HANJI ZOE
GRAZIE GRANDE QUANTO UNA GALASSIA, A TUTTI COLORO CHE MI HANNO INCORAGGIATA AD ANDARE AVANTI, E CHE APPREZZANO QUESTA STORIA :) NON MI ASPETTAVO DI RICEVERE TANTO SUPPORTO. SIETE FANTASTICI!
Quel giorno, Hanji si era svegliata di ottimo umore. Godendosi il silenzio mattutino, preparò una colazione a base di pane tostato e succo d'arancia, poi si sedette su uno degli sgabelli che circondavano l'isola in marmo della cucina del suo piccolo appartamento. Quando addentò la fetta di pane, le briciole caddero come pioggia in tutte le direzioni. Alcune le si infilarono dentro allo scollo della maglia, solleticandole la pelle. Per un attimo si fermò a guardarle. "Poco male" pensò, Quel giorno aveva comunque intenzione di dedicarlo alle pulizie di casa.
Hanji abitava in una piccola palazzina, un'oasi di pace privata in mezzo ad un deserto d'asfalto. Di fronte all'imponenza dei grattacieli che lo circondavano, l'edificio pareva un arbusto in una foresta di sequoie. Più volte Erwin e Mike le avevano fatto notare che avrebbe potuto permettersi senza problemi un lussuoso appartamento in uno dei grattacieli che facevano ombra alla sua umile dimora, ma lei non aveva alcun interesse in quello stile di vita. Quei giganti di cemento le parevano freddi e arroganti, come i loro abitanti.
Istintivamente, nella mente di Hanji comparve l'immagine di Levi.
"Per lui, è l'habitat ideale."pensò. "Anche se non è sempre stato così. Non un tempo, quando eravamo semplici studenti delle superiori."
Quando ripensava a quel periodo, i suoi ricordi assumevano una sfumatura surreale. Come se stesse cercando di ricordare i dettagli della vita di qualcun altro, o un sogno lontano nel tempo ormai archiviato in un angolo sperduto della sua coscienza. Se la Hanji di quella vita passata e la Hanji attuale si fossero incrociate per strada, probabilmente non si sarebbero nemmeno rivolte la parola.
"Forse, uno dei motivi per cui mi rifiuto di lasciare questo appartamento ordinario, dove conduco una vita ordinaria, è proprio perché non voglio recidere quest'ultimo legame che ho con lei."Pensò. "Sento che se dovessi andarmene, lei rimarrebbe qui."
Se la immaginava seduta in cima alle scale della palazzina, vestita con l'uniforme scolastica e lo sguardo assorto, come un fantasma che solo lei poteva vedere. Lei la osservava scendere le scale con le valige in mano. "Addio" diceva la sua presenza silenziosa."Io resto qui. Nell'unico posto dove posso ancora esistere, tra le mura dove vive il mio ricordo."
Ma se anche così fosse stato, prima o poi un'altra famiglia avrebbe abitato quella casa. In quelle stanze sarebbero risuonate nuove voci, ed altre risate. Sarebbero nati nuovi ricordi che non le appartenevano. E quando sarebbe successo, la giovane Hanji sarebbe sparita con discrezione, senza lasciare alcuna traccia del suo passaggio.
"Tutto è effimero, tutto passa." Disse tra sé e sè. "Anche le persone e il loro ricordo. Certo che se ce lo facessimo presente più spesso, eviteremmo di farci un sacco di problemi inutili."
Nessuno rispose alla sua affermazione. La frase venne inghiottita dal silenzio della casa. Hanji avvertì l'impulso improvviso di accendere la radio che si trovava in un angolo della cucina. Girò la manopola, sintonizzando l'apparecchio sulla prima stazione disponibile. La musica si diffuse per le stanze dando loro vita, come il colore riempie una tela vuota.
Era una canzone dei No Name. Hanji sorrise, ascoltandola.
"Anche questa canzone non rimarrà per sempre. Prima o poi verrà dimenticata, oppure sparirà il giorno in cui il genere umano si estinguerà, come è successo per i dinosauri. Ma non è gran problema. Per il momento è piacevole ascoltarla, e questo basta."
Il telefono squillò. Un suono fastidioso che non aveva nulla a che vedere con la musica alla radio. Hanji considerò di lasciar perdere, ma potendo anche trattarsi di Erwin che la cercava per questioni di lavoro, si decise a rispondere.
"Pronto?"
"Hanji."
La voce dall'altro capo della cornetta era profonda e calma.
"Ciao, Mike."
"Disturbo?"
"No, No. Pensavo fosse Erwin."Hanji incastrò il telefono tra l'orecchio e la spalla, in modo da poter parlare mentre preparava la lavatrice.
"Hai notizie di Levi."
Non era una domanda. Mike la conosceva bene, perciò si fidava del suo modo di agire. Ma questa volta, Hanji aveva deciso che non era il caso di essere invadente.
"Si e no. Eren si starà prendendo cura di lui, ne sono certa. Io ho solo dato una spintarella alla situazione, ma non posso stargli addosso. Soprattutto adesso."
"Questo è inaspettato da parte tua."ridacchiò Mike."Hanji che non si intromette nella vita degli altri. Sopratutto in quella di Levi. Sei sicura di stare bene? Dopotutto gli stai addosso da quando eravamo ragazzini."
"Va bene così." Rispose Hanji mentre divideva i capi scuri dai colorati." Non importa. E'solo un buon presentimento, ma sento che qualcosa in lui sta cambiando. Chiamalo sesto senso femminile, se vuoi. Levi è quello che è anche per causa mia, in parte; credo che se mi mettessi in mezzo sarebbe inutile, o forse anche dannoso. Questa volta deve farcela da solo."
Quando Hanji alzò lo sguardo dal cesto della biancheria, il fantasma della giovane Hanji era lì, in piedi di fronte a lei, e la fissava. Si guardarono in silenzio per alcuni istanti, poi le labbra di lei disegnarono una frase che non aveva suono.
"Tu volevi aiutarlo."
Quelle parole catapultarono Hanji nel corridoio di una vecchia scuola di provincia. Anche dopo anni, ricordava ancora bene il colore grigio delle pareti e l'odore di candeggina che ne impregnava l'aria. Hanji pensava che le scuole si assomigliassero un po' tutte, ma la sua prima impressione fu che quella possedesse un'atmosfera particolarmente scarna e priva di stimoli. L'unica nota di vita era una piccola pianta grassa appoggiata sul tavolo alla fine del corridoio. Stonava decisamente in quell'ambiente, come la driade del racconto di Andersen che un giorno decise di visitare Parigi. Probabilmente, come lei era destinata a morire. "Forse qualcuno l'ha dimenticata."aveva pensato Hanji."Oppure è un tentativo fallito di rallegrare questo posto. In ogni caso, posso immaginare cosa stia provando in questo momento."Come lei, Hanji si sentiva incredibilmente fuori luogo in mezzo al corridoio deserto.
"Sei tu la ragazza nuova?"
Hanji si volò. Una ragazza bassa e dallo sguardo dolce la accolse con un sorriso. Le stava porgendo la mano. I capelli biondo fragola e i lineamenti del viso delicati davano l'impressione che si trattasse di una creatura simile ad una farfalla: tanto bella quanto fragile.
"Si! Piacere, Mi chiamo Hanji Zoe!" Rispose lei. Poi le strinse la mano, con delicatezza.
Con il carattere estroverso che si ritrovava, Hanji non aveva mai avuto difficoltà a farsi degli amici. Era il tipo di ragazzina che al mattino spettegola con le amiche, al pomeriggio si rotola nel fango giocando a calcio con i maschi, e alla sera invita tutti a casa per una festa, mentre i genitori sono fuori città. Era uno spirito libero. Nonostante questo però, quella mattina si sentiva tesa come una corda di violino.
La ragazza rise. "Piacere mio, mi chiamo Petra. Il professore mi ha detto di venirti a chiamare, così può presentarti alla classe."
Petra la accompagnò davanti alla porta. Era bianca, come tutte le altre lungo il corridoio. Accanto ad essa spiccava un cartellino. "3B" recitava. Hanji respirò a fondo. Le girava la testa, e l'ansia le stava dando crampi allo stomaco dolorosi come pugnalate. La ragazza gentile sembrò notarlo, quindi le rivolse un altro sorriso d'incoraggiamento.
"Sembra un angelo venuto ad indicarmi la strada."pensò Hanji."Dietro a questa porta c'è il mio futuro. La Hanji che sarò, dipende soprattutto dalle persone in questa stanza."
All'improvviso si rese conto di non aveva più paura. Quella che regnava in lei era però una calma strana, come se l'accumulo di adrenalina l'avesse portata nell'occhio del ciclone, dove regna una pace momentanea.
"Andiamo?" chiese Petra.
"Andiamo."disse Hanji.
Non ricordava esattamente cosa fosse successo una volta entrata in quella stanza. Ricordava il bianco accecante della classe illuminata dalla luce del mattino, i banchi disposti in file ordinate come soldati al rapporto, la voce roca del professore che scandiva il suo nome e molti, molti sguardi che la fissavano curiosi. Ad un certo punto Hanji aveva abbassato lo sguardo sui propri vestiti. Da come la stavano squadrando, le era venuto il dubbio di essersi presentata a lezione in pigiama.
Finalmente il professore le chiese di prendere posto. C'era un banco libero in seconda fila. Hanji lo considerò, ma era stanca di sentirsi al centro dell'attenzione per quel giorno. Prese posto nel retro della classe, mentre il professore apriva il registro e iniziava a fare l'appello.
"Ackerman?"
Hanji si guardò intorno, ma nessuno sembrava rispondere a quel nome. Le venne in mente il banco vuoto in seconda fila."Deve essere la persona assente" pensò."O forse questo è il suo posto abituale? Quando tornerà dovrò chiederglielo."
"Ackerman!"chiamò ancora il professore.
"Presente."rispose una voce accanto a lei.
Per un attimo, Hanji pensò ad un miraggio sonoro. Quel suono non sembrava nemmeno appartenere a questo mondo. Assomigliava piuttosto all'eco di una voce, ma pur essendone solo un'ombra, Hanji vi aveva captato una espressività indescrivibile. Quando si girò a guardare in quella direzione, si accorse che un ragazzo era effettivamente seduto al banco vicino a lei. Schiena curva sul libro di testo, nuca rasata in un taglio militare e sguardo nascosto dai ciuffi di frangia neri. Pelle pallida, quasi cadaverica. Se non fosse stato per la sua voce, Hanji difficilmente lo avrebbe notato. Come la pianta grassa sul tavolo del corridoio deserto, anche lui sembrava essere fuori posto in quell'ambiente vitale, quasi che per qualche strano scherzo del destino l'uno avesse preso il posto dell'altro.
Il ragazzo continuò a scarabocchiare sul quaderno. " Non è come gli altri. "Aveva pensato subito Hanji. Se quello fosse un fatto positivo o meno, però, non lo sapeva. La presenza di quella persona, fino ad un attimo prima insignificante, di colpo era diventata più interessante di qualsiasi lezione alla quale Hanji avesse mai potuto assistere.
I giorni passarono, e poi le settimane. Hanji si era fatta degli amici, ma ancora non riusciva a togliersi dalla testa il suo strano compagno di banco. Non ne era innamorata. Era un'attrazione che trascendeva il piano carnale, ed anche la comune curiosità. Hanji lo osservava ogni giorno da dietro le lenti degli occhiali, come il gatto col topo, entrare in classe e sedersi al proprio posto senza mai rivolgere la parola ad anima viva. Più che un ragazzo, era un'entità. Lui non si interessava a nessuno, e di conseguenza anche gli altri lo trattavano come se non esistesse; persino Petra, la ragazza gentile. Quel che Hanji non capiva, era se si trattasse di bullismo, di isolamento volontario, o di entrambe le cose. Sapeva solo che parlare a quella persona era una specie di tabù che lei prima o poi aveva intenzione di infrangere. Stava solo aspettando l'occasione giusta. Poi, un giorno, l'occasione si presentò.
"Fate coppia con un vostro compagno, e iniziate ad organizzare la ricerca. La scadenza è tra due settimane."aveva detto il professore.
In mezzo alla confusione dei compagni di classe alla ricerca un partner, Hanji fu l'unica ad avvicinarsi al suo compagno di banco.
"Ciao!"
Di fronte al suo saluto il ragazzo aveva continuato a disegnare, ignorandola.
"Sono Hanji. Tu invece, ti chiami Levi Ackerman, giusto?"
Hanji iniziava a pensare che sarebbe stato più probabile ricevere una risposta da una statua che non da lui.
"Dovremmo parlare della ricerca. Tu hai in mente qualcosa?"
Ancora nessuna reazione.
Se si fosse trattato di un'altra persona, ad Hanji non sarebbe importato. Se ne sarebbe tornata al suo posto ed avrebbe svolto la ricerca da sola. Non questa volta, però. Quello, ormai, era diventato il suo oggetto di studi, il suo esperimento personale, il piccolo topo bianco che si dimena nella gabbia mentre lei, Miss Frankestein, lo guardava da dietro le sbarre. E niente al mondo, nemmeno un'apocalisse zombie sarebbe stato in grado di fermarla, una volta che aveva stabilito un obiettivo. Sentiva già l'eccitazione di una nuova scoperta tingerle le guance di rosso, e il fiato farsi corto come se avesse corso per decine di kilometri.
Allungò la mano, ed afferrò il foglio su cui il ragazzo stava disegnando, togliendolo da sotto il suo naso. Poi, trattenne il fiato e attese.
Quando lui alzò gli occhi, Hanji si rese conto che nelle sue settimane di osservazione non aveva mai incrociato il suo sguardo. Era ghiacciato, affilato come le lame di un serial killer.
"Scusa, era l'unico modo per far si che mi prendessi in considerazione." Disse lei.
Hanji era ufficialmente in preda all'esaltazione. Una volta aveva visto un documentario sugli animali esotici. Alcuni di loro usano il loro aspetto mimetico, o particolarmente minaccioso, per sfuggire ai predatori. Così come loro, madre natura sembrava aver dotato quel ragazzo di occhi capaci di spaventare il nemico.
"Che vuoi, quattrocchi? Falla da sola la tua cazzo di ricerca. E ridammi il foglio. Ora."
Era la prima volta che Hanji lo sentiva pronunciare un'intera frase. Ci era voluto un po' di tempo, ma come il cane da tartufo che rintraccia l'odore annusando il terreno, aveva fatto centro, e scovato un gran tesoro. Le sfuggì un gemito eccitato. Se avesse scoperto le prove dell'esistenza della vita su Marte, non avrebbe potuto essere più felice.
"Lo sai, credo tu abbia davvero una bellissima voce."disse lei.
Levi la guardò come se gli avesse appena detto che i vulcani eruttano neve. La squadrò da capo a piedi, giudicandola, molto probabilmente, una maniaca. Hanji non aveva bisogno di sentire i suoi pensieri per capire che stava pensando a un modo per togliersela dai piedi. Ma prima, c'era una cosa che Hanji doveva assolutamente chiedere.
"Ho una proposta per te, e dico sul serio." esclamò." Io suono il basso. Mike, quell'omone grande e grosso tutto naso di 3A, suona la batteria. Per farla breve, stiamo cercando un cantante. Voglio che sia tu."
"No. Toglitelo dalla testa."
Era la risposta che Hanji si aspettava. Ma un buon cacciatore è paziente, non corre incontro alla preda, ma la bracca. La insegue, finchè la stanchezza non indebolisce l'animale. Quel giorno era stato un no. Lo sarebbe stato anche il giorno seguente, e quello dopo ancora. Forse avrebbe dovuto insistere per mesi. Hanji però era paziente, e la pazienza, si sa, è la virtù dei forti. Sorrise, pensando al futuro. Non capiva perché la gente evitasse Levi, ma per lei era tutto guadagnato: voleva dire che nessuno altro lo avrebbe reclamato prima di lei.
Quel giorno, Petra l'aveva fermata all'uscita da scuola. Mentre aspettava che le dicesse qualcosa, Hanji pensava che quella non era la solita, dolce Petra. Quel volto, quella espressione seria sul suo viso, non le apparteneva. Come se stesse indossato una maschera, come se il delicato fiore di ciliegio fosse stato sostituito da una copia di plastica.
"Non ti porterà bene familiarizzare con Levi" le aveva detto.
"Perché?" Aveva chiesto lei.
"Levi non ha una buona reputazione. E' famoso soprattutto per essere un gran bugiardo. Ogni bugia gli è costata un amico. E' solo, perché si è fatto odiare. Credimi, anche a me dispiace per lui. So che ne ha passate tante. Una persona però, raccoglie ciò che semina; di possibilità per cambiare ne ha avute molte, ma lui non lo desidera. Sembra che stia bene da solo."
Hanji pensò all'immagine grigia di quel ragazzo con la testa china sul banco. Solo, anche in mezzo a decine di persone. "Nessuno sarebbe felice di sentirsi solo al mondo."
"Se inizierai a legare con lui, potresti ritrovarti nella stessa situazione." Disse Petra.
"Lui mi interessa. Quel che non mi interessa è avere amici capaci di essere tanto crudeli. Non ti preoccupare per me, Petra. Un giorno, le persone si pentiranno di aver trattato così quel ragazzo."
Quelle erano state le ultime parole che aveva scambiato con lei. Petra, la ragazza gentile, sembrava non essere gentile abbastanza da opporsi all'assurdo regime che regnava in quella classe.
Sei mesi dopo, i Survey Corp avevano debuttato al festival della scuola. La primavera era inaspettatamente calda quell'anno, e ricca di polline. Nel parco accanto alla scuola, gli studenti preparavano gli stand per il festival. Dietro alle quinte del palco improvvisato, Mike non la smetteva di starnutire.
"Faremo faville, me lo sento!"disse Hanji, imbracciando il basso.
Sul palco cigolante c'erano solo loro tre, molta polvere, e qualche scarafaggio. La scuola aveva concesso loro uno spazio per esibirsi, ma non aveva messo a disposizione nessuno per organizzare l'evento. Non era il palco migliore che si potesse desiderare. Agli occhi di Hanji, però, ragnatele e polvere non esistevano. Quella era un palco. Il primo di una lunga serie che avrebbero calpestato.
"Guardate oltre."diceva agli altri. "Oltre queste tende, oltre il pubblico, oltre questa città. Guardate con gli occhi della mente fino a dove vi porta l'immaginazione. Un giorno ci arriveremo."
Levi non sembrava entusiasta quanto lei. "E' sporco."continuava a ripetere. "Non arriveremo da nessuna parte, perché moriremo prima di infezione."
Hanji aveva riso a crepapelle. Era così contenta di essere riuscita a trascinare Levi nel gruppo. Ci aveva rimesso la popolarità, ma in confronto quella era nulla. Levi, con loro, era tornato a vivere. Non passava più i pomeriggi nei bar, ed aveva iniziato a presentarsi sempre più spesso alle prove. Quando cantava, sembrava trasformare in melodia le lacrime che non aveva mai pianto. Sul palco la sua rabbia mutava in passione, il dolore diventava un pletro per suonare le corde dell'anima. Per questo, Hanji non si aspettava le parole che le avrebbe sentito di lì a poco.
"Non posso farlo."
Lei lo guardò confusa. Non era il tipo di frase che si aspettava da Levi.
"Perché? Che cosa vuoi dire?"
Levi continuava a borbottare."Non posso. Non posso farlo."ripeteva.
Non sembrava essere in sé. Hanji non lo aveva mai visto comportarsi così. Da leone ruggente era diventato un gattino tremante. Ad Hanji veniva in mente un solo motivo per cui Levi non volesse esibirsi davanti a quel pubblico.
"E' per via dei nostri compagni di scuola?"chiese. Ma era una domanda retorica. "Immagino sia inutile dirti di non pensare a quegli idioti. Il panico da palcoscenico, nel tuo caso, potrebbe essere una vera fobia."
Non era sicura che Levi la stesse ascoltando. Il tempo però stringeva, e qualcosa doveva inventarsi; qualcosa che nascondesse l'identità di Levi e lo facesse sentire più tranquillo. Una maschera, per esempio. Sarebbe stato l'ideale, ma mancava troppo poco tempo all'inizio del concerto per procurarsene una. E dove, poi? Il cervello di Hanji lavorava così intensamente che quasi lo si sentiva ronzare, come un computer su di giri. Non c'era tempo. Si guardò attorno. Qualcosa di adatto allo scopo nei dintorni doveva pur esserci. Poi, lo sguardo le cadde sulla cassetta del pronto soccorso abbandonata in un angolo del palco. Un lampo di genio le illuminò il viso. Poteva funzionare.
Qualche minuto dopo, il sipario si alzò. Levi si fece avanti; uscì piano alla luce del sole, come un gatto tasta il terreno prima di attraversarlo. La gente gridava, l'aria aveva l'odore dei fiori e del cibo delle bancarelle. In mano il ragazzo teneva il microfono, stretto in una presa salda come se da esso dipendesse la sua stessa vita. I capelli erano nascosti dal cappuccio della felpa, il volto, per la maggior parte, era avvolto da candide bende bianche.
"Facciamo finta che sul palco tu sia un'altra persona."Aveva detto Hanji intanto che le mani di lei gli avvolgeva le testa nelle bende. "Quando canti, tu ti trasformi. Nessuno ti riconoscerà. Anzi, sai che ti dico? Anche io e Mike lo faremo." A Levi l'idea non dispiaceva. Una nuova identità, un nuovo inizio. "E avremo anche dei nuovi nomi."Continuò lei. "Tu per esempio potresti essere L. Io sarò H, e Mike M. Non è molto fantasioso, ma credo che sia misterioso al punto giusto."
In piedi sul palco, Levi portò la mano alle bende che gli coprivano gli occhi. Il tocco ruvido della stoffa lo rassicurò. "Oltre questa folla, oltre questa città, c'è l'oceano. E ancora più in là altre città ed altre folle ci stanno aspettando." Voleva crederci. Sorrise, strinse più forte il microfono, e cominciò a cantare.
....
"Hanji?"
Hanji si accorse di avere ancora la cesta della biancheria in mano.
"Mike?"
"Tutto bene?"Chiese lui. "Pensavo fosse caduta la linea. Cosa è successo"
"Non lo so." Rispose Hanji. Si sentiva spaesata. Si era persa nei pensieri, e non ricordava nemmeno dove fossero iniziati. "Ad un tratto mi sono tornati in mente tanti ricordi. Sai, quando abbiamo fondato il gruppo. I Survey Corp."
"E' passato tanto tempo." Disse Mike. Nella sua voce si leggeva una nota di malinconia."Però certe cose sembrano successe ieri, vero?"
Hanji annuì anche se Mike non poteva vederla.
"In ogni caso, avvertimi quando avrai notizie di Levi. Anche Erwin è impaziente di sapere quando potremmo tornare a lavorare."
"Certo, lo farò. Ci sentiamo presto."
Mike chiuse la chiamata. Hanji posò la cesta della biancheria e si sedette sul bordo della vasca. Era ancora mattina, eppure si sentiva stanca come dopo un lungo viaggio. Un viaggio che aveva iniziato quando era venuta al mondo, e non era ancora terminato. "Non ci è permesso fermarci nemmeno un attimo." Pensò."E non importa se sei pronto o meno, se hai fatto i bagagli oppure no. La vita va avanti, sempre."
"Io volevo solo aiutarlo." Bisbigliò nella casa vuota.
Hanji guardò di nuovo verso la soglia del bagno. Questa volta, di fronte a lei non vide nessun fantasma.
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