Capitolo 8

Siamo fuori nel cortile sul retro della scuola e una lieve brezza mi scompiglia i capelli. Da qui si sentono le urla dei ragazzi bloccati all'interno della scuola. Cosa non farei per aiutarli.. Ma questo è il momento di pensare per una volta a me, di mettermi in salvo. Mi ricade nuovamente lo sguardo sul mio braccio, sul tatuaggio. I miei genitori! In questo momento dovrebbero essere a lavoro, staranno bene?
Cerco il telefono nello zaino, lo sblocco e trovo sette chiamate senza risposta da mamma. Compongo il numero in fretta e aspetto. Squilla un paio di volte prima che mia madre risponda singhiozzante "Amber tesoro! Oddio ero così preoccupata. Tutto bene?"
"Io sto bene, tu e papà?"
"Io sono bloccata in ufficio e papà oggi è rimasto a casa da lavoro perché si sentiva poco bene, ho provato a chiamarlo ma non ricevo ris..."
Sento un forte botto e delle urla provenire dall'altra parte del telefono.
"Amber, devo chiudere! Ti richiamo appena posso, te lo prometto! Ti voglio bene amore mio!" E prima che io possa salutare mia mamma la chiamata termina. Alzo lo sguardo e noto che i miei amici sono intenti a telefonare ai loro genitori, proprio come me. Ad un certo punto Aaron smette di parlare, toglie il telefono dall'orecchio e dice "Non c'è più segnale" e poco dopo anche Connie interrompe la sua chiamata con lo stesso problema. Fantastico! Siamo isolati. Cosa si fa adesso?

Siamo nel piccolo cortile da qualche decina di minuti e dopo qualche istante di silenzio Nathan si alza dalla panchina in pietra e dice "Ragazzi, dobbiamo fuggire da qui."
"E i nostri genitori?" Chiedo io sentendo una lacrima calda rotolarmi sulla guancia.
"Biancaneve, tranquilla li troveremo." E detto questo si avvicina e mi lascia una leggera pacca sulla spalla. Nathan non sa essere dolce.
"Dove hai la macchina?" mi chiede poi.
"Ehm, è nel parcheggio davanti alla scuola.."
"Questo potrebbe essere un problema" dice Aaron
"Già.. Am possiamo arrivare a casa tua anche a piedi" dice Connie
"Non credo sia molto sicuro, d'altronde.. Non abbiamo altra scelta" rispondo io.
Ci avviamo verso l'uscita del cortile. Stiamo camminando in fila indiana, davanti a me sta Nathan, come capofila. Ad un certo punto si ferma di colpo e il suo braccio muscoloso mi si para davanti bloccandomi il passaggio. Prima che io possa fiatare, il ragazzo si porta l'indice alle labbra facendomi segno di stare in silenzio, poi indica un punto oltre la recinzione. Alzo lo sguardo e vedo che davanti al cancello sta in piedi un infetto. Parte della testa non ha più né capelli né pelle. È gobbo, sta fissando il suolo respirando in modo affannoso. Ci allontaniamo il più silenziosamente possibile, dobbiamo trovare un'altra uscita. Mi guardo attorno e noto una piccola apertura sulla recinzione del cortile, una perfetta via di fuga. Faccio cenno ai ragazzi di seguirmi e, molto lentamente arriviamo all'apertura. Oltrepassiamo tutti la recinzione senza problemi, tranne Aaron che prima di riuscire ad essere fuori dal cortile, si è impigliato varie volte fra i rami di un arbusto lì vicino.
Corriamo nascondendoci il più possibile dietro alle macchine e ai cassonetti. Ormai le strade sono affollatissime, ovunque ci si giri ci sono automobilisti arrabbiati che suonano clacson, cercano tutti di scappare senza una precisa meta. Lo farei anche io, se solo fossi con la mia famiglia.
Zigzaghiamo tra il gorgo di macchine finché non arriviamo nel mio quartiere che non è mai stato tanto deserto. Optiamo per camminare dietro alle case, in disparte, in caso ci siano infetti.
Arriviamo davanti a casa mia e vedo che la porta è leggermente aperta. Dico ai miei amici di aspettarmi fuori ed entro.
"Papà?" Chiamo mio padre diverse volte, cercandolo per tutto il piano inferiore. Sto per entrare in cucina quando sento un rumore provenire dal piano di sopra. Mi fermo e mi dirigo verso le scale.
Apro la porta della mia stanza, è rimasta come l'ho lasciata stamattina. Allora vado verso la camera dei miei genitori. Apro la porta e vedo che è vuota. Papà doveva essere a casa, dove sarà andato? Preoccupata esco dalla stanza e imbocco le scale. Arrivo in salotto, prendo il telefono e vedo che il segnale è tornato. Cerco il suo numero in rubrica, lo chiamo e aspetto. Dopo poco sento il suo telefono squillare in cucina. Delusa riattacco. Sto per voltarmi quando sento Nathan urlare il mio nome. Prontamente mi giro e mi ritrovo mio padre davanti e Nathan che corre dietro a lui con in mano un martello. Lancio un urlo e cado con il sedere a terra. La scena che mi si para davanti è la seguente: mio padre che urla steso sul pavimento e Nathan che lo colpisce ripetutamente alla testa con un martello mentre Connie ed Aaron rimangono bloccati sul ciglio della porta scioccati. Piango e urlo per la situazione assurda. Mio padre non può essere morto! Mio padre non può essere stato ucciso dal fratello della mia migliore amica!
Mi alzo velocemente e mi scaglio contro Nathan buttandolo a terra e urlando "Che cazzo stai facendo?! Sei fuori di testa!" Provo a colpirlo ma lui blocca ogni mio colpo. Assesto pugni a vuoto finché non mi sento sfinita e lui mi ferma abbracciandomi e dicendo "Amber ora calmati! Tuo padre stava per ucciderti. Ho salvato la tua e la sua vita. Era stato morso." Urla lui
"Non è vero! Non era un infetto! Tu hai ucciso mio padre, io ti odio!" Dico singhiozzando.
"Amber per favore! Guarda il suo braccio!"
Mi alzo dal ragazzo e mi avvicino con le gambe tremanti al corpo ormai esanime di mio padre. Nathan aveva ragione, era stato infettato. Sento le forze abbandonarmi, non riesco a reggermi in piedi e cado a terra. Stanno accadendo troppe cose in un periodo troppo ristretto. Vedo tutto girare e sento ovattato. Riesco a percepire il suono della voce di Connie, credo stia dicendo il mio nome. Poi delle braccia forti mi avvolgono e mi sollevano dal pavimento. Ho davvero molto sonno, o forse sono solamente scioccata. Quindi mi addormento sentendo Nathan dire "Qui non siamo al sicuro. Dobbiamo trovare un altro posto."

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