5. Esodo
Luogo e data secretati
“La mia Task Force è fuori dal Paese… sarò io a comandare la sua unità, Sergente Foley”.
La voce del Generale Shepherd era tagliente, priva di calore. Aveva usato il tono freddo e distaccato che soleva rivolgere ai propri sottoposti.
“Sissignore. È tutta sua, Signore”. Il tono del Sergente era reverenziale: essere al servizio di un uomo del calibro di Shepherd era un onore.
“Ho richiesto uno Stryker di classe 8”. Quel tipo di corazzato era perfetto per il combattimento in città.
“Vi spianerà la strada. I russi stanno annientando le nostre difese e i nostri informatori” continuò il Generale, senza far trasparire alcuna emozione.
“Non devono arrivare in quest'area” concluse.
“Indichi il luogo sulla mappa, Signore. Non ci arriveranno” affermò Foley, in un moto di arroganza.
USA – 13 Agosto 2016, ora locale 18:51
Il rumore dei cingoli dello Stryker copriva quasi del tutto i fischi frenetici dei proiettili.
Ramirez si mise alla sinistra del corazzato e osservò la mole di metallo che lo sovrastava, spostandosi lungo la via a passo d'uomo.
“Dobbiamo distruggere le contraeree nemiche per consentire agli elicotteri di atterrare ed evacuare il resto dei civili!”. Il Sergente Foley aveva già esposto l'obbiettivo della missione, ma volle comunque ripeterlo, chiarendo una volta per tutte il compito della squadra.
“Proteggete lo Stryker. Attenti ai russi con gli RPG!” continuò il Sergente, comunicando con tutti loro via radio.
Pur avendo una corazza notevole, il cingolato necessitava di protezione: non appena i russi lo avessero visto, si sarebbero scagliati contro di esso senza esitazioni.
“Squadra, fuoco di soppressione sulla casa gialla!”.
Eseguendo gli ordini del Sergente, mirarono tutti in direzione dell’abitazione indicata, dove diversi russi avevano trovato riparo.
Lo Stryker si fermò nel mezzo della strada, supportando l'azione dei soldati della Hunter 2-1.
Dopo un paio di minuti di scontro a fuoco, le armi nemiche cessarono di sparare nella loro direzione.
“Hunter 2-1, area soppressa”. Ramirez si volse istintivamente in direzione dello Stryker: i soldati al suo interno avevano la possibilità di controllare la zona con i sensori termici, dunque sapevano perfettamente che non c'erano altro che cadaveri.
Proseguirono lungo la strada, dove era stato abbandonato un camion dei pompieri con i lampeggianti ancora accesi: i vigili del fuoco erano rimasti fino all'ultimo.
Poco più avanti, incontrarono nuovamente della resistenza nemica, ma con il supporto dello Stryker non ebbero grossi problemi.
Ramirez fece irruzione in una casa dalle pareti esterne grigiastre e il lusso degli arredamenti lo abbagliò: nonostante fossero in guerra, non c'era neanche un soprammobile fuori posto, come se anche i russi si fossero sentiti intimoriti da quello sfoggio di ricchezza.
Per un attimo invidiò i proprietari di quell'abitazione. Lui aveva vissuto gran parte della sua vita nei bassi fondi e il fatto che avesse origini messicane da parte di padre e con la madre afroamericana, non lo aveva aiutato per nulla in quell'America ancora barricata nei propri pregiudizi. C'era un momento nella sua vita in cui aveva rischiato di finire in una gang del quartiere, ma fortunatamente aveva incontrato lei: la sua vita era cambiata radicalmente e quando era stato arruolato nell'esercito, vi era rimasto. Per proteggerla.
Sparò velocemente al russo che gli apparve di fronte, quando svoltò in quella che doveva essere la sala da pranzo.
Guardò per un attimo il cadavere a terra e un brutto presentimento si fece largo nella sua mente: e se Orihime… ?
Scosse la testa con veemenza, impedendosi di formulare certi pensieri.
Espirò con forza: lei era al sicuro tra le mura dell’ospedale in cui lavorava, a Washington DC.
Guardò da una finestra che dava sulla strada e impallidì nel vedere due elicotteri russi in avvicinamento.
Accese subitamente il laser, puntando prima un velivolo e poi l'altro, ricevendo pochi secondi dopo la conferma di ingaggio dello Styker: “Ricevuto, abbattiamo gli elicotteri”.
Con pochi colpi, i due velivoli precipitarono al suolo in uno schianto assordante e lingue di fuoco iniziarono a lambire gli alberi che fiancheggiavano il viale.
Avanzarono per qualche decina di metri e Ramirez sgranò lo sguardo, osservando la villa che si innalzava davanti ai suoi occhi: era persino più grande e lussuosa della casa precedente.
Il giardino esterno circondava l'abitazione e gli alberi da frutta celavano in parte la villa, nascondendola dagli sguardi dei passanti e dei vicini. Un piccolo vialetto, abbracciato da coloratissime aiuole, conduceva all'interno del giardino e Ramirez notò la presenza di una panchina in ferro battuto, dalla quale si poteva ammirare una fontana a cascata.
Era come stare in Paradiso, se non fosse stato per i proiettili volanti fin troppo vicini alla sua testa.
Avanzarono ancora, seguendo lo Styker che spianava loro la strada e superarono quello che doveva essere un posto di blocco della polizia: le volanti erano state abbandonate in mezzo alla strada, come copertura dal fuoco nemico.
Quei poliziotti erano stati coraggiosi e avevano difeso per primi la popolazione, nonostante sapessero di non avere la benché minima speranza contro l'esercito russo.
Lo Stryker speronò una macchina della polizia e senza troppa difficoltà, la spostò per poter proseguire lungo la via.
“Hunter 2-1, qui Overlord. Rapporto sulla situazione, passo”.
“Ricevuto, Overlord. Qui Sergente Foley, abbiamo superato il posto di blocco Lima. Procediamo in Arcadia, passo”.
“Ricevuto. Ho nuovi ordini per voi. Direttive dall'alto. Passo”.
La strada iniziò a procedere in discesa e all'orizzonte nuovi roghi tingevano il cielo, rendendolo rossastro.
“Ricevuto, Overlord. Dite pure. Passo”. Foley era impaziente ed era sicuro che gli ordini provenissero dal Generale Shepherd.
“La vostra squadra deve deviare verso 4677 Brookmere Road dopo aver eliminato la contraerea”.
“Ricevuto, Overlord. Deviare verso 4677 Brookmere Road dopo aver distrutto la contraerea. Perfetto”. Non chiese le motivazioni: era stato addestrato ad eseguire gli ordini senza fare troppe domande.
“Ricontattatemi non appena avete ultimato l'obbiettivo principale. Passo e chiudo”.
Attraversarono un ponte con barriere protettive in legno e Ramirez diede un occhiata al fiume che scorreva sotto di sé: lo scroscio dell'acqua era sempre stato un toccasana per i suoi nervi.
Raggiunto dal Caporale Dunn, Ramirez rispose al fuoco nemico: i russi non davano neanche un momento di tregua.
L'intera via era abbracciata da due filari paralleli di betulle, dietro alle quali si innalzavano ville maestose. Alcune abitazioni erano state ridotte in cenere, mentre altre erano completamente intatte.
Il rumore dei colpi esplosi dallo Stryker soverchiò quello dei proiettili che sorvolavano sopra la testa di Ramirez e quando il corazzato smise di sparare, i suoni lo raggiunsero ovattati, essendo ancora intontito da tutto quel baccano.
Scavalcò facilmente il muretto di cinta della casa alla sua sinistra e attraversando il giardino verdeggiante, si introdusse nell'abitazione passando per una finestra rotta: avrebbe colto di sorpresa i soldati russi.
Ormai lo aveva capito, Arcadia era una cittadina per ricchi americani, ma si stupì ancora una volta quando i suoi occhi si posarono sugli arredamenti lussuosi.
Intravide un movimento nella stanza adiacente: un’ombra si era mossa sul pavimento piastrellato. Si nascose dietro il divano a penisola e si sporse lievemente per avere una buona visuale.
Sparò alla schiena del russo che, ignaro della sua presenza, osservava la situazione all'esterno, dove il Sergente Foley e il Caporale Dunn incoraggiavano gli altri uomini della Hunter 2-1 ad avanzare.
Si incamminò accovacciato, lasciando il soggiorno e non appena giunse in anticamera, un urlo quasi animalesco lo sorprese alle spalle.
Si volse appena in tempo per vedere un soldato russo con il fucile alzato, pronto per abbattersi su di lui con forza brutale.
Gli sparò al petto e indietreggiò velocemente di un paio di passi per evitare che il cadavere gli finisse addosso.
Inspirò profondamente, calmando il cuore che palpitava senza freni nel suo petto.
Vide la porta, lasciata spalancata, dalla quale il russo era uscito e notò che dava sul garage. Vi entrò e sparò velocemente ai soldati nemici che scorse vicino alle auto di lusso parcheggiate.
Alcuni proiettili colpirono le finestre del garage, infrangendo i vetri e raggiungendo in pochi attimi la parete sul lato opposto.
Qualcuno aveva segnalato la sua posizione.
Vedendo sopraggiungere lo Stryker all'altezza della casa in cui si era introdotto, decise di uscirne, utilizzando il corazzato come copertura.
All'esterno, si ricongiunse con il resto della squadra e puntando il laser sulla casa da cui i russi li stavano bersagliando, lo Stryker ingaggiò il bersaglio da lui indicato.
Giunsero ad uno sbarramento con sacchi di sabbia e filo spinato e guardando oltre, Ramirez ne capì il motivo: lo avevano creato i russi per impedire agli americani di raggiungere la contraerea.
Ma poco importava, erano abbastanza vicini per i colpi dello Stryker.
“Obbiettivo ingaggiato. Abbattiamo la contraerea” e non appena la prima artiglieria esplose, Ramirez puntò con il laser anche la seconda, ricevendo immediatamente la conferma dagli uomini del corazzato: “Coordinate confermate. Procediamo al fuoco!”.
“Overlord, qui Hunter 2-1. Contraerea neutralizzata. Ci dirigiamo verso 4677 Brookmere Road”. Come prestabilito, Foley comunicò con il Comando. “Domanda… cosa dobbiamo cercare? Passo” continuò il Sergente, chiedendo il minimo indispensabile per poter eseguire gli ordini al meglio.
“Sergente Foley, qui Generale Shepherd”.
Sentendo quella voce fredda e priva di una qualunque emozione, un brivido gli percorse la schiena, facendolo sudare ancor di più.
“Dovete estrarre una persona di massima importanza dal rifugio blindato al secondo piano di quella casa” continuò il Generale.
Nel frattempo, avevano aggirato l'ostacolo dello sbarramento creato dai russi e si stavano dirigendo di corsa all’indirizzo che era stato dato loro.
“Sissignore!” replicò Foley, controllando il tremolio della voce.
“L’obbiettivo vi sta attendendo. Parola d'ordine: icepick. Controparola: phoenix. Portatelo via da lì e fate rapporto a Overlord. Passo e chiudo”.
“Avete sentito? 4677 Brookmere Road. Muoversi!”. Foley guardò alle sue spalle, dando uno sguardo agli uomini della sua squadra che lo stavano seguendo fiduciosi.
In un paio di minuti arrivarono a destinazione e Ramirez, imitato da Foley, controllò l'indirizzo almeno una decina di volte: la casa indicata era completamente in fiamme, collassata in parte su se stessa.
Un brutto presentimento si fece largo nei pensieri dei presenti, ma si avviarono comunque verso l'abitazione, in cerca delle scale che li avrebbero condotti al piano superiore.
Una volta trovate le scale, si avvicinarono all'uscio della camera blindata, lasciata aperta.
Ramirez aggrottò la fronte e vide che Foley era perplesso quanto lui.
“Uhm… nessun segno di forzatura” sussurrò il Sergente, controllando la porta del rifugio antipanico.
Ramirez si avvicinò al cadavere dell'uomo che avrebbero dovuto salvare e Foley gli ordinò di recuperare la valigetta al suo fianco.
“Sergente Foley”. Il Caporale Dunn richiamò la sua attenzione dall'altra stanza e indicò i cadaveri degli uomini che parevano aver ucciso le guardie del corpo del loro obbiettivo, subendo poi la stessa sorte, “Non sono i soliti tatuaggi di un paracadutista o mi sbaglio?”.
“Fate qualche foto e frugate i cadaveri”. Era l'unico modo per avere un'idea su cosa fosse accaduto.
“Shepherd non ne sarà contento…” commentò infine, immaginando la reazione del Generale.
Ramirez rimase in disparte, rimuginando su quanto vedeva. Non aveva riconosciuto l'uomo che avrebbero dovuto salvare e i suoi abiti – un classico completo nero – non gli diedero alcun indizio su chi potesse essere. Per di più, gli uomini trovati morti davanti alla camera blindata parevano non appartenere all'esercito russo.
Corrugò la fronte: perché Shepherd aveva ordinato loro di salvarlo? Inoltre, quella missione non era neppure ufficiale.
Abbassò lo sguardo sulla valigetta, chiedendosi cosa potesse contenere di così tanto importante.
“Overlord, qui Sergente Foley. Il VIP è morto”.
Russia – 14 Agosto 2016, ora locale 6:24
Alexandra aveva dormito poco, avendo passato le ultime ore della notte in compagnia di Vladimir, ma nonostante la stanchezza, aveva deciso di andare a correre come soleva fare ogni mattina.
Si vestì come al solito: felpa e leggings comodi.
Appena uscì dalla casa sicura, inspirò profondamente, godendosi il profumo degli abeti e l'aria fresca di montagna la svegliò completamente. Il giorno precedente erano tornati all'abitazione in cui avevano vissuto per gli ultimi cinque anni, al confine con la Georgia.
Iniziò a correre, percorrendo il solito sentiero che conduceva verso l'interno della foresta di conifere e per diversi minuti pensò solo ed esclusivamente al proprio respiro, mantenendolo il più regolare possibile. Si lasciò trasportare dalle proprie gambe, che ormai conoscevano bene la strada da seguire.
Si stupì quando raggiunse il ruscello, più a valle rispetto alla casa sicura: era talmente ben allenata che il suo corpo non aveva accusato alcun tipo di affaticamento.
Si avvicinò al rivolo che scorreva piano davanti a sé e unendo le mani a coppa, raccolse un po’ di acqua fresca, per poi sorseggiarla lentamente.
Rabbrividì appena, quando una folata di vento impetuosa le scompigliò i capelli, facendole ricadere qualche ciocca bionda sulla fronte.
Guardò il proprio riflesso sullo schermo del telefono che portava sempre con sé in caso di emergenza e si diede una sistemata: un paio di anni prima si era tagliata i capelli, cambiando radicalmente la propria capigliatura.
Non si era mai pentita di quella scelta: per lei, i capelli corti erano dannatamente più comodi.
Riprese la sua corsa, tornando a monte, seguendo il sentiero in salita.
Ormai a pochi metri dalla casa sicura, si fermò per fare un po’ di stretching e dando un’occhiata veloce alle finestre che davano sulla cucina abitabile, tentò di capire se Vladimir la stesse attendendo, come sua abitudine, per fare colazione.
Appena aprì la porta, si sorprese di non sentire il profumo intenso del caffè, ma quando scorse Vladimir dall’altra parte della stanza ne capì il motivo.
Era al telefono e le dava le spalle, ma la posa rigida era un chiaro segnale che qualcosa era andato storto.
Con la mano destra teneva il cellulare premuto contro l'orecchio, mentre il braccio sinistro era disteso lungo il fianco, ma le nocche della mano erano biancastre, tanta era la forza con cui stringeva il pugno.
“Loro cosa!?”.
Alexandra fece istintivamente un passo indietro, allontanandosi da lui e dalla sua ira.
Senza dire una parola, lo guardò lanciare il telefono contro la parete alla sua sinistra, disintegrandolo.
I loro sguardi si incrociarono e la donna poté vedere la rabbia che ribolliva nei suoi occhi gelidi, ma non fece domande, aspettando che fosse lui a parlare.
“Lo hanno preso”. Non fu necessario specificare: parlava ovviamente degli uomini della Task Force 141.
“Il prigioniero 627 è stato liberato”.
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