10.Hey, look at me: you are not alone
10.Hey, guardami: tu non sei solo.
HIDALGO, MEXICO
Thomas si trovava in un pub del Messico a smaltire l'ennesima sbornia.
Dopo essere stato accompagnato personalmente dal capo dell'Intelligence e da una guardia al suo appartamento in Virginia, aveva raccattato le cose essenziali per andare via.
La destinazione di quel viaggio tanto improvviso quanto necessario era stata il Messico, luogo visitato con Teresa anni addietro per festeggiare la promozione di entrambi per un nuovo gratificante incarico; era lì che avevano trascorso più momenti insieme, approfondendo così la loro conoscenza.
Forse rivisitare quel posto ancor prima di elaborare il lutto, gli avrebbe provocato maggior dolore, ma almeno si sarebbe sentito meno solo, ricordandola dignitosamente o quasi.
Stravaccato sul divanetto di un locale comune, teneva le braccia poggiate in modo malconcio sul tavolo di legno, gli occhi, socchiusi in fessure, faticavano a restare aperti sia per il sole mattutino che filtrava dalle tapparelle rotte sia per l'inesistente sonno di quei giorni.
Amico di quel periodaccio era stato l'alcol, ne aveva ingerito a fiumi, incurante di entrare in coma etilico; ipotesi che aumentava in modo direttamente proporzionale a tutti gli intrugli alcolici che introduceva senza contegno, senza freni.
Rinchiuso nei ricordi mostratogli dal chip, osservava gli ultimi istanti di vita della donna. Riusciva persino a rievocare il calore familiare delle braccia di Teresa sostituito da un improvviso freddo glaciale una volta strappato via, cadendo nel vuoto. Era stata tutta colpa di Newt, lui li aveva divisi per sempre.
Le sue labbra sibilarono quel nome al punto da sembrare silenziose, come se non lo avesse affatto detto. Doveva riconoscere che se in un primo momento era sicuro che avesse ucciso l'inglese, indeciso soltanto su quale morte infliggergli, in seguito, a mente lucida, una parte di sé, aveva quasi giustificato la reazione del biondo.
Riconosceva che in una circostanza del genere non dovevano subentrare emozioni o sentimentalismo, difatti il nuovo collega, pronto e razionale, aveva agito a sangue freddo salvandogli la vita. Certo, avrebbe potuto lanciarsi senza trascinarlo con sé, mettendo al sicuro la propria pelle e basta, invece, aveva trascinato anche lui verso la salvezza, permettendogli di vivere.
Gli restava da capire soltanto una cosa: Newt aveva fatto bene? Quella che si preparava ad affrontare, avrebbe potuto considerarsi vita senza Teresa?
Le scene dell'incidente erano vivide e stagnate nella sua mente, il resto invece era tutto offuscato; non ricordava le facce che aveva scontrato, quanto alcol aveva ingerito, quanti giorni erano trascorsi. Ciò che avrebbe continuato a fare ininterrottamente sarebbe stato rivivere quei momenti milioni di volte, continuando a interrogarsi se ci fosse stato un modo per salvarla.
Travolto dagli incubi, aveva urlato il nome di Teresa sia da desto che da assonnato, ovunque, quasi come se potesse evocarla e chiarire con lei. C'erano tante domande senza risposta, dubbi irrisolti che gli facevano esplodere il cervello.
Il nome della ragazza come un'ossessione gli vorticava in testa, lo farneticava ovunque: ai passanti, sotto i ponti a tarda notte, a donne che non aveva mai visto e che fermava solo perché avevano gli occhi azzurri e i capelli scuri che gli ricordavano lontanamente lei; tutte erano fuggite a gambe levate, urlando aiuto perché affiancate da un "maniaco psicopatico". Etichetta che gli avevano attribuito sette donne su dieci, dopotutto era pur sempre un ragazzo ubriaco in terra straniera, un pessimo biglietto da visita.
***
«Questo posto è per messicani, non per americani.» imperò improvvisamente una voce sconosciuta e rozza. In locali del genere andavano di moda teppisti a caccia di risse e se non si era un bravo lottatore di karate, sumo o boxe era meglio svignarsela.
In un primo momento Thomas decise di ignorare, sperando che chiunque fosse lo avrebbe lasciato in pace notando il suo cattivo umore, ma nonostante la propria indifferenza, quello continuava a stare in piedi di fronte a lui. Si sentiva osservato, sicuramente l'estraneo teneva i propri occhi fissi su di lui.
Inspirò ed espirò un paio di volte, tentando di mantenere un autocontrollo; dopo il terzo sospiro paziente, alzò la testa, il poco che bastava per vedere in faccia chi lo stava disturbando. Si trovò un uomo grasso e calvo, avente il doppio della sua età con il cipiglio aggrottato che gli riservava un'espressione poco amichevole.
Sì passò la lingua tra le labbra, inumidendole. O quell'uomo era tanto brutto o l'alcol aveva cominciato a fare scherzi anche alla vista. «Senti, non voglio litigare.» Bofonchiò, la voce, impastata dal sonno e dall'alcol, apparve sconosciuta alle proprie orecchie.
«Vattene, gringo.» Ringhiò quello, afferrando la bevanda dell'americano e gettandogliela addosso. L'impatto dell'alcol in viso e sul dorso lo svegliò completamente, e ciò gli permise di schivare in tempo una sedia indirizzata a lui. A lanciarla era stato un altro omone, alle sue spalle che calorosamente gli stava dando il benvenuto.
«E va bene, lo avete voluto voi. » proferì traballante, si sgranchì la schiena e, nonostante quei due fossero il suo doppio, a calci e pugni, dopo interminabili minuti riuscì a metterli K.O , facendoli cadere seduti su due sedie. Per fortuna, ne era uscito con qualche innocuo livido in sulla guancia e all'angolo della bocca.
«Respira.»Si raccomandò a quello che aveva ridotto peggio, mentre tutti lo guardavano esterrefatti.
«Due birre per loro due.»enunciò in spagnolo al barman, poggiando sul tavolo una banconota per poi lasciare il locale.
USA, VIRGINIA
Newt era in uno stato di riposo post-traumatico dall'incidente di una settimana prima.
Lillian aveva concesso sia a lui sia a "Terminator" sette giorni di distacco dalla vita da supereroe per scaricare la tensione accumulata della drammatica vicenda, come se risolvesse qualcosa.
In quel sabato pomeriggio scorreva l'ennesima giornata da comune mortale, senza novità, progressi o quant'altro. Per fortuna tra meno di un giorno sarebbe di nuovo tornato alla vita movimentata, tipica di un agente dei servizi segreti.
Erano quasi trascorsi sette giorni dall'incidente, ma continuava a sentirsi uno schifo. Non capiva se il malessere derivasse dal senso di colpa per aver separato quei due o perché Thomas stava sicuramente soffrendo abbandonato a se stesso. Per quanto assurdo fosse, vedeva quel ragazzo in modo diverso da come avrebbe dovuto.
Sussultò, reprimendo un brivido scorrergli lungo la schiena. Doveva smetterla di immaginarlo diversamente da protetto, tra loro non avrebbe mai potuto esserci nulla se non rancore -da parte del moro-e una minima commiserazione -da parte sua-. Per quanto difficile fosse, cercò di scacciare via quei pensieri, mangiucchiando il toast che aveva maldestramente bruciato.
Sdraiato sul divano come un vegetale, portava alla bocca un analcolico. Si era promesso di non alleggerire le sue pene rintanandosi nell'alcol e quindi aveva consumato soltanto bibite gassate e altri analcolici.
Cercava di distrarsi, di pensare altro che non fosse Thomas, o la scena del lancio in aria, o l'odio non quantificabile che l'altro ovviamente nutriva nei suoi confronti. Migliaia di paranoie in quella settimana gli avevano fracassato il cervello, dall'alba e al tramonto, e giravano tutte attorno a orbite simili: "Come sta ?" "E se avesse fatto qualche sciocchezza?" "Ho separato il vero amore?"
A quelle ultime parole bevve con celerità diversi sorsi che gli andarono di traverso.
Era assodato e giustificabile che Edison provasse odio profondo nei suoi confronti, al punto che se ci fosse stata opportunità, l'avrebbe ucciso senza pensarci sopra. Ciò che aveva fatto era imperdonabile, ma era anche vero che aveva tentato di scusarsi appena dopo essersi ripreso dall'esasperante vomito.
Non era valso a nulla e lo aveva ben appreso; non si trattava di averlo allontanato dalla playstation o da qualcosa di stupido e poco importante, lo aveva strappato via definitivamente dalle braccia di Teresa Agnes, facendola esplodere in aria attimi dopo.
Era abbastanza da aggredirlo e non parlarsi più a vita ma Thomas si era fermato a intrappolarlo al muro, urlandogli contro parole sofferte per poi con un'occhiata silenziosa intimargli di uscire.
Era incredulo che quello, con tutto il dolore che teneva in corpo, non avesse alzato un dito contro di lui, probabilmente era troppo distrutto per fronteggiare anche uno magro come lui. Alle strette, aveva lasciato la stanza tornando nella propria, dove per fortuna aveva trovato Minho che lo aveva rincuorato con una frase di circostanza: «Adesso la ferita è fresca e brucia, ma gli passerà. Vedrai che capirà...» aveva detto in un soffio e, seppure fosse stupido sperare in una cosa del genere, l'inglese si era augurato con tutto se stesso che quel giorno sarebbe arrivato presto, più prima che poi.
L'amichevole momento venne interrotto da Lillian che entrò senza neanche bussare; ordinò all'asiatico di uscire così da rimanere da sola con il biondo e dar inizio a quella sorta di interrogatorio.
Isaac le spiegò tutto nei minimi dettagli seppure avesse ben poca voglia di parlare. La donna annotò il tutto per poi ringraziarlo del "formidabile" intervento, ponendo l'accento sull'efficiente servizio, per aver reagito con razionalità e prontezza, a contrario di A2 che si era lasciato sopraffare dalle circostanze.
Per A5 era un paragone privo di senso logico; era ovvio che fosse Thomas a essere coinvolto emotivamente, era lui che amava Teresa; per quieto vivere non puntualizzò, evitando che la conversazione sfociasse in una discussione vera e propria.
Restò in silenzio per la maggior parte del discorso -definito per il 90 % unilaterale-, sorbendosi tutti i complimenti che la donna gli riservava con ammirazione.
Detestava essere invaso da elogi soprattutto in una situazione del genere, ove avrebbe notevolmente preferito stare da solo e ripensare all'accaduto a mente lucida; con la testa altrove e le braccia conserte, fece orecchie da mercante per quelli che gli parvero interminabili ore anziché minuti soffocanti.
Tornò all'attenzione soltanto quando vagamente sentì;«Ovviamente avrà una premiazione.» Sgranò gli occhi, era da poco entrato nella CIA e già volevano dargli un incarico più rischioso?
«Cosa?No!» sbottò d'istinto, senza neanche pensarci su.
La donna abbozzò un'espressione basita, esterrefatta dal tempestivo rifiuto. Corrugò la fronte, indagante. «Non capisco agente ... Perché mai? Il suo dovere è eseguire gli ordini e quando c'è merito, subentra il diritto di essere premiati.» Puntualizzò per poi alzarsi dalla poltrona e cominciare a camminare per la stanza; come suo solito, Strand indossava una giacca abbinata a una gonna fino al ginocchio e delle scarpe della medesima tonalità, i capelli rossicci le cadevano mossi sulle spalle, impeccabilmente ordinati.
«A5, non le ho chiesto se preferisce il gelato a delle caramelle. Ha fatto evacuare un intero ospedale e cosa più importante ha eseguito il suo compito: salvare il chip. Ciò va premiato.» Insistette, determinata.
Newt era diventato capo di una squadra del FBI e si era mostrato impegnativo, esserlo della CIA avrebbe costato più sacrifici seppure più gratificante e onorevole; senz'altro sarebbe stato un traguardo per un giovane della sua età, ma sarebbe anche stata una scelta da codardo, soprattutto agli occhi di Thomas.
«La ringrazio, ma non accetto alcun riconoscimento.» diede risposta, spazzando via l'ampolla di silenzio creata dall'attimo di sorpresa.«Si è trattato di ... dovere morale. Lei, Thomas ... non capisco perché vi ostinate a credere che io abbia salvato il chip. Ho salvato Thomas, non il chip.» Ribatté chiaro, in modo da non essere frainteso.
«Appunto, diverse sono state le occasioni in cui poteva liberarsi di Edison, ma non l'ha fatto. Ha rischiato la vita pur di salvarlo.» Constatò Strand, incredula.«Io e il suo capo del FBI l'abbiamo davvero obbligata ad affiancare Thomas, poteva farcela pagare, dire di non aver visto il proiettile al Barcode o non seguirlo personalmente in India. Nonostante sia stato costretto, sta svolgendo l'incarico brillantemente, come mai nessuno prima d'ora.» mostrò la donna, ammirata.«Per lei, come tutti, avere Thomas come collega è una spina nel fianco, lo riconosco... è imprevedibile, testardo e sregolato, per chiunque lo affianca appare come una sorta di punizione, per questo mi sento in obbligo di mostrarle la mia gratitudine portandola a piani più elevati, senza fargli più da badante.» Newt corrugò la fronte, confuso. «Voglio che sia al capo della squadra speciale.» Enunciò diretta, evitando giri di parole.
Il ragazzo s'immobilizzò, scioccato. «È un incarico importante, ben remunerativo e le farà bene. Senz'altro la aiuterà a stare lontano da Edison, ai suoi occhi appare come un assassino.» Fece una pausa, notando inevitabilmente che gli occhi del ragazzo si erano scuriti per il terrore.«Non voglio impensierirla, ma la sua vita potrebbe essere in pericolo, è molto istintivo, potrebbe fare qualche sciocchezza ...» calò il tono, inserendo ancora più tensione all'interno di quella conversazione tanto suggestiva.
Isaac non voleva risponderle, ma doveva; si sforzò di mantenere un profilo imperturbabile.«Lo so.» dichiarò accondisceso.«Ma non è da me cercare la strada semplice, questo nuovo incarico sarebbe una fuga ed io non ho paura di Thomas. Vuole uccidermi?Che ci provi, io non scapperò.»Rispose temerario, distogliendo subito dopo lo sguardo da quello scrutatore del suo superiore.
«Ho come l'impressione che lei sottovaluti molto Edison e rifiuti quest'incarico senza neanche pensarci perché...» La donna calcò l'ultima parola, puntando lo sguardo scrutatore sulla figura dell'agente, quasi come se potesse scavargli dentro. «Tema che possa allontanarla da lui.» Lasciò in sospeso la frase, irritando il ragazzo.
Newt si sentiva osservato, studiato, sotto pressione. Un attimo prima era ammirato e poi in quel momento, pareva rimproverato se non addirittura schernito.«Che cosa sta insinuando?»domandò sulla difensiva, avanzando di un passo. Le parole erano uscite da bocca più acide di quello che si aspettava. Si morse l'interno della guancia, leggermente pentito.
«Nulla, mi limito a commentare ciò che vedo.» affermò, aggiustando sommariamente le grinze della gonna.«Capisco che lei abbia scoperto il colpo di testa di Thomas, quello che non comprendo è perché abbia agito da solo, senza avvisarci. Dovere morale sarebbe stato dare l'allarme prima della partenza, invece, è andato in India, di nascosto e senza rinforzi. Inoltre, dal primo momento che vi siete conosciuti, avete avuto dei battibecchi o era solo una scenata?»
Newt inarcò la testa, il naso arricciato in un'espressione confusa e nervosa.
«Il mio dubbio è:c'è qualcosa tra voi di cui non sono a conoscenza?»Istigò, studiosa. Strand stava giocando a un brutto gioco, Newt si sentiva sull'orlo di una crisi di nervi ma resisteva, leggeva negli occhi della donna la volontà di vederlo cedere, ma non le avrebbe concesso tale soddisfazione.
Gli si avvicinò fino a essere a un passo da lui.«Magari un sentimento proveniente da una sola direzione...» sussurrò, lasciando cadere il discorso su faccende che sicuramente non le riguardavano.
Newt avvertì quelle parole come spilli pungenti. Si sforzò di mantenere un profilo distaccato, imperturbabile, auspicandosi che nessuna espressione del viso lo contraddicesse.
«Non c'è alcun sentimento o roba simile, mi limito a trattare Thomas da ciò che è.» diede risposta, a denti stretti.
«Ovvero?» Chiese la donna, fintamente curiosa. Teneva un sopracciglio sollevato, mostrante la sua aria da "sapiente".
«Un umano.» sbottò determinato, pienamente convinto.«Non una macchina, non un'arma del governo da usare come un oggetto.» Sputò veloce, completamente in disaccordo con gli atteggiamenti della gente dell'Intelligence.
«Ah no? Peccato che sia proprio questa la definizione. È l'arma più potente d'America, ha un chip nel cervello che elabora come un computer. Non è classificabile come un umano, né ha la vita di un ragazzo della sua età.» Sbottò Lillian, senza peli sulla lingua.
«Thomas ha le sembianze di un uomo, ma fa parte di un mondo diverso dal nostro. Ha un cuore che pulsa, ma non vuol dire nulla, per quanto mi dispiaccia dirlo, ammetto che questo incidente ci porterà solo cose positive. Se Thomas aveva un pizzico di umanità per la speranza che Teresa fosse ancora viva, adesso si è spenta come una fiamma poco alimentata. È così che deve essere, Newton. I sentimenti ci sono d'intralcio.» Predicò rigida, i muscoli tesi le riservavano un'aria severa.
Newt non riuscì a non rivolgere un'occhiata disgustata, era un comportamento spregevole e contro la morale umana.
Per lui, Thomas era un ragazzo normale a tutti gli effetti. Aveva visto quanta sofferenza c'era nei suoi occhi, lo aveva visto disperarsi, piangere. Non era un robot, né sarebbe diventato una macchina telecomandata a piacimento dai pezzi grossi di turno.
«No, il vero peccato è che lei non capisce, capo Strand. »Le parole fuggirono troppo in fretta dalle labbra per fermarle. La donna sollevò il capo, allibita che il giovane l'avesse contraddetta.
«Come, prego?» Civettò, sistemando la borsa e puntando gli occhi gelidi sul ragazzo. Forse si aspettava che quello sguardo glaciale avrebbe intimorito il giovane e fargli rimangiare le parole, ma non andò così.
«Avete scelto per me già prima che mettessi piede alla base, non solo lei, mi riferisco anche al mio vecchio caro ex capo del FBI. Per voi, noi agenti siamo solo pedine, soldati; gente senza famiglie, legami, origini. Thomas ha temporeggiato proprio perché è umano, ha fatto di tutto per salvare Teresa, l'avremmo fatto tutti. Anche lei ... se ci fosse stata sua madre, sua figlia, sua sorella, forse anche una donna che non conosceva.» Liberò come un fiume in piena, oppresso dalla finzione che aveva mascherato per tutto il tempo.«Sa al colloquio per entrare al FBI mi è stata fatta una domanda, una che fanno a chiunque intraprende la vita di servitore dello stato, era: cosa spinge le persone a staccarsi dalla propria famiglia e a viaggiare per il mondo?»
La donna corrugò le sopracciglia, confusa. «Era una domanda dura, ma ho semplicemente risposto: l'umanità. Credo nella giustizia e ho giurato di agire con essa, sempre. Ho scelto questa vita, illuso di rendere il mondo, un posto più pulito. Adesso, invece, sento lei che dice che la morte di una donna è stata un beneficio e che i sentimenti sono d'intralcio, beh ... non si è superiore solo di carica ma anche di valori, e anche se Agnes ha sbagliato, c'è da soffermarsi e capirne il motivo e ancora di più ... c'è da aiutare Thomas.»
Gli occhi lucidi stentavano a trattenere l'emozione, distolse lo sguardo per ripararsi da quello scrutatore del suo capo. Lillian aveva irrigidito la mascella, se Newt poche ore prima non aveva salvato l'India, al novantanove per cento lo avrebbe già sollevato dall'incarico. Soffocò il proprio orgoglio, manifestando un distacco completo.
«Thomas dovrà riprendersi da solo, l'elaborazione del lutto è prettamente soggettiva. C'è gente che non lo supera mai, cadendo in depressione o facendo altre stupidaggini, qualora si appartenga a questa categoria, è bene abbandonare la vita militare. Per il resto ... Il suo discorso è filosofico quanto infantile. Si vede che è ancora alle prime armi, ne passerà di acqua sotto i ponti prima che chiuderà il suo cuore in una cassaforte lontana dal proprio corpo.» enunciò, accennando un sorriso diplomatico.«Adesso si sbrighi, ha diversi minuti per prepararsi, si torna a Langley.» Avvisò concisa e, senza abbandonare il sorriso sornione, uscì. Fu in quel momento che Newt capì: Lillian Strand era una donna da tenere alla larga.
***
Partirono dopo che "capo cuore di ghiaccio" ebbe parlato anche con Thomas. Newt aveva intravisto il protetto a pochi minuti dal decollo, e incredibilmente aveva avvertito l'apatia nei suoi occhi, seppur celati da un paio di occhiali neri ; uno scudo che aveva indossato per sfuggire all'ambiente circostante. Il moro aveva camminato senza alzare neanche una volta gli occhi nella sua direzione e a Newt era andato bene così, per così dire.
Il venticinquenne si sedette a uno degli ultimi posti, Isaac, invece, occupò uno dei primi; pensò bene di trattenere l'afflizione quando vide la figura dell'asiatico avvicinarsi e occupare il sediolino accanto al suo. L'inglese approfittò della confusione per chiedergli se sapesse qualcosa della conversazione tra Lillian e Thomas, Lee scrollò le spalle, avvicinandosi al suo orecchio;
«È durata pochissimo, ha detto le cose essenziali senza dilungarsi, esprimendo chiaramente di volere stare da solo e in pace.» Riportò, con una mano dinanzi la bocca per evitare che gli altri sentissero. «Non vorrai mica strigliarmi per aver sentito qualcosa? È mio amico e sono preoccupato per lui. » si giustificò in anticipo, mettendo su il broncio. Newt deglutì, in colpa, lo sguardo s'incupiva sempre più, sommerso dalla tristezza.
«Anch'io... tanto.» mormorò inaspettato, frase che Minho non udì perché distratto a sistemare un capello fuori posto.
***
Thomas con Lillian era stato evasivo e sbrigativo, era comprensibile; gli doveva essere concesso del tempo per elaborare il lutto, sperando che almeno in quel caso, l'intera Intelligence lo avrebbe trattato come un ragazzo e non come un robot.
Quella paura tormentò Newt per tutto il viaggio , e ci stava rimuginando anche adesso, seduto sul comodo divano che dal nervosismo avvertiva fastidioso.
Thomas amava davvero Teresa, era innamorato follemente per proporle di sposarlo e, cosa maggiormente significativa, aveva cercato di salvarla a tutti i costi, anche dopo aver scoperto le sue cattive intenzioni. Era proprio lui ad apparire il cattivo della storia, separando la coppia principale di quello che più di un film romantico poteva considerarsi un horror.
Forse se avesse accettato l'offerta di Lillian, si sarebbe evitata una sicura colluttazione tra lui e il venticinquenne; continuare a lavorare l'uno al fianco dell'altro dopo quell'accaduto, si sarebbe rivelato un consistente rischio.
Una piccola e incondizionata parte di sé sperava ancora nel perdono di Thomas, dopotutto aveva assolto i delitti della compagna, facendo di tutto per salvarla; Newt dubitava che fosse stato così forte e misericordioso se si fosse trovato in un'analoga situazione. A stento aveva sorvolato sulla scenata di gelosia senza senso da parte di Ben settimane prima, a casa sua.
A proposito del suo amico di letto, gli aveva telefonato appena ricevuta notizia al tg, con tanto di video della caduta per testimonianza-inoltrato a reti internazionali-. Inizialmente, Newt non gli aveva risposto, poi però, estenuato dalla moltitudine di messaggi colmi di ansia e panico, si era limitato a inviare sms tranquillizzanti.
Il rossiccio, dall'entusiasmo di esser stato preso in considerazione, lo aveva avvisato di essere nei paraggi, ma d'istinto aveva rifiutato la visita, in modo garbato. Forse aveva sbagliato, avere qualcuno a fianco non gli avrebbe nociuto, anzi, dopo un trauma del genere sicuramente lo avrebbe aiutato a non rifugiarsi nell'alcol, situazione che per il momento aveva sotto controllo.
Continuò a fare zapping tra i canali, non trovò nulla di interessante a parte un episodio di una serie tv dal titolo the 100. Restò lì, le voci dei personaggi e le immagini della pellicola gli avrebbero tenuto compagnia.
Chiuse per un attimo gli occhi, le palpebre gonfie e viole, stentavano a chiudersi, dimostrazione che in quei giorni non aveva dormito. Si passò la mano sul viso, stremato, e fu proprio in quel momento che inaspettatamente suonò il campanello di casa.
Sobbalzò dalla poltrona, colto alla sprovvista. Le orbite sgranate mostravano completamente la sorpresa. Non aspettava nessuno.
Pensò subito che si trattasse di Thomas ma era impossibile, un desiderio irrealizzabile; con un cappio alla gola, i pensieri caddero anche su Ben e temeva fortemente che fosse lui. Dopo i messaggi di due giorni prima, non avevano più parlato, o meglio dire, non aveva più risposto al "Mi manchi" inviato da quello, adesso probabilmente l'ex era passato per assicurarsi che fosse ancora vivo e sobrio, una probabilità del settanta per cento.
Si trovò a sbuffare, scocciato. Voleva soltanto deprimersi sul divano, fingendo di guardare la televisione, perché doveva essere rotto anche in quel momento? Scelse di non rispondere, fingendo di seguire l'episodio da fan fedele, come se non vi fosse nessuno sul pianerottolo pronto a sfondargli il campanello.
Passarono cinque secondi prima che Newt giungesse alla conclusione che chiunque fosse non avrebbe mollato, infatti oltre a suonare al campanello, lo sconosciuto aveva cominciato a dare tocchi continui e fastidiosi al portoncino. Inspirò ed espirò prima di uscire di casa e uccidere qualcuno. Si alzò lentamente e contro la propria volontà, mentre l'ospite continuava a insistere.
«Arrivo» proferì talmente a bassa voce che non giunse al pianerottolo.
Gettò una distratta occhiata al suo abbigliamento. Indossava qualcosa di improponibile: una t-shirt bianca stropicciata di tre taglie più grande e dei pantaloni da tuta grigi. Il ritorno dall'India lo aveva scombussolato più dell'arrivo, difatti dopo essere stato accompagnato da un agente di scorta, si era limitato a gettarsi sotto la doccia, rimanendoci per ore.
L'acqua che aveva scorso sul corpo stremato gli aveva trasmesso una passeggera quiete, necessaria per la tempesta di poco prima. Aveva lavato via sangue di cui in realtà non era impregnato, non era colpa sua se Teresa Agnes aveva intrapreso quella strada, non era colpa sua se la giovane era morta, anche se gli incubi e delle voci all'interno della sua testa glielo ripetevano di continuo.
Dopo quella sera non si era più lavato, né aveva mangiato cose nutritive ed energetiche. Era come se la sua vita fosse finita lì, nel lancio dal terzo piano dell'ospedale indiano, con Thomas stretto a sé ma contro la sua volontà.La speranza di risorgere l'avrebbe trovata nel perdono del collega.
Incurante di essere impresentabile e senza neanche guardare allo spioncino, aprì la porta.
Il viso dell'ospite era nascosto da buste della spesa che furono spostate poco dopo, rivelando Lee.
«Newt!» esclamò il coreano di un'ottava, facendolo sobbalzare.
Il biondo aprì e chiuse le palpebre, toccandosi la testa, stordito. «Minho.» Enunciò sorpreso, non aveva messo in conto che potesse essere l'asiatico. Non sapeva neanche che fosse a conoscenza del suo indirizzo. «Perché sei qui?» Domandò, la fronte corrugata in un'espressione spiazzata.
L'asiatico scrollò le spalle, indifferente. «Beh, mi assicuravo che fossi vivo ... E, per gli dei, sembri un morto. Hai un aspetto da schifo.»Osservò critico, sbalordito di tale trascuratezza.
Il biondo fece spallucce, impassibile. Era da una settimana che non si guardava allo specchio, probabilmente "schifo" era anche un complimento. Alzò di poco il braccio per annusare l'ascella, sollevato, scoprì non essere chissà quanto nociva. Poteva stare con qualcuno nella stessa casa.
«Va bene Edward mani di forbici, che ne dici di farmi entrare?» Chiese diretto il coreano, allungando il collo per sbirciare l'arredamento del biondo. «Non vorrai mica far freddare la cena?» Accennò un ghigno divertito, scuotendo le buste color mattone.
«Cena?» Fece eco il padrone di casa, turbato. L'insonnia lo rendeva davvero ritardato. Si grattò la fronte, guardando per qualche minuto il collega con espressione indecifrabile poi si spostò, lasciandogli libero passaggio.
«Finalmente vediamo la tua reggia!» Esordì trionfante, allargando le braccia in segno di abbraccio verso l'ambiente in cui accedeva.
Il biondo avrebbe tanto voluto chiedergli da dove tirasse fuori quella grinta dopo fatti tanto drammatici, ma la domanda fu un'altra.«Vediamo?» ripeté, stupito dal plurale.
«Ora stiamo anche assistendo alla versione Newt pappagallo?» Domandò di rimando Minho,sarcastico. «Beh, sempre più simpatico della versione vampiro.» puntualizzò e, con un cenno di mano, appellò;«Sali, ricciolo.» Qualcuno stava salendo le scale e a distanza di secondi, Newt scoprì si trattasse di Charles, il bambino che aveva salvato assieme a Thomas nel sotterraneo del Barcode. Almeno erano riusciti a fare una cosa positiva insieme.
«Non farci caso ... è un po' timido.» raccomandò Lee al suo orecchio, mentre il ragazzino arrivava al pianerottolo.
Era vestito diversamente da come l'inglese ricordava; indossava una giacca a vento di pelle nera che gli andava abbastanza grande sulle spalle -per lo stile e grandezza probabilmente apparteneva al coreano-, una maglia a strisce bianche e grigie, dei semplici jeans scuri e delle scarpe da ginnastica. Gli occhi profondi e blu scrutavano timidi la figura trasandata del padrone di casa, le paffute guance erano arrossate per il freddo di Dicembre.
«Entra pure, tranquillo .» accolse Isaac cordiale, abbozzando un flebile sorriso che, sommato agli occhi affaticati e l'aspetto trascurato, evidenziava ulteriormente la sua stanchezza. Il ragazzino entrò e il proprietario chiuse la porta.
«Vivi da solo, Newt caro?» Chiese l'asiatico, poggiando le tre buste DI SPESA sulla penisola della cucina, ammirando estasiato l'open space.
«Già ...» Affermò, grattandosi i capelli. Era un tipo perfetto e dalla casa in ordine, ma ultimamente il suo essere trasandato aveva trascurato anche sui suoi beni, lievemente polverosi.
«Che spreco, un così bel appartamento.» constatò con il broncio per poi stopparsi. Accennò qualche altro passo, accarezzando il divano in pelle per continuare scettico«Davvero nessuna fidanzata, fidanzato?»
Newt corrugò la fronte per "fidanzato", ma ignorò, specificando«No, sono single a tutti gli effetti.»
«Oh...perfetto, tre scapoli allora.»Concluse l'asiatico, amareggiato. Doveva tenerci tanto all'amore. «Per fortuna ho portato le birre.» Avvisò eccitato, correndo verso le buste.
Isaac lo guardò esterrefatto e senza speranze. Aveva messo quasi un catenaccio al proprio frigo per non prendervi alcun tipo di alcol, e poi l'asiatico gli stava sventolando a un centimetro dalla faccia le birre con il tasso più elevato.
«Su, su, non temporeggiamo. Mangiamo e poi ci mettiamo a lavoro!» Debuttò quello dai tratti asiatici, indicando la sua borsa porta computer.«Ho scoperto una cosa agghiacciante e dovevo subito parlarne con te!»Avvisò, lo sguardo serio lasciava alle peggiori interpretazioni. Precipitò le mani all' interno delle buste estraendovi di tutto e di più: una confezione da sei di birre, una lattina di coca-cola -evidentemente per il ragazzino-, panini con cotolette di pollo e patatine fritte per contorno.
«Diamine, Minho, sono buste a doppio fondo? Quanta roba hai comprato? Si potrebbe sfamare un esercito!» Notò il biondo, le orbite sgranate dallo sbigottimento.
Il coreano si fermò, rivolgendo un'espressione seria. «Noi siamo l'esercito.» appurò fermamente. «E credimi ... dopo quello che ti dirò, vorrai solo bere, mangiare e soprattutto dimenticare, questa quantità di cibo ti sembrerà misera.» Intimò determinato, mentre l'ex agente del FBI gli rivolgeva un'occhiata da pesce lesso.
«Che ne diresti di prendere dei fazzoletti, dei bicchieri? Siamo tornati di nuovo alla fase "Newt vampiro" sull'uscio della porta che si annusa l'ascella? Per favore, salta quella parte. » Proferì a macchinetta, aprendo le diverse dispense alla ricerca di chissà che cosa. Isaac apprezzò quella scarica di vitalità e umorismo, abbozzò un sorriso, non importava se fosse vero o no, senz'altro era la prima smorfia che si avvicinava a un sorriso da quel drammatico incidente.
«Se volete, possiamo mangiare anche in soggiorno, a terra è più comodo che su queste sedie, posso assicurarvelo.»Propose gentile, rivolgendosi ai due ospiti che lo guardarono con espressione turbata.
«Solo a casa tua si trovano sedie talmente scomode da preferirci il pavimento.» Borbottò Minho, più confuso che stranito.
«Volevo farti sentire a tuo agio, da voi non mangiate così?» Scattò il biondo, stizzito.
«Non quando il pavimento è una lastra di ghiaccio.» Lagnò l'asiatico, abbracciando se stesso per il freddo.
«Tranquillo, non lo è. I riscaldamenti sono accesi... Su, datemi le giacche, le appendo all'entrata.» Avvisò, facendo poi ciò che aveva detto. «Siediti pure» Riferì al più piccolo indicandogli il divano«Ti piacerà la serie che stanno dando.»Accennò un sorriso, augurandosi che Chuck sapesse cosa fosse una serie tv, dopotutto non sapeva ancora da quanto tempo era stato imprigionato in quella gattabuia sottoterra.
«Oh...Adesso potresti darmi un indizio, un minimo accenno cosicché mi prepari psicologicamente?» Sussurrò a bassa voce, affiancando Minho che stava liberando i panini dai cartoncini di asporto marcati Burger King.
Il collega addentò una patatina per poi rivelare; «Riguarda Teresa e Thomas.»Bastarono quei nomi per ferire il dito del biondo con il bordo tagliente della carta. Nulla di preoccupante ma che comunque bruciava.
«Caspio!» sbottò infastidito, succhiando automaticamente la piccola goccia di sangue uscente dall'indice.
«Attento, pive.» Richiamò il più grande, affrettandosi ad allungargli un fazzoletto che il biondo portò sul taglietto. «Strand non ci ha detto tutto.» Sibilò, gettando un'occhiata in direzione di Chuck, il quale, per fortuna, era completamente assorto dalla trama intrigante della serie.«Non capisco se sia possibile, ma se è la verità, non so se è un bene che Thomas lo scopra.» Puntualizzò a bassa voce, addentando un'altra patatina. Newt corrugò la fronte, sconnesso.
«Lillian, bugie, Thomas. Minho, che ne dici di andare dritto al sodo? Già sono abbastanza stordito, non mettermi altra confusione. »Supplicò il biondo, spazientito. «Stai farneticando tutte frasi senza un nesso logico.» Marcò, cercando di convincere il collega a parlare.
Lee sbuffò, stringendosi nelle spalle.«Senza un nesso logico? C'è! Eccome se c'è! Ma dopo cena, va bene? Ora si mangia, si ride e si scherza. A stomaco pieno si ragiona di più. » Troncò, beccandosi da parte del biondo un cipiglio annoiato misto all'arrabbiato.
«Non potevi pensarci prima di mettermi la pulce nell'orecchio? Adesso sono in ansia.» Ribatté, stizzito. Newt era sempre stato un tipo irritante ma quel periodo superava tutti gli altri.
«Amo il clima della suspance.» canticchiò tranquillo, Newt pensava a stenderci un velo pietoso.
«Almeno hai sue notizie? Intendo di Thomas... Sai se sta bene? In questi giorni lo hai visto?» Una domanda dopo l'altra che espose in maniera rapida, senza contenere e reprimere la sua premura.
«Ehi, ehi, ehi! Frena un attimo. Che cosa sono tutte queste domande da fratello maggiore in pensiero? Anzi no ... più da fidanzata psicopatica.» corresse dopo, incupendo lo sguardo, attento e fisso sul proprietario della casa.
Newt esitò, lanciando lo sguardo un po' ovunque, prima di dire in sua discolpa.«Sono semplicemente preoccupato.»
Minho lo stava squadrando da capo a piedi, navigando nei meandri più oscuri della sua mente, come se gli stesse facendo una sorta di radiografia. «L'ho separato da Teresa, tra loro c'era un forte legame, loro stavano insieme e-» Il collega arricciò il naso, stanco. Imitò con le mani il segno di "time out";
«Amico, adesso sei tu che stai farneticando.Quante volte devo dirtelo che hai fatto la scelta giusta? Thomas capirà e quando tornerà, vi chiarirete ... » predicò paziente, Newt si trovò ad abbassare il capo, per niente convinto delle belle parole dell'amico.
Il coreano sospirò rilassato, sicuro di aver messo a tacere le paranoie dell'altro ma invece...
«A- aspetta.» Aggiunse allarmato. «Hai detto tornerà? Perché ... dov'è adesso ?»Gli pareva di avvertire un masso pesante quintali cadergli addosso, a una velocità schiacciante.
Lee restò in silenzio, guardandolo stupefatto. Secondo il coreano c'era troppo interesse, assai dedizione per una reazione del genere, Newt era tanto fuori controllo da non riuscire a trattenersi e, con occhi bagnati di lacrime, strinse le proprie dita attorno alle muscolose braccia del coreano.
«Minho... dov'è Thomas? Dimmelo!» Digrignò a denti stretti, incurante che ci fosse anche Charles e che probabilmente stesse assistendo a un suo visibile crollo emotivo.
L'asiatico sospirò profondamente, l'espressione afflitta in viso, consapevole di non poter mentire.
«Non lo so, Newt...Nessuno lo sa. Da giorni non è rintracciabile, stanno provando a localizzarlo,ma nulla.» Ammise a capo chino, deglutendo piano.
Il padrone di casa parve non crederci, attaccandolo subito.«Ma è tornato qui, a Langley, con noi ... era nel nostro jet!» Enunciò scettico, rifiutando apertamente di accettare l'evidenza.
«Lo so, ovviamente sarà partito in seguito. Potrebbe essere in qualsiasi parte del mondo, con il chip disattivato sarà un'impresa contattarlo.» Confutò il coreano, grattandosi la nuca.
«E se gli fosse accaduto qualcosa?» gridò allarmato, in preda alla disperazione. Staccò la presa, allontanandosi dal collega.«È tutta colpa mia.» Sussurrò a se stesso, frustato.
Stava letteralmente sprofondando, le colpe gli cadevano addosso come frane di una montagna, facendolo pian piano svanire e soccombere.
«Non gli è accaduto nulla, e tu lo hai salvato. Ha bisogno soltanto di tempo per schiarirsi le idee e poi capirà che ciò che ha perso non vale neanche la pena ricordarlo. Ho sempre diffidato di Teresa e oggi ancor più di sempre. Non mi è mai piaciuta.» Confortò Lee, dandogli un'amichevole pacca sulla spalla.
«Minho...ma è morta.» Controbatté l'inglese, stupito dall'insensibilità dell'amico.
«E allora? Non significa che era una santa. Si è comportata da stronza, diciamo che Teresa è stata una stronza, doppiogiochista e chi ne ha più ne metta. Non merita commiserazione, né essere ricordata. Non dimentichiamoci che voleva che un intero ospedale saltasse in aria, e se non fosse stato per te, sarebbero morti tutti incluso Thomas.» Sbottò Minho, con l'intento di far ragionare Newt.
«Ma lui l'amava...» Attestò il biondo, deglutendo.
«Non credo proprio, e se così assurdamente fosse, deve rivalutare seriamente il termine "amore" sin dal principio. Ha avuto una vita difficile, lei lo ha visto solo, carino e come una gatta morta si è avvicinata, ma per suoi reconditi scopi, non per bene o peggio amore. Lui stupido e pieno di attenzioni ha ceduto...Teresa ha avuto un piano sin dall'inizio e poi...» Minho addentò una chicken mcnuggets per poi riprendere con non-chalance il discorso. «Se tu ami una persona non fai un figlio con un'altra.» Masticò velocemente per poi miseramente strozzarsi.
«Figlio?» Isaac aggrottò le sopracciglia, scombussolato.
«Deve essermi scappato.»Sgranò gli occhi, portando alla bocca la coca-cola destinata a Chuck. «Beh...ci sono delle novità che preferirei rivelarti dopo cena, che ne dici? Potrebbe passarmi l'appetito e poi chi mangerebbe più questo ben di Dio? Tu non di certo...sei così sciupato e a lui potrebbe venire una diarrea.» Indicò quello seduto sul divano.
Non solo Minho doveva essere un inguaribile romantico a cui le faccende amorose non andavano bene, ma sicuramente era anche un gran mangione.
Isaac abbassò il capo, spazientito. Acconsentì per quieto vivere, era scorsa una settimana, cosa sarebbe stata qualche oretta?
***
Isaac Newton era stato assediato da diverse paranoie in quella settimana, tormentato dai sensi di colpa, ma quella serata in compagnia dei due nuovi amici trascorse in modo "calmo e piacevole", soprattutto grazie alle battute del coreano, che anche se demenziali, trasmettevano simpatia proprio perché assurdamente stupide.
Newt si chiese come quello potesse essere così deficiente, stesso sciocco a cui però era grato. Se non fosse stato per Minho, avrebbe trascorso l'ennesimo giorno sdraiato sul divano, come uno in coma stato vegetativo.
L'asiatico era stato un ottimo medicinale, e non solo per lui, anche per Charles. Il ragazzino si era rivelato davvero dolce e gentile, anche se c'erano ancora tante cose da scoprire sul suo conto.
Ora, alle undici passate, il padrone di casa e il collega della CIA stavano pulendo il soggiorno, silenziosi e attenti a non svegliare il bambino, addormentato da circa dieci minuti sul sofà.
«Guarda, guarda!» Chiamò eccitato il coreano, esortando il biondo a voltarsi in direzione della televisione.
Newt assottigliò lo sguardo, si focalizzò sulle immagini, per poi sbuffare annoiato.«Non ci posso credere. A distanza di una settimana lo fanno ancora vedere.» In tv stava passando il video dell'attentato di Teresa con annessa la caduta dal terzo piano.«Se trovo quello che ci ha filmato, lo faccio a pezzi.» Sputò seccato, incrociando le braccia al petto. Minho represse un ghigno a quel commento.
«Certo che vi siete proprio abbracciati.» affermò determinato, provando a captare fattori nascosti. «Un abbraccio da brividi. » calcò, guardando sottecchi il biondo.
«Non che volessimo, Min. La circostanza lo richiedeva, non pensavo apparisse così... agli occhi esterni.»Tentò di liquidare, raccogliendo le carte da terra.
«Oh tranquillo, può essere fraintendibile solo per chi non vi conosce. Sì, insomma ... se fossi un estraneo, la vedrei una come una caduta romantica, un abbraccio d'amore.» fu più preciso, proferendo tutto con un sorrisetto fraintendibile.
L'inglese s'immobilizzò, era di spalle e sperò con tutto se stesso che l'altro non avesse notato la sua improvvisa rigidità. «Ma voi vi odiate quindi ...»
«Siamo due maschi, Min. Ti soffermi sull'odio che c'è tra noi come se fosse l'unico problema.» sentenziò oppresso, raccogliendo i fazzoletti da terra per gettarli nel cestino con fin troppa cattiveria. Probabile rabbia repressa.
«Definisci problema una relazione tra persone dello stesso sesso?» Domandò l'asiatico, sbigottito. «Cioè ...capisco che si parli di Thomas, ma chissà perché, nella mia testa non mi fa così assurdo vederlo con un uomo.» Enunciò barcollante, soffocando un rutto. «Non mi farebbe strano vederlo con te.»
Newt sentì le guance esplodere e subito deviò lo sguardo, puntandolo sulla figura dormiente del bambino.«Min, credo tu abbia bevuto troppo. Dovresti dormire.» Si raccomandò, più per proprio interesse che per il bene dell'altro.
«Non sei più curioso di sapere cosa ho scoperto?» Ricattò l'amico con un sorrisetto sghembo, uscendo sul balcone.
Newt appiattì il cipiglio, esausto. Aveva accondisceso a tutto pur di sapere quei fatti, non avrebbe permesso al coreano di prendersi così gioco di lui.«Sì, certo che voglio.» Borbottò, seguendolo.
Lee teneva le mani ancorate alla ringhiera e con espressione poetica guardava la notte che si faceva strada nel cielo. L'aria fredda e pungente era in netto contrasto con il calore che avevano in corpo a causa delle birre ingerite. Se avessero avuto meno preoccupazioni e più cervello, avrebbero indossato le giacche visto il temporale invernale in arrivo. Newt respirò a pieno, estraendo una sigaretta dal pacchetto che poi portò tra le labbra.
«Quanto diamine hai fumato in questi giorni?» Lee sgranò gli occhi, più preoccupato che perplesso. A vista, i mozziconi nel posacenere dovevano essere sotto una trentina.
«Quanto necessario.»Sminuì, rilasciando la nicotina e sollevando lo sguardo al cielo, pensieroso.
«Ti ha così distrutto questa storia?» Chiese incredulo A7, inclinando il viso verso il biondo. Era tarda sera e a illuminarli c'era soltanto un lampione a fine strada e la misera luce della sigaretta.
Newt mosse lentamente il capo a destra e sinistra, contrariato. «Sono stato io a distruggere tutto. Se potessi tornare indietro, non farei più una cosa simile.» dichiarò, mordendosi le labbra.
«COSA?!?» esclamò quello dai tratti asiatici, scioccato.
Il biondo sussultò, toccandosi il petto per lo spavento.«Abbassa la voce o sveglierai tutti.» ammonì, rivolgendo un'occhiata rimproverante.
«Io abbasserò anche la voce ma tu non perdere i neuroni, okay? Se potessi tornare indietro, faresti morire Thomas e altre trecento persone? Davvero, Newt? Una serata a sentire le mie cazzate e già sei diventato coglione?» Minho corrucciò la fronte, basito. «Sei migliore delle cazzate che dici.» sottolineò, bevendo la birra.
«Piantala...» Sbuffò l'altro, stanco.«Sto cercando di essere migliore, ma non ci riesco. Non quando ogni giorno ho un peso che mi attanaglia e che mi ricorda che non l'ho salvato. Thomas è vivo ma non l'ho salvato. » Controbatté ad alta voce, agitato.
Minho continuava a bere e ad essere confuso. Newt aveva salvato Thomas, perché sosteneva il contrario? Inspirò ed espirò, toccandosi la fronte per fare mente locale. «Migliore? Forse non ti rendi conto di ciò che hai fatto ma ti ricapitolo tutto.» proferì l'asiatico sapientone, accennando dei passi senza lanciare la presa alla ringhiera. Aveva un equilibrio discutibile.
«Non si sa come ma hai scoperto che Thomas stava facendo una cazzata, lo hai seguito in India, poi il nostro combina guai stava facendo un'altra cazzata e lo hai raggiunto all'ospedale, lì stava per morire e quindi era un'altra cazzata e tu...testa di pive piena di sploff lo hai salvato, hai salvato le sue palle e la vita di altre persone. Hai ancora dubbi sulla scelta giusta?» Minho urlò le ultime parole, avvicinandosi. Il suo alito era la cosa peggiore che Newt avesse annusato. «Ora sta' zitto e continua a tenerlo lontano dai pericoli, inclusa la verità.»dichiarò, assumendo un'espressione seria e riportando lo sguardo al cielo.
«Quale verità?» Ripeté Newt intontito, allontanando la sigaretta dalle labbra e fissando il collega.
Occhi a mandorla sbuffò, credeva che Isaac Newton fosse intelligente e, invece, sembrava un ritardato in tutto e per tutto.«Non ti sei chiesto perché Teresa abbia scelto proprio il reparto di pediatria per saltare in aria?» Lanciò l'incipit, socchiudendo gli occhi.
«Non credevo fosse rivelante.I terroristi fanno attentati per gusto, spinti da ragioni infondate, l'obiettivo sono luoghi affollati per ottenere una strage vera e propria.» Diede risposta sommariamente, non avendo la più pallida idea.
«No, Newt caro.» Sottolineò sarcastico. Era la seconda volta che in quella sera lo chiamava così, probabilmente il coreano lo stava prendendo in giro, glielo avrebbe permesso per qualche altro giorno al massimo.«Gli obiettivi sono studiati, i terroristi premeditano tutto.Teresa ha perso un figlio, voleva che altri provassero il suo stesso dolore. Dalle ricerche risulta che il bambino sia deceduto proprio in quell'ospedale un mese prima, non mi è chiara la causa.»
Isaac abbandonò le sciocchezze, concentrandosi su quella notizia struggente. Boccheggiò ansimante, le gambe tremavano per tutte quelle emozioni e notizie in poco tempo, non credeva che avrebbero retto per molto.
«Figlio?E chi sarebbe il padre?» ansimò in pena, desideroso di svelare gli innumerevoli arcani che pian piano stavano sbucando come funghi.
«Beh ... sicuramente non Thomas.» sopraggiunse ovvio, accennando un sorriso sereno.«Anche perché...non me li immagino proprio quei due insieme a fare determinate cose... bambini insieme, no per nulla!» continuò a sorseggiare la birra, ne aveva bevute quattro, mentre il biondo aveva tenuto la decenza di fermarsi a due.«E tu, Newt? Io conosco Thomas da un po' e a parte l'aria da fighetto secondo me non ci sa fare come dice, a te che impressione dà?»Minho continuava a parlare, probabilmente era l'alcol , doveva per forza; in una situazione drammatica del genere, non si pensava a una persona-protagonista del dramma-sapesse o meno rimorchiare.
Lee farneticava, blaterava cose senza senso o forse aveva cambiato discorso e un senso c'era, ma l'inglese era stato distratto da qualcosa di piccolo, bianco, sul pavimento:un foglio bianco proprio sotto ai jeans stesi, doveva essere caduto dalle tasche quando li aveva cacciati all'aria, zeppi perché bagnati dall'acqua di una settimana prima. Si calò a prenderlo, illuminando la carta con la piccola luce della sigaretta. In un primo momento non lo riconobbe, ma quando lo girò, capì.
Ebbe un vero e proprio tuffo al cuore. Non era un foglio, era una foto. La foto. Quella che aveva trovato all'interno del bunker, quella che aveva furtivamente preso e mostrato alla receptionist dell'ospedale per poi riporla in tasca. Era strano che dopo tanto movimento e tanta acqua presa fosse ancora lì, con lui. L'accarezzò, soffermandosi su Thomas.
Era così rilassato e felice, abbozzò un sorriso amareggiato per poi essere incuriosito da delle lettere, scritte sul bordo bianco. Erano sbiadite e accalcate, ma riuscì a riconoscere una ME e una O finale, il background era una tipica locanda stile...messicano. Non impiegò molto a capire. Il cuore cominciò a pulsare più velocemente e tutto intorno a lui stava diventando chiaro e limpido.
«Lo so!» Esclamò determinato e incredulo di aver avuto un'illuminazione del genere.
Minho alzò lo sguardo, rivolgendogli un'occhiata tacita dal valore" di cosa stai parlando?"
«Lo so, Minho. So dov'è Thomas.» Proferì rapido con un sorriso trionfante, non smettendo di stringere la foto tra le mani.
10 HOURS LATER...
Non seppe come trovò il coraggio, ma riuscì ad avanzare. La fronte, fredda e imperlata di sudore, grondava di goccioline che inutilmente l'inglese si ostinava ad asciugare.
Tanta sudorazione, fin troppa, se qualche medico l'avesse visto, avrebbe preso in considerazione l'ipotesi di un'imminente tachicardia che avrebbe portato a un infarto sicuro. Sospirò diverse volte, con l'intento di calmarsi, ma i palmi delle mani gli formicolavano fastidiosamente, strofinandoli con veemenza contro le gambe.Il nervosismo sommato all' ansia da prestazione non era affatto un bell'abbinamento, per niente.
Agitato com'era non aveva metabolizzato a pieno di essere arrivato in Messico in poco tempo e sano e salvo, non aveva sofferto e già per questo avrebbe dovuto gioirne, si augurava che la sua ipotesi fosse esatta e di esultare per il ritrovamento di Thomas. Aveva lasciato Minho e Chuck a casa sua, scelta cui l'asiatico aveva reagito con strilli, un incrocio tra esaltazione ed esasperazione.
I primi perché l'inglese sarebbe riuscito in quello in cui l'intera squadra dell'Intelligence aveva miseramente fallito, gli altri, perché Lee era ubriaco; sarebbe stato preoccupante affidargli un bambino e una casa, timore di cui si erano caricati perché senza alternativa.
Confidante, Newt si era precipitato all'aeroporto, dove per fortuna, aveva trovato un aereo pronto a partire a breve;grazie a google maps non era stato difficile trovare la cantina Buenos Amigos, nome cui era giunto grazie alla sua scrupolosa osservazione: nella foto, in background c'era un insegna in legno di ciliegio, la stessa che stava guardando dal vivo. L'aveva notata perché c'erano due sombrero incrociati simpaticamente.
Newt accennò una risata nervosa leggendo "buoni amici", s'augurò che Thomas fosse ben disposto come il proprietario dell'esercizio.
Pensieroso com'era, sobbalzò dallo spavento quando sentì il cellulare vibrare nella tasca per poi iniziare a squillare, ad alto volume.
«Che caspio di suoneria è?» Sbottò, portando il dispositivo all'orecchio per rispondere.«Minho, hai impostato tu questo scempio di suoneria?» interpellò subito, alterato.
«E ciao anche a te.» Esordì l'altro, il tono sembrava leggermente più sobrio, probabilmente gli effetti della sbornia stavano svanendo. «Sì, è meravigliosa ed è impossibile non sentirla.» affermò, il tono rilassato fece intuire Newt che il coreano stava sorridendo.
«Lo so, infatti si sono voltati tutti appena ha urlato "I like to move, move it".» Avvisò l'inglese a bassa voce, cercando di allontanarsi dalla folla.
«E allora?Madagascar, Messico...stai lì. Apprezzeranno che ascolti la loro musica.» Appurò convinto, tralasciando che "i like to move, move it" fosse una canzone inglese, che il Madagascar fosse un'isola dell'Africa e il Messico uno stato americano. Insomma, molte cose in comune.«Suvvia, Newt caro, parliamo di cose serie. Hai trovato il nostro scapestrato preferito?» Interrogò l'altro, curioso e divertito.
Il biondo sollevò lo sguardo, mantenendolo fisso all'interno del locale. Fu in quel momento che lo vide, ma dovette reprimere i brividi e le emozioni. Era a telfono con Minho, un minimo di decenza. Thomas aveva l'aria dormiente, la testa era poggiata in modo malconcio e nella mano destra stringeva un calice.«Sì... sta bevendo qualcosa che non riesco a vedere, qualche alcolico di sicuro.» dedusse, nascondendosi poco dopo dietro al muro. Non voleva destare sospetti.
«Come lo vedi?Sorride?» domandò ficcanaso l'asiatico.
«Che domanda idiota! Primo, non credo sorrida in una situazione del genere e secondo, non lo vedo di faccia, è di spalle.» Diede risposta stizzito, allungando il collo per cercare di vedere altro.
«L'alcol ti fa sorridere anche nei momenti più assurdi. E può darsi che ti sbagli, come fai a dire che è lui? Non lo vedi.» Forse Minho aveva detto una cosa sensata, Newt non aveva visto Thomas di faccia, ma in compenso gli erano bastate le spalle, palestrate e muscolose che tanto lo attraevano. Le avrebbe riconosciute tra mille proprio come il sedere. Erano state le prime cose a colpirgli di Thomas oltre a tutto il resto, anche se era uno stronzo cronico doveva riconoscergli di essere bello, dannatamente e fottutamente. Non era una casualità che predominava nei suoi sogni erotici. A causa dell'incidente non aveva più dormito, di conseguenza sotto sotto gli mancavano quelle volte in cui lo sognava in situazioni davvero hard.
Iniziò a immaginare diverse cose che lo allontanarono dalla realtà, dal pianeta terra. Impazziva per i movimenti dell'altro, per l'aria da cattivo e sicuro di sé e odiava quanto si rimbecillisse in prossimità di quello.
«Newt! Newt? Ehi, Newt... che ne diresti di rispondermi?» sbuffò il coreano di un'ottava.
«Oh sì, eccomi ... stavo pensando.» deglutì pentito, portando di nuovo lo sguardo sulla struttura pubblica. Allargò la visuale, facendo scorrere lo sguardo per tutto il locale.«Oh cazzo!» Imprecò, gli occhi sgranati, fuori dalle orbite.
«Perché nessuno mai dice vagina? Che ha il nostro organo riproduttivo da essere sempre nominato?» argomentò Minho quasi offeso.
«Non lo so, Minho, lascia a un'altra volta questi dubbi esistenziali. Devo staccare urgentemente.» Liquidò in preda all'ansia.
«Come?Perché? Mi stavo divertendo ...» Lagnò l'asiatico, imbronciato.
«Perché Thomas sta uscendo e non voglio perderlo di vista. Ci sentiamo dopo.» salutò frettoloso e, senza neanche dare il tempo all'amico di parlare, agganciò. Sollevò il cappuccio-seppure il clima fosse abbastanza mite- e seguì il moro.
Per precauzione decise di starsene abbastanza lontano. Non aveva ricorso a un'operazione chirurgica e, qualora Thomas si fosse voltato, lo avrebbe immediatamente riconosciuto. In soggezione, mise le mani nelle tasche, attento a far riecheggiare solo i passi del moro, come se lui fosse un fantasma.
Diede un'occhiata all'orologio , segnava le 2:30 del pomeriggio, un orario abbastanza insolito per fare passeggiate. Le strade infatti erano isolate e ospitavano solo loro due, tralasciando qualche mercante che tornava a casa per il pranzo.Era impossibile rintanarsi nell'idea di nascondersi tra la gente perché non solo era inesistente, ma quella poca era sospettosa e lo squadravano da capo a piedi. Al massimo poteva fare attenzione e sperare che l'altro non si fosse voltato. Svoltarono in diverse strade, tutte piccole, strette e disabitate. Erano quartieri degradati, dove probabilmente c'era un altro bunker, a come aveva capito, Thomas ne teneva diversi sparsi per il mondo.
Furono diverse le volte in cui notò l'equilibrio scarso di quello, barcollava come un vero tossico alcolizzato, si era trovato diverse volte a reprimere la voglia di aiutarlo.
Doveva resistere e scoprire dov'era diretto. Rilasciò un sospiro di sollievo notando del baccano, per un po' si confuse tra la gente comune, nascondendosi dietro donne e uomini, per poi tornare al suo silenzioso pedinamento. Imboccarono l'ennesimo vicolo ma stavolta qualcosa andò storto.
Era stato attento, non aveva fatto rumore, quasi non aveva respirato durante quell'inseguimento. Aveva pregato di non aver colpi di tosse improvvisa, starnuti, allergie, ma in quel momento aveva capito che non era valso proprio a nulla.
Thomas si stava voltando e Newt avrebbe voluto che il tempo si fermasse lì, che si ibernassero. "Cazzo, cazzo, cazzo" pensò, sbiancando di colpo vedendo gli occhi scuri di quello fissi sulla sua figura.
A Thomas erano cresciuti un po' i capelli che gli donavano un ulteriore aria da...meglio censurare, il viso era sempre bello seppur decorato con qualche livido, premio di una sicura scazzottata.
«Thomas...» enunciò scioccato, il cuore gli batteva a mille, probabilmente lo sentiva anche Edison seppur distante di una manciata di passi.
Il venticinquenne aveva gli occhi lucidi, segno che aveva pianto e non poco. L'aria leggermente brilla, e tanta confusione.
«Tu?»domandò incredulo, irrigidendo la mascella e dando un forte pugno contro la cabina telefonica. Quell'azione improvvisa fece sussultare il biondo, l'urto aveva risuonato per tutta la strada, doveva avergli fatto male.
«Da quanto cazzo sei qui? »domandò volgare, gli occhi, pozzi colmi d'ira, parevano uscire dalle orbite. Newt restò in silenzio, se Thomas non lo aveva ucciso in India, lo avrebbe sicuramente fatto lì.
Altri pugni alla cabina telefonica, sempre più forti dei precedenti.
«Da non molto... Devo parlarti ... » Proferì tremolante, non aveva paura che quello gli facesse male, bensì che si facesse male da solo, che soffrisse, che stesse male.
«Non voglio sentire né te, né quelli come te. Ma dimmi dove sono.»Domandò, avanzando. «Dimmelo.»
Newt tenne lo sguardo nel suo per poi distoglierlo, spaventato dalla vicinanza.«Sono qui da solo, nessuno sa che sei qui.»
«E tu sei nessuno?» blaterò, toccandogli il colletto.« Isaac Newton, dimmi dove sono quegli stronzi e forse ti risparmierò.» urlò, dando altri pugni, stavolta contro al muro. Newt poté vedere le nocche spaccarsi, ma Thomas non digrignava dal dolore, era come se fosse ... impassibile a tanta sofferenza.
«Smettila, ti farai male!»Recriminò, dubbioso se avvicinarsi e agire o mantenere quel minimo di distanza.
«Farmi male?Da quanto ti importa?» accennò una risata, nervosa e falsa. In fretta e furia, senza neanche pensarci si avvicinò al biondo e senza neanche dargli il tempo di capire e difendersi, lo colpì con un forte pugno in pieno viso capace di stenderlo. Il biondo cadde sull'asfalto, subito.
«Tu mi hai fatto male, questi pugni non sono niente.» girò intorno a Newt a terra sanguinante. «Niente.»scandì, la saliva tra i denti.
«Thomas ho dovuto.»soffiò l'altro con un filo di voce, portando la mano sul naso.
«Dici ancora questo? Cos'è, un modo per pulirti la coscienza? Sai che hai sbagliato.» sbraitò, inviperito.«Hai agito contro la mia volontà.» tuonò infuriato, alzò il biondo da terra ma non per solidarietà, bensì per intrappolarlo spalle al muro e sollevarlo per il collo della maglietta. «Dovevi aiutarmi a salvarla e se non ci fossimo riusciti, dovevi lasciarmi con lei.» Sbraitò, disperato. La puzza di alcol che fuoriusciva dalla sua bocca era impressionante.
«Lasciarti con lei sarebbe stato uguale a lasciarti morire?Lasciare che esplodessi?» Newt passò la lingua tra le labbra, incredulo. Thomas fu sorpreso da quel tono, da quella sicurezza. Isaac approfittò della distrazione per spingerlo via e intrappolarlo di seguito al muro. Per una volta i compiti erano invertiti.
«Sono qui, Thomas.» allargò le braccia, mostrandosi.« Picchiami, stendimi pure ... Già mi hai messo fuori uso il naso. » Dichiarò, pulendosi con la mano il fiotto di sangue uscente dalla narice sinistra.
«Non istigarmi, non ti alzerai più da terra.» minacciò, sdegnato.
Fu in quel momento che Newt pensò a Minho, gli era rimasta ben impressa la scenata che l'amico gli aveva fatto. Com'era? Non doveva pentirsi di aver preso quella decisione, eh?
«Non ti istigo, ma ti dico che se tornassi indietro, farei di nuovo la stessa cosa. Non ci sto a vederti morire.» Proferì caparbio e temerario.
Thomas irrigidì la mascella per poi biascicare un «Sei un pezzo di merda.» Cominciò a inveire contro il biondo, che cadde nuovamente a terra, trascinandosi il più piccolo addosso.A contrario di prima, Newt provò a difendersi, senza però attaccarlo.
«Non mi sei mai andato a genio, inglese del cazzo!» insultava Edison, dando pugni alla rinfusa. Era seduto sullo stomaco del biondo, per Isaac risultava difficile respirare figuriamoci parlare. «Io avevo fatto la mia scelta. Non avevi il diritto di immischiarti. Ambivi a una promozione? Se mi fossi morti, non saresti stato promosso. Lo hai fatto per una promozione. La vita di una ragazza per un incarico più retributivo. Fai schifo.» Thomas continuava a dare pugni, Newt era all'estremo. Stava diventando impossibile anche tenere gli occhi aperti. Dal dolore lancinante al labbro, percepì che glielo aveva spaccato, e sicuramente l'occhio destro era diventato viola.
«Non reputo i soldi più importanti di una vita.» controbatté con quel po' d'aria che aveva nei polmoni.
«Non sei un eroe, la verità è che non lo sei mai stato, Newt.» sfidò.«Fa' vedere che sai fare.»Newt provò a liberarsi, ma Thomas gli bloccò i polsi, stringendovi le proprie mani attorno, fortemente.
«Che si fottano gli eroi.» sussurrò il biondo, con un filo di voce.«Ti ho salvato perché tu sei migliore di lei, tu salvi la gente, non la uccidi.» Scand di un'ottava, stremato. Thomas si fermò, ipnotizzato da quella frase. La rabbia parve acquietarsi, i muscoli facciali rilassarsi, gli occhi, pozzi di ira, addolcirsi. «Avresti fatto lo stesso tu per me.» studiò Newt, portando la mano sull'occhio socchiuso.
«No, Isaac Newton, io ti avrei lasciato morire, come adesso.» proferì strafottente, mettendosi in piedi seppure in difficoltà. A5, invece, privo di forze continuava a starsene sdraiato sull'asfalto, sfinito.
«Come al Barcode, lì mi hai difeso anche per una stronzata, hai menato uno che voleva scoparmi.» Ricordò, a mezzo sorriso.
«Ho sbagliato.» rispose a disagio, sviando lo sguardo.«Dovevo vedere come perdevi la dignità, ah no ... lo sto vedendo adesso.» abbozzò un sorriso sarcastico, voltandosi.
«Smettila di dire caspiate, siamo più simili di quello che credi.» Sentenziò Newt, cercando di mettersi in piedi. Aveva un dolore alle costole, probabilmente Terminator aveva agito anche da quelle parti.
«Non credo che mi abbiano detto un'offesa tanto peggiore fino ad oggi.» enunciò fintamente rattristato, incrociando le braccia al petto.
Newt provò ad aggrapparsi seppure la vista gli si stesse offuscando e l'equilibrio fosse compromesso dalla stanchezza.
«Hai disattivato il chip per non farti localizzare, i soldati dell'Intelligence ti stanno cercando da giorni con i mezzi più tecnologici e avanzati, ma qualcuno ti ha trovato, con l'esattezza uno che non ha collaborato con loro e senza mezzi.» Thomas prese a guardarlo, dritto negli occhi.
«Non voglio che tu pensa che sia uno stronzo colossale, se vuoi sei libero di farlo, ma sappi che mi dispiace, dico davvero. Ci sono stato di merda, ho cercato di capire se potevamo fare qualcosa, se c'era un modo per disattivare.»
Thomas si voltò, dandogli le spalle. «Non dovevo essere una valida ragione per restare.» giunse alla conclusione, rattristito.
«Lei voleva che ti salvassi, che vivessi e devi farlo. Riprenditi la tua vita, Thomas. »Edison aveva il capo basso, quasi come se si stesse rendendo conto di quello che aveva fatto, pentendosene amaramente e ancor di più odiandosi profondamente.
«Sono stato un mostro. Desideravo spaccarti la faccia, in questi giorni l'idea di spaccarti la faccia mi ha ossessionato. Volevo distruggerti, Newt, ma non sto meglio, quindi non sei tu il mio problema.» ammise a capo chino, giocherellando con le pellicine delle mani.
«Non sei per niente un mostro, Thomas. Quello che stai affrontando si chiama lutto, è normale reagire così, ti senti solo, sfiduciato, ma guardami.» Incentivò il moro a sollevare lo sguardo, gli si avvicinò, toccandogli azzardatamente le spalle, contatto a cui il moro non si allontanò, né denigrò; «Tu non sei solo.» proferì, sincero e profondo.
Edison si soffermò a guardare Newt come non aveva mai fatto, sentiva una morsa stringersi allo stomaco, simile al senso di colpa. Inevitabilmente, attorno ai due si creò una sorta di ampolla di comprensione, si scambiarono uno sguardo che non aveva bisogno di parole, che si capiva senza proferire parola e che urlava con il cuore in mano; «Torna a casa Thomas, torna da chi è preoccupato per te.»
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