6. L'unico giorno facile era ieri
Brasile – 13 Agosto 2016, ora locale 20:03
“Nikolai, portaci in un posto sicuro”.
Il rumore delle pale del Pave Low faceva tremare persino il posto su cui MacTavish era seduto. Lanciò un'occhiata a Roach, il quale aveva socchiuso gli occhi in un'espressione sofferente: era precipitato al suolo da un'altezza non indifferente, ma le sue condizioni erano buone.
Riley, seduto di fronte al proprio Capitano, si tolse gli occhiali da sole sportivi e la maschera militare, mostrando il proprio volto.
MacTavish si stupiva ogni volta che incrociava i suoi occhi, talmente scuri da confondersi con il nero delle pupille. Fece scivolare lo sguardo sull'indumento da cui Ghost non si separava mai e non riuscì a frenare la propria curiosità.
“Prima o poi mi dirai il perché?”. Lo vide irrigidirsi appena, per poi tornare rilassato.
Riley fissò un punto imprecisato alla destra di MacTavish, tornando improvvisamente a tanto tempo prima, risucchiato dalla mole dei propri ricordi.
Si era sentito onorato dalla richiesta di collaborazione dell'agenzia federale antidroga statunitense, la DEA, ma a posteriori probabilmente avrebbe rifiutato.
Era stato catturato dal cartello della droga messicano su cui stava indagando e una parte di sé aveva invocato la morte.
Era stato torturato. Era stato drogato.
Fortunatamente non aveva ceduto e non aveva detto una parola.
Quando era riuscito a fuggire da quel posto infernale, era rimasto spiazzato da ciò che aveva visto, credendo fosse un’allucinazione indotta dalle droghe pesanti che gli avevano somministrato: chiunque, persino i bambini, parevano scheletri ambulanti.
Aveva impiegato diversi minuti per comprendere che si erano solamente dipinti il volto. Solo dopo esser tornato in Inghilterra era venuto a conoscenza del nome di quella festività: il Día de los Muertos.
Faceva fatica a nascondersi nella folla: tutti quanti, eccetto lui, avevano il volto coperto da strati di pittura bianca e nera. Sapeva che gli uomini del cartello erano sulle sue tracce, come dei predatori in cerca della propria preda succulenta.
Una signora sulla settantina sembrava averlo capito, individuandolo tra i colori sgargianti dei fiori nelle acconciature delle donne, e con un gesto della mano gli aveva fatto segno di avvicinarsi.
La donna sedeva su un vecchio sgabello logoro, sul marciapiede a fianco della strada e non appena Riley le si era avvicinato, gli aveva dipinto il volto come gli altri messicani che partecipavano alla festa.
Ora sarebbe stato più facile mimetizzarsi.
L'aveva ringraziata con lo sguardo, incapace di esprimere a parole la propria gratitudine, ma sapeva bene che non sarebbe stato abbastanza: quella donna gli aveva salvato la vita.
Non appena si era rimesso in sesto, era tornato in quel posto, dipingendosi il volto esattamente come aveva fatto quell’anziana signora.
Aveva sterminato il cartello della droga che teneva in pugno l'intera città.
Era stato brutale, guidato da quell'istinto omicida che si era placato solamente al termine della sua missione personale: la DEA non aveva idea di ciò che avrebbe fatto.
Aveva rincontrato quella donna, nello stesso punto in cui la aveva vista la prima volta.
Sperò che liberare lei e i suoi concittadini dalla morsa di terrore fosse abbastanza per ripagare quel gesto di pura gentilezza.
Ritornò al presente e guardò per un attimo il proprio Capitano, per poi distogliere lo sguardo.
“Sì… forse un giorno lo dirò”.
MacTavish gli sorrise, comprensivo. Sapeva bene quante sofferenze e traumi causasse la guerra e avendone sofferto, riconosceva quello stesso dolore negli occhi altrui.
Gli diede un paio di pacche amichevoli sulla spalla e il suo sorriso si allargò quando vide gli angoli della bocca di Riley incurvarsi all’insù.
“Bravo 6, qui Generale Shepherd. Mi ricevete? Passo”.
MacTavish e Riley si drizzarono sul posto e persino Sanderson spalancò gli occhi udendo quella voce.
“Generale Shepherd, qui Capitano MacTavish. La ricevo” cominciò, per poi fare un breve rapporto sulla missione, condividendo tutte le informazioni in loro possesso con il Comandante della Task Force.
Quando ebbe terminato, ci furono svariati secondi di silenzio, tanto che MacTavish temette di aver perso il contatto.
Infine, Shepherd replicò con una serie di coordinate e, controllando sul GPS, il Capitano notò che segnalavano un luogo nell'Oceano Pacifico, a largo delle coste della Siberia.
“Signore, credo che le coordinate siano errate…”.
“Non preoccuparti, MacTavish. Tutto a tempo debito. Sembra che il prigioniero 627 sia la persona che Makarov vuole tenere per sé a tutti i costi, ma non possiamo raggiungerlo, almeno non direttamente”.
Il Capitano ragionò per qualche secondo sotto lo sguardo vigile di Riley, il quale ascoltava attentamente la conversazione rimanendo in silenzio.
“Piattaforme petrolifere, Signore?”.
“I russi le usano come installazioni missilistiche. In pratica gli operai sono degli scudi umani: non possiamo far saltare tutto… e quella che vi ho indicato è la meno difesa”.
Ci fu un attimo di silenzio e quando Shepherd riprese a parlare, la sua voce tradì un'emozione a cui MacTavish non riuscì a dare un nome: “Ragazzi… lo so che vi sto mandando dritti in un tritacarne…”.
“Signore, più un obbiettivo è difeso, più ci interessa. Soprattutto se ci può portare a 627”. MacTavish era sempre stato così: più qualcosa era difficile, più era determinato ad affrontarla.
Adorava le sfide.
“Vi congiungerete con la sesta flotta e da lì guiderai l'attacco, Capitano MacTavish. Passo e chiudo”.
Russia – 14 Agosto 2016, ora locale 05:48
Il rumore del proprio respiro era ovattato dalla machera da sub che indossava. Sanderson si guardò attorno e osservò con impazienza l’oscurità che lo circondava.
“USS Chicago al bacino di carenaggio: ci siamo”.
“Hangar completamente allagato. Pressione al massimo”.
“Iniziare scarico”.
In quel momento, il portellone a chiusura stagna davanti a loro si aprì, facendo entrare un po’ di luce in quel cubicolo scuro.
“Bravo 6, STD partito”. Il motore subacqueo a cui si erano aggrappati si mosse, avanzando nel tunnel e raggiungendo la vastità dell'oceano.
Nella penombra, Sanderson riuscì ad intravedere diversi pesci nuotare velocemente, allontanandosi da loro.
Strinse i denti quando il gelo dell'acqua dell'oceano si insinuò ancor di più sotto lo spesso strato della muta da sub e rafforzò la presa sull'STD, ignorando il dolore al braccio - non si era ancora ripreso del tutto, ma non poteva mancare a quella missione-.
Guardò stupefatto l'iceberg alla propria sinistra e la meraviglia si unì ad un sentore di apprensione quando notò quanto in profondità si estendesse.
Fiancheggiarono il secondo sottomarino della sesta flotta e pochi secondi dopo videro la Squadra 2, aggrappata ad un STD identico al loro.
Aguzzando la vista e strizzando gli occhi, Sanderson individuò i piloni su cui si ergeva la piattaforma petrolifera.
“Squadra 2 in posizione” e lasciarono così il motore subacqueo, iniziando a nuotare verso la superficie, imitati poco dopo dalla Bravo 6.
Aiutati dalle pinne, raggiunsero in pochi secondi il proprio obbiettivo: erano giunti al limitare della piattaforma, dove un paio di soldati russi stavano chiacchierando amabilmente per far passare il tempo.
Non si erano accorti della loro presenza.
“Roach, uccidiamoli insieme. Al mio via”. La voce calma del Capitano MacTavish gli giunse attraverso gli auricolari e si mise in posizione, attendendo gli ordini.
“Ora!”.
Si aggrappò con la mano sinistra al bordo in metallo della struttura e con uno slancio emerse dall'acqua, quel tanto che bastava per raggiungere il russo.
Con la destra, lo prese per la cintura che portava in vita e con il proprio peso lo trascinò con sé in acqua. Le sue urla di sorpresa gli giunsero smorzate e piccole bollicine d'aria glielo nascosero per qualche secondo, ma con movimenti esperti estrasse il coltello dalla propria fodera e gli tagliò la gola.
Prima di ritornare in superficie, guardò il corpo del soldato inabissarsi, fino a scomparire dalla sua vista.
MacTavish e Riley erano già sulla piattaforma e lo aiutarono ad uscire dall'acqua, sapendo che il braccio destro gli doleva ancora.
Si tolse velocemente l'attrezzatura da sub e imbracciò il fucile che fino a quel momento aveva tenuto sulla schiena.
Si avviarono silenziosi verso le scale in metallo delimitate da ringhiere pitturate di un giallo acceso, ben visibile persino con la luce fioca dell'alba.
Arrivarono al primo dei piani sopraelevati e furono costretti a calibrare il peso dei propri passi alla perfezione per far risuonare le grate il meno possibile.
Scivolarono con estrema calma a fianco dei depositi di petrolio e la voce roca di Riley gracchiò negli auricolari di tutti: “Contatto vicino alla ringhiera”.
“Autorizzo all'ingaggio. Solo armi silenziate” replicò MacTavish, dando il via libera.
Sanderson individuò poco più avanti il soldato segnalato da Ghost: era appoggiato con fare annoiato alla ringhiera e guardava sotto di sé, senza muovere un muscolo. Lo vide inspirare profondamente, per poi sbuffare spazientito.
Forse la piattaforma petrolifera Vikhorevka 36 era l’ultimo posto in cui avesse voluto stare, ma poco importava.
Erano in guerra.
Con precisione assoluta, Roach gli sparò alla nuca, facendolo ricadere a terra con un tonfo metallico.
L'uomo incaricato di sovraintendere l'operazione ricordò loro la presenza di civili e Riley si ritrovò a sollevare gli occhi al cielo, esasperato.
Non se ne sarebbero mai dimenticati e avrebbero agito secondo il protocollo, come avevano fatto nella favela di Rio, quando erano sulle tracce di Rojas.
“Bravo 6, ci prepariamo all'incursione”. MacTavish indicò la porta bianca davanti a sé e gli bastò uno sguardo per far capire a Roach di procedere.
Sanderson era già pronto: piazzò velocemente l'esplosivo sulla porta e l'affiancò, imitato da Ghost sul lato opposto al suo.
Con un'esplosione controllata, la porta in legno si ridusse in frammenti e Sanderson si sporse oltre l'uscio.
Con un'occhiata veloce, contò i presenti: tre soldati e quattro civili.
Sparò con estrema calma, ora che l'adrenalina sembrava aver rallentato il mondo attorno a sé.
“Via libera” comunicò, per poi fare segno a MacTavish e a Riley di entrare per aiutarlo con gli operai. Avevano mani e caviglie bloccate con del nastro isolante, mentre gli occhi erano stati coperti da una benda.
“Ostaggi in salvo nella sezione 2-Echo. Passo”. Il Capitano non perse tempo e riferì la situazione all'attuale base di Comando, la sesta flotta.
“Ricevuto, Bravo 6. La Squadra 2 si occuperà dell'evacuazione. Voi continuate l’operazione, passo”.
“Ok, proseguiremo al piano superiore. Comando, siamo diretti al ponte 2, passo e chiudo” replicò MacTavish, facendo segno a Sanderson di precederlo.
Roach sorpassò il secondo ingresso della stanza in cui erano irrotti e si diresse verso la rampa di scale che fiancheggiava il muro perimetrale.
Giunti al secondo piano sopraelevato, la voce del Comando gracchiò nei loro auricolari: “Bravo 6, elicottero nemico di pattuglia lungo il perimetro. Non fatevi vedere”.
“Ricevuto” replicò MacTavish, facendo segno a Riley e a Sanderson di restare in posizione, all'interno della stanza che stavano attraversando. Al centro di quelle quattro mura rinforzate vi erano diversi tavoli da lavoro, mentre alcuni scaffali ricolmi di attrezzatura per la manutenzione erano addossati alle pareti.
Udirono il frastuono delle pale dell'elicottero e non appena si allontanò, il Capitano ordinò di proseguire con un gesto vago della mano.
Superarono l'uscio e si trovarono nel lato ovest della piattaforma, dove l'ombra del resto della struttura rendeva la zona completamente buia.
“Bravo 6, altri ostaggi nella vostra posizione, passo”.
Il Capitano rispose immediatamente, mentre faceva cenno a Ghost di piazzare l’esplosivo sulla porta. Questa volta fu Sanderson a rimanere di guardia, controllando che non arrivassero soldati russi durante l'irruzione.
Udì la deflagrazione alle proprie spalle, ma non si volse, rimanendo concentrato sul proprio compito. Ci fu qualche sparo ed infine MacTavish lo richiamò, prima di comunicare con il Comando.
“Controllo, ostaggi del ponte 2 in salvo, passo”.
Sanderson guardò per qualche secondo gli operai che avevano trovato in quella stanza e represse la tentazione di appoggiare una mano sulla spalla all'uomo inginocchiato alla sua destra, provando a tranquillizzarlo.
Era terrorizzato. Tremava con violenza e si guardava intorno, nonostante la benda sugli occhi, nel vano tentativo di comprendere cosa stesse succedendo.
La radio di uno dei soldati russi uccisi gracchiò e la Bravo 6 rimase in silenzio, ascoltando la comunicazione.
“Segnale nemico… credo che avremo compagnia, Signore” affermò Ghost.
“Passiamo al piano B. Roach, piazza del C4 sui cadaveri” replicò MacTavish, indicando i corpi senza vita dei due soldati russi.
Ghost sorrise sardonico sotto la maschera militare. Ora sarebbe diventato tutto più divertente.
Sanderson vide che il Capitano e Riley si erano già allontanati e, sotto diretto comando di MacTavish, raggiunse una posizione sopraelevata, cosicché avrebbe potuto far detonare l’esplosivo al momento giusto, ovvero quando i soldati in avvicinamento avrebbero scoperto i cadaveri.
Sentì i passi cadenzati di Ghost alla sua destra e lo vide accovacciarsi al suo fianco. Roach sapeva non volesse perdersi lo spettacolo.
A qualche decina di metri dalla loro posizione, tre soldati svoltarono l'angolo, dirigendosi verso la trappola che avevano teso.
“Ecco la pattuglia. Non azionare l'esplosivo finché non saranno più vicini”. La voce calma e decisa di MacTavish ruppe per qualche secondo quel silenzio pesante e carico di tensione.
I soldati russi erano quasi nei pressi della stanza, ora carica di C4.
“Aspetta…”. Il Capitano voleva si avvicinassero ulteriormente.
Roach strinse con più forza il detonatore e sentì con chiarezza una goccia di sudore solcargli la fronte, scendere seguendo il profilo del naso e infine cadere sulla grata in metallo, emettendo un leggero plick.
Uno dei soldati della pattuglia entrò nella stanza e urlò qualcosa ai soldati che erano rimasti all'esterno.
Era giunto il momento di agire, ma aspettò l'ordine diretto del Capitano.
“Piano B, forza!”.
Sanderson premette il pulsante di detonazione e nello stesso istante la deflagrazione del C4 spazzò via i soldati russi con violenza, facendoli finire nell'acqua dell'oceano.
“Comando, qui Bravo 6. La copertura è saltata, passo”.
“Sì, saltata insieme a quei poveracci…” commentò Ghost a bassa voce, sghignazzando. Roach scosse lievemente la testa, guardando severamente l'altro Sergente, ma non riuscì a trattenere un piccolo sorriso divertito, che si allargò senza volerlo sulle sue labbra.
“Ricevuto, Bravo 6. Le nostre informazioni ci indicano ancora la presenza di ostaggi e forse esplosivi sul ponte superiore. Il vostro Team deve ottenere il controllo di quella posizione, prima che possiamo mandare rinforzi per occuparci della postazione terra-aria, passo”.
“Ricevuto, passo e chiudo” replicò MacTavish prima di rivolgersi agli uomini della propria squadra: “Dirigiamoci verso l'area di atterraggio Bravo per l'estrazione. Il Comando centrale vuole che andiamo al ponte superiore il prima possibile, in modo che possano mandare i marine. Muoversi!”.
Sanderson, seguito da Riley, scese la scale a pioli che aveva precedentemente salito per ottenere una buona visuale per il Piano B e, una volta giunto a terra, seguì il Capitano MacTavish.
Dopo una decina di metri, si imbatterono in una manciata di soldati russi, giunti sul luogo dopo la fragorosa esplosione del C4.
Roach affiancò Ghost, nascondendosi dietro a delle spesse lamiere di metallo e si sporse un poco quando il fischio del proiettili cessò. Intravide un soldato intento a ricaricare la propria arma e prima che potesse sparargli, Sanderson mirò al torace, colpendolo con un paio di proiettili.
Spostandosi in una posizione privilegiata, MacTavish riuscì ad eliminare velocemente i soldati rimasti, presi alla sprovvista.
Giunsero alla scale che portavano al piano superiore e ascoltarono silenziosamente il resoconto del Comando sulla situazione: il Team 2 stava procedendo con l’evacuazione degli ostaggi ai piani inferiori.
Utilizzarono le casse impiliate una sopra all'altra come riparo contro il fuoco nemico: i russi erano lì ad aspettare il loro arrivo.
La voce roca di Ghost attirò l’attenzione di Sanderson e del Capitano: “Cazzo, elicottero nemico! Al riparo!”.
Roach seguì lo sguardo di Riley e impallidì, notando quanto il velivolo fosse vicino alla piattaforma: probabilmente il rumore delle pale gli era sfuggito a causa del frastuono dei proiettili esplosi.
Mentre osservava Ghost e MacTavish nascondersi al meglio dal fascio di luce proiettato dalla torcia di avvistamento, prese una decisione e uscì allo scoperto.
Si lanciò verso la ringhiera perimetrale, dove aveva visto alcune casse di munizioni per il piccolo esercito stanziato sulla piattaforma petrolifera e riconobbe immediatamente la custodia di un RPG. La aprì velocemente, controllando appena il tremolio delle proprie mani e alzando lo sguardo sull'elicottero, venne abbagliato dalla luce artificiale: era stato avvistato.
Il rumore della mitragliatrice in procinto di sparare gli fece mancare un battito, ma stringendo i denti, sollevò l'RPG e prese la mira, puntando contro la luce che lo stava accecando.
Il frastuono dell’esplosione gli fece fischiare le orecchie e per qualche secondo, la fioca luce dell'alba gli sembrò inesistente, tanto da fargli sembrare completamente nero il mondo attorno a sé.
Sbatté un paio di volte le palpebre e riabituandosi alla luce del Sole, tornò da MacTavish e Riley, i quali lo avevano protetto dai russi fino a quel momento.
Dopo qualche minuto, giunsero alle scale che li avrebbe portati all'ultimo piano, dove avrebbero salvato gli ultimi ostaggi. Sul penultimo pianerottolo, altre casse di munizioni e armi erano impilate con cura e coperte da qualche centimetro di neve.
Sanderson si avvicinò, rallentando il passo e aprendo la cassa più in alto, vi trovò un paio di fucili di precisione con mirino termico. Dato che le munizioni del proprio fucile iniziavano a scarseggiare, lo prese, pensando che avrebbe potuto coprire Ghost e MacTavish da lontano.
Giunti all'ultimo piano, il vento sferzante della Siberia li investì con forza, congelando il sudore sui loro volti accaldati.
Individuarono il complesso in cui avrebbero fatto irruzione, ma in pochi secondi una nuvola biancastra si sollevò da terra, nascondendo ai loro occhi le porte che avrebbero dovuto abbattere.
“Cortina fumogena!” urlò Ghost, indicando davanti a sé e Sanderson si compiacque della scelta fatta: aveva fatto bene a prendere quel fucile con sensore termico.
Roach, nascosto dalla mole delle macchine da lavoro, si sdraiò a terra, appiattendosi completamente contro l'asfalto freddo e si sporse lievemente, oltre la propria copertura.
Come sperava, nessun soldato russo sembrava averlo visto.
Imbracciò il fucile di precisione e guardando nel mirino termico, individuò senza fatica diversi soldati russi che credevano di essere al riparo.
Digrignò i denti, quando il dolore al braccio si intensificò ad ogni rinculo del fucile.
“Bravo 6, presenza di ostaggi confermata nella vostra posizione e probabilmente ci sono anche degli esplosivi. Passo”.
“Ricevuto… Squadra, attenti a dove sparate: non sappiamo cosa ci sia dietro a quelle porte”. MacTavish, a qualche metro di distanza da Sanderson e nascosto dietro a delle casse, gli lanciò un'occhiata significativa, guardando con apprensione il fucile che imbracciava.
Sbaragliata la resistenza nemica, non senza qualche difficoltà, raggiunsero il complesso dove vi erano gli ostaggi da salvare e circondati dalla persistente cortina fumogena, Sanderson e MacTavish si scambiarono uno sguardo d’intesa: avrebbero fatto irruzione contemporaneamente su entrate diverse.
Seguendo gli ordini a gesti del Capitano, Ghost si unì a Roach, il quale aveva già piazzato l'esplosivo sulla porta, pronto a farlo detonare.
“Ora!” e Sanderson premette il pulsante sul detonatore, entrando insieme a Ghost nella stanza.
Il cuore gli pulsò furioso nelle orecchie: due civili, tre soldati e tonnellate di esplosivo.
Sparò al soldato che si era lanciato contro di lui brandendo un coltello e mirò al secondo, il quale aveva lanciato un fucile al terzo.
Quando i soldati furono a terra senza vita, Sanderson si concesse una manciata di secondi per riprendere fiato e calmare le pulsazioni del proprio cuore: tutto quel C4 avrebbe potuto demolire l'intera struttura. Era stato piazzato con cura su diversi barili contenti materiale altamente infiammabile e persino i due civili, legati ed imbavagliati a delle sedie, indossavano cinture esplosive.
“Via libera” affermò Ghost, ricevendo dopo qualche secondo l'ok anche da parte di MacTavish, dall'altra parte della stanza.
“Controllo, qui Capitano MacTavish. Tutti gli ostaggi sono in salvo. Ripeto, tutti gli ostaggi sono in salvo. Procediamo verso la zona di atterraggio Bravo, passo”.
“Ottimo lavoro, Bravo 6. I marine stanno arrivando per smantellare le postazioni terra-aria. Preparatevi per la fase 2 dell’operazione. Chiudo”.
Attraversarono la stanza, lasciando con rammarico i due civili che si dimenavano per potersi liberare, ma avevano ordini ben precisi. A loro, ci avrebbe pensato la Squadra 2.
Si avvicinarono di corsa alla piattaforma di atterraggio per gli elicotteri e mentre salivano le scale, il velivolo che li avrebbe portati via da lì atterrò nell'esatto centro della piazzola.
Saliti sull'elicottero, Sanderson non poté fare a meno di sospirare, sentendo i propri muscoli ringraziarlo per essersi messo comodo. Eppure, non riuscì a godersi appieno quel momento di calma: non era ancora finita.
Russia – 14 Agosto 2016, ora locale 7:38
Alexandra si irrigidì, collegando il prigioniero 627 alla foto che aveva allagato al suo fascicolo.
Lo odiava con tutta se stessa.
Guardò l'uomo seduto al tavolo, mantenendo una certa distanza di sicurezza. In quel momento, Vladimir e la sua ira erano come ordigni bellici inesplosi: silenziosi e assolutamente letali. Lo preferiva quando era violento, come qualche minuto prima, perché sapeva a cosa andava incontro, mentre non aveva assolutamente idea di come interpretare il suo silenzio opprimente.
Alla fine, si decise a parlare: “Che cosa intendi fare?”.
Lui rimase immobile, come se non la avesse udita, ma il sorriso tagliente che si delineò sulle sue labbra le fece capire che in realtà l’aveva sentita benissimo.
“Assolutamente niente” rispose, scandendo ogni sillaba.
Alexandra aggrottò la fronte e si sedette alla sua destra, allungando timidamente una mano verso di lui, per poi appoggiarla sulla sua spalla.
“Sì… hanno fatto tutto questo per attirare la mia attenzione: sanno quanto io mi sia impegnato per tenerlo nascosto… dopotutto, ti avevo promesso che lo avrei fatto marcire…” cominciò, alzando lo sguardo su di lei per una frazione di secondo, “Ma di certo non inizierò a giocare al loro gioco”.
“Capisco…” replicò lei, facendo ricadere la propria mano sul tavolo.
“Inoltre…” continuò Vladimir, alzando nuovamente gli occhi su di lei, “Farà tutto lui” e le lanciò uno sguardo d’intesa.
Alexandra sorrise lievemente, capendo subito di chi stesse parlando. “Per quando è prevista l'irruzione?” chiese, alzandosi dalla sedia per dirigersi in cucina e bere un sorso d'acqua.
“Domani, il 15 di Agosto, nelle prime ore del pomeriggio” rispose, per poi raggiungerla e appoggiarsi al frigorifero per poterla guardare in volto.
Una piccola risata divertita le sfuggì dalle labbra. “È davvero così disperato?” chiese, retorica.
“Disperato e… schifosamente egoista. Non gli importa nulla della vita dei propri soldati”.
“Neanche a te importa” replicò Alexandra, indicandolo con l'indice destro con fare canzonatorio.
“Sì, ma io non mi ergo a paladino della giustizia”. Vladimir incrociò le braccia al petto e inclinò il capo, fissandola.
“Mmh, vero. Lui è decisamente più bastardo di te… e ce ne vuole” e scrollò le spalle, superandolo: necessitava di una lunga doccia rigeneratrice.
“Appena puoi, prepara i tuoi bagagli!” urlò Vladimir, per farsi sentire oltre la porta del bagno.
“Dove andremo?”.
“Probabilmente, in Afghanistan”.
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