella immagine di te.»raccomandò occhi a mandorla, trattenendo un ghigno soddisfatto.

«Vaffanculo, Minho.» augurò il biondo scoppiando in una risata nervosa, per poi agganciare la chiamata.

Si diresse in bagno, dove non esitò ad aprire il rubinetto dell'acqua, nell'attesa che diventasse calda, si recò nella stanza da letto, decidendo cosa avrebbe indossato.

Una camicia era troppo formale, nessuno le indossava in casa. La tuta sarebbe stata molto più comoda ma avrebbe abbassato molto la sua immagine, voleva essere bello e presentabile ma non con abiti che avrebbero fatto ridere.

Nervosamente, mangiucchiò le unghie, le pellicine. Grattò le sopracciglia, le braccia, portò le mani tra i capelli, scompigliandoli.

«Che cazzo mi metto?» fu la frase più frequente, che si alternava a dei ringraziamenti e a delle minacce, aventi come destinatario Minho. Se si parlava di bipolarismo e incoerenza, Newt avrebbe vinto di sicuro un premio.

Aveva gettato completi formali e non sul letto, alla rinfusa. Non aveva tempo di provarli tutti, sarebbe andato ad esclusione, sperando di trovare quello perfetto per l'occasione di ricevere Thomas.

Stava quasi per farcela quando il campanello suonò. S'immobilizzò sul posto, terrorizzato. Gli occhi erano fissi sui due completi su cui era indeciso, ma ormai ... nulla più aveva importanza. «Sono completamente fottuto.» enunciò, piagnucolone.

Thomas era arrivato, e il suo cuore aveva preso a battere fin troppo velocemente, la mente non elaborava in modo lucido, bensì era fossilizzata sull'unico scenario possibile: sera, loro due da soli in casa, le occhiate degli ultimi giorni ... 

Minho lo aveva avvisato troppo tardi, lo avrebbe strangolato l'indomani,  anche se fosse venuto giù il mondo.

«No, Newt. Il cazzo te lo tieni nei pantaloni. Niente scenari surreali.» rimproverò severo a se stesso, frenando l'eccitazione. Temerario si avviò in soggiorno;lanciò una rapida occhiata al grande specchio dell'entrata, cercò di immagazzinare quanta più autostima. "Se ci si accetta, lo faranno anche gli altri, no?" Convinto ed entusiasta di ciò,  aprì la porta con quanta più disinvoltura possibile, presentando un sorriso smagliante, peccato però che a riceverlo fu la persona sbagliata.

La delusione si presentò subito sul suo volto, chiara peggio di un libro aperto. Il cuore decelerò, il sorriso si appiattì, gli occhi, pozzi dapprima colmi di gioia, si spensero, come un banale lampione delle vie degradate del Bronx.

«Ciao, Newt.» salutò amichevole Ben, con in volto un sorriso amabile.

Isaac lo aveva ignorato in tutti i modi, ma a quanto sembrava, non c'era riuscito, non completamente.

«Ciao... Ben. » rispose freddo, fingendo un sorriso. Trovarsi il suo ex, anziché Thomas, era stata una doccia ghiacciata, altro che fredda.

«Aspettavi qualcuno, vedo. » dedusse il rossiccio, lasciando trasparire il disagio. Indossava un cappotto color beige che arrivava fin sopra le ginocchia, jeans, e dal freddo aveva le mani al caldo, nelle tasche. Il naso arrossato si avvicinava alla tonalità dei capelli. Era pur sempre Dicembre.

«Nessuno di importante, un collega deve portarmi delle carte per il lavoro. » Beh, non era una bugia, forse aveva osato con il "nessuno di importante" ma dopotutto  con Thomas non era successo nulla; l'americano non gli aveva inviato alcun segnale, a parte pugni in faccia di cui aveva ancora i segni. Dubitava fortemente che significassero qualcosa di sentimentale.

«Ero preoccupato per te, non mi hai risposto più ai messaggi, e ho pensato di venire a trovarti di mia spontanea volontà, approfittando di prendere delle cose che ho dimenticato. » Newt ascoltò attentamente, le cose cui si riferiva Ben erano oggetti per il sesso estremo, che personalmente il biondo non aveva trovato mai interessante-non con lui almeno-e  di conseguenza non aveva mai partecipato a giochi con manette, corde... Uno dei tanti "passatempo" era il dildo che aveva trovato Minho nel suo bagno.

«Ah sì ... li avevo dimenticati, c'è molto lavoro all'Intelligence, altrimenti te li avrei ricordarti io.» si giustificò, abbozzando un sorriso di circostanza, la mano nei capelli. Desiderava che quella conversazione sarebbe finita a breve.

«Molto lavoro, eh? Tipo prendere a cazzotti la gente? » schernì premuroso, avvicinando la mano alla guancia del biondo, che indietreggiò subito, evitandolo in modo pressoché palese.

«Effetti collaterali del mio mestiere. » troncò, cercando di essere amichevole. «Beh, per le cose che hai dimenticato, entra pure, io non posso aiutarti, ma è tutto dove lo hai lasciato.  Ho bisogno di una doccia, vado...» schioccò la lingua, cercando di mostrarsi disponibile.

«Sei sempre così gentile, fai una doccia rilassante. » augurò l'ex con un sorriso bonario.

«Grazie. » sorrise il proprietario di rimando, dirigendosi verso il bagno, dove per evitare spiacevoli fraintendimenti, preferì chiudere la porta a chiave; anche se Ben non gli aveva fatto nulla, a parte quella scenata di gelosia, era sempre meglio diffidare.

A sua insaputa infatti Ben entrò nella stanza dalla letto.

«Nessuno di importante, eh?» proferì inviperito, guardando il caos sul letto. «Vuoi metterti in tiro? Spiacente, ma ti rovino il programma. » sussurrò vendicativo, tornando nel soggiorno. Raccattò le proprie cose tra cui vestiti, giochi erotici, ciabatte, e ogni cosa che vi aveva rimasto, e attese. 

Aspettò impaziente, sperando che quanto prima sarebbe arrivato il collega di Newt, e quando finalmente sentì il campanello suonare, balzò dal divano. Isaac era ancora sotto la doccia, e quanto sembrava non aveva sentito bussare alla porta.

In un batter d'occhio, Ben si privò del cappotto e della maglia, slacciando bottone e zip dei pantaloni. Ora aveva creato uno scenario fraintendibile.

Aprì la porta, con un sorriso fiero in volto, segno di una risata a crepapelle finita da poco. 

Davanti si trovò chi aveva immaginato, lo stesso ragazzo che aveva visto al fianco di Newt la sera della sparatoria, quello con il chip nel cervello,  che aveva cercato in rete.

Ben capì subito che Newt aveva buon gusto, non perché Thomas lo aveva colpito, ma era bello, non c'era da negarlo. Aveva un viso da invidiare, era di poco più basso di lui, il fisico meno pronunciato del suo ma non per questo meno bello. Insomma, aveva un suo fascino. Era comprensibile e fastidioso che Newt fosse caduto nella sua bella trappola.

«Ciao ...» pronunciò Thomas, il capo chino; quando distolse lo sguardo dalle carte e lo portò sulla figura davanti a sé, rimase in silenzio, impettito. Guardò il campanello, speranzoso di aver sbagliato porta, ma ricordava fin troppo quella faccia, la stessa di un pessimo attore melodrammatico.

Com'è che doveva chiamarsi quella faccia di cazzo? Ben Miller? Solo uno con un nome e cognome del genere poteva aprire la porta senza maglia e con quasi il pacco da fuori?

Il rossiccio gli sorrideva, un sorriso che volentieri avrebbe eliminato con un pugno.

«Ben Miller?» interpellò Edison, ricambiando il sorriso. Gli stava sorridendo solo perché era un tipo sarcastico, e in quei casi il sarcasmo era l'unica via d'uscita.

«In persona. »rispose fiero quello, chiudendosi i pantaloni. «È incredibile, tutti sanno di me. Devo dire a Newt di smetterla, mi mettono in imbarazzo gli elogi che mi fa davanti a tutti. » avvampò, scostando i capelli all'indietro come un divo.

«Beh, proprio tutti no.» contestò il moro, con tono rilassato.

«Come, scusa? » ribatté Miller, le sopracciglia corrugate in un'espressione contrariata e offesa.

«A me non ha mai parlato di te, se so di te, è perché ho un chip nel cervello che mi dice vita, morte e miracoli di tutti. » dichiarò con un sorriso a trentadue denti.

Ben era destabilizzato, ma si riprese poco dopo.«Wow, ma che cosa interessante! È possibile? Non avrei mai creduto che esistesse una cosa del genere. E tu conosci Newt?» corrucciò la fronte, indagante.

«Sì, ci conosciamo. Lavoriamo insieme, a stretto contatto.»  enfatizzò, osservando quello di fronte a sé dall'alto verso il basso. «Ha il compito di proteggermi e assicurarsi che non mi accada nulla, sempre per la faccenda del chip che ho nel cervello.» specificò, sereno.

«Sei serio?» Il barista si mostrò colpito e confuso al tempo stesso. «Non mi ha mai parlato di te, che strano ... È così interessante avere al proprio fianco un robot umano, io ne avrei parlato in continuazione, non sapevo neanche la tua esistenza, Thomas.» 

"Palestrato e idiota, la solita combinazione che non si smentisce mai." pensò il moro, fiero.

Edison abbassò lo sguardo, grattandosi dietro l'orecchio e trattenendo il sorriso.

Ben Miller era proprio una testa di cazzo.  Newt non gli aveva mai parlato di sé, ma sapeva il suo nome, e non si era neanche accorto di averlo pronunciato. Sarebbe stato un pessimo agente per la CIA.

«Evidentemente non è il tipo che mischia famiglia e lavoro. » concluse Thomas, guardandosi le punte delle scarpe. Aveva intascato la vittoria.

«Non direi, mi ha sempre parlato di tutti, anche di un certo Minho, è alla CIA con voi, no? » stuzzicò il rosso, irritandolo maggiormente. Ben Miller aveva un problema con lui, per forza.

«Sì, è un nostro collega.» affermò naturale, passando la lingua tra le labbra.«E tu ... chi sei per lui, chi sei per Newt? » chiese più nello specifico, stringendosi nelle spalle, e sperando di non apparire troppo invadente.

«Un amico ... intimo, molto intimo. Dipende se a te infastidisce la comunità lgbt- » Miller avrebbe continuato con la descrizione, ma qualcuno parlò alle sue spalle.

Come un richiamo, Thomas si sollevò sulle punte, sporgendosi oltre la spalla muscolosa del barista, assistendo a una visione inaspettata, cui non si era preparato: il suo collega, con i capelli bagnati, a torace scoperto, bagnato da goccioline d'acqua, e un asciugamano bianco in vita. 

Il cervello di A2 elaborò tutto in pochi secondi: Comunità lgbt, Ben che agganciava i pantaloni, Newt sotto la doccia, era ovvio cosa avevano fatto prima o cosa il suo arrivo aveva interrotto.

Il proprietario aveva uno sguardo spaesato, confuso e disilluso. "Forse è ancora stordito dall'orgasmo" pensò Thomas, o meglio una parte infastidita di sé.

«Ciao Newt. » salutò distaccato, alzando la mano in cenno di saluto.

«Thomas. »sibilò il biondo, incredulo. Provò a calibrare il tono, non poteva balbettare. Era emozionato, nudo, e  c'era Thomas, che lo guardava per la seconda volta svestito.

«Sono venuto a portarti i fogli.» sollevò le carte, mostrandole. «Le do a Ben, non mi sembra giusto che tu esca sulle scale con un asciugamano in vita.» enfatizzò punzecchiante, riferendosi a Miller che gli aveva aperto quasi in mutande.

«Grazie per essere passato. » proferì il biondo, mascherando la delusione. Il cuore stava pian piano sprofondando in un abisso.

«Di niente.» rispose, deglutendo. Stava per andarsene quando ricordò qualcosa «Ah ... non ti preoccupare per dopo, dirò a Lillian che abbiamo perlustrato Richmond, tu resta a casa a divertirti. » proferì, indossando il sorriso più falso del mondo, accennò un saluto fugace e, prima che potessero rispondergli, era già sparito per le scale. A Ben non restò altro che chiudere la porta di casa. Era andato tutto secondo i suoi piani o quasi.

In un primo momento Newt restò in silenzio. Doveva sbollire la rabbia, il nervosismo e catalogare le cose in ordine; si limitò ad annodare l'asciugamano intorno alla vita, evitando così di tenerla con la mano. L'espressione sul viso era completamente mutata, non era per niente amichevole, bensì priva di filtri.

«Perché sei senza maglia?» domandò, diretto e sospettoso. Thomas gli era parso turbato come mai prima, doveva essere dipeso da Ben, lo percepiva.

«L'ho sporcata. » abbassò gli occhi, in cerca di una scusa più credibile.

«Sì, con le menzogne. » controbatté il biondo, il tono più alto ma ancora nei limiti.

«Che cosa hai detto a Thomas?» imperò, le orbite spalancate in un'occhiata di ira e di disgusto.

«Niente ...» proferì con il tono basso, avvicinandosi al biondo e prendendogli le mani. «Senti Newt, io voglio riprovarci. Mi manchi tu, mi manca il tuo corpo...ho pensato che potremo farlo per un'ultima volta, come se fosse una sorta di addio,  ad alcune coppie è andata bene e non si sono più lasciate. » Per Newt, Ben era patetico. Ogni cosa che gli stava dicendo in quel momento era ridicola, sentiva un senso di nausea salirgli dallo stomaco. A breve gli avrebbe rovesciato addosso.

Indietreggiò rapido, come se si fosse scottato. «Sesso di addio, ma ti senti? E non siamo mai stati una coppia.» sbottò, pienamente in disaccordo.

Miller schioccò la lingua, l'ultima frase lo aveva colpito, rischiando di metterlo fuori gioco.«Hai già iniziato a scopare con lui, non è così? Magari ci vai anche pesante ... ecco spiegati i lividi di entrambi. » ipotizzò, frignante.

«Ben.» Newt preferì ignorarlo, deciso a mantenere la linea del "cacciarlo di casa".

«Che c'è?» sbottò, stizzito.

«Esci da questa casa immediatamente.» scandì glaciale, lo sguardo imperturbabile e spaventosamente rigido. «Vattene, prima che chiami la vigilanza.» minacciò ancora, a denti stretti.

Il barista abbozzò un'espressione diversa, sconfitta.«Ti sta a cuore...altrimenti non l'avresti lanciato dal terzo piano dell'ospedale per salvarlo, per te proteggerlo non è soltanto lavoro.» notò tragico, indossando la maglia e abbottonando il cappotto. «Non sei più lo stesso Newt, renditene conto. » appurò e con un'espressione frustata in volto, senza aggiungere nulla, lasciò l'appartamento.

Quando Newt restò da solo, sbuffò sonoramente, completamente sfiduciato. La sua mente aveva elaborato decisamente un altro tipo di serata, movimentata ma non in quel modo. Si lasciò cadere sul divano, annoiato e triste, afferrò il cellulare, trovandovi un messaggio di Minho.

"Serata stupenda, alla base siamo in pochi. Io e Brenda siamo nella sala convegni da soli, abbiamo ordinato del sushi. Che cosa meravigliosa*-* E a te mio caro amico gay?" 

Abbozzò un sorriso che subito sfumò, doveva dire a Minho di non chiamarlo più in quel modo se voleva ancora tutti i denti.

Non rispose al messaggio, né ebbe voglia di sbirciare la relazione.

Quella notte come tutte le altre dormì poco e male, lo stesso fu per Thomas, ma con una piccola differenza.

Fu la prima volta che Thomas Edison sognò Isaac Newton, in una veste inaspettata:entrambi protagonisti di un sogno erotico proibito.

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