VERITÀ NASCOSTE
"Veloci! Uscite! Non guardatevi indietro!"
Quella voce, rimbombava all'interno della mia testa mentre gli incubi mi assalivano.
Era tantissimo tempo che non avevo questo incubo, quello in cui scappavo dal laboratorio assieme agli altri supersoldati riusciti.
Correvo a perdi fiato. A differenza delle altre volte in cui lo avevo fatto, vedevo tutto più nitidamente, meno sfocato.
"Avanti forza! L'uscita è poco più avanti!" Urlò di nuovo quella voce.
Fu allora che mi accadde qualcosa. Sentii un fastidio alla nuca, come di un ago.
In pochi secondi, le gambe iniziarono ad appesantirsi fino a che crollai sul pavimento.
Non le sentivo più, e questa strana sensazione si stava facendo strada su tutto il resto del corpo.
Ed ero a pochi metri dall'uscita.
Vedevo la porta, da cui arrivava la luce dell'esterno. Mancava così poco per essere salvo.
Da oltre la porta si fece strada la sagoma di una persona. Non riuscii a vedere chi fosse, dato che la vista mi si stava annebiando.
Percepii però l'aria impregnarsi di elettricità, e di uno strano odore di... pioggia?
Dei lampi quasi mi accecarono del tutto, e sentii alle mie spalle urla disperate di dolore.
"Forza fratello, non ti lascio morire qui." Il mio salvatore mi carico in spalla, e prese a correre verso l'uscita.
"Resta con me, fallo per lei!" Mi disse, mentre varcavamo la soglia.
"Sono stanco..." risposi io.
"PENSA A LEI! NON PUOI ABBANDONARLA! PENSA AD ANNABETH!"
Quelle parole, in qualche modo mo ridiedero vigore.
"Dannati bastardi.." mormorò il ragazzo "Cal, devo lanciarti in acqua." Mi disse.
"Cosa?!" Quasi urlai, per lo stupore.
"È l'unico modo, fratello. In acqua guarirai, e loro non ti troveranno. Mi dispiace!" Fu la sua risposta, prima di lanciarmi nel vuoto.
Mi svegliai di scattò, sudato e col fiatone.
Era mattina inoltrata, le nove e mezza per la precisione. Avevo saltato le prime ore di lezione!
La testa mi scoppiava, e i battiti del mio cuore accelerati mi davano al cervello, e per poco non mi prese un'attacco di cuore quando il telefono iniziò a suonare.
Risposi senza guardare chi fosse.
-Si?- dissi solo, con tono affannato e nervoso.
-Caleb!- urlò diverita Laura dall'altra parte.
La mia madre addottiva era sempre di buon umore. Quel suo tono divertito, mi fece sorridere.
-Allora, come stai?Stai studiando?- mi chiese.
-Ma certo! Lo sai che sono uno studente modello!- risi.
Mi faceva davvero piacere sentirla! Mi sembrava passata una vita da quando avevo telefonato a lei e Bob, anche solo per sapere come stavano. Ma tra una cosa e l'altra, la mia vita era stata ricolma di cose impegnative.
-Bene, ne sono felice! Ti passo Bob, vuole chiederti due cose!- disse prima di passare il telefono al mio padre adottivo.
-Caleb, tutto bene?- mi chiese serio ma gentile. Il nostro strambo rapporto parentale era progredito, in un certo senso.
-Tutto bene, qualche alto e basso ma nel complesso bene.- dissi restando sul vago.
Non potevo certo dirgli di aver scoperto i miei poteri sovrannaturali, e di essere incappato in una guearra tra supersoldati geneticamente modificati.
-Ti ricordi il nostro patto, vero?- chiese, serio.
Certo che mi ricordavo quella promessa: non avrei più fatto a botte con nessuno a scuola, per nessun motivo. Quindi tecnicamente la stavo mantenendo.
-Certo, non preoccuparti.-
Bob sospirò sollevato -Meglio così. Senti, stavo parlando con Laura e, che ne dici di venire a Manhattan in settimana? Magari andiamo a cena fuori e, non so, ci racconti qualcosa.- mi propose.
Rimasi sorpreso da questa sua offerta, ma mi rese felice ed accettai.
-Ah così te ne esci a cena?- mi prese in giro Max. Mi stavo allenando e lui mi dava una mano: teneva il sacco mentre mi io allenavo le nuove tecniche imparate con Alexis.
-Già, è da molto che non vedo Laura e Bob. E poi ho bisogno di un giorno di riposo.- risposi, sferrando un jab al sacco.
-Hai parlato con Kate? Sai se ieri sera è andata da Annabeth?- mi chiese seriamente preoccupato. In pochi mesi si era affezionato molto a lei, come amico. Almeno speravo.
Scossi la testa, colpendo il sacco con un calcio -Non è ancora arrivata oggi.- dissi.
Effettivamente ad allenarci oggi eravamo solo io, Adam, Alexis e Irina.
Alexis si divertiva a punzecchiare Irina, riprendendola sul modo in cui conbatteva.
Adam cercava di mettere pace tra le due, prendendosi le sfuriate di Irina, che lo incolpava di ficcare il naso ovunque.
Era una scena davvero comica, vista da lontano. Adam era pazzo a cercar di far smettere di litigare quelle due.
-Spero solo che la faccia stare meglio.- disse Max, riportandomi alla realtà.
-Anch'io.- sospirai.
Ero davvero preoccupato per Annabeth. Ciò che era successo, Minerva, l'aver quasi ucciso me e Adam, doveva essere stato troppo da sopportare. In più c'era la questione di un senso di colpa ancora più grande che si portava dentro da molto più tempo.
Feci una pausa dall'allenamento, per bere un goccio d'acqua.
Mentre ero in pausa, arrivarono anche Paul e Kate. Lei mi si avvicinò, aveva in volto un'aria preoccupata.
-Caleb, ti posso parlare?- mi chiese arrovellandosi le mani.
-Certo,che succede? Si tratta di Annabeth?- mi allarmai subito.
Kate annuì -Non sono riuscita a farla svagare molto, ieri. All'inizio sembrava che migliorasse, ma poi ha iniziato a piangere e ridere istericamente. Alla fine ho dovuto metterla a letto, era in lacrime.- disse.
Cazzo, la faccenda era ben più grave di quanto avessi immaginato.
-Vado da lei.- dissi, determinato.
Kate cercò di fermarmi, prendendomi il braccio -Caleb, no! Così peggioriamo le cose! Ha bisogno del suo tempo!-
-Kate, lascialo andare.- si intromise Paul.
Gliene fui grato.
-Annabeth?- bussai, alla porta della sua stanza.
-Va via.- fu la sua risposta.
-Cominciamo bene...- dissi tra me e me -Eddai apri, voglio solo parlarti!- aggiunsi.
La porta scattò, dandomi l'acceso alla stanza.
La camera era un completo disordine! Le lenzuola del letto e i cusicini erano a terra, un paio di coperte erano stese sul pavimento. L'intera stanza era nella penombra, dato che Annabeth aveva abbassato le tapparelle.
Il coltello di Annabeth era in bella mostra, sul comodino.
Lei si stese di nuovo sul letto, dopo avermi aperto la porta.
-La tua coinquilina non dice nulla?- scherzai.
-Che cosa vuoi Caleb?- mi chiese, stizzita.
-Farti stare meglio?- azzardai.
-Ho completamente perso la testa!- rise isterica.
- Io dico che sei ancora scossa.- mi sedetti sul letto, vicino a lei.
-Continuo a vederlo sai? Il coltello sulla gola di Adam. E anche..- stava per rivelare qualcosa ma si morse la lingua prima di potermi dare qualche indizio.
-Annabeth, posso confidarti una cosa?- dissi.
Lei annuì, scazzata.
-Tempo fa, ero alla fermata della metro. Un gruppo di ragazzi iniziò a pestare un povero senzatetto, che iniziò a supplicarmi di aiutarlo. Io lo ignorai, voltandogli dalle spalle.- dissi.
-Perché non lo hai aiutato?- mi chiese, mettendosi seduta.
Risi amareggiato -Non ne ho idea. Avevo appena discusso con il mio padre adottivo, e a quanto pare non ero un eroe come mi credevo. Ma sai, non credevo di aver fatto chissà cosa. Non credevo che se lo avessi aiutato sarebbe cambiato qualcosa.- dissi.
Mi faceva male ricordare quell'evento soprattutto per cosa successe dopo.
-Il giorno dopo, lessi sul giornale che un senzatetto era stato trovato morto sui binari della metro. Pensai fosse un caso. Magari era un'altro barbone ubriaco che era stato investito. Per curiosità tornai alla fermata del giorno prima... era come se lo avessi ucciso io.- le parole mi si strozzarono in gola.
-Non potevi saperlo...- mi mise una mano sul braccio.
Restammo in silenzio per un po'. Fu lei a rompere il ghiaccio.
-Ho... avuto anch'io un momento simile.- disse, tremando.
Le presi la mano, per rassicurarla.
-Stavo tornando a casa, era tardi. Non so come ma mi ritrovai in un vicolo di Brooklyn. Due uomini, iniziarono a pedinarmi. Me ne accorsi ed iniziai a correre. Me li trovai alle spalle poco dopo. Mi atterarono, e provarono a spogliarmi.- le si incrinò la voce.
Una parte di me non voleva farla continuare, ma un'altra parte voleva sapere cosa le era accaduto.
-Riuscii a liberarmi, e qualcosa scattò dentro di me.- riprese a raccontare, con un sorriso amaro in volto -Raccolsi una bottiglia da un mucchio di rifiuti lì vicino. La spaccai in faccia a uno dei due, e con quello che ne rimaneva uccisi l'altro, tagliandogli la gola.-
Deglutii preoccupato. Davvero Annabeth aveva fatto questo?
-L'altro si riprese dalla botta poco dopo, ed io lo colpii allo stomaco con la bottiglia rotta, lacerandogli il ventre.- iniziò a singhiozzare.
-Annabeth... io non- non riuscivo a terminare la frase.
-Ed ora mi chiedo, "E se non fossi stata io ad ucciderli? E se in quel momento fosse stato il mio Alter Ego?"- rise istericamente -Ma poi mi tornano in mente le loro espressioni terrorizzate, il sangue e allora penso "Certo che sei stata tu! Guarda cos'hai fatto! Sei un'assassina!"- scoppiò di nuovo in lacrime -Pensavo di averlo superato. Pensavo "Non succederà più."- disse, tra i singhiozzi -Poi, quando abbiamo scoperto degli Alter Ego, è riaffiorato tutto! E quando Paul ha detto che dovevamo diventare tutt'uno con i nostri Alter Ego, unirmi a quella parte omicida di me, io- si bloccò.
L'unica cosa che potei fare fu stringerla a me, mentre le lacrime sgorgavano dai suoi occhi.
Quindi era questo il senso di colpa che si portava dentro da tempo. Era una parte di sé che non voleva accettare.
-Non farne parola con gli altri. Perfavore.- mi chiese.
-Non lo farei mai, piccola.- le lasciai un bacio sulla fronte.
Dal giorno in cui si tolse quel peso, Annabeth tornò gradualmente quella di prima. Anche se ancora non riusciva a guardare Adam e Alexis in faccia, sembrava che gli effetti del tauma si fossero attenuati.
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