2. Inseguimento

Luogo e data secretati

Dopo la morte di Allen, si erano riuniti attorno al solito tavolo dove solevano organizzare missioni o prendere decisioni importanti.

Il soldato guardò gli uomini della sua squadra che sedevano al suo fianco: Gary Sanderson e Simon Riley.

Dopo la scomparsa di Price tre anni prima, MacTavish era stato nominato Capitano e con il nuovo grado era divenuto il superiore dei due Sergenti, desiderosi di servire la causa.

La prima volta che aveva incontrato Riley aveva subito pensato fosse un tipo davvero strano e dopo anni di conoscenza non aveva cambiato idea: quando andavano in missione, si calava sul volto una maschera militare con il disegno di un teschio. Con quella sua stramberia, si era guadagnato il soprannome “Ghost”.

Sanderson era un soldato più ordinario, ma solo per quanto riguardava le proprie particolarità. Sul campo di battaglia era tutto fuorché nella media.

“I russi non rimarranno impassibili davanti a questo massacro. Scorrerà parecchio sangue”. Fu Riley a interrompere per primo quel silenzio opprimente.

“Giustissimo, amico. Ora, agli occhi del mondo, sono loro le vittime” replicò MacTavish con un velo di stizza nella voce. “Nessuno dirà nulla quando i russi colpiranno ogni americano che capiterà loro a tiro”.

“Makarov è sempre stato un passo davanti a noi e ora ha lasciato centinaia di cadaveri ai piedi di un americano”. La rabbia di Shepherd ribolliva nei suoi occhi gelidi.

MacTavish scosse lievemente la testa. “Solo noi sappiamo sia stato Makarov e la nostra credibilità è morta insieme ad Allen. Abbiamo bisogno di prove concrete”.

Shepherd allungò le mani sul tavolo, raggiungendo la valigetta in pelle nera con cui era arrivato. Sfogliò con le dita i fascicoli e, appena trovò ciò che cercava, lo prese e lo mostrò ai soldati davanti a sé.

“Alejandro Rojas” disse semplicemente.

MacTavish aggrottò la fronte. “Mai sentito, Signore”.

“Lo conoscete come Alex il Rosso. Ha procurato le armi per il massacro all’aeroporto”.

Il Capitano fece scivolare il proprio sguardo sulla lavagnetta ad un paio di metri da lui e fissò il punto di domanda rosso a fianco di Makarov.

Shepherd intuì i suoi pensieri. “No, non è lui. Abbiamo diverse informazioni su Rojas” disse, picchiettando con l'indice la foto che lo ritraeva sul fascicolo. “Mentre di quel tipo, non sappiamo proprio nulla. Sembra non esista”.

Un bussare leggero li fece voltare verso la porta e, dopo l'invito ad entrare di Shepherd, il volto del capo del team informatico fece capolino oltre l'uscio.

“Signore, abbiamo trovato qualcosa” disse, mentre entrava nella stanza sotto gli sguardi seri dei presenti.

Appoggiò il portatile sul tavolo davanti al Generale e gli mostrò un ferma immagine. “Quell'ambulanza ha lasciato l’aeroporto Zakhaev per prima, mentre le altre hanno impiegato un tempo notevolmente maggiore. In effetti, trovare dei superstiti dopo un attacco del genere è… raro” spiegò.

Shepherd guardò meglio l'immagine: il paramedico alla guida era senza dubbio una donna. Purtroppo il volto era parzialmente coperto dalla visiera di un cappellino e gli occhi erano nascosti dalle lenti scure di un paio di occhiali da sole. Con un cenno della capo fece segno all'informatico di lasciarli soli e, quando richiuse la porta alle sue spalle, girò il portatile cosicché anche gli altri potessero vedere.

“Crede che Makarov sia scappato in ambulanza, Signore?” chiese MacTavish, fissando lo schermo del computer.

“Non mi sorprenderebbe. Dobbiamo sapere di più su quella donna!” esclamò Shepherd.

All'attacco avevano partecipato uomini dell'alta cerchia del Partito, dunque anche quella donna doveva farne parte.

Lo stesso pensiero attraversò le menti di tutti, ma fu Riley a dare voce a quell'intuizione. “E se fosse lei il misterioso Alex?”

Shepherd si alzò facendo strisciare la sedia sul pavimento e prese un pennarello nero per poter scrivere sulla lavagna. “Alex… andra?” replicò, pensieroso.

“Ora abbiamo finalmente una teoria” esclamò MacTavish, ottimista.

Il Generale alzò lo sguardo sull'orologio a parete. “Sì, ma sarà meglio che partiate. Dovete trovare Rojas” e li congedò.

Rimasto solo sorrise sadico al muro di fronte a sé, pregustando l'avvenire.

Brasile – 13 Agosto 2016, ora locale 18:08

L'auto ondeggiava appena, seguendo le buche delle strade di periferia di Rio. I pedoni camminavano tranquilli sui marciapiedi e il vento caldo faceva oscillare i rami degli alberi che concedevano un po’ di ombra e riparo da quella giornata rovente.

Sanderson era seduto sul lato passeggero, mentre MacTavish era alle spalle del loro autista. Ghost era invece su una seconda auto che viaggiava davanti al camioncino che stavano tenendo sotto controllo.

In quel momento il veicolo accostò davanti all’entrata di un hotel, dal quale uscì un uomo con le mani sopra la testa in segno di resa.

Il loro autista si fermò sul lato destro della strada, rimanendo a una decina di metri di distanza.

“Identificazione confermata! È il braccio destro di Rojas”. La voce di MacTavish lo raggiunse alle sue spalle e Sanderson aggrottò la fronte quando vide due uomini scendere dal camioncino, puntando le loro armi contro il terzo uomo uscito dall'hotel.

I pedoni si bloccarono non appena videro gli uomini armati e indietreggiarono silenziosi cercando di non attirare l’attenzione. In quel luogo vigeva la legge del terrore.

“Chiunque siano quei tizi, non sembrano essere molto contenti di vederlo…” commentò MacTavish.

In un istante, l'assistente di Rojas estrasse la pistola che nascondeva nei pantaloni e sparò velocemente agli uomini che lo stavano minacciando.

Si volse di scatto verso di loro e il cuore di Sanderson perse un battito.

Si accovacciò mentre i proiettili distrussero completamente il parabrezza, riducendolo in pezzi. Il loro autista non fu altrettanto veloce e il suo sangue imbrattò il sedile, tingendolo di rosso vermiglio.

“Ghost, abbiamo un problema: sta scappando! Seguilo appena puoi” urlò MacTavish prima di rivolgersi a Sanderson: “Roach, andiamo!” sbraitò, chiamandolo con il suo nome in codice.

Uscirono entrambi dall'auto, rincorrendo l'unica possibilità che avevano per trovare Rojas e ottenere delle prove.

La voce profonda di Riley gracchiò nei loro auricolari: “Ricevuto”.

Udirono alcuni spari e la folla si riversò contro di loro, urlando terrorizzata.

MacTavish scorse Ghost nella fiumana di gente e la sua voce lo raggiunse negli auricolari: “È andato da questa parte”. Insieme a Sanderson, lo seguì senza esitazione in una via secondaria e ricordò l’obbiettivo della missione: “Ricordate: niente colpi letali. Ci serve vivo”.

Roach accelerò il passo e con un paio di falcate superò Riley: sapeva di essere il più veloce dei tre.

Guardò di scatto a sinistra e a destra, constatando che c'era una sola via possibile da percorrere. Oltrepassò il muro di cinta di una casa che faceva da angolo e scorse l’assistente di Rojas ad una decina di metri da sé.

Mirò velocemente alle gambe senza il bisogno di controllare il respiro e infine sparò, facendolo rovinare a terra.

Lo trascinarono via, ignorando i suoi rantolii di dolore e raggiunsero un piccolo garage di un'autofficina vuoto, impossessandosene.

Ghost fece scivolare lo sguardo sulla stanza, individuando una batteria lasciata su un ripiano ingombro di attrezzi da meccanico. Controllò che fosse ancora carica, pensando potesse tornare utile, mentre MacTavish legava ad una sedia il loro prigioniero. Aveva sperimentato la tortura sulla propria pelle per settimane qualche anno prima, quando aveva lavorato sotto copertura in Messico in collaborazione con la DEA. Aveva imparato dai migliori ed era impaziente di far cantare l'uomo legato davanti a sé.

MacTavish appoggiò una mano sulla spalla di Sanderson, attirando la sua attenzione: “Roach, qui ci vorrà un po’. Perlustra la favela cercando tracce di Rojas… è sicuramente diretto là” disse, prima di fargli segno di allontanarsi e calare la saracinesca del garage.

Sanderson si volse verso gli altri due soldati che erano giunti sul luogo come supporto e, con un cenno del capo, intimò loro di seguirlo.

“Ricordate, la favela è piena di civili. Attenti a dove sparate” disse serio e i due soldati annuirono all'unisono.

Proseguirono oltre il garage, guardando per un attimo le colline che si innalzavano davanti ai loro occhi: i versanti rivolti verso est pullulavano di case improvvisate dai colori sgargianti.

Raggiunta la breccia nella grata perimetrale che divideva la favela dalla città di Rio, la oltrepassarono finendo in una campo da calcio sterrato, dove alcuni ragazzi si stavano allenando ai rigori.

Roach ignorò le proteste in portoghese per la loro invasione e si rivolse ad uno dei due soldati che lo affiancavano: “Tu, allontana il più possibile questi civili”.

Serrò la mascella sentendo i denti fare pressione gli uni contro gli altri: gli uomini di Rojas erano già lì, ma forse era un buon segno. Il loro capo non doveva essere troppo lontano.

Mirò velocemente all'uomo armato che probabilmente faceva da sentinella ed esplose un paio di colpi facendolo cadere dal tetto di una abitazione.

In un attimo, i civili sparirono dalla loro vista e altri uomini di Rojas fecero capolino abbandonando i loro nascondigli.

Sanderson si nascose dietro un'auto abbandonata con la carrozzeria carbonizzata e i proiettili volarono sopra la sua testa in un fischio.

Attendendo il momento giusto e con la copertura dei suoi soldati, si sporse dal riparo e usando il lanciagranate, neutralizzò la prima linea nemica.

La voce di MacTavish gracchiò negli auricolari mentre stavano avanzando, addentrandosi nella favela: “Roach, situazione?”.

Ancora nessuna traccia di Rojas” rispose a denti stretti, guardando attentamente i volti dei civili e degli uomini armati che lo tenevano sotto tiro: non voleva rischiare di ferire degli innocenti e, inoltre, non voleva assolutamente rovinare ancor di più l’immagine della Task Force 141.

Usando le mura delle abitazioni in mattoni come riparo, Sanderson, seguito dai due soldati, avanzò stando ben attento ai tiratori sui tetti.

Un tintinnio metallico vicino a sé attirò la sua attenzione e prima ancora che il suo cervello registrasse la presenza di una granata a neanche un metro di distanza, i muscoli delle sue gambe lo avevano già costretto ad indietreggiare di corsa.

La deflagrazione fece esplodere i vetri di alcune finestre e con ancora le orecchie che fischiavano, Sanderson si assicurò che i suoi uomini fossero indenni.

Voltandosi, vide troppo tardi il tiratore che puntava la propria arma su di loro. Gli sparò quando ormai era già stato esploso un colpo e il corpo di uno dei due soldati della Task Force si riversò a terra, privo di vita.

Imprecò ad alta voce e con un cenno del capo fece segno all'altro di seguirlo.

In una situazione normale, per quanto normale potesse essere la guerra, avrebbe cercato di portare via il corpo, allontanandolo il più possibile dalla linea di fuoco, ma in quel momento il tempo non giocava in loro favore.

A malincuore, diede le spalle al proprio commilitone e si addentrò nuovamente nelle strette e tortuose vie della favela.

Per sottrarsi al fuoco nemico, entrarono in una piccola abitazione, ma un colpo ben calibrato li raggiunse e Sanderson sentì il peso del proprio compagno abbattersi sulla sua schiena, in cerca di un sostegno.

Si volse e lo trascinò lontano dalla porta rimasta aperta per evitare di essere colpito.

Il proiettile gli aveva trapassato la gola e dopo un paio di gorgoglii indistinti, vide la vita abbandonargli gli occhi.

A stento si trattenne dal colpire con un pugno la parete più vicina: era loro superiore e uno dei suoi compiti era assicurarsi della loro incolumità.

Aveva fallito.

I proiettili continuavano a crepitare intorno a lui, attraversando le pareti e staccando pezzi di intonaco.

Era circondato.

Con un respiro profondo tenne a malapena sotto controllo l’ondata di panico che lo aveva appena investito.

Era rimasto solo, contro gli uomini di Rojas.

La voce del Capitano MacTavish gli diede quel pizzico di speranza che necessitava: “Roach, abbiamo localizzato Rojas! È diretto verso ovest lungo i livelli superiori della favela. Evitiamo che torni indietro e prenderci alla sprovvista! Va’ avanti e bloccalo lassù in cima. Non c’è tempo per aspettare i rinforzi. Devi occupartene da solo. Passo e chiudo”.

Sanderson espirò di colpo e colpendo la porta sul retro con un calcio, sorprese un paio di uomini armati e velocemente sparò contro di loro, uccidendoli.

Corse a perdifiato in direzione delle scale in sassi che portavano alla zona sopraelevata della favela, seguendo le indicazioni di MacTavish.

Svoltò l'angolo ignorando il batticuore che rimbombava nelle orecchie e avvistò immediatamente la seconda sentinella, a cui sparò subito dopo.

Avanzò solo di un paio di passi prima di rovinare a terra, con un peso opprimente sul petto.

Con la tecnica standard imparata all'accademia, tenne a debita distanza i canini acuminati del cane che ringhiava sopra il suo volto. Facendo un ulteriore sforzo, gli prese saldamente il capo tra le mani e con uno scatto gli spezzò il collo.

Roach si scansò velocemente e allontanandosi dal cane ormai morto, digrignò i denti: odiava dover uccidere i pastori tedeschi addestrati, ma non aveva altra scelta.

Avanzò ancora e rispose al fuoco nemico nascondendosi dietro a dei cassonetti della spazzatura maleodoranti, dove uno sciame di mosche ronzava indisturbato.

Seguì la strada in salita che lo avrebbe portato ancor più in alto, come il Capitano gli aveva ordinato.

Roach, sta' attento ai tetti: ce la siamo vista brutta con gli RPG e le mitragliatrici piazzate”. Passarono solo un paio di secondi prima che la voce di MacTavish gracchiasse di nuovo negli auricolari, “Dannazione, sono sotto tiro! Rojas è entrato in un edificio. Ghost, lo vedi?”.

Qui Ghost, ricevuto. Si sta arrampicando su un tetto. Ha con sé un borsone”.

Bene, dovrebbe rallentarlo. Roach, noi faremo in modo che non torni indietro. Tu vai avanti e intercettalo!”.

Prima di uscire dall'abitazione che aveva usato come riparo, prese in mano un paio di granate stordenti: non aveva il tempo per eliminare gli uomini che lo braccavano, ma accecandoli avrebbe guadagnato del tempo prezioso.

Tolse le linguette, lanciò le flashbang nel vicolo davanti a sé e una volta detonate, corse rapidamente lungo la salita, ignorato dai tiratori che combattevano contro lo stridio nelle orecchie e la cecità temporanea.

Ghost, mi ricevi?”. La disperazione nella voce di MacTavish era quasi palpabile.

Qui Ghost, Rojas sta cercando di tornare indietro passando da sotto”.

Ricevuto, stagli addosso!”.

Sanderson ripose la propria arma sulla schiena e raccolse da terra un fucile a pompa, lasciato da uno degli uomini di Rojas: gli scontri a fuoco si facevano sempre più ravvicinati.

Capitano, qui Ghost. Contatto visivo con Rojas. Sta attraversando il mercato”.

Ricevuto. Vado verso i tetti e provo a bloccarlo sulla destra. Non avrà altra scelta se non andare verso ovest!”.

Sono sotto tiro. Non credo si riuscire a inseguirlo. Devo trovare un'altra soluzione” esclamò Riley con rabbia, ma poco dopo continuò, “Sono a circa mezzo chilometro a est del mercato. Vedo Rojas scappare sui tetti alla mia destra!”.

Ricevuto, Ghost. Roach, stiamo spingendo Rojas verso il tuo versante. Tieni gli occhi aperti! È ancora sui tetti”.

Signore, qui Ghost. Ho Rojas sotto tiro: posso sparargli alle gambe e finirla qui!”.

Negativo! Non possiamo rischiare. Non ingaggiare il bersaglio. Ripeto, non ingaggiare!” replicò MacTavish con tono perentorio.

Sanderson percorse l'ennesima salita che lo avrebbe portato ancor più vicino al loro target, mentre Ghost imprecava per l'ordine ricevuto.

Roach, continua a salire! L'ho bloccato: può solo dirigersi verso ovest, sui tetti nella tua zona”.

Sanderson lanciò una granata stordente, facendola cadere oltre una finestra, da cui un paio di uomini lo tenevano sotto tiro e si mosse non appena udì lo scoppio.

Ha scavalcato la staccionata! Lo seguo” la voce di Riley, attutita dal tessuto della machera militare, era ancora venata di fastidio per la negazione d’ingaggio.

Ricevuto. Faccio il giro da sinistra… cazzo, Roach! Sta cercando di scappare, ma sta venendo verso di te”.

Entrando in un'altra abitazione, notò una scala a pioli che conduceva al tetto: era la via più breve per avvicinarsi a Rojas.

Avanzò ed estraendo velocemente la pistola dalla fondina, sparò all'uomo che lo stava puntando con un RPG dal tetto del condominio lì vicino: era giunto al limitare della favela.

Espirò profondamente, rallentando i battiti cardiaci e ascoltò la voce di MacTavish gracchiare negli auricolari: “Ghost, vuole prendere quella moto!”.

Oh, non credo proprio” replicò Riley, con un velo di sadismo nella voce.

Ottimo! È di nuovo diretto a destra! Roach, se lo vedi, non sparargli. Mi serve intero”.

Imprecò mentalmente quando si rese conto che era quasi a secco di munizioni. Lasciò cadere a terra il fucile a pompa e raccolse da un cadavere un AK-47 con qualche caricatore.

Salì altre scale e alzando lo sguardo, vide Rojas allontanarsi da lui correndo sul tetto di una casa, su cui era stata costruita una seconda abitazione, più piccola.

“Qui Roach. Lo vedo, ma si sta allontanando dalla mia posizione!”.

No, io non credo” e in quel momento il vetro della finestra che si affacciava sul tetto esplose in mille pezzi, rivelando la figura muscolosa e possente di MacTavish. Con agilità e forza, placcò Rojas facendolo cadere insieme a lui dal tetto e con un tonfo, caddero su una macchina parcheggiata, sfondando il tettuccio e rompendo il parabrezza.

Sanderson si avvicinò al proprio Capitano, imitato da Ghost non appena giunse da loro.

“E così… io non posso sparargli alle gambe, ma tu puoi tranquillamente fargli fare un volo di due metri?” chiese Riley, con tono scherzoso.

MacTavish lo guardò con un sorriso divertito sulle labbra, “Touché” e poco dopo comunicò con il Centro di Comando “Qui Bravo 6, abbiamo recuperato il pacco. Ripeto, abbiamo recuperato il pacco”.

“Comando, qui Ghost. Siamo pronti al decollo. Mandate l'elicottero, vi invio le coordin-“. Riley si bloccò e rimase in ascolto un paio di secondi prima di sbraitare, “Cosa cazzo state dicendo?! Lo spazio aereo è libero. Mandate l’elicottero. ORA”.

MacTavish e Sanderson lo guardarono aggrottando la fronte, mentre il primo cercava di tenere fermo Rojas sotto di sé.

Riley intercettò i loro sguardi: “Il Comando sta sparando una marea di stronzate… siamo soli”.

Russia – 13 Agosto 2016, ora locale 21:42

“Uhm, capisco”.

Alexandra sollevò lo sguardo dal proprio piatto, ormai vuoto e guardò Vladimir mentre camminava avanti e indietro con il telefono schiacciato contro il proprio orecchio sinistro.

Senza aggiungere altro, terminò la telefonata e lanciò il cellulare sul bancone che usavano come tavolo da pranzo.

“Rojas è compromesso” spiegò lui, incrociando lo sguardo indagatore di lei.

Alexandra lo guardò sedersi di fronte a sé: un paio di rughe di espressione le fecero capire che era in pensiero, preoccupato dalla faccenda del brasiliano. Probabilmente Rojas sapeva più di quanto ammettesse e questo era un guaio.

Mentre Vladimir riprendeva a mangiare la cena, Alexandra fece scivolare lo sguardo sul borsone di lui, che aveva appoggiato sul bancone qualche ora prima.

Era stato lasciato aperto e con una rapida occhiata, vide che il contenuto consisteva in un paio di armi d'assalto, qualche pistola e diversi coltelli. Ne prese uno, saggiandone il bilanciamento tenendolo in equilibrio sull'indice.

Era semplicemente perfetto.

“Quante volte ti ho detto di non toccare la mia roba?”. La voce roca e profonda di Vladimir la scosse per un attimo, ma ignorò deliberatamente le sue parole.

Sentì i suoi passi cadenzati avvicinarsi e una stretta al polso la costrinse a voltarsi verso di lui.

La sua espressione non tradiva alcuna emozione, ma lei lo conosceva abbastanza da sapere che in quel momento era particolarmente infastidito.

“A te piace davvero tanto sfidarmi, non è così?” le chiese retorico, ricordandosi come si erano conosciuti, sempre se costringere l'altro a terra durante una simulazione di combattimento potesse rientrare nella definizione di ‘fare conoscenza’.

Ricordava fossero stati interrotti da Imran. Era infuriato, forse più con lui che con lei: scontrandosi, Alexandra aveva potuto provare a se stessa e a chiunque altro che era al pari dell’uomo migliore di Zakhaev.

Nonostante tutto, Imran non le aveva mai dato una chance.

Lui non avrebbe mai commesso quell'errore.

Allentò la presa sul suo polso fino a lasciarglielo e il suo sguardo si ingentilì appena: “Puoi tenerlo” disse, indicando il coltello con un cenno del capo.

Alexandra lo guardò confusa mentre le dava le spalle, lasciandola da sola.
“Grazie… ?” sussurrò, indecisa. Aveva a disposizione qualsiasi tipo di attrezzatura o armamentario e se mancava qualcosa, le bastava chiedere per ottenerla. In cambio, non poteva assolutamente ficcanasare nell'equipaggiamento di lui.
Vladimir aveva ragione: aveva preso quel coltello come sfida, ma non si sarebbe mai aspettata una conclusione del genere.

L'uomo che uccideva senza rimorso e che torturava le proprie vittime con il sorriso sulle labbra, aveva appena fatto un passo indietro.

Vladimir Makarov era l’uomo più imprevedibile con cui avesse avuto a che fare.

Prossimo aggiornamento: 12 Ottobre

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