8. Operazione Kingfish

Ucraina – 8 Ottobre 2013, ora locale 6:57

Operazione Kingfish: catturare o uccidere il bersaglio. Ripeto, catturare o uccidere”. La voce calma e leggera del Comando gracchiò appena negli auricolari degli uomini della Task Force 141 e della Delta Force.

Price, alla guida del gruppo, fece segno ai propri uomini di seguirlo. Stavano attraversando una fitta foresta sui monti Karkonosze, mentre i due soldati americani della Delta Force si erano insidiati su un'altura, dalla quale avrebbero dato il proprio contributo coprendo loro le spalle.

Nonostante l'aria autunnale, la fronte del Sergente MacTavish era imperlata di sudore. Non aveva idea di chi fosse l’obbiettivo, né tanto meno la ragione di quella missione. Confidava nel fatto che il suo Capitano, Price, avesse le informazioni necessarie e tanto bastava.

“Bravo 6 in posizione, passo”. Price alzò una mano chiusa a pugno e MacTavish, imitato da Riley e Sanderson, si accovacciò a terra, in attesa.

Conto tre tango a est dalla vostra posizione. Delta Force pronta all'ingaggio, passo”. Sandman, incaricato di controllare la situazione dall'altura con il binocolo, aveva un forte accento californiano.

Ricevuto. Delta Force, siete liberi di procedere. Passo” replicò il Comando, dando il via libera alla missione.

MacTavish udì tre spari, uno in rapida successione all'altro.

Obbiettivi abbattuti. Spectre 6-4, hai il via libera all'ingaggio”. Sentendo quelle parole, Sanderson alzò lo sguardo al cielo, cercando di individuare Spectre 6-4, il supporto aereo che avrebbe appianato loro la strada.

Alcune esplosioni attirarono la loro attenzione e, come da programma, Price e la sua squadra proseguirono verso est, in direzione dei caseggiati sotto il controllo del Partito Ultranazionalista, mentre il supporto aereo facilitava la loro avanzata.

Si nascosero dietro ad un muro in mattoni a vista e Price si sporse lievemente, per poi ritrarsi di scatto: i russi lo avevano bersagliato subitamente, senza perdere tempo. MacTavish scambiò un'occhiata veloce con il Capitano, accertandosi delle sue condizioni e si sporse nel momento esatto in cui la pioggia di proiettili cessò, lanciando una granata verso il gruppo di soldati che li teneva sotto tiro. Ripresero la loro avanzata non appena ne udirono la deflagrazione e Price individuò l'edificio in cui avrebbero dovuto irrompere.

Superata l’entrata principale, si accovacciarono contro il muro bianco alla propria destra, vicino all'uscio di una stanza. Sapendo della presenza del supporto aereo, molti soldati russi si erano probabilmente barricati nel caseggiato, utilizzandolo come rifugio.

Price prese una granata dal proprio equipaggiamento e dopo aver tolto la linguetta, la lanciò all'intero della stanza. Ignorò le urla dei soldati russi e dopo la detonazione, Ghost si alzò, superando il Capitano e avanzando per conto proprio.

“Via libera” li avvertì Riley, invitandoli a raggiungerlo con un gesto della mano.

Proseguirono lungo uno stretto corridoio su cui si affacciavano diverse stanze in cui irruppero, uccidendo velocemente i soldati che si erano rifugiati al loro interno, falciando vittime con un finto disinteresse sui volti seri.

Price guidava il gruppo con fare sicuro, sapendo perfettamente i dettagli della missione e il suo sguardo si accese quando vide la porta che li avrebbe condotti all'obbiettivo finale.

“Sanderson”. Il Capitano non dovette dire altro: il Sergente era già pronto a piazzare l'esplosivo.

Quando l'esplosione ridusse in frammenti il legno della porta, Price lanciò una granata stordente verso l'interno della stanza, dove aveva intravisto tre soldati con uno sguardo veloce. Resi ciechi i russi, spararono contro di loro con precisione, facendo ricadere a terra i loro corpi senza vita.

La stanza era tappezzata di foto e mappe, alcune con qualche annotazione su post-it gialli con una grafia sferzante e femminile, mentre sulla parete opposta un computer di ultima generazione era posato con cura su una scrivania in legno chiaro.

“Overlord, qui Capitano Price. Nessuna traccia di Kingfish. Ripeto, nessuna traccia di Kingfish”.

“Price… guardi qui”. MacTavish richiamò la sua attenzione e seguendo il suo sguardo, vide la vecchia foto di gruppo che era stata scattata tempo prima. Deglutì rumorosamente quando notò una X rossa sul volto di Gaz e sul volto di ognuno di loro.

Un bip sempre più insistente gli fece raddrizzare i peli delle braccia e prima che se ne rendesse conto, spinse Riley con tutta la forza che possedeva, allontanandolo dall'ordigno esplosivo nascosto sotto la scrivania.

Russia – 14 Agosto 2016, ora locale 9:36

MacTavish scosse la testa con veemenza, tornando con la mente al presente.

Ricordava perfettamente la fuga disperata da quel posto e l'RPG che lo aveva tramortito e ferito alla gamba. Mai si sarebbe dimenticato la voce concitata del Comando che ordinava loro e ai piloti del Pave Low di abbandonare immediatamente il luogo.

Price era rimasto a terra, coprendo la loro ritirata.

Aveva pensato fosse morto e forse sarebbe stato meglio per lui, considerato che aveva passato tre anni della sua vita in un Gulag.

MacTavish fissò quegli occhi grigi che lo stavano guardando con un finto rimprovero, tentando invano di togliersi di dosso quell'orribile sensazione che strisciava sul suo cuore: forse, senza la ferita alla gamba, avrebbe potuto evitare la sua prigionia.

In un attimo, tornò ad essere quel fragile ragazzino che tentava invano di proteggere i propri compagni di classe dai bulli della scuola.

Era soltanto colpa sua.

“Smettila di tormentarti, Soap”. La durezza della voce di Price stonava con la linea dolce delle sue labbra, incurvate in un sorriso triste.

Lui riusciva a capirlo come nessun altro.

MacTavish si schiarì la gola e con gli occhi lucidi, gli porse la pistola con cui cinque anni prima aveva ucciso Imran Zakhaev: il Capitano gliela aveva lasciata, ricordandogli giorno dopo giorno quanto lui fosse fondamentale.

“Questa appartiene a lei, Signore”.

Il sorriso di Price si allargò e prese la pistola tra le mani, capendo perfettamente le sue intenzioni: era un modo per chiedere perdono, anche se non aveva nulla di cui scusarsi. “Ti ringrazio per averla conservata fino ad oggi…” sussurrò, per poi dargli un paio di pacche amichevoli sulla spalla mentre gli occhi gli si inumidivano appena.

Sanderson, rimasto in disparte fino a quel momento, sorrise lievemente, contagiato da dall'affetto tra i due, così simile a quello tra un genitore e il proprio figlio.

Il rumore di un esplosione giunse improvviso alle loro orecchie e mentre alcuni pezzi di intonaco cadevano sulle loro teste, la mura tremarono in un rombo sordo.

“Dannazione! Dobbiamo andarcene immediatamente!” urlò MacTavish, facendo segno a Price e Sanderson di seguirlo.

Bravo 6, qui Shepherd. La Marina ha iniziato il bombardamento in anticipo. Dovete abbandonare il Gulag”.

Imboccarono un tunnel in salita e videro la luce del Sole a qualche decina di metri da loro.
In quel momento, parte del soffitto crollò di colpo, bloccando la galleria di fuga.

“Indietro, indietro! Dobbiamo trovare un'altra strada” urlò MacTavish, stizzito.

Tornarono sui propri passi e imboccarono un nuovo corridoio, dove videro un soldato russo in forte stato confusionale mentre premeva una ferita alla testa con la mano destra, tentando di fermare la fuoriuscita di sangue. Proseguirono di corsa, ignorandolo ed evitando agilmente i pezzi di cemento che cadevano dal soffitto: la stabilità dell'edificio era seriamente compromessa.

Si ritrovarono nella mensa, dove un cono di luce attraversava il buco nel soffitto creato dall'ordigno inesploso che faceva capolino dal pavimento.

Sanderson deglutì rumorosamente e incrociò le dita mentalmente: quella bomba poteva esplodere in qualsiasi momento.

“6-4 dove cazzo siete?! Passo” sbraitò MacTavish, comunicando con il pilota dell'elicottero che li aveva condotti fino a lì.

Bravo 6, c’è troppo fumo, non riesco a vedervi. Non vi vedo!”.

Qui Ghost, il pilota ha ragione… fate qualcosa, qualsiasi cosa!”.

Sanderson alzò lo sguardo quando l'ennesimo rombo di un esplosione fece tremare la terra e spalancò gli occhi nel vedere un calcinaccio cadere verso di lui.

Dei rumori confusi e ovattati si fecero strada nelle sue membra doloranti e dopo qualche secondo, si rese conto che qualcuno lo stava chiamando.

Aprì gli occhi lentamente, vedendo il volto sfocato di Price a pochi centimetri dal suo.

“Soap, qualsiasi cosa tu voglia fare, falla in fretta!” urlò l'inglese, sollevando Sanderson da terra.

Il Sergente guardò MacTavish e una scia di fumo rossastra salì verso il cielo. Sentì un rivolo caldo e denso scivolare sul suo volto e toccandosi la fronte, si sporcò le dita di sangue.

Bravo 6, vedo il vostro bengala. Fune di estrazione in arrivo”. Pochi secondi dopo, una corda nera li raggiunse.

Price aiutò Sanderson a camminare, sostenendo il suo peso mentre si avvicinavano alla loro unica possibilità di salvezza. Si attaccarono entrambi alla fune e in un attimo vennero strattonati con forza verso l'alto.

Quando furono all'esterno, guardarono con gli occhi sbarrati il Gulag che veniva bersagliato senza sosta dalla Marina.

Tra le fiamme, l'edificio crollò su se stesso.

Russia – 14 Agosto 2016, ora locale 8:45

“Ma che cazzo…”. Alexandra raddrizzò la schiena, osservando con la fronte corrucciata lo schermo del proprio portatile: data la concentrazione, non si era nemmeno accorta di aver parlato ad alta voce e di aver attirato l'attenzione del proprio compagno di viaggio.

Non sentì neppure il rumore elettrico prodotto dalla parete divisoria che si innalzò tra loro e l’autista.

“Parla. Dimmi cos’è successo”. Il tono secco e perentorio di Vladimir le fece alzare lo sguardo per un attimo, ma riprese immediatamente a digitare senza sosta sulla tastiera.

Lui la lasciò fare, attendendo pazientemente mentre guardava il paesaggio circostante attraverso i finestrini oscurati dell'auto blindata.

La donna gli passò il portatile con fare stizzito. “Un EMP... un fottutissimo impulso elettromagnetico. Ecco cos’è successo”.

Vladimir guardò con attenzione lo schermo del computer e un sorriso storto si delineò sul suo viso, evidenziando ancor di più la linea biancastra di una cicatrice che gli solcava verticalmente le labbra.

“Perché sorridi? Non ci trovo nulla di divertente”. La voce bassa e melodiosa di Alexandra lo fece voltare nella sua direzione.

“Sono solo contento di aver permesso alla Bravo 6 di recuperare Price… sono sicuro sia stato lui” affermò, restituendole il portatile. “Senza un uomo del suo calibro contro di noi, raggiungere la vittoria sarebbe fin troppo facile” continuò, sistemandosi più comodamente sul sedile.

Alexandra alzò gli occhi al cielo e sbuffò lievemente.

“Sarà come una partita a scacchi: mosse e contromosse”.

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