9. Un secondo Sole
Aggiornamento speciale di Halloween! Spero che il capitolo vi piaccia :)
Russia – 14 Agosto 2016, ora locale 16:22
“Generale Shepherd, è in linea con Price”. MacTavish era riuscito finalmente a mettersi in contatto con il Comandante della Task Force 141.
“Bentornato… Capitano”. La voce del Generale era affilata e il tono ben ponderato.
“Dalla padella alla brace… questo mondo ricorda l’inferno molto più di quello da cui arrivo io”.
“Credevamo di aver recuperato il modulo ACS prima che i russi potessero accedervi. Ci sbagliavamo” replicò Shepherd, con quello che sembrò essere un tono di scuse.
“Per di più, Makarov ha fatto degli Stati Uniti il suo capro espiatorio” continuò il Generale.
Price digitò velocemente sulla tastiera del portatile che gli aveva fornito MacTavish, mostrando del materiale a Shepherd.
“Cosa sono queste immagini che mi ha inviato?”. Il Generale sembrò preso in contropiede.
“Per estinguere un incendio da petrolio, basta un’esplosione ancora più grossa nelle vicinanze. Toglie tutto l'ossigeno. Spegne ogni fiamma” spiegò Price, come se le sue intenzioni fossero ovvie.
“Price… ha passato troppo tempo rinchiuso? Farà meglio a mettere un po’ di ordine in testa”.
“Shepherd… la domanda è semplice: è disposto a fare di tutto per vincere?”.
“Sempre”. La voce del Generale sibilò.
“Bene, perché qui abbiamo un bell’incendio e ci servirà un’esplosione importante”.
“Price… è rimasto prigioniero in quel Gulag per ben tre anni. Pensi solo ad eliminare Makarov” replicò il Generale, con tono calmo e paziente, marcando ogni sillaba del cognome dell'uomo che si era macchiato di diversi crimini di guerra.
“Non c’è tempo. Prima dobbiamo concludere questa guerra” continuò il Capitano, imperterrito nelle sue idee.
“Price! Non era un consiglio. Dovet-“. L’inglese premette con stizza la sequenza di tasti che interruppe bruscamente la comunicazione.
“Uhm, devono esserci dei problemi con il collegamento…” sussurrò Price, scrollandosi le spalle.
Senza perdere altro tempo, si collegò al database dei dati intelligence della Task Force e trovò dopo pochi attimi ciò che cercava.
Ormai aveva preso una decisione.
~
“Price, qui MacTavish. La trasmissione satellitare è disturbata. Vedo a malapena il paracadute di Roach. Lei lo vede? Passo”.
Si erano lanciati dal Pawe Low qualche minuto prima, atterrando nei pressi della boscaglia innevata.
Sanderson si accovacciò a terra, ignorando l'emicrania che sembrava intenzionata a spaccargli la testa. Strinse a pugno la mano destra un paio di volte e si stupì che il braccio non gli dolesse più. Si guardò intorno e vide la familiare figura di Price avvicinarsi di corsa. Non aveva idea di cosa avesse in mente il Capitano, ma Sanderson si fidava ciecamente di lui e lo avrebbe seguito senza remore.
“Ricevuto, Soap. Ho trovato Roach: sembra essere tutto intero” e gli lanciò un'occhiata da sotto il cappello da pescatore, sollevando il sopracciglio destro come a chiedere conferma e Sanderson annuì distrattamente.
“Ci dirigeremo verso nord-ovest, alla base sottomarini. Passo” continuò Price.
“Ricevuto. Il resto della squadra è atterrata vicino a Ghost, piuttosto lontano da voi, verso est”. MacTavish era rimasto sul Pawe Low per sovrintendere l'operazione.
“Falli proseguire con la missione. Se possibile, ci riuniremo. Passo e chiudo” concluse Price, per poi rivolgersi a Sanderson: “Roach, seguimi e non farti vedere”. Il Capitano gli diede le spalle e si addentrò nel bosco, seguendo un sentiero innevato con profondi solchi di pneumatici.
Si avvicinarono agli alberi alla loro sinistra e Price indicò davanti a sé: “Contatto. Pattuglia nemica a trenta metri davanti a noi”. Sanderson strizzò gli occhi mentre il vento creò un piccolo turbinio di neve, mescolandosi alla nebbia leggera: “Cinque uomini, armi automatiche, granate e… un pastore tedesco” sussurrò.
“Cani… odio i cani” si intromise MacTavish.
“Questi cani russi sono dei teneri gattini in confronto a quelli di Pripyat” replicò Price, ricordandosi della missione di quindici anni prima, quando aveva creduto di aver ucciso Imran Zakhaev. Con un gesto della mano, spronò Sanderson a procedere: “Seguiamoli senza fare rumore e sistemiamo chi rimane indietro”.
Camminando accovacciati, si appostarono dietro ad un pino dal tronco largo e il rumore di neve schiacciata insieme a quello di un motore raggiunse le loro orecchie. “Convoglio in arrivo. Non muoverti” intimò Price, chiudendo gli occhi per poter acuire il proprio udito. La jeep si allontanò lentamente e Sanderson lanciò un’occhiata al Capitano, in attesa di direttive. Price riaprì gli occhi e con un gesto del capo, lo invitò a seguirlo.
A qualche decina di metri, due soldati russi davano loro le spalle e parevano chiacchierare amichevolmente. “Quei due si sono fermati per una sigaretta. Sistema quello a destra, all'altro ci penso io” sussurrò Price, accovacciandosi per godere di una mira migliore. Sanderson lo imitò e utilizzando l’oculare del proprio fucile, inquadrò il proprio obbiettivo. Dopo un paio di sibili appena percettibili, i due soldati si riversarono a terra privi di vita.
Proseguirono seguendo lateralmente il sentiero battuto dall’andirivieni di camionette e jeep e si bloccarono nuovamente quando videro il resto della pattuglia a pochi metri di distanza.
“Sono pronto, facciamoli fuori tutti insieme. Tu pensa al cane e all'addestratore a sinistra” gli ordinò Price, il quale si era accovacciato alla sua destra. Sanderson sparò velocemente ai propri obbiettivi, mente il Capitano si occupò degli altri due soldati.
Attraversarono un ponte, sotto al quale vi era una seconda strada lievemente innevata. Si fermarono sul limitare degli alberi, guardandosi intorno attentamente e con fare circospetto. In quel momento di apparente tranquillità, Sanderson espresse ad alta voce la domanda che continuava a ronzargli nella testa: “Capitano Price… perché era un prigioniero tanto importante?”.
Aveva anche un altro dubbio – era stato fin troppo facile liberarlo dal gulag, considerando ci fosse Makarov nel retroscena della sua prigionia – ma lo tenne per sé.
Lo vide inspirare profondamente e quando i loro sguardi si incrociarono, Price aprì lievemente la bocca senza parlare, come se non sapesse cosa dire. “Credo volesse vedermi morire giorno dopo giorno. Non fisicamente, no… Sono sempre stati ben attenti nel tenermi in forma: mi facevano mangiare tre pasti caldi al giorno e si occupavano persino di un banalissimo raffreddore…”. Price distolse lo sguardo e si concentrò sulla nuvoletta di vapore che volteggiava sinuosa davanti ai suoi occhi.
“Volevano spezzarmi. Non mi hanno mai torturato, ma tutte quelle attenzioni erano l'esatto opposto di ciò che mi ero aspettato. Ero pronto al dolore e all'agonia… di certo non alla monotonia di una vita quasi normale. Sai, credo che Makarov mi ritenga il diretto responsabile della morte di Imran Zakhaev” continuò, scuotendo lievemente la testa, ricordandosi fosse stato MacTavish a sparare il colpo decisivo.
“Probabilmente mi avrebbero tenuto prigioniero fino alla mia morte naturale… un gran bel insulto per uno come me, come noi. Io vivo per ciò che faccio e sarebbe un onore morire sul campo di battagliata”.
“Mmh, io mi accontenterei di morire anziano, magari con qualche nipotino e… beh, al fianco dell'amore della mia vita” replicò Sanderson, con un sorriso sulle labbra mentre la mente virava con decisione su un unico pensiero: Thomas. Era deciso a parlargli, dopo essersi occupato di tutto quello schifo che era la guerra.
“Cavolo, Roach… sembri appena uscito da un romanzo rosa!” e gli diede un paio di pacche amichevoli sulla spalla.
Proseguirono per qualche metro, prima che un paio di elicotteri passassero sopra le loro teste trasportando armi pesanti.
“Dannazione, Soap! I dati non erano corretti: i russi hanno unità lanciamissili mobili” esclamò Price, guardando con attenzione il carico dei velivoli.
“Ricevuto”.
“Hai trovato un buon supporto aereo?”.
“Ci sto lavorando. Passo e chiudo”.
Quando giunsero al temine della strada in salita che avevano imboccato, la sagoma inconfondibile di un carro leggero russo si stagliò nel loro campo visivo.
“Seguimi Roach!” urlò Price, addentrandosi nella foresta. Sanderson lo seguì a ruota, mentre i colpi del BTR esplodevano senza tregua attorno a loro. Con il cuore in gola, il Sergente evitò agilmente un paio di alberi che, colpiti dal carro leggero, caddero pericolosamente a pochi metri da loro.
Dopo qualche decina di metri, Price si volse e si accovacciò, controllando che fossero abbastanza lontani dalla strada e che la foresta fosse abbastanza fitta.
“Bene, possiamo anche rallentare… quel BTR non ci può raggiungere” disse infine, rialzandosi. Sanderson riprese fiato, ma non appena scorse un paio di figure avvicinarsi a loro, il suo cuore perse un battito.
Si spostarono lentamente, cercando di fare meno rumore possibile e sfruttando la nebbia leggera che aleggiava tra i pini.
“Sembra ci stiano cercando… lasciali passare” sussurrò Price, sporgendosi lievemente dalla copertura fornita da un abete. Senza dire una parola, il Capitano si incamminò non appena i soldati in ricognizione furono a distanza di sicurezza.
“Attenzione. Pattuglia cinofila” comunicò nuovamente Price, ad un paio di metri da Sanderson, il quale lo seguiva senza fiatare. Il Sergente seguì lo sguardo del Capitano e individuò i flebili fasci di luce delle torce dei soldati della pattuglia. Il pastore tedesco seguiva fedelmente i loro passi. Dovevano allontanarsi velocemente o il cane avrebbe potuto fiutare il loro odore.
Si mossero di scatto quando videro i fasci di luce allontanarsi e avanzarono nella direzione opposta.
“Soap, qual è lo stato del supporto aereo?” chiese Price, comunicando con MacTavish.
“Un Predator armato di missili aria-superficie si sta dirigendo verso di voi”.
“Bene. Roach, prendi il comando del Predator” ordinò Price, sdraiandosi prono sulla cima di una piccola collinetta da cui era possibile osservare un piccolo villaggio quasi del tutto sommerso dalla neve.
Sanderson aprì il portatile che gli era stato dato ad inizio missione e, digitando qualche codice, prese il controllo del Predator. Aggrottò la fronte quando nella videata comparve una sorgente di calore in avvicinamento. Sollevò lo sguardo dallo schermo del computer e schiuse le labbra mentre un missile abbatteva con facilità il loro supporto aereo.
“Merda!” esclamò Price, mentre Sanderson riponeva il portatile al suo posto.
“Cos’è successo?” chiese MacTavish, ignaro dei fatti.
“Nel villaggio c’è un’unità lanciamissili mobile. Hanno appena abbattuto il nostro Predator… ce ne serve un altro!” replicò, prima di rivolgersi a Sanderson: “Roach, andiamo!” e saltò, scivolando sulla neve lungo il versante opposto dell'altura.
Il Sergente lo seguì e per un momento si ricordò di quando trascorreva le proprie vacanze invernali con la famiglia: lui e suo fratello passavano le ore con i propri snowboard fino a che non fosse calato il Sole.
Non appena giunsero al livello del villaggio, alcuni soldati russi iniziarono a sparare nella loro direzione, ma prima che potessero reagire in qualche modo, la resistenza nemica venne bersagliata.
“Attenzione, ragazzi. Alleati in avvicinamento a ore 12”. Sanderson riconobbe immediatamente quella voce e individuò Riley alla guida del gruppo di soldati che erano giunti per la missione.
Sanderson e Price si unirono a loro e risposero al fuoco nemico: una decina di soldati russi stava convergendo verso la loro posizione.
“Qui Soap. Secondo Predator disponibile. Roach, usalo come si deve: questi affari non crescono sugli alberi”.
Senza perdere tempo, Sanderson si nascose dietro alle pareti in legno scuro di una baita e prese tra le mani il portatile con cui avrebbe comandato il supporto aereo. Con movimenti precisi ed esperti, guidò il missile verso le numerose segnalazioni termiche nemiche ed eliminò gran parte dei soldati russi che li tenevano sotto tiro.
Appena ebbero un attimo di respiro, Price comunicò con MacTavish per un breve ragguaglio sulla situazione, dicendogli che si erano congiunti con il resto della squadra.
Oltrepassarono i confini del villaggio e, superato l'ostacolo visivo dell'altura, videro il porto che si affacciava sull’immensità placida dell'oceano.
“Ecco il sottomarino! Proprio sotto quella gru” esclamò Price, ma l'attenzione di Sanderson era stata catturata dall'elicottero sulla piazzola di atterraggio a qualche decina di metri.
Prese tra le mani il portatile per il controllo del Predator e, dopo aver scambiato un paio di sguardi eloquenti con Price, comandò un missile per distruggere il velivolo.
“Di sicuro se ne sono accorti! L'intera base è in allarme” esclamò MacTavish via radio.
Avanzarono velocemente verso il loro obbiettivo e la voce dello scozzese gracchiò nuovamente nei loro auricolari: “Muovetevi: avete due minuti prima che il sottomarino vada in immersione”.
Sanderson e Price si nascosero dietro ad un container verniciato di fresco e spararono ai soldati che riuscirono ad individuare.
Il rumore monotono e ben scandito della sirena diede il ritmo al battito cardiaco accelerato di tutti loro.
“Missile aria-superficie pronto”.
Sanderson non aspettava altro: prese subitamente i comandi del Predator ed eliminò più soldati russi possibili.
“Bel colpo, Roach. Diversi bersagli neutralizzati”.
Spararono senza sosta, avanzando di qualche metro ogni volta che Sanderson utilizzava i missili Predator.
Erano ormai a pochi passi dal loro obbiettivo.
“Vado verso il sottomarino. Copritemi dalla guardiola dell'ingresso ovest!” urlò Price, dirigendosi verso il molo da solo.
“Ricevuto! Ghost, vieni con me” replicò Sanderson, facendo segno a Riley di seguirlo sulla torre di guardia.
Salirono le scale della guardiola velocemente e, con la visuale privilegiata, poterono bersagliare al meglio i soldati russi che si contrapponevano all'avanzata di Price verso il sottomarino.
“Qui, Price. Sono dentro! Datemi qualche secondo”.
“Ricevuto!” replicò Ghost, comunicando con il Capitano, per poi rivolgersi a Sanderson: “Veicoli nemici in avvicinamento da nord. Usa il Predator!”.
Senza perdere un secondo, l'altro Sergente si precipitò sulla tastiera del portatile e mirando alla camionetta militare, la fece esplodere in una nube di terra e neve.
Si spostarono sul lato della torre che dava verso il molo a cui il sottomarino era attraccato e ciò che videro raggelò loro il sangue.
“Price, qui Ghost. Le porte dei silos del sottomarino si stanno aprendo. Ripeto: i silos si stanno aprendo!” sbraitò, senza tentare di nascondere l'angoscia che provava.
Passarono diversi secondi, senza che il Capitano rispondesse.
Sanderson deglutì rumorosamente.
“Price, risponda! Le porte dei silos sono aperte!” ripeté Riley, urlando ancor di più.
“Ottimo”. La risposta di Price fu breve e concisa.
“Cosa!?”. Sanderson non credeva ai propri occhi: era appena stato lanciato un missile nucleare dal sottomarino.
Il fragore dei propulsori coprì qualsiasi altro rumore e la luce accecante data dal combustibile bruciato li costrinse a coprirsi gli occhi con una mano.
“Hanno lanciato un missile nucleare! Ripeto: missile nucleare in volo. Codice nero!”.
Luogo e data secretati
“Secondo il vettore, il missile è diretto verso la costa orientale. Perderemo la Casa Bianca” affermò il Segretario della Difesa con tono sommesso.
Shepherd tamburellò il tavolo con le dita, rimanendo in silenzio per qualche secondo prima di parlare: “L'abbiamo già ricostruita in passato. Lo faremo ancora”.
“E le perdite?” chiese l'uomo dall'altra parte della cornetta.
“Si stimano tra le trenta e le cinquantamila vittime, a seconda del punto esatto dell'impatto. Tutti i sistemi saranno disattivati” replicò il Generale, parlando con calma, senza fretta.
“Generale Shepherd… ci avevate avvertiti. Avremmo dovuto darvi ascolto”.
Un sorriso affilato si delineò sulle labbra di Shepherd. “Quando si parlerà di questo momento, noi non saremo coloro che hanno assistito alla fine degli Stati Uniti. Il responsabile di tutto questo è uno solo… il mondo deve sapere di Makarov” asserì, evitando di specificare che l'ordigno nucleare fosse stato lanciato da uno dei suoi uomini.
“Chiedete ciò che volete… ha carta bianca, Generale”.
USA – 14 Agosto 2016, ora locale 5:57
“Qualcuno spenga quel dannato televisore”.
Ramirez si riscosse dai propri pensieri e guardò il soldato che aveva parlato, seduto di fronte a sé: si stava schiacciando il capo tra le mani e lo sguardo vacuo era perso nel vuoto. Si alzò lentamente e andò a spegnere la tv: dalle casse fuoriusciva un fastidioso rumore bianco, mentre varie comunicazioni da parte dell'esercito scorrevano in sovraimpressione.
Un rumore di passi affrettati e decisi attirò la sua attenzione e spalancò gli occhi quando riconobbe la donna che si stava avvicinando a passo di carica.
Si avvicinò a sua volta e la strinse a sé con forza eccessiva, imprimendo il suo corpo esile contro il proprio.
Si allontanò lievemente, quel tanto che bastava per guardarla negli occhi. Lei contraccambiò lo sguardo e lui si ritrovò a giocherellare con le sue lunghe ciocche corvine.
“La mia principessa…” sussurrò, mentre la guardava sorridere per l’allusione al significato letterale del suo nome, Orihime.
“Cosa ci fai qui?” le chiese poi, ritornando con i piedi per terra: si trovavano in un rifugio dotato di alcuni servizi per i civili di Washington in cerca di un riparo.
“Ho chiesto in giro e pensavo di potervi dare una mano… c’è qualche ferito?” replicò la donna, indossando un paio di guanti in lattice e assumendo il suo sguardo attento da chirurgo d'urgenza.
“La vera domanda è: c’è qualcuno che non sia ferito?” rispose Ramirez, scrollando le spalle, ma notando lo sguardo apprensivo di lei, continuò: “Tranquilla… io sto bene”.
Le accarezzò delicatamente una guancia e lei si appoggiò dolcemente alla sua mano, prolungando il suo gesto. “Sono felice che tu sia qui” affermò lui, sincero.
“Anch’io sono felice di essere qui” replicò Orihime, guardandolo con tenerezza.
Ci fu un rombo assordante, la terra tremò e le poche lampade accese si spensero in un istante.
“Cosa diavolo…?” cominciò Foley, rimasto in disparte fino a quel momento.
Nel buio della stanza, Orihime si fece più vicina a Ramirez, il quale la cullò tra le sue braccia con fare rassicurante.
Videro il fascio luminoso di qualche torcia e il volto familiare del Caporale Dunn: “Qualcuno ha fatto esplodere un missile nucleare proprio sopra Washington… è stato generato un EMP a lungo raggio”.
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