4. Il nido del calabrone

Brasile – 13 Agosto 2016, ora locale 19:17

“Non si riesce a parlare con nessuno” affermò Riley, lapidario.

Aveva comunicato ben poco con il Comando, dal quale era solamente riuscito a sapere che la Russia aveva invaso gli Stati Uniti: era stato imposto loro il silenzio radio.

Ora, erano completamente soli.
“I russi devono aver copiato il modulo ACS quando è precipitato in Kazakistan. Hanno le chiavi per tutte le porte d'America” replicò MacTavish, scuro in volto.

“E restituiscono colpo su colpo, per ogni civile morto a Mosca. A quanto pare, siamo senza alleati” continuò Ghost, sputando le parole con rabbia.

“Dobbiamo lavorare con ciò che abbiamo…”. MacTavish era pensieroso, probabilmente il suo lato da stratega stava escogitando qualcosa.

“Da Rojas abbiamo saputo che l'unica persona che Makarov odia più degli americani si trova in un gulag, in Siberia” esclamò Sanderson, dando il suo contributo alla conversazione.

“Mmh… Se è l'unica esca per quello psicopatico, mettiamola su un albero”.

Sanderson sorrise appena a quell'affermazione: il Capitano aveva sempre un'idea, un asso nella manica.

“Ma prima, dobbiamo andarcene da qui” disse Ghost, imbracciando il proprio fucile d'assalto.

“So chi ci può aiutare. Ci serve una cabina telefonica… esistono ancora?”.

~

Milizia in avvicinamento!”. La voce di Riley gracchiò nei loro auricolari e dopo qualche secondo, lo videro scendere dalla collinetta che aveva utilizzato per tenere sotto controllo gli uomini armati di Rojas.

“Nikolai! Siamo in cima alla favela circondati dai miliziani. Arriva con l'elicottero al mercato, ricevuto? Passo”. Il Capitano MacTavish comunicò con l'uomo con cui si erano messi in contatto poco prima: alla fine, avevano trovato una cabina telefona ancora funzionante.

Ok, amico mio. Arrivo!”. Un piccolo sorriso incurvò le labbra del Capitano: aveva conosciuto Nikolai cinque anni prima, quando aveva iniziato a collaborare con Price come informatore. Era solo grazie a lui se erano riusciti a scovare Al-Asad in Azerbaigian.

Superarono una lieve salita abbracciata da arbusti infestanti e giunsero nella zona più alta della favela, dove i fili per la rete telefonica rigavano di nero il cielo terso.

“Tango a ore dodici!”. Appena Riley finì di parlare, proiettili nemici sorvolarono le loro teste, facendoli accovacciare istintivamente in cerca di un riparo.

Sanderson, affiancato da MacTavish, sparò velocemente ai miliziani che si nascondevano nelle abitazioni diroccate e improvvisate.

“Dobbiamo raggiungere l'elicottero… andate verso il cancello del mercato. Muoversi!”. La voce perentoria di Soap fece accelerare il passo di tutti, fino a che non iniziarono a correre tenendo saldamente i propri fucili tra le mani.

“Contatto. Nemici sui tetti!” urlò Roach, non appena scorse miliziani sulla sommità delle abitazioni a qualche decina di metri da loro.

Si nascosero dietro il muro di cinta di una casa abbandonata e risposero al fuoco, dando del filo da torcere agli uomini di Rojas.

“Veicolo nemico. Fatelo fuori!”. Sanderson seguì lo sguardo di MacTavish ed individuò un furgoncino bianco, su cui era stata installata una mitragliatrice.

Si abbassarono appena in tempo, prima che i colpi mortali della mitragliatrice si abbattessero su di loro. Nascosti dal muretto in mattoni e cemento, erano al sicuro.

Roach tolse la linguetta di una granata e la lanciò alle sue spalle in direzione del furgoncino, senza sporsi dal riparo.

I colpi della mitragliatrice smisero di fischiare sopra le loro teste e le urla in portoghese gli fecero capire che la granata era caduta abbastanza vicina all'obbiettivo.

La deflagrazione fece tremare l'aria e in quel momento MacTavish, imitato dai suoi Sergenti, si sporse dal muretto e sparò velocemente ai superstiti.

Un tintinnio metallico li fece voltare di scatto: un miliziano li aveva ripagati con la stessa moneta.

La mano destra di Roach si mosse da sola, come se avesse vita propria e impugnò saldamente la granata, prima di lanciarla con forza lontano da loro, salvandoli.
Riley e MacTavish lo ringraziarono con un cenno del capo e con una pacca sulla spalla, il Capitano lo invitò a seguirlo, continuando la loro avanzata verso il mercato.

Superarono il furgoncino bianco, di cui oramai era rimasto poco o niente e tenendo d'occhio le finestre e i tetti delle case che fiancheggiavano la strada, si addentrarono nelle strette vie della favela.

Svoltando a sinistra, alcuni colpi mal calibrati crearono dei fori grigiastri sulle pareti esterne di una abitazione del color del grano.

Spararono in rapida successione contro le figure degli uomini di Rojas e non appena fu possibile, corsero a perdifiato lungo la strada che li avrebbe condotti a destinazione: non avevano tempo da perdere.

Un venticello leggero si alzò, facendo svolazzare nell'aria qualche foglio di carta e alcuni pezzi di plastica abbandonati in strada insieme alla spazzatura.

Arrivati ai piedi di una strada in salita, dovettero utilizzare la carrozzeria delle auto abbandonate come copertura: i miliziani si erano preparati al loro arrivo.

Una pioggia di proiettili si abbatté su di loro, costringendoli a tenersi al riparo senza poter rispondere al fuoco. Al momento più propizio, Roach tolse la linguetta di una granata e la tenne in mano per un paio di secondi prima di lanciarla alla cieca: data la pendenza della strada, non poteva rischiare che l'ordigno rotolasse ed esplodesse vicino a loro.

Allo scoppio della granata, seguirono diverse urla e i proiettili contro di loro diminuirono.

MacTavish si sporse dalla copertura che il veicolo gli forniva e sparò ad alcuni miliziani che li tenevano sotto tiro. Seguito da Roach e Ghost, riuscirono a sbaragliare la resistenza nemica.

Proseguirono nel loro cammino e giunti ad uno spiazzo, altri miliziani si opposero alla loro avanzata.

“Non vi fermate! Siamo quasi arrivati al mercato!”. Sentendo le parole di MacTavish, Roach sospirò sollevato: tra poco se ne sarebbe andato da quel posto dimenticato da Dio.

Si nascosero dietro a delle staccionate, unico riparo che potevano permettersi e contrastarono a fatica i numerosi uomini di Rojas. Erano nella favela da quasi un paio d'ore e la stanchezza iniziava a gravare sul loro fisico, pur essendo addestrati al combattimento.

Per velocizzare le tempistiche e risparmiare munizioni, Sanderson passò al lanciagranate: con un paio di colpi ridusse notevolmente la resistenza nemica.

“Squadra! Sparpagliatevi e attraversate il mercato. Muoversi!”. Il tono perentorio di MacTavish attirò l'attenzione di tutti.

Roach entrò nel mercato per primo e superò velocemente la bancherella dove erano in vendita enormi sacchi di grano e farina. Si nascose dietro a qualche cassa dal contenuto ignoto e sparò ai miliziani che riuscì ad individuare.

Sapeva che il resto della squadra fosse alla sua destra, ma non riuscì a vedere i propri commilitoni dato l’ingombro delle bancherelle e dei prodotti in vendita.

Si insinuò nelle strette viuzze create dalle baracche che a stento venivano rette dalle mura portanti e si ritrovò completamente solo.

Sanderson raccolse da terra un fucile a pompa: dati gli angoli stretti, ne avrebbe avuto bisogno.

Un rombo di motori gli fece alzare lo sguardo e la voce di MacTavish negli auricolari gli confermò ciò che stava vedendo: “Ecco il Pave Low di Nikolai! Muoviamoci”.

Svoltò nell'ennesima viuzza e sentendo il rumore di passi affrettati provenienti dalla via adiacente, si preparò a sparare.

Sfiorò il grilletto, ma si bloccò all’istante, riconoscendo il volto familiare di MacTavish: mascella squadrata, occhi cerulei e capelli castani dal taglio particolare, cortissimi ai lati e lievemente più lunghi al centro.

Riprese a respirare solo quando si scambiarono un cenno del capo; non si era neanche accorto di aver trattenuto il fiato.

“Nikolai, qui Soap. Tempo di arrivo stimato: venti secondi. Prepararsi ad un decollo immediato!”.

Seguiti da Ghost, Sanderson e MacTavish si infilarono in una abitazione per potersi avvicinare il più velocemente possibile al sito di estrazione e, al contempo, evitare gli uomini armati di Rojas.

Potremmo non fare in tempo! Vedo altri miliziani avvicinarsi al mercato”.

Riley imprecò a denti stretti, mentre Roach maledì mentalmente il brasiliano che li aveva condotti in quella situazione di merda.

Utilizzarono l'uscita sul retro e videro l'elicottero di Nikolai scendere nella piazzola designata, ma i miliziani erano troppo vicini per poter permettere alla squadra di salire sul velivolo in sicurezza.

“Nikolai, vattene! Via, via, via! Ti raggiungeremo nella zona di atterraggio secondaria”.

Roach si asciugò qualche goccia di sudore dalla fronte: fortunatamente avevano un piano B.

Perfetto, vi aspetto là! Buona fortuna!”.

Spararono senza sosta, coprendo così l'elicottero di Nikolai, il quale si risollevò da terra e si diresse verso la nuova destinazione.

“Andiamo, dobbiamo raggiungere i tetti! Seguitemi”. Senza dire una parola, Ghost e Roach si misero alle spalle del loro Capitano.

Prendendo la rincorsa, MacTavish si issò agilmente su un muro alto un paio di metri e subito venne imitato dai due Sergenti.

Corsero come forsennati sulla lamiera dei tetti della favela e videro poco più avanti il Pave Low di Nikolai, in attesa del loro arrivo.

Amico, da quassù sembra che l'intero villaggio stia cercando di uccidervi”. Nel tono di Nikolai non vi era alcuna traccia di ironia o di scherno: erano seriamente fottuti.

“Ma non mi dire! Tu pensa solo a recuperarci” replicò Soap, stizzito.

Mancava ormai poco, solo qualche decina di metri li separavano dalla fuga.

“Cazzo, sono finiti i tetti!” esclamò Ghost, guardando inorridito davanti a sé.

Dovevano saltare.

Sanderson vide MacTavish e Riley atterrare perfettamente sul tetto successivo, ma per lui non fu lo stesso.

Aveva raggiunto la lamiera con le sole braccia, mentre il resto del corpo dondolava pericolosamente nel vuoto.

Deglutì rumorosamente quando sentì la presa venire meno e sbarrò gli occhi non appena iniziò a scivolare verso il vuoto sotto di sé.

Vide una mano di MacTavish avvicinarsi alla sua, ma era troppo tardi.

L’impatto con il terreno fu devastante. Il suo corpo era un dolore unico e il braccio destro, su cui era atterrato, scricchiolò in modo preoccupante.

Roach! Mi ricevi?”. La preoccupazione nella voce di MacTavish era palese: non poteva perdere anche lui.

“S-sì”. Fu più un rantolio, ma bastò per tranquillizzare almeno un po’ il suo Capitano.

Cazzo, Roach! Li vediamo dall'elicottero… stanno arrivando a decine!”. Neppure Riley era immune all'ansia: nessuno di loro voleva perdere un altro membro della squadra.

Nonostante la vista annebbiata, Sanderson riuscì a vedere numerose ombre oscillare sul muro che dava sul vicolo a qualche metro da lui.

Doveva muoversi.

Digrignò i denti quando si sollevò da terra, ma non demorse. Non poteva rimanere lì.

Abbandonò ai propri piedi il fucile d'assalto: con le lesioni riportate, non poteva avere un carico extra sulla schiena.

Corse a perdifiato lungo le viuzze anguste e si lasciò guidare dal proprio istinto, mentre i miliziani iniziarono a seguirlo, sparando qualche proiettile nella sua direzione.

I colpi crepitavano intorno a lui, colpendo ogni cosa: pareti, mobili ed elettrodomestici.

Si lanciò da una finestra, vedendo sotto di sé le lamiere delle abitazioni al livello sottostante.

Roach, ti vedo! Prosegui sui tetti”.

Con il fiato corto e i muscoli brucianti, seguì l'ombra dell'elicottero proiettata a pochi metri da lui.

Carburante al minimo! Sarò costretto a partire tra trenta secondi”.

Riconobbe la voce di Nikolai e accelerò il passo sentendo quelle parole, ignorando il dolore: non poteva rimanere in quel girone dell'Inferno.

Va' a sinistra e scendi da lì!”. Data la visuale privilegiata, MacTavish poté indicare la via a Roach, il quale seguì gli ordini senza esitazioni.

Vide l'elicottero più avanti, sospeso in aria, al limitare dei tetti in quella zona.

“Salta!”.

Russia – 14 Agosto 2016, ora locale 00:47

Un rumore vicino a sé la svegliò e la mise in guardia.

La sua mano destra scivolò silenziosa sotto il cuscino ed afferrò decisa l’impugnatura del coltello che Vladimir le aveva dato qualche ora prima.

In uno scatto repentino, fu addosso all'intruso.

“Non smetti mai di sorprendermi, Alexandra”.

Riconobbe immediatamente quella voce e si stupì del fatto che Vladimir l’avesse chiamata con il suo nome per intero: solitamente utilizzava dei diminutivi, come Alex o Xandra.

Dovette ammettere che era dannatamente piacevole, ma non si scompose. Non fece trasparire nulla.

“Che ci fai qui, in camera mia?” chiese, senza allontanare il coltello dalla sua gola.

Essendo completamente al buio, non poté vederlo, ma era sicura stesse sorridendo sardonico.

“Perché? Non posso intrufolarmi nella tua stanza?”.

“Mmh…” fece finta di pensare prima di continuare, “No” concluse irriverente.

In un battito di ciglia, si ritrovò schiacciata al muro e disarmata.

Si maledì mentalmente: errore da principiante!

“Ne sei sicura?” le chiese, accarezzandole lascivamente le labbra con il pollice destro.

Alexandra scrollò le spalle: “Va bene… la smetterò con questa farsa”.

Ora che si era abituata a quell’oscurità, poté scorgere qualche dettaglio del suo volto, a pochi centimetri dal suo.

“Perché ora non rispondi alla mia domanda?” continuò lei.

Lo sentì ridere appena: “Ero venuto per il tuo portatile… volevo controllare con i miei occhi la situazione negli Stati Uniti”.

“E sei qui solo per questo?” chiese di rimando, accendendo la lampada posta sul comodino.

“Mmh… ad essere onesti, sì” rispose lui, con un sorriso storto sulle labbra.

Lei sbuffò, fintamente offesa e recuperò il proprio pc dal primo cassetto del mobile addossato alla parete.

“Ma si può sempre cambiare idea” sussurrò lui, quando prese il portatile dalle sue mani, per poi posarlo sulla scrivania alla sua sinistra.

“Non ne dubito”.

Vladimir indietreggiò di qualche passo e, allontanando la sedia da ufficio dalla scrivania, la invitò a sedersi.

Non appena lo fece, accese velocemente il proprio portatile e digitando diligentemente sulla tastiera, gli mostrò ciò che voleva sapere.

“Questo è ciò che vedono gli americani in tempo reale…” disse, guardando le segnalazioni dei caccia russi sulla costa occidentale. “Mentre questo è ciò che vedrebbero se non fossi intervenuta sull'ACS” continuò, cambiando visuale: quegli stessi puntini rossi di prima erano ora sulla costa orientale.

Lui rimase in silenzio, ma lo vide avvicinarsi allo schermo del computer, abbassandosi alla sua altezza.

“Semplicemente perfetto” commentò, guardandola per una manciata di secondi.

“Sì, ma ne avremo la conferma solo tra qualche ora...” sussurrò, con il cuore in gola. Il modulo ACS era stato una sfida: temeva di aver fallito.

Vladimir si raddrizzò e Alexandra lo vide avviarsi verso l’uscio della stanza.

La donna aggrottò la fronte: “Dove vai?”.

Lui si bloccò, voltandosi parzialmente verso di lei: “Riunione straordinaria del Partito” disse semplicemente, senza darle troppe spiegazioni.

“Capisco…”. Aveva continuato a rimanere nell'ombra, esattamente come quando suo padre era ancora in vita: dopotutto, era utile essere fuori dal sistema. Persino lei non aveva trovato quasi nulla sul proprio conto, nonostante le sue abilità informatiche. Eppure, era snervante rimanere sempre in disparte.

Sentì i suoi passi decisi e cadenzati avvicinarsi e sollevò lo sguardo su di lui quando lo vide porgerle il coltello che poco prima le aveva tolto dalle mani.

“Tornerò tra un paio d'ore”.

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