𝐴 𝐺𝑢𝑦 𝐹𝑟𝑜𝑚 𝐻𝑜𝑢𝑠𝑡𝑜𝑛 [Cap. 1-5]

«L'avversione del diciannovesimo secolo per il realismo è la rabbia di Calibano che vede il proprio volto riflesso nello specchio. L'avversione del diciannovesimo secolo per il romanticismo è la rabbia di Calibano che non vede il proprio volto riflesso nello specchio.»
- Oscar Wilde, Il Ritratto di Dorian Grey

Carissimi semifreddi al torroncino, anche in questa recensione ci ritroveremo ad affrontare una storia speciale: torna TheOtakuGirl_05, somma Autrice di You are my smile e You Make Me Happy. 

In questa storia, la sua vittima è nient'altro che Leatherface, un personaggio che ritengo molto interessante ma anche complicato da scrivere, perché viene chiaramente mostrato come una persona che soffre di qualche forma di disabilità mentale, che uccide, secondo lui, per difesa personale. 

Gunnar Hansen, colui che lo interpretò nel primo film nel 1974, disse che secondo lui Leatherface era "sotto il completo controllo della sua famiglia. Fa tutto quello che gli dicono di fare. Ha anche un po' paura di loro". 

Siccome i soldi sono la prima cosa in questo mondo del cazzo, hanno continuato a fare film su film, mandando completamente a puttane la timeline e spaccandola in tre: 

- La timeline originale, costituita da quattro film: The Texas Chainsaw Massacre (1974), The Texas Chainsaw Massacre 2 (1986), Leatherface: The Texas Chainsaw Massacre III (1990), Texas Chainsaw Massacre: The Next Generation (1995);

- La timeline dei remake: The Texas Chainsaw Massacre (2003), The Texas Chainsaw Massacre: The Beginning (2006); 

- La timeline dei reboot: Texas Chainsaw 3D (2013), Leatherface (2017); 

C'è pure un film uscito nel 2022, chiamato Texas Chainsaw Massacre, ma non è ben chiaro dove dovrebbe essere infilato. 

Il regista, Fede Alvarez, disse questo in merito: 

"When I say 'direct sequel' I wouldn't say it skips everything. When movies do that, sometimes it feels a bit disrespectful to all the other films. Some people love Texas Chainsaw 2. I love a lot of things about that movie — it's so wacky and of its time. But the rest is such a mess canon-wise. I think it's up to you to decide when and how the events of the other movies happen."

[TRAD.] "Quando dico 'sequel diretto' non direi che salti tutto. Quando i film lo fanno, a volte, sembra irrispettoso verso tutti gli altri film. Qualcuno adora Texas Chainsaw 2. Amo molte cose di quel film - è così bizzarro e figlio dei suoi tempi, ma il resto è un vero casino per il Canon. Penso spetti a voi decidere quando e come gli eventi degli altri film accadono". 

Un vero casino, vero? 

Come se non bastasse, il nostro protagonista cambia nome diverse volte: nel primo film rimane Leatherface, nel secondo, quello del 1986, diventa Bubba Sawyer, nel terzo del 1990 Junior Sawyer, nel quarto del 1995 l'intera famiglia cambia nome da Sawyer a Slaughter, e lui è semplicemente Leather Slaughter. 

Nella timeline dei remake, la famiglia cambia nome di nuovo, passando da Slaughter a Hewitt, e lui diventa Thomas Brown Hewitt. 

Nella timeline dei reboot, la famiglia cambia nome un'altra volta, ritornando alle origini con Sawyer, e lui prende il nome di Jedidiah Sawyer.

Nel film del 2022, per qualche motivo, la famiglia cambia nome, ritornando a Slaughter, diventando Kenneth Slaughter.

L'Autrice, almeno, segue una timeline precisa, ovvero quella dei reboot, e quindi per i paragoni seguirò la storia di Jedidiah Sawyer. 

ɴᴇʟʟᴀ ᴄɪᴛᴛà ᴅɪ ʜᴏᴜsᴛᴏɴ ᴠɪᴠᴇ ᴜɴ ʀᴀɢᴀᴢᴢᴏ ᴅɪ sᴇᴅɪᴄɪ ᴀɴɴɪ...ᴅɪ ɴᴏᴍᴇ ᴊᴇᴅɪᴅɪᴀʜ sᴀᴡʏᴇʀ, ʜᴀ ᴛᴜᴛᴛᴏ ᴄɪò ᴄʜᴇ ᴅᴇsɪᴅᴇʀᴀ, sᴏʟᴅɪ ᴇ ᴛᴜᴛᴛᴇ ϙᴜᴇʟʟᴇ ᴄᴏsᴇ ᴄʜᴇ ᴜɴ ᴀᴅᴏʟᴇsᴄᴇɴᴛᴇ ᴅɪ ϙᴜᴇʟʟ' ᴇᴛà ᴘᴏssᴀ ᴅᴇsɪᴅᴇʀᴀʀᴇ, ᴍᴀ, ᴇʀᴀ ᴀɴᴄʜᴇ ᴄᴏᴍᴘʟᴇᴛᴀᴍᴇɴᴛᴇ sᴏʟᴏ ᴇ ᴘɪᴇɴᴏ ᴅɪ ᴘʀᴏʙʟᴇᴍɪ. ʟᴀ ᴍᴀᴅʀᴇ è ᴀssᴇɴᴛᴇ ᴍᴏʟᴛᴏ sᴘᴇssᴏ ᴘᴇʀ ᴠɪᴀ ᴅᴇʟ ʟᴀᴠᴏʀᴏ ᴇ ϙᴜᴇʟʟᴇ ᴠᴏʟᴛᴇ ᴄʜᴇ ɴᴏɴ ʟᴏ è, ɴᴇ ᴀᴘᴘʀᴏғɪᴛᴛᴀ ᴘᴇʀ ᴀɴᴅᴀʀᴇ ᴀ ғᴀʀᴇ sʜᴏᴘᴘɪɴɢ ᴇ ᴜsᴄɪʀᴇ ɪɴ ɢᴇɴᴇʀᴀʟᴇ ᴄᴏɴ ʟᴇ ᴀᴍɪᴄʜᴇ/ᴄᴏʟʟᴇɢʜᴇ. ɪʟ ᴘᴀᴅʀᴇ è ᴀssᴇɴᴛᴇ ᴇ ᴀssᴏʟᴜᴛᴀᴍᴇɴᴛᴇ ᴅɪsɪɴᴛᴇʀᴇssᴀᴛᴏ ᴀʟʟᴀ ᴠɪᴛᴀ ᴄʜᴇ ɪ ғɪɢʟɪ ᴄᴏɴᴅᴜᴄᴏɴᴏ. ᴜɴᴏ ᴅᴇɪ sᴜᴏɪ ᴅᴜᴇ ғʀᴀᴛᴇʟʟɪ, ᴅʀᴀʏᴛᴏɴ, è ᴜɴ ᴛᴏssɪᴄᴏᴅɪᴘᴇɴᴅᴇɴᴛᴇ, ᴍᴇɴᴛʀᴇ ʟ'ᴀʟᴛʀᴏ, ᴛʜᴏᴍᴀs, è ɪʟ ᴄʟᴀssɪᴄᴏ ʀᴀɢᴀᴢᴢᴏ ᴍᴏᴅᴇʟʟᴏ. ɴᴇʟʟᴀ sᴜᴀ sᴄᴜᴏʟᴀ, ʟᴀ ᴡʜᴇᴀᴛʟᴇʏ ʜɪɢʜ sᴄʜᴏᴏʟ (sᴇᴍᴘʀᴇ ɴᴇʟʟᴀ sᴜᴀ ᴄɪᴛᴛà ɴᴀᴛᴀʟᴇ), ᴜɴ ʙᴜʟʟᴏ ʟᴏ ᴘᴇʀsᴇɢᴜɪᴛᴀ ᴅᴀʟʟᴀ ᴘʀɪᴍᴀ ᴇʟᴇᴍᴇɴᴛᴀʀᴇ, ᴇ ʟᴇ ᴄᴏsᴇ ᴘᴇɢɢɪᴏʀᴀɴᴏ ϙᴜᴀɴᴅᴏ ᴛᴜᴛᴛɪ, ɴᴇʟʟᴀ sᴜᴀ sᴄᴜᴏʟᴀ sᴜᴘᴇʀɪᴏʀᴇ, ᴠᴇɴɢᴏɴᴏ ᴀ sᴀᴘᴇʀᴇ ᴄʜᴇ è ɢᴀʏ.

Analizziamo i problemi di questa sinossi, che sì, includono questo font da crimine contro l'umanità intera. 

1. "Tutte quelle cose che un adolescente di quell'età possa desiderare", cioè? Videogiochi? Il calcio? Uscire con gli amici tutte le sere? Droghe? Discoteca? Libri? Gli adolescenti non sono un gruppo di cloni tutti uguali, sono umani e quindi hanno aspirazioni diverse. 

2. Siccome siamo nella timeline del reboot, Drayton è il padre di Leatherface, non suo fratello. È vero che nel primo film del 1974 Drayton era effettivamente il fratello maggiore, ma siamo nella timeline del reboot dove le cose sono cambiate. 

3. Non ho idea chi sia questo "Thomas" che viene nominato, perché nel film Leatherface ha due fratelli/cugini: Loretta e Nubbins, che vengono uccisi nel massacro all'inizio. Capisco che "Nubbins" possa essere un soprannome o si possa considerare tale, ma almeno sforzarsi di riportare i veri personaggi già presentati nel film mi sembra il minimo. 

4. Forse il punto più importante di tutti: già dal primo film sappiamo che la famiglia è composta da membri incestuosi, e che Leatherface abbia deformazioni fisiche oltre che disabilità mentali a causa di questo. Perché togliere tutto? Già il non rendere la famiglia almeno macellai, che sarebbe stato il cambio più veloce e facile della storia, mi lascia un po' sorpreso, ma togliere tutte le caratteristiche che rendevano Leatherface, beh, Leatherface, è ancora più discutibile. Concordo che il personaggio debba essere trattato con la giusta delicatezza, ma non ce l'ha mica ordinato il dottore, di scrivere. Ci si può sempre informare. 

Però almeno la premessa è interessante, siccome si può sviluppare in modi diversi, quindi oso avere delle speranze. Vediamo quanto ci metto a pentirmene. 

Capitolo 1:  An Insignificant Shape.

Un ragazzo qualunque, una sagoma insignificante che camminava nella frenesia di Houston per arrivare in orario a scuola, ecco come si sentiva Jedidiah Sawyer. Nulla di speciale, una vita inutile come mille altre. Era stretto nel suo cappotto, costato così tanto che lo stesso sedicenne non riusciva a ricordare quante cifre avesse avuto il numero sul cartellino, cercando di combattere il freddo. 

Perché sia mai che un protagonista sia di classe media, considerando che nell'originale è un macellaio presumibilmente senza istruzione. Capisco il voler esplorare la sua adolescenza, ho già detto che una High School AU non è un problema, lo è il rifiutarsi categoricamente di rispettare i personaggi originali o almeno mantenerne alcune caratteristiche. L'obiezione di "eh, Leatherface è un personaggio difficile da scrivere a causa di tutti i suoi problemi" non regge, siccome si può benissimo fare delle ricerche prima. 

Non si rendeva conto del fatto che il freddo, però, era dentro di lui. 

Per l'amor di Dio. Era dai tempi di Tumblr che non vedevo una cosa del genere. 

Gli attanagliava il cuore da ormai tanti anni, da quando si era lasciato alle spalle la sua innocenza di bambino, da quando sua madre l'aveva abbandonato. 

Ricordiamoci questa frase e vediamo quanto verrà sviluppata. Sono contento che, nel frattempo, sia avvenuta un'evoluzione stilistica. Almeno riesco ad interpretare ciò che mi viene proposto, che per chi la letto le recensioni delle altre due storie dell'Autrice sa che non è scontato.

Si scontrò contro qualcuno, mormorò una scusa e proseguì per la sua strada, affondando le mani nelle tasche, sperando che si scaldassero. Represse un lamento quando sentì lo zaino sfregare contro i tagli sulla sua schiena, che ancora non si erano rimarginati, dopo due giorni da quando suo padre aveva sfogato la propria rabbia su di lui. 

Questo passaggio è mediocre, almeno. Sarebbe stato meglio introdurre il padre in una scena in cui picchia Leatherface, giusto per vederlo agire e non lasciarlo una figura fumosa di "Padre Generico numero 298", ma è un errore che molti scrittori in erba fanno, quindi lo lascio correre. 

Ho inoltre dei dubbi sul termine usato: un taglio è un tipo di ferita molto specifica, e sarebbe stata un'idea molto carina se le ferite di Jedidiah fossero state causate dagli strumenti da macellaio del padre, ma siccome qui del lavoro originale non c'è traccia, abbandono subito le speranze. I tagli, inoltre, sono un tipo di ferita bizzarra da associare alla rabbia. Mi spiego meglio: Se Jed fosse stato accoltellato, allora capirei, perché è un'azione che richiede una buona dose di forza e può essere guidata dalla rabbia, ma dei tagli? Tagliare è un'azione più cosciente, più precisa, che richiede un minimo di razionalità, quindi mi sento un po' confuso. 

La terza cosa che mi sento di far notare di queste righe è che l'ultima frase sarebbe potuta anche essere tagliata, siccome è ovvio. I tagli non si rimarginano in due giorni, non abbiamo mica i superpoteri. 

Dopo alcuni minuti di cammino, perso nei suoi pensieri, le cuffiette infilate nelle orecchie, arrivò davanti al cancello della sua scuola. Avrebbe voluto ripercorrere i propri passi, infilarsi nel letto e rimanerci per il resto della sua vita, ma sapeva che non avrebbe potuto. Non avrebbe dovuto nemmeno pensarla, una cosa del genere, ne era pienamente consapevole, e questo lo fece sentire, se possibile, ancora peggio. 

L'ultima frase avrebbe bisogno di essere sviluppata ulteriormente, in quanto può avere due sottotesti: il primo è che il volersi chiudere in casa e non volerne uscire mai più non sia un pensiero "normale" e che sia un segnale che qualcosa non va, e che Jed ne sia a conoscenza, o che questi pensieri siano "sbagliati" e che sia, in qualche modo, colpa dello stesso Jed. 

Sono confuso inoltre su un'altra cosa: perché il fatto di non dover avere quei pensieri farlo sentire peggio? È il secondo sottotesto che ho proposto? La narrazione sta portando avanti che sia colpa di Jed, oppure che lui stesso si senta in colpa? Non è chiaro. 

Fece un respiro profondo, abbassò la testa e procedette verso l'edificio dove l'incubo senza fine in cui viveva diventava ancora più spaventoso. Gli si avvicinò un ragazzo, Jed lo vide con la coda dell'occhio: era William McGaill, lo stesso William che lo prendeva in giro dalla prima elementare, incredibile ma vero, una vera e propria perseguitazione, durata ben 10 anni!

Mi dispiace, ma alla parola "perseguitazione" sono scoppiato a ridere come un demente. Possedete un cellulare, Autrice, e in esso, al vostro servizio, sono presenti vari dizionari. Consultateli in caso di dubbio; se l'aveste fatto, avreste scoperto che la parola corretta è "persecuzione". 

Il punto esclamativo è una scelta di punteggiatura sbagliata in questo contesto, secondo me. Io, personalmente, penso che i punti esclamativi nella narrazione non si debbano mettere, ma questa è solo un'opinione personale. Se si vogliono usare, vanno ponderati, perché, come tutti i segni di punteggiatura, danno un particolare effetto. La frase dopo i due punti distrugge completamente la parvenza di serietà che stava venendo costruita. 

Altro commento: la stessa narrazione ci sta dicendo che questo William McGaill non sia maturato dalla prima elementare, cosa che può succedere ed è anzi realistica (e quindi l'inciso "incredibile ma vero" non ha senso di essere lì, oltre ad essere una variazione senza senso della voce narrante, che fino ad ora ha avuto un tono piuttosto neutrale e "serio"), quindi aspetto di vedere questo sviluppo. Il raccontato e non mostrato mi dà un po' fastidio, ma per ora non è un grosso problema. 

Comunque i numeri in un testo narrativo vanno scritti a lettere e non in cifre. 

 Qualcosa dentro di lui gridava a gran voce che forse avrebbe dovuto seriamente ritornare indietro, o almeno allontanarsi, ma lui ascoltò solo la melodia di "New York Groove", mettendo a tacere ogni suo pensiero. Improvvisamente, però, le cuffie gli vennero strappate di dosso. Caddero, attorcigliandosi intorno alla sua gamba destra, e lui le guardò confuso. "Ascoltami, quando ti parlo, frocetto." Will lo toccò appena, facendo pressione sulla sua spalla, ma lui perse comunque l'equilibrio, indietreggiando di qualche passo. 

Jed è un uomo molto alto e possente, e lo deve essere stato anche da adolescente. Come fa a perdere l'equilibrio dall'essere toccato, nemmeno spinto? Le cuffie che, cadendo, gli si attorcigliano intorno alla gamba è un'altra cosa che non capisco. 

Non rispose, continuò a camminare, recuperando le cuffie, pregando che se l'altro ne andasse, che lo lasciasse in pace. "Ehi, fighetta, dove credi di andare?" Si sentì strattonato all'indietro, e William gli fu nuovamente davanti. "Perché non mi guardi? Il mio cazzo è forse più interessante?" Un'altra spinta. "Cosa vuoi?" fu un mormorio quasi impercettibile, uno spostamento d'aria minimo. Jed non aveva nemmeno alzato lo sguardo per dare soddisfazione al più alto, ma sapeva che se ne sarebbe pentito. 

Devo dire scena realistica di bullismo, quindi kudos all'Autrice, anche se ammetto di essere rimasto perplesso al "più alto". Jed è già molto alto, non serve essere più alti della vittima per fare bullismo. 

"Cos'hai detto, coglione? Non riesco a sentirti da qui." Gli batté il palmo aperto contro la fronte, ma l'altro non si mosse. "Nulla" rispose allora Jed, puntando lo sguardo su un sassolino leggermente più scuro degli altri. Un centinaio di studenti passarono accanto ai due ragazzi, parlottando tra di loro, ma nessuno fece caso a ciò che ormai era considerata routine. 

Buono l'effetto spettatore, perché è realistico umanamente che nessuno reagisca a qualcosa che ormai diventa routine, non sempre per cattiveria ma magari anche per paura o imbarazzo.  

Certo, perché a nessuno dava fastidio che Jed venisse preso in giro, picchiato, distrutto. A nessuno importava di una persona tanto insulsa. Nemmeno a Jed stesso importava. Ma quel giorno era diverso. Era tutto completamente diverso, perché Jed non era più invisibile. Lui non lo sapeva ancora, certo, e non l'aveva nemmeno voluto, ma ora era sulle bocche di tutti. 

Avrei voluto che mi venisse fatto vedere, questo outing, perché solo narrato non fa effetto. Quando i recensori parlano di "raccontato e non mostrato", è questo quello che intendono. Mi sto anche annoiando un pochetto, lo ammetto. 

Tutti sapevano il suo segreto, lo stesso che aveva custodito con cura per tanti anni, lo stesso che si era assicurato di non lasciarsi sfuggire nemmeno in un'occasione, lo stesso che nemmeno suo padre conosceva. Will venne raggiunto da altri due ragazzi, Jed non sapeva i loro nomi. Non erano nella sua classe, ma li incontrava ogni giorno, alla stessa ora, nelle stesse circostanze. 

Incontrare è un termine che non va bene, trattandosi di bullismo. Non è che Jed li veda volontariamente, ecco. Io avrei usato "incrociare", ma anche qui minimizza un pochino ciò che sta succedendo. 

Trovo anche leggermente irrealistico il fatto che Jed non sappia i loro nomi, siccome, presumibilmente, tra di loro penso che se li dicano, ma tanto viene tutto contraddetto nella prossima frase. 

"Ti diverti senza di noi?" fece uno dei due, Hank Nuggets, dando una pacca sulla spalla di Will, come se volesse complimentarsi con lui per il lavoro svolto fino a quel momento. "Stavo giusto per chiedergli quanto prendesse per un pompino." 

Bene, e abbiamo già contraddetto ciò che è stato detto più in alto. È vero che siamo in terza persona, ma stiamo anche seguendo la prospettiva del personaggio. Non ha senso, in questo caso, che il lettore sappia il nome di questo personaggio e il protagonista no. 

Le parole di Will lasciarono turbato il più basso, che non capiva perché l'altro continuasse ad alludere alla sua omosessualità, di cui nessuno avrebbe dovuto sapere nulla. "Hey, succhiacazzi, dico a te." Un'altra spinta. "I-io.. non so di cosa tu stia p-parlando" riuscì a dire Jed, rosso in viso. William lo afferrò per il bavero del cappotto, costringendolo ad incrociare il suo sguardo. "Ah no? Lo sappiamo tutti che ti piace prenderlo in culo. Tutti nella scuola sanno che sei solo un frocio di merda." Jed sbiancò. 

Altri momenti decenti di bullismo. Devo dire che sono scritti mediocremente, anche se forse un po'... caricaturali. Per ora ci siamo. 

Sentì il panico impossessarci di lui o il più alto gli rise in faccia subito, seguito dagli altri due ragazzi. "Oh, poverino, c'è rimasto male." La presa si allentò, e Jed abbassò nuovamente lo sguardo. "Hey, andiamo, le ragazze ci aspettano" disse Richard Washington, il braccio sinistro di Will. Jed non riuscì nemmeno a capire chi fosse, tanto era paralizzato. 

E allora non diciamo i nomi dei personaggi, se il protagonista non sa chi siano.

"Ci si vede, frocetto." Il capobanda lo salutò con un cenno della mano, come se fossero buoni amici. Jed rimase immobile, gli occhi sbarrati, un improvviso caldo che lo faceva quasi sudare. Non era possibile che William stesse dicendo la verità. Jed stava cercando disperatamente di convincersi che in realtà quel ragazzo aveva solo voluto credere che lui fosse gay per avere un ulteriore motivo per torturarlo, ma in fondo, molto in fondo, sapeva di essere fregato. Il suono della campanella lo riscosse dai suoi pensieri, e si costrinse ad entrare a scuola. Nel momento stesso in cui aprì la porta, sentendo il viso diventargli rosso per lo sbalzo termico, tutti si voltarono a guardarlo. 

Abbastanza decente questo momento, devo dire, anche se per accadere realisticamente la scuola dovrebbe avere pochissime persone. Ah, e facendo un po' di ricerche sulla Wheatley High School, sembra essere una scuola in un distretto abbastanza povero, frequentato per la maggior parte di minoranze etniche, con solo lo 0.3% di bianchi. Considerato che gli studenti vengono riportati consistentemente come meno di 700, potete immaginare. 

I livelli per la lettura, la matematica e la scienza sono più bassi della media del distretto e della contea, e il tasso di povertà si attesta al 94/95%. 

Tutto questo per dire che prendere una scuola prevalentemente etnica e impoverita e ficcarci un ricco ragazzo bianco ha un sottotesto leggermente problematico che non riesco a farmi andare proprio bene. 

Inizialmente Jed non lo notò nemmeno, nonostante quel silenzio fosse senz'ombra di dubbio insolito. Poi, fu inevitabile. "Hey, stronzetto, ci sei per una sveltina durante la pausa pranzo?" Una voce accanto a lui ruppe il silenzio, seguita da alcune risatine. Jed si fermò. Sapeva che stessero parlando a lui, era così ovvio. Ciò che aveva tanto pregato non succedesse era accaduto. Serrò gli occhi per trattenere le lacrime, poi riprese a camminare. Nessuno disse altro. Semplicemente, ognuno si diresse verso la propria classe, tutto ritornò alla normalità, ma Jed temeva, Jed in fondo sentiva che quella non sarebbe più stata la normalità così come la intendeva lui. 

Per qualche miracolo, fino ad ora, sta andando abbastanza bene. È tutto abbastanza noioso, un po' insipido, ma queste sono impressioni personali. Non c'è niente di davvero sbagliato, non come nei precedenti due capolavori, almeno. 

Capitolo 2: Torment. 

La mattinata fu lenta, straziante. Il tempo pareva essersi dilatato, e le cose andavano peggiorando ogni volta che qualcuno rivolgeva a Jed una battuta sconcia o un'occhiata storta. 

Sarebbe bello se mi venisse mostrato qualcosa, per un fattore di impatto emotivo, più che altro. Mi dimenticherò tutto questo molto presto, in questo modo. 

Il sedicenne passò tutta la pausa pranzo nel bagno, a singhiozzare. Nessuno bussò alla porta, nessuno gli offri aiuto, nessuno lo rassicurò. Non che avrebbe cambiato le cose, ma forse uno di questi gesti avrebbe seriamente fatto stare un po' meglio quel ragazzo dall'animo tanto ingenuo quanto delicato. 

E okay, ma fin'ora non mi è stato mostrato nulla. Sappiamo di Jed che: non ha amici, è gay, è ricco. Fine. Non mi è mai stato fatto vedere un momento in cui è davvero ingenuo oppure delicato. Va bene, siamo a capitolo due, ma è a questo che servono i primi capitoli: introdurci i personaggi. Per ora, queste due paroline non vogliono dire nulla. 

Aveva bisogno, un bisogno disperato, di pensare ad altro. Voleva sparire, dimenticare tutta la sua vita fino a quel momento, ricominciare da capo. Quando uscì dai bagni, gli occhi e il viso rossi, gli unici sguardi che ricevette furono di disprezzo. Cercò di ignorarli, ma quel sentimento di ostilità che gli stava venendo riservato lo trapassava da parte a parte, gli spezzava le ossa e gli lacerava l'anima, lasciandolo completamente distrutto. Sarebbe bastato un solo sguardo, uno tra mille, diverso. Uno sguardo rassicurante, un paio di occhi amici, vicini, ma attorno a lui c'era solo odio. 

Oddio, dubito altamente che un problema di bullismo così grave possa semplicemente essere risolto dalla presenza di un amico. Cioè, sì, capisco cosa volesse dire l'Autrice, ma non basta. Sembra venga preso tutto alla leggera, nonostante la voce narrante ci stia provando in tutti i modi a dare una nota di serietà al contesto. 

Odio immotivato nei confronti di uno sconosciuto, odio scaturito dalla paura di ciò che è diverso, e in fondo la paura non è la costante che accomuna tutti gli esseri umani? In fondo, molto in fondo, tutte quelle persone capivano cosa Jed stesse provando. Capivano l'umiliazione, capivano la paura, la vergogna, ma si rifiutavano di concentrarsi su qualcosa di diverso dai propri sentimenti. E proprio per questo motivo nessuno mosse un passo verso Jed, nessuno posò una mano sulla sua spalla, nessuno lo abbracciò, nessuno gli mormorò un: "andrà tutto bene". Nessuno sarebbe mai stato li per quel ragazzo, e lui lo sapeva bene. Sapeva perfettamente di non poter contare su nessuno, di essere solo, rifiutato senza nemmeno aver avuto la possibilità di mostrarsi per quello che era veramente. 

Una nota di psicologia spiccia, un capitan ovvio, un concetto che dovrebbe essere stato mostrato e non narrato? Abbiamo tutto, qui. 

Tra l'altro, con la riflessione sulle altre persone, si capisce che il narratore è onnisciente. Ciò potrebbe in qualche modo giustificare il fatto che il lettore sappia i nomi dei bulletti e Jed no, ma continuo a ritenerla una cosa stupida. Perché il lettore conosce i nomi dei bulli? E, soprattutto, perché Jed non li sa? Perché fare una scelta del genere, quando toglie il fattore personale? Li incontra tutti i giorni alla stessa ora nelle stesse circostanze, come detto dall'Autrice, quindi perché questa scelta?

Sgusciò lontano dalla folla, da quelle presenze familiari e al contempo nemiche. 0, almeno, ci provò. 

Sì, quello è uno 0 al posto della O maiuscola. 

Non si concentrò sulle lezioni. Sapeva che se ne sarebbe pentito, ma ormai non gli importava più di nulla. Quando finalmente arrivarono le quattro del pomeriggio e poté uscire dalla scuola, gli sembrò di aver ricominciato a respirare: quel luogo era diventato troppo stretto per lui, perfino più di quando era ancora invisibile. Camminò rapidamente verso la fermata dei pullman, le cuffie infilate nelle orecchie, la tristezza che pesava nel suo petto all'altezza del cuore, le insicurezze che plagiavano i suoi pensieri e lo portavano a considerarsi sbagliato. 

Ho sbadigliato. Purtroppo questo stile di narrazione non coinvolge, perché è tutto raccontato e non mostrato, tutto banale, artificioso, coreografato. Non ci sono emozioni. Non c'è nulla. 

Attese per una decina di minuti nel freddo dell'inverno prima di poter salire sull'autobus. Per tutto il tragitto rimase a fissare il vuoto fuori dal finestrino, la mente che rimuginava sulle stesse cose, sulla stessa solitudine opprimente, sulla stessa sensazione di inadeguatezza. 

Potrei per cortesia leggere questi benedetti pensieri oppure continuerò a venir escluso a forza dalla mente del protagonista? 

Quando si riscosse, le sue guance erano bagnate, un'altra volta. Percorse i pochi passi che lo separavano da casa sua con le mani che bruciavano, il sangue ghiacciato, la testa che scoppiava, gli occhi gonfi. Entrò e lo accolse il silenzio. Suo padre, Paul Sawyer, era disteso sul divano, la televisione accesa, una decina di bottiglie di birra vuote poggiate sul pavimento. Jed lo guardò, sperando che lui ricambiasse lo sguardo, gli chiedesse come mai fosse in quello stato, si mostrasse per la prima volta un vero padre, ma lui non fece nulla di tutto questo. 

E niente, la freddezza con cui mi vengono raccontati i fatti non riesce a coinvolgermi. Come faccio a sentirmi davvero male per Jed, se suo padre rimane una figura fumosa, un Padre Ubriaco n. 261738? Non lo vediamo agire, anche quando l'Autrice ha avuto la possibilità di mostrarcelo, cioè adesso, sceglie di non farlo. 

E Jessica Crew, sua madre? Beh non era a casa, come al solito, chissà se mancava perché stava a lavoro o perché stava fuori con le amiche, questo a Jed non importava, ci aveva fatto l'abitudine ormai. 

Nell'opera originale, la madre è vittima di ripetuti stupri dal suo stesso padre ed è un personaggio tragico. Complimenti, Autrice, grazie per il tatto. 

Il fratello minore, Thomas, era chiuso in camera sua, forse a studiare o a leggere un libro. Poi c'era anche il fratello maggiore, il secondo tossicodipendente di famiglia, Drayton. Probabilmente lui si stava sbronzando, con della Vodka oppure con altri tipi di alcolici, mentre ascoltava Rock n' roll. 

Perché descrivere la musica ad alto volume, che tipo di canzone stia ascoltando, qualcosa che faccia uscire queste sagome di cartonato dalla loro condizione è troppa fatica. Sia mai che non sia tutto narrato in modo piatto. 

Jed salì le scale, si chiuse nella sua camera e non ne uscì fino a tarda sera. Mangiò della pizza completamente solo quando erano ormai quasi le dieci, alla calda luce del lampadario che pendeva dal soffitto proprio sopra al tavolo. 

Sì, le lampadine producono calore, è vero, ma se fuori fa freddo come ci è stato descritto in casa farà freddo anche con le luci accese, se non c'è il riscaldamento. 

Non aveva visto i suoi fratelli per tutto il giorno, non aveva ricevuto neppure un misero messaggio, ma d'altronde neppure Jed stesso si era preoccupato d'interessarsi ai fratelli, Pulì rapidamente i piatti canticchiando a bassa voce, storcendo il naso quando non gli riusciva una melodia. 

A volte mi chiedo come certi errori possano venire fuori. Uno di questi è una virgola al posto di un punto: ormai per me è memoria muscolare, però accidenti, nemmeno una rilettura per accorgersi dell'errore?

Gli scappò perfino un sorriso quando, per la sua sbadataggine, il piatto cadde nel lavello pieno di acqua mista a sapone, schizzandolo. Non era certo in grado di definirsi sereno, ma più ci rifletteva e più la malinconia lo assaliva, stringendolo nella sua morsa tanto avvolgente quanto letale, quindi cercava di godersi quel curvamento leggero delle sue labbra, quella smorfia che nascondeva a chiunque i suoi pensieri più reconditi. 

QUALI pensieri? Non mi è stato fatto vedere nulla! 

Avrebbe fatto così, si disse: si sarebbe nascosto, avrebbe tenuto al sicuro, sotto una corazza che in realtà sapeva essere troppo sottile, il suo lato più fragile. L'avrebbe custodito come un tesoro inestimabile, e in fondo era proprio di un tesoro che si trattava. Chiunque sarebbe stato in grado di metterlo a nudo avrebbe trovato la chiave per ferirlo così gravemente che Jed quasi temeva quel lato di sé, filo sottile che collegava la sua anima alla vita. 

L'ultima frase, scritta così, non ha senso. Al posto di "chiunque" avrei scritto "coloro che" e aggiustato la concordanza. 

Si sedette sul divano, accese la televisione, puntò il suo sguardo vacuo sulle immagini che si susseguivano velocemente sullo schermo, poi la spense. Rimase per qualche minuto al buio, una miriade di pensieri contrastanti che gli attraversavano la mente, sovrapponendosi l'uno all'altro, creando un vortice di emozioni che risucchiava il suo cuore nell'oblio, dove un semplice passo falso avrebbe portato alla sua totale distruzione. Allora Jed chiuse gli occhi, smise di pensare, di preoccuparsi. Tornò nella sua stanza, chiuse a chiave la porta dietro di sé, come ormai era abituato a fare per proteggersi dalla violenza del padre. 

Continuo a ricordare che il padre non ha fatto NULLA. Niente. Nessuno ha fatto nulla. I capitoli sono lunghetti, ma a parte una scena di bullismo, abbiamo avuto riflessioni "serie" e null'altro. 

Si allontanò dall'entrata, mosse qualche passo verso la scrivania, poi si fermò. Pensò che ci avrebbe comunque rimesso, la mattina dopo, se il padre avesse scoperto di non potere entrare nella camera del proprio figlio perché questi lo temeva, allora tornò indietro e girò la chiave nella toppa in senso orario. Si sedette alla scrivania e osservò il cellulare, posato con lo schermo rivolto verso il basso nell'angolo a destra della superficie scura e leggermente rovinata dal tempo. 

E sti gran cazzi all'origano, se permetti. Tra l'altro, questo mica ci è stato presentato come ricco sfondato? Perché mai dovrebbe avere la scrivania rovinata?

Lo fissò per quelle che gli parvero ore, poi lo sollevò, accendendolo. Erano decine, forse centinaia, i messaggi che intasavano il suo account di Instagram. Messaggi offensivi, che si prendevano gioco della sua sensibilità. Ne lesse un paio, poi li cancellò tutti senza nemmeno avere il coraggio di vederne l'anteprima. Appoggiò di nuovo il cellulare lontano da sé, prese un foglio, una penna, e scrisse.

Avrei tanto voluto vedere almeno UNO di queste "centinaia" di messaggi, soprattutto perché sappiamo tutti che le persone su Internet sono dieci volte più cattive che nella vita reale, a parole almeno. Ci si poteva inventare di tutto ma no, "si prendevano gioco della sua sensibilità" e basta. Gli è andata proprio di lusso, se è il peggio di quello che gli arriva.

Capitolo 3: Between Us. 

Sono a più di settemila parole e devo iniziare il terzo capitolo santa madre di DIO. 

La mattina dopo Jed si svegliò presto, come sempre, quando il sole non era ancora sorto e le luci nelle case erano ancora spente. Fece una misera colazione nel più assoluto silenzio, impegnandosi a non fare il minimo rumore per non svegliare il padre. Controllò velocemente di avere quello che gli serviva nello zaino e poi uscì di casa, le immancabili cuffiette alle orecchie. Ripeté per l'ennesima volta la solita strada camminando il più lentamente possibile e sperando che la giornata precedente fosse stata solo un brutto sogno, ma il dolore era ancora li, vivo, in un angolo del suo cuore, pronto a prendere il sopravvento. Arrivò a scuola con un bel po' di anticipo, e percorse il vialetto con la testa bassa pregando di non venire notato nella massa di studenti e insegnanti che stavano andando nella sua stessa direzione. 

Non è mica arrivato a scuola con "un po' di anticipo"? Come fanno le strade ad essere già piene?  Che ore sono allora? Le sei, le sette?  A che ora inizia la scuola, in questo universo? Qualcuno mi dà delle risposte? 

Purtroppo, però, le sue preghiere non vennero ascoltate e una mano si schiantò sulla sua spalla.

Seh, Cannavacciuolo. 

 Lo zaino attutì il dolore, ma il ragazzo venne comunque spinto qualche passo più avanti. 

E che spinta era? Anzi, non era nemmeno una spinta, era semplicemente una pacca sulla spalla molto forte! 

"Ehi, frocetto, come va?" La voce di William gli arrivò chiara alle orecchie, si insinuò nella sua mente come un veleno letale di cui Jed non era certo esistesse un antidoto. 

Buona la metafora, dai. Ve la passo, Autrice. 

"Che c'è, il gatto ti ha mangiato la lingua? Oppure hai urlato così tanto, stanotte, a fartelo mettere in culo, che hai perso la voce?" Le risatine dei soliti tre ragazzi, alle sue spalle, lo fecero imbarazzare ancora di più. "Cosa vuoi, Will?" Non osò voltarsi a guardarlo. "Sapere quando hai intenzione di morire." Jed sentì il fiato mozzarglisi in gola. "Presto" rispose caustico allontanandosi. Non lo seguirono. 

Ho dei dubbi sull'uso della parola "caustico", siccome, in senso figurato, vuol dire "pungente". Ora, perché mai Jed dovrebbe rispondere in modo pungente ai suoi bulli? Perché rischiare di peggiorare la situazione?

Will, e probabilmente come lui anche gli altri due ragazzi che lo affiancavano, non aveva mai dato peso alle proprie azioni. Non aveva mai pensato a come le sue parole e i suoi gesti potessero influenzare qualcun altro. La serietà con cui Jed aveva risposto alla sua provocazione aveva mosso qualcosa dentro di lui, e l'aveva spaventato. La realtà delle cose gli era piombata addosso, l'aveva travolto e lasciato completamente stordito. Il suo equilibrio era stato rotto, e William non era più sicuro di sé come prima.

Okay, analizziamo le informazioni presentate. 

Ora siamo nella testa di Will, e questi cambi di punto di vista ci stanno, posso capirli, ma perché questo cambio di idee così repentino? Solitamente, ai bulli così estremi, la svegliata arriva appena arriva il suicidio della vittima, non quando è ancora lì, un agnellino ancora pronto a farsi divorare dai lupi. 

Posso anche accettare questo centoottanta (forse), ma siamo a capitolo tre. Su diciassette. Abbiamo visto due scene di bullismo, DUE. Come faccio ad essere coinvolto? Come fanno i personaggi a prendere vita? Come fanno le vicende ad essere prese sul serio se, di nuovo, non mi viene fatto vedere nulla? 

Adoro anche il "probabilmente", perché questo è quello che succede quando gli incapaci si cimentano con un narratore onnisciente. Le lezioni sui tipi di narrazione le ho fatte sia alle medie che alle superiori, e si può sempre usare Google. 

"William non era più così sicuro di sé come prima." E poi? Emozioni, sensazioni, riflessioni, altro che non sia una coreografia montata con lo scotch? 

Non so se stia riuscendo pienamente a farvi capire questa sensazione, cioè che i personaggi siano tutti burattini che si muovono su uno sfondo indefinito, che agiscono perché sì. Niente ha conseguenze, un peso emotivo. Penso di essermi dimenticato tutte le informazioni presentate fino ad ora.

Jed camminò con lo sguardo basso fino al proprio armadietto, riflettendo sulle sue stesse parole. Le pensava sul serio? Voleva davvero porre fine alla sua vita? Non ne era sicuro, non aveva mai preso davvero in considerazione l'idea, e non era sicuro di aver parlato sinceramente. Scosse leggermente la testa per scacciare il pensiero e alzò lo sguardo verso la porta dell'armadietto, serrando gli occhi subito dopo. Erano decine i bigliettini pieni di offese che aveva intravisto prima di rifugiarsi nel buio dietro le proprie palpebre. 

Sempre la stessa storia: perché non mi viene fatto vedere cosa ci sia scritto su questi bigliettini? Perché sto venendo cacciato a forza dalla storia? Perché tutto quello che succede è narrato, mai mostrato? Come faccio ad empatizzare con Jed se non vedo effettivamente ciò che vive durante la giornata? 

Li strappò con rabbia, guardandoli cadere ai propri piedi. Sistemò alcuni libri nell'armadietto, prendendo quelli che gli servivano, poi raggiunse la sua classe. 

Lasciando la pila di carta per terra? Va bene, ci sono i bidelli, tecnicamente è il loro lavoro, ma non facciamo gli incivili, su. Buttiamo le cartacce. 

Cercò di ignorare gli sguardi dei suoi compagni, di farseli scivolare addosso, ma non ci riuscì. L'onnipresente sensazione di disagio rimase per tutta la mattinata, accompagnandolo ovunque andasse. Il suono della campanella interruppe il flusso di pensieri che stava scorrendo inarrestabile nella mente di Jed e lo fece scattare in piedi. 

Flusso di pensieri a cui non posso partecipare, evidentemente. 

Raccolse velocemente le sue cose e sgusciò lontano da tutti gli sguardi, evitando tutte le spinte e le parole cattive che tentarono di bloccarlo. 

Ne leggessi una di parola cattiva, UNA. 

Aveva bisogno di aria. Uscì nel giardino e si sedette ai piedi di un albero. Aveva freddo, il sangue gli si stava gelando nelle vene, dalla sua bocca uscivano delle nuvolette bianche ogni volta che respirava, il suo corpo rabbrividiva, ma non gli importava. Non poteva continuare in quel modo. Doveva parlare con qualcuno che potesse aiutarlo, ma non aveva nessuno al suo fianco. Suo padre e suoi fratelli lo ignoravano, e lui non aveva nessun amico su cui potesse contare. Poi, un nome attraversò la sua mente. Fu un attimo, e credette di non essere del tutto perduto. Forse, e il suo cuore si scaldò a quell'idea, c'era qualcuno che potesse aiutarlo.

Oddio? Succede qualcosa effettivamente? Sto sognando, forse?

Si alzò un po' rincuorato e tornò dentro alla scuola, camminò a passo spedito fino alla mensa e perse due minuti buoni a cercare con lo sguardo di Jonathan. 

E mo chi cazzo è Jonathan? Non è stato mai presentato prima. 

Era seduto ad un tavolo circondato dai suoi nuovi amici, persone con cui Jed non aveva mai avuto occasione di parlare. Il ragazzo represse la timidezza e si avvicinò. "Jonathan" La voce di Jed fu appena un mormorio, ma tutti lo sentirono e smisero di parlare, puntando i loro sguardi su di lui. Jonathan lo guardò con sufficienza. "Che vuoi?" chiese freddo.

Delicatissimo il ragazzo. E presentato come se dovessi già conoscerlo.

 Jed non rimase colpito da quel tono: in fondo, ciò che c'era stato tra loro era finito da molto tempo. 

COSA C'È STATO TRA DI VOI? COSA?! Una relazione, una scopamicizia, un rapporto occasionale, una notte di sesso?! Un'amicizia e basta?! Quando parlavo di sviluppo dei personaggi, NON INTENDEVO QUESTO! 

"Puoi venire con me un attimo? Vorrei, uhm... parlarti." Si dondolò sui piedi, come faceva sempre quando era a disagio, e Jonathan ci fece caso. Lo conosceva meglio di chiunque altro, e sapeva perfettamente quanto quel ragazzo sarebbe stato male sentendo tutte le cattiverie che aveva in mente, ma doveva farlo. Doveva farlo per proteggere sé stesso, la propria immagine, la propria felicità. 

Perché cattiverie? Che è successo tra di voi? Posso sapere qualcosa?! 

"Non c'è nulla di cui dobbiamo parlare, Jed, puoi andare." Si voltò nella direzione opposta al ragazzo, e tornò a chiacchierare con i suoi amici. "lo...Jona, so che probabilmente non vuoi vedermi, ma devo chiederti una cosa" i loro occhi si incrociarono. Lesse la sua paura, la sua fragilità, la sua speranza che lentamente si spegneva scontrandosi con la sua rabbia. 

"Sua" di chi? Di Jonathan? Di Jed? Speranza di una riconciliazione, di essere ascoltato? È la speranza di Jed? Non dovrei farmi tutte queste domande. 

"Un favore? Con quale diritto vieni da me a chiedermi un favore?" Si alzò in piedi e gli si parò davanti, superandolo di una decina di centimetri. La media statura di Jed.,che fino a pochi mesi prima aveva rappresentato la persona più importante per lui, lo aveva sempre reso carino ai suoi occhi, e le cose non erano cambiate. 

Quindi era una relazione romantica. La seconda frase è atroce, ma almeno mi dà una qualche forma di contesto. 

Comunque, no. Jed è un omone, per dio. Non ci credo mai che sia di "media statura". 

Non era cambiato nulla: il suo cuore batteva ancora per quel ragazzino così timido e gentile, ma non poteva tornare indietro e commettere lo stesso errore un'altra volta. "lo...credevo che dopo quello che c'è stato tra noi." tentò di dire Jed, ma Jona lo interruppe prima che la sua voce dolce potesse insinuarsi nella sua testa, raggiungere il suo cuore e farlo innamorare di nuovo. "E cosa c'è stato tra noi, eh?" Alzò leggermente la voce, e le persone si raccolsero piano piano attorno a loro. "Noi siamo stati insieme per tanto tempo, Jonathan" sussurrò il più piccolo abbassando lo sguardo. Jona fu quasi tentato di prendergli il viso e premere le sue labbra su quelle morbide dell'altro, ma si costrinse a pensare lucidamente e trattenersi. 

Oh no! Drammi romantici! Oh no! Fraintendimenti! Oh no, anyway. 

"Si, è vero, e vuoi sapere perché siamo stati insieme per così tanto? Perché ti lasciavi scopare senza ritegno." Vide chiaramente il corpo esile dell'altro irrigidirsi, e dovette ricorrere a tutto il proprio autocontrollo per mantenere fredde la sua espressione e la sua postura. "Credevi veramente che fosse amore? Sei proprio un ragazzino, cazzo, cambia aria." Lo urtò con la spalla e si allontanò facendosi strada tra la miriade di persone che si era raggruppata vicino a Jed cercando di ignorare il dolore che premeva il suo cuore contro la gabbia toracica, schiacciandolo.

Dovrei sentirmi male per Jonathan? Dopo questo? Dovrei davvero pensare che si senta male dopo avergli parlato così? Siamo seri? Siete seria, Autrice? 

Capitolo 4: Who I am?

Adoro sapere che in un anno l'Autrice non abbia ancora imparato l'inglese. 

Non so più chi sono, ammesso che prima avessi una minima idea al riguardo. Il mio piccolo mondo, dove tutto aveva un equilibrio, è stato violato, e quel briciolo di sicurezza che avevo non esiste più. Tutto si è sgretolato senza che io potessi fare nulla per impedirlo. Ho paura. Ho paura di quegli sguardi cattivi, di quelle parole taglienti, di non riuscire a lottare. È una lotta combattuta dentro me stesso, tra la mia incredibile debolezza e l'effimera voglia di resistere. Mi sento sbagliato, è come se la mia intera esistenza fosse soltanto un errore di calcolo, uno scherzo della natura. A nessuno piacciono gli sbagli: bisogna correggerli. Ora capisco tante cose

Io invece non ho capito un cazzo, se proprio vogliamo essere onesti. 

Ricordo inoltre che questo è un adolescente del ventunesimo secolo a parlare. Le voci dei personaggi esistono per un motivo, Autrice, fatene uso. 

Che poi, Jed, una domanda: Jonathan è uno stronzo che dovrebbe ricevere ben più di un pugno in faccia perché non si tratta così la gente, però se la vostra relazione romantica è finita così male, perché il tuo primo pensiero è stato "voglio parlargli ancora"? Di chissà cosa, poi, siccome nessuno ha intenzione di spiegarmi qualcosa. E perché chiedere aiuto proprio a lui? Che cosa avrebbe potuto fare, contro i bulli? Avrebbe usato il suo status sociale? 

Vorrei inoltre capire da dove arriva questo pezzetto: un diario, forse? Un bigliettino? Una scritta col sangue per evocare Satana? 

Capitolo 5: The Burst of a Bubble. 

Oddio, QUESTO è scritto giusto e quello di prima, che è una frase molto più semplice, non lo è?

Jonathan camminò fino a raggiungere l'uscita dell'edificio, poi prese a correre, certo ormai che nessuno lo vedesse. 

Perché correre è démodé. Nessuno osi più correre usciti da scuola, fregacazzi se devi prendere l'autobus che tanto sai che non si fermerà per te, povero stronzo inetto, e dovrai pregare il Signore per un altro che non sia tra cinque ore e mezza. 

Corse fino a quando non sentì i polmoni scoppiare, supplicare per ricevere dell'ossigeno. Solo a quel punto si fermò. Si guardò intorno; non riconosceva quel luogo, ma poco importava, in quel momento. Si sedette sul marciapiede, appoggiando la schiena al muro di un condominio in una stradina secondaria. Si raggomitolò su sé stesso e accolse di buon grado il dolore che sentiva all'altezza del suo petto, consapevole di meritare ben di più. 

Davvero dovrei sentirmi male per Jonathan, dopo quello che ha fatto a Jed? Cioè, in realtà non sono sorpreso, anche nel capolavoro letterario You Make Me Happy l'Autrice aveva tentato, in tutti i modi, di suscitare compassione per lo stupratore Freddy. Pretendere, quasi, di muovere l'ago della bilancia dei sentimenti di chi legge, atteggiandosi a grande scrittrice con il suo linguaggio "forbito" e "complesso", per poi raccontare del nulla assoluto.

La scrittura non si improvvisa, fagottini. 

Ringraziò di essere riuscito a scappare da Jed prima di vederlo piangere, altrimenti non avrebbe saputo resistere, avrebbe dimostrato a tutti le proprie debolezze, avrebbe messo irrimediabilmente in pericolo la propria immagine, attorno alla quale ruotava la sua intera esistenza e, quindi, anche la sua felicità. Ora che ci pensava, non era sicuro che quella che viveva si potesse definire una vita felice. 

Ah, sì, ecco, prepariamoci a un ennesimo spiegone piazzato in mezzo alla narrazione al posto di sforzarsi un pochino ed effettivamente mostrare quello che sta accadendo. Una gioia per gli occhi. 

Aveva sofferto molto, da piccolo. Era uno di quei bambini timidi, chiusi, che facevano fatica a fare amicizia, e per questo nessuno aveva mai voluto giocare con lui. Aveva sempre guardato da lontano gli altri divertirsi al posto suo, e li aveva invidiati tanto. Dentro quel bambino, con il passare del tempo, si era radicata un'ossessione quasi morbosa verso l'opinione che le persone avevano di lui. 

In che modo questo processo è avvenuto? Qual è stato il catalizzatore? Questo cambiamento improvviso che io non ho potuto vedere è stato causato da un incidente particolare? Di certo riceverò delle risposte nelle righe seguenti, nevvero? 

Quando aveva capito che qualcosa in lui non andava, che le persone non l'avrebbero mai accettato per quello che era, prese provvedimenti. Cambiò nel giro di una notte. 

Perché è così che funziona la vita, certo. Un cambiamento "nel giro di una notte". Un'introspezione psicologica a regola d'arte, devo dire. 

Finse di essere qualcun altro, qualcuno che lui non era mai stato, nemmeno in parte, e continuò a farlo fino a quando ripeté il primo anno di superiori. Fu allora che notò Jed. La prima volta che lo vide fu nel corridoio della scuola. Quell'anno avevano gli armadietti vicini, e finirono per incontrarsi inevitabilmente. Jonathan sorrise debolmente al ricordo di come avevano iniziato a parlarsi. Jed, goffo com'era, aveva fatto cadere dei quaderni che teneva in mano, e Jonathan l'aveva aiutato a raccoglierli, cominciando a parlare con lui, seguendolo fino alla sua classe. 

L'effettivo flashback non verrà mai visto, suppongo. D'altronde, non è mica il compito dello scrittore, quello di descrivere. 

Una lacrima solcò il suo volto quando anche la prima volta che senti la risata di Jed gli si palesò chiaramente davanti agli occhi. Era stato quando lui aveva fatto una battuta pessima per ottenere il suo numero. Forse gli apparso come un disperato, e di fatto Jona era proprio un disperato. In pochi istanti si ritrovò a singhiozzare. Non voleva fare del male a Jed, l'ultima cosa che desiderava era vedere Jedidiah soffrire, ma aveva paura. 

Ho anch'io un simpatico personaggio che copre l'immensa paura che ha del mondo esterno e di sé stesso con l'aggressione verbale e a volte anche fisica, ma la differenza sta nel fatto che, mostrandolo agli altri, non ho mai dovuto specificare che tutte le sue reazioni fossero dettate dalla paura, perché era evidente. Si era ritrovato, letteralmente causa viaggi in realtà alternative, in un mondo non suo, con versioni di sé che avevano avuto una vita decisamente migliore. Un piccolo stronzetto strappato dal suo universo, una spietata dittatura, che si ritrova in un posto dove nessuno sembra capirlo e dove il cielo è la cosa più terrificante che esista. 

E Jonathan? Jonathan era un bimbetto timido che ha deciso di crearsi una maschera per impressionare gli altri e per non essere più bullizzato, e fin qui ci siamo, ma dov'è la paura? Dov'è la paura di tornare ad essere un inetto socialmente, di perdere tutte le amicizie e i privilegi che la gerarchia della scuola, tipicamente americana, gli concede? 

Non ho visto nulla di tutto questo, solo personaggi trascinati nel turbinio di parole di un'Autrice che non ha idea di come si costruisca una storia del genere e che preferisce urlare, in tutti i modi, "guardate le mie metafore, guardate che vocabolario, guardate come sono brava". Peccato si sia dimenticata di far far qualcosa, ai suoi personaggi, al posto di tenerli inchiodati nella loro condizione di fogli di carta velina, seduti immobili a pensare, pensare, pensare, ma pensare al nulla assoluto perché nessuna delle loro riflessioni rispecchia ciò che succede fuori. Come già detto, una coreografia. Un brutto spettacolo di marionette. 

Dopo che iniziarono a frequentarsi, Jonathan apprese che Jed era un po' il bambino infelice e senza amici che si era lasciato alle spalle, Lo amava lo stesso, non gli importava che Jed fosse il ragazzo più solo del mondo, gli era sufficiente essere al suo fianco, ma poi le cose peggiorarono.

L'ho già detto sopra e mi sto stufando di ripeterlo, quindi lo faccio in maiuscolo per dare un po' di pepe a questo mortorio: MOSTRATE I FATTI, ACCIDENTI A VOI, AL POSTO DI PARLARE DEL NULLA COSMICO. 

 Il minore veniva preso in giro continuamente, una volta venne addirittura picchiato, e Jonathan si fece prendere dal panico. Nemmeno un mese dopo lo lasciò con una scusa. Era ormai troppo tardi quando si rese conto di amarlo ancora, di non riuscire a dimenticare il sapore delle sue labbra, il calore della sua pelle, la bontà del suo animo, ma represse i propri sentimenti. 

E questo è semi-interessante, se sviluppato bene, anche se già visto: ti lascio perché se continuo a stare con te, preda facile in fondo alla catena alimentare, mi odieranno per associazione. La parola chiave nel periodo precedente è: sviluppare. 

Fece finta che nulla fosse accaduto, che nel suo petto il suo cuore non ardesse ancora di una passione folle al solo pensiero del ragazzo che aveva amato più di ogni altro nella sua vita, e semplicemente mise tutto da parte. 

Ah certo, facile, semplice, come buttare giù un bicchier d'acqua. 

Aprì un nuovo capitolo della propria esistenza, indossò di nuovo la maschera e tornò ad affrontare la vita come se fosse il palcoscenico di un teatro. Durante il secondo anno le cose si fecero difficili anche per Jonathan. Non era in grado di continuare a fingere di essere felice quando il suo sorriso era rimasto con Jed, e si confidò con un suo amico. Gli raccontò tutto ciò che aveva sempre tenuto solo per sé, si fidò. Pochi giorni dopo tutta la scuola sapeva che Jed fosse gay, e ora Jona stava piangendo rumorosamente accasciato contro un muro in mezzo alla strada. 

Ah, abbiamo trovato lo stronzo. Snitches get stitches e tutto, ma vorrei soffermarmi sul "muro in mezzo alla strada". C'è un edificio piazzato in un incrocio che funge da semaforo? Uno dei tre porcellini si è messo a costruire una casetta ma poi si è accorto che il tasso di mortalità di quella strada si stava alzando vertiginosamente e ha smesso? Non lo sapremo mai. 

Avrebbe dato qualunque cosa per tornare indietro a quando non gli importava di nulla se non del sorriso di Jed, ma sapeva che ormai era troppo tardi. Non poteva ripercorrere i propri passi e unire di nuovo le tante piccole parti in cui il cuore di quel povero ragazzo si era rotto. Aveva preso una decisione, ormai tanto tempo prima, per salvare sé stesso dal giudizio degli altri, un branco di lupi che attende sempre nell'ombra una preda cui tendere un agguato, e non poteva rimangiarsi le proprie parole per un sentimento effimero quanto l'amore. 

L'amore è tutt'altro che un sentimento "effimero", quindi magari utilizziamo altre parole. Forse "superfluo", in questo contesto, siccome a Jonathan interessa la popolarità e null'altro? 

Si asciugò le lacrime e cercò di placare i sussulti che scuotevano il suo corpo, poi si alzò e continuò a vagare senza meta, Camminò fino a non sentire più le gambe sfilando di fianco a centinaia di persone, ognuna persa nei propri pensieri, ognuna curante solo dei propri problemi. Davanti all'enormità di quella città, che non era altro che un misero puntino nel mondo, si rese conto di quanto fosse solo. Quel bambino non se n'era mai andato, era sempre stato dentro di lui, e non si era mai davvero aperto con qualcuno. Si era accontentato di legami superficiali e passeggeri, e aveva perso l'unico che valesse qualcosa. Si era lasciato scappare la sola opportunità di essere felice che gli fosse mai stata concessa, e far fronte a questa realtà lo attirava in un vortice di rabbia e tristezza da cui sapeva perfettamente che non sarebbe mai uscito. Il suo stesso egoismo l'aveva danneggiato, le sue insicurezze lo avevano sopraffatto, e ora non aveva più nulla. Jonathan, ora, era semplicemente sé stesso. La maschera era caduta e aveva rivelato il viso infantile che aveva sempre cercato di soffocare sotto a una personalità che aveva lavorato tanto per mettere a punto, mentendo a sé stesso, illudendosi di stare facendo la cosa giusta. Non era felicità, non lo era mai stata. Era solo una bella bugia che faceva sentire Jonathan al sicuro, avvolgendolo come una bolla. Ebbene, quella bolla era appena scoppiata. 

Belle le riflessioni e tutto, ma voglio ricordare che siamo a capitolo cinque, non ho mai conosciuto Jonathan se non a capitolo tre, non l'ho mai visto agire se non quello sputo di conversazione in cui faceva lo stronzo, tutte le sue riflessioni sono forzate perché bisognava assolutamente arrivare al punto B a capitolo cinque. Non è necessariamente male, eh, ma a questo punto avrei centrato la storia su Jonathan, perché altrimenti mi ritrovo un personaggio che non conosco, che è apparso una volta per poi prendere il comando e iniziare a parlarmi come se prima ci fossero stati venti capitoli. Cattiva scrittura all'ennesima potenza. 

Finalmente, dopo ottomila parole e passa, direi quasi sulla soglia delle novemila, concludo con una citazione: 

«Scrivere male non è solo questione di cattiva sintassi o scarso spirito d'osservazione: si scrive male quando ci si rifiuta ostinatamente di raccontare storie su quel che la gente fa realmente.»

A buon intenditor, poche parole.

[Nota a margine: questa recensione mi ha ucciso lo spirito. I prossimi capitoli li potrete leggere pochi attimi prima dell'esplosione del Sole.]

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