Humanĭtas

-Accorrete, signore e signori! Mille meraviglie, provenienti da ogni angolo del mondo, abbiamo qui riunito per vostro unico diletto!- schiamazzava l'Avvoltoio, dispiegando, di quando in quando, le grandi ali nere come il petrolio. Ogni piuma, liscia e lucida sotto il bacio del sole crepuscolare, era la promessa di una solida ricchezza.

Alle sue spalle s'innalzava un'imponente accozzaglia di stoffe variopinte, solo apparentemente instabile, che terminava, lassù in alto, con tre punte tanto aguzze quanto lo sarebbe stata una guglia di ferro. Dava l'impressione che anche il più tenue alito di vento potesse disintegrarlo come semplice sabbia riarsa, eppure era una costruzione maestosa, nella sua fragilità, una magione di tende pregiate che celava i più turpi dei segreti, e i più eclatanti degli incanti.

Un castello di carte che custodiva gelosamente tutti i suoi jolly, al riparo dagli occhi critici del mondo.

Svettava oltre le querce secolari che costeggiavano il piazzale, e attirava a sé l'attenzione di tutti, da ogni punto della città.

All'ombra dei grandi alberi, intenti ad afferrare le parole dell'Avvoltoio, c'erano mendicanti, studenti, bancari, nobili, individui arrivati lì da epoche e luoghi lontani.

Assecondando l'incedere della folla, superando chiome fulve, schivando artigli predatori, evitando orecchie affilate e scampando a sventolii di code folte, si poteva giungere proprio innanzi all'austero uccello rapace, il cui capo spoglio e grinzoso disgustava e allontanava i più piccoli.

Tuttavia, esattamente in fronte al suo sguardo slavato, si agitava incerta un'ombra sinuosa, dai riflessi argentei, quasi bluastri, fine e gradevole se paragonata alla malagrazia dell'Avvoltoio.

Si rigirava tra le zampe le sciarpe di seta, come tante serpi affettuose, celandovi il viso sottile. Scrutava, al di sopra delle stole morbide che l'avvolgevano, quanto di nuovo e curioso riuscisse ad impressionarla, e con i lunghi occhi paglierini era in grado di cogliere l'abominio nell'animo scuro della creatura piumata, dalle cui grida i presenti erano immancabilmente richiamati.

-Bene, dunque!- concluse l'Avvoltoio, quando fu soddisfatto del suo pubblico. Si alzò in volo con uno scrosciante battito d'ali, che gettò una compatta nuvola di terra arida sugli spettatori più vicini. La sconosciuta affondò i baffi nelle vesti, ripiegando indietro le orecchie in segno di stizza.

Quando il polverone si fu dissolto, tutti levarono lo sguardo al cielo, dove un puntino nero si agitava a mezz'aria, diretto verso il retro del tendone, sul fondo del piazzale.

E mentre la maggior parte di loro era ancora occupata ad esaminare le profondità dell'azzurro primordiale, le tende si aprirono sulla folla in un turbinio di nastri e coriandoli.

Un drappello di Cavalli bianchi e azzimati si dispose in fila davanti al pubblico; ciascuno di loro teneva una zampa sollevata e lo sguardo fiero fisso sugli astanti, i muscoli in tensione. I volti candidi come la neve erano percorsi da un fitto intrico di linee e ghirigori dalle tinte sgargianti, e i ferri ai loro piedi erano d'oro zecchino.

Presto i presenti vennero assaliti da una branco di eleganti Scimpanzé in giacca e cravatta, che saltavano da un Cavallo all'altro prima di tuffarsi sulla folla.

Alle loro spalle, decine di ammalianti Boa Constrictor si esibivano in una serie di intrecci e abbracci, strisciando e sibilando fra spessi cordoni brillanti che ne imitavano le movenze, mentre minuscoli Colibrì sfilavano fra i rami degli alberi, s'incrociavano e si scontravano a formare la scritta:

Benvenuti nel Circo del Mirabolante Vulturis!


Il pubblico veniva lentamente trascinato verso il tendone, ipnotizzato dai cori di giubilo che squarciavano l'aria, estasiato dalla policromia di creature lì presenti, affascinato dalla danza di Boa e Colibrì, frastornato dal guazzabuglio di percezioni in cui i loro sensi affogavano.

Gli Scimpanzé afferrarono le mani dei bambini, sorridendo amabilmente, per scortarli prima di ogni altro all'interno del tendone. I Cavalli aprirono un corridoio verso l'ingresso, sistemandosi su due file parallele, tutti ugualmente ritti e orgogliosi. Il nodo di Boa Constrictor seguì gli Scimpanzé al di là delle tende, per permettere al resto del pubblico di accedervi senza alcun intralcio.

Un microscopico Topo di campagna, tutto in ghingheri e tremante sotto il cappello piumato, si fece avanti, offrendo una zampetta alla sconosciuta. Questa, sorpresa, sgranò gli occhi, poi si chinò sul suo buffo cavaliere e, soffocando un sorriso, lo prese per mano.

Dopo che anche l'ultimo, timoroso Scoiattolo si fu addentrato nell'oscurità stagnante del tendone, le luci si accesero sul palco; era un cerchio perfetto, attorniato da una rete di protezione e cinto da alti gradoni di cemento, dai quali i bambini salutavano entusiasti i propri genitori, agitando i pugni straripanti di caramelle.

L'elegante sconosciuta venne scortata fino alla prima linea di gradoni, la più vicina al palco. Quando si fu accomodata, il Topo le offrì in dono una nuvola di soffice zucchero filato e sgattaiolò via.

L'altra si chiese se quel timido roditore non si fosse per caso invaghito di lei.

Il brusio del pubblico, nell'immensità dell'ambiente, era amplificato in maniera esponenziale, tanto che dall'esterno pareva d'essere nelle vicinanze di un colossale alveare.

Poi calò il buio, e la voce dell'Avvoltoio sovrastò il chiacchiericcio, divulgandosi da ogni angolo del tendone.

-Rispettabili gentiluomini, incantevoli signore, giovani e vecchi di tutte le età- chiamò. -Qui per voi, e solo per voi, gli inimitabili spettacoli del Mirabolante Vulturis!-

Il pubblico proruppe in un applauso fragoroso.

Pur non trovandone motivo, la sconosciuta si unì all'ovazione.

-Diamo inizio alle danze!-

La luce esplose nuovamente sul palco, abbandonando nella penombra le gradinate ed il pubblico. Oltre la rete di protezione, sulla destra, un'orchestra di archi, trombe e timpani, presieduta da abili Lucertole dalle dita affusolate, iniziò a suonare quello che prometteva d'essere un brano aitante e coinvolgente.

La sconosciuta vide il Terrier accanto a lei agitare la coda a tempo di musica.

Un potente rullo di tamburi anticipò l'entrata in scena di una schiera di Topi di campagna, vestiti di rosso e di giallo, che adesso percorrevano tutta la lunghezza del palco su palline di gomma e corde sospese.

I bambini battevano le mani, gli occhietti spalancati come sarecinesche e le labbra socchiuse, mentre i Topi si lanciavano in acrobazie impareggiabili.

C'erano Topi che saltavano sulle loro palline di gomma, aspettando che i compagni sulle funi li afferrassero al volo, e altri, in quello stesso istante, sgusciavano fuori da pertugi invisibili per sgraffignare le palline lasciate incustodite; allora la figura ricominciava da capo, finché un cambio di tonalità del pezzo non ne suggeriva una nuova e ancor più stupefacente.

Quando le membrane dei tamburi ripresero a vibrare, tutti i Topi si riunirono al centro del palco, nel bagliore circolare gettato dai riflettori. Cominciarono ad issarsi gli uni sugli altri, in file ordinate ma sempre più esigue man mano che l'altezza aumentava. Infine, l'ultimo Topo rimasto, che fino a quel momento s'era grattato le orecchie sotto il cappello piumato, prese ad arrampicarsi sui compagni, che subivano lo svolgersi della prova senza ribattere. Giunto in cima, il Topo si rizzò sulle zampe posteriori, si levò il copricapo e, con gesto fluido, s'inchinò.

L'orchestra chiuse l'opera con un ultimo starnazzar di trombe, e il pubblicò impazzì.

Mentre il parlamento di Corvi sui gradoni più alti si esibiva in un tonante sbattere d'ali, lo scalpiccio di unghioni e zoccoli faceva tremare il tendone, fra perforanti fischia di apprezzamento e ringhia gutturali.

La piramide di Topi di campagna, dai volti puntuti e imperturbabili, si sbilanciò verso il pubblico. Quando fu abbastanza vicino, il Topo sulla vetta si tuffò nel vuoto.

La sconosciuta trattenne il fiato, finché quello non si aggrappò alla rete di protezione, pescando un papavero da sotto il cappello.

Glielo porse.

La sconosciuta lo accettò di buon grado, poi scoprì il volto, deliziando il Topo con uno dei suoi rari sorrisi.

La serata proseguì così, in un alternarsi costante di esibizioni mozzafiato e acclamazioni ad esse direttamente proporzionali: più era il tempo che i presenti dimenticavano di trascorrere respirando, più il compiacimento di questi ultimi era palese allo spegnersi delle luci.

Sul bastoncino che la sconosciuta reggeva in mano non era rimasto che un lanuginoso batuffolo di zucchero roseo, quando un silenzio inusuale calò sul pubblico, attutito e ovattato come quello che distingue una docile nevicata.

E proprio come impronte affondate nella neve, il sordo suono di passi lenti e pesanti si spanse fra i presenti, trascinandosi di orecchio in orecchio come il sussurro di cose antiche.

La sconosciuta si strinse maggiormente nelle sue sciarpe di seta, improvvisamente colta da un brivido freddo.

Poi un unico riflettore rischiarò il centro del palco, là dove il leone sedeva, composto, regale, quasi un'aura eterea sotto la luce dorata.

Ammantato dall'oscurità, invisibile agli occhi degli spettatori, qualcuno sussurrò:

-Ruggisci-

Le orecchie del leone guizzarono. Aveva sentito. Ma non accennava ad aprire bocca.

-Ruggisci, dannato micetto da quattro soldi!- insistette la voce, stranamente stridula.

Il leone scoprì le zanne, canini spessi e affilati come corna d'avorio, ma non un bisbiglio lasciò le sue labbra.

Nell'ombra, l'Avvoltoio sorrise.

-Sei la delusione di tuo padre-

Le pupille del leone si ridussero a sottili falci di luna, mentre la criniera pareva scossa da un vento millenario, impercettibile.

Quando tutto finì, non c'era che un sibilo acuto nelle orecchie dei presenti, come un verme strisciante, i resti di un parassita.
Le tende del circo frusciavano, e così i rami degli alberi, là fuori, come se al solo udire quella voce il mondo si fosse sottomesso, come se l'intero pianeta non fosse nient'altro che un furfante bramoso di potere al cospetto dell'eterno giudizio.

La sconosciuta lasciò cadere ciò che restava dello zucchero filato, e le stole che le scaldavano il morbido collo le scivolarono lungo i fianchi.

Tutt'attorno a lei, il pubblico era attonito, ma quando fiamme scarlatte ravvivarono il buio, si levò un sospiro generale, come se il tendone, da creatura pensante, avesse esalato il suo primo respiro dopo un tempo inaffrontabile.

Il fuoco prese le sembianze di un cerchio, sospeso nel vuoto e poco più grande del copertone di un'automobile, e i gradoni furono percorsi da mormorii di sbalordimento.

Il leone si voltò, riluttante, e fissò lo sguardo vacuo sull'anello.

Alle sue spalle, il riflettore si spense.

Non aveva più nessuna percezione dello spazio, non un solo punto di riferimento, fatta eccezione per le fiamme sopra di lui.

-Signore e signori,- proruppe la voce incorporea dell'Avvoltoio echeggiando nelle tenebre, -vi chiedo di fare silenzio. Questo è, per il leone, un momento carico di tensione. Ha un assoluto bisogno di concentrarsi. Nella più completa oscurità, tenterà di saltare attraverso il cerchio infuocato. Vedrete le fiamme vacillare, quando vi passerà in mezzo, e chissà che per un momento non scorgiate anche il suo manto lucente. Se tutto andrà bene, alla fine, non vedrete null'altro-

Il pubblico tacque.

La sconosciuta distinse, nell'ombra, alcuni volti rivolgere cenni di assenso a nessuno in particolare.

Proprio davanti a lei, il leone si preparava a compiere quello che forse sarebbe stato l'ultimo balzo della sua vita.

L'animale caricò tutto il suo peso sulle zampe posteriori, forti e robuste, e sventolò la coda sottile, accertandosi di essere in perfetto equilibrio. Per un folle istante, si chiese perché mai stesse facendo una cosa del genere, poi, senza attendere una risposta, saltò.

Come predetto, le fiamme vacillarono e, subito dopo, qualcuno o qualcosa atterrò sul punto più lontano del palco.

Una scintilla dorata baluginò a diversi centimetri da terra, dall'altra parte dell'anello, affievolendosi, adagio, man mano che si allontanava dal pubblico.

Il fuoco si spense, le luci si accesero, e l'Avvoltoio fece la sua comparsa.

La sconosciuta si strofinò gli occhi, esattamente come tutti i presenti, benché il buio, per lei, non rappresentasse un grande ostacolo.

Il rapace allargò le grandi ali e fece schioccare il becco, soddisfatto.

-Il Circo del Mirabolante Vulturis!- scandì. -Non mancherà mai di stupirvi-

Strizzò un occhio al pubblico e quello parve ridestarsi improvvisamente, ricordarsi che era ormai una piacevole notte stellata, e che lì, nel tendone, avevano appena assistito a quanto di più magico il mondo potesse offrire.

Pian piano l'applauso crebbe, fino a giungere a un volume tale che le orecchie più sensibili furono costrette a uscire per prime, e a quel punto s'interruppe, e l'intera folla si diradò sotto il barlume dei lampioni, come rigurgitata dal tendone.

La sconosciuta si nascose tra le fronde pendule di un salice, illuminata solo di rado da una lucciola di passaggio.

Si rigirava il papavero tra le dita, chiedendosi quanto ancora sarebbe stata costretta a pazientare, quando vide il tendone fremere nella notte, poco prima di desistere e crollare su sé stesso.

Oltre l'ammasso informe di teli sgualciti, adocchiò una lunga carovana di gabbie e furgoni.

Scostò i tralci del salice con una zampa e, gettandosi sulle spalle il suo drappello di sciarpe, s'incamminò all'ombra della luna.

***

-Come hai osato disubbidirmi?- sbraitò l'Avvoltoio. -Avevi intenzione di ignorarmi, non è così? Di fare di testa tua. Uno solo è il tuo dovere, leone, sotto i riflettori del mio circo: adempiere agli ordini che ti vengono impartiti-

Gli artigli dell'Avvoltoio strapparono lembi di carne viva, e il leone, che nemmeno per un secondo aveva preso in considerazione l'idea di reagire, emise un rantolo strozzato.

La porta della gabbia sbatté con violenza, saturando il silenzio del cigolio delle sbarre metalliche. Dopo che anche l'ultima piuma fu inghiottita dal buio, il leone si lasciò cadere sul suo letto di paglia secca, e prese a leccarsi le ferite.

-In molti dei luoghi che ho visitato, quelli come te li considerano i re della foresta-

L'animale alzò il capo di scatto, orientando le orecchie verso la voce sconosciuta.

Scorse una sagoma indistinta strisciare tra le sbarre, senza apparente difficoltà.

Il leone ne aveva visti, di posti, viaggiando in lungo e in largo quando suo padre era ancora in vita, e quello che aveva riconosciuto, all'istante, era senza dubbio l'accento tipico del sud della Francia.

-Io non sono un re- biascicò, affondando il grugno tra le zampe.

-Hai risposto alla domanda sbagliata- replicò freddamente la francese -Domanda che, peraltro, non ti ho rivolto. Che ruolo tu ricopra, in mezzo a questo marciume, non mi riguarda. Qua sei solo un leone, fratello mio, un leone come tanti altri. Potrebbero prendere qualsiasi altro leone e addestrarlo affinché sappia replicare le tue stesse, identiche mosse, e per quelli là fuori non ci sarebbe alcuna differenza-

S'interruppe, aspettandosi che l'animale obiettasse.

-Circo- soffiò, sfidando il silenzio del grande felino. -Tu sai che significato attribuivano gli Antichi a questo termine?-

Nel buio, il leone scosse la testa.

-Cerchio- rispose l'altra. -Non importa tanto che cosa tu sia, leone, perché polvere eri, all'inizio dei tempi, e polvere ritornerai... in un cerchio continuo. La domanda che devi porti è, piuttosto, chi sei?-

-E tu, giovane straniera, tu chi sei?- replicò il leone, piccato, sollevandosi da terra per esaminare l'aspetto della sconosciuta.

-Ne ho già incontrati tanti, di Gatti come te, straniera. Persiani, vi chiamano. Ho visto come accettavi l'invito di quel Topo e come ne accoglievi i doni-

Gettò un'occhiata sghemba al papavero che la francese portava tra le vesti.

-E allora dimmi, perché mai dovresti mascherare la tua provenienza? O la tua stessa natura, persino? Fammi un favore: non fingere di essere ciò che non sei-

La francese rise, scoprendo piccoli canini bianchi come il latte.

-Ingenuo, stupido leone- esalò.
-Inverosimile, certamente, ma queste sono tutte qualità che un essere umano ti invidierebbe-

Fissò lo sguardo sull'animale, che le camminava attorno, e strinse gli occhi, desiderando esplorare gli abissi del suo essere, in cerca di un frammento mancante.

-Non puoi credere di conoscere pienamente colui che ti sta di fronte, leone, poiché egli stesso necessita di tempo per scoprirsi. Io rappresento chi sono, o meglio, chi voglio essere, chi sento di essere, a prescindere dagli stereotipi che altri hanno eretto per me e da tutto quel che io non ho potuto scegliere di diventare. Ogni maschera che indosso non è altro che una diversa sfumatura della mia identità. Non si tratta di finzione, leone, semplicemente perché nessuno è uno soltanto, e nessuno ha un nome solo. Tutto ciò che ti è dato fare è decidere chi essere e interpretarlo al tuo meglio-

L'animale si fermò, distogliendo lo sguardo, e parve soffermarsi, per la durata di un respiro, sulle parole pronunciate dalla sconosciuta.

-Io sono nessuno- commentò infine, con tono amaro. -Solo carne da frusta-

La francese lo guardò sorpresa, ma non si lasciò convincere dalla sua amarezza.

-In passato, un altro che si faceva chiamare nessuno riuscì a tenere testa a Calliope-

Osservò il leone darle le spalle, mentre si accasciava su un fianco, il sangue rappreso in piccoli rubini.

-Quell'Avvoltoio ha guardato mio padre morire- esordì, con voce flebile. -Ha aspettato, anelato il suo ultimo battito. Non ha risolto niente più di quel che gli sarebbe stato possibile se non fosse stato lì con lui. E poi ha preso il suo posto, prestando rispetto al famigerato cerchio della vita-

-Lui ha scelto chi essere, leone. L'Avvoltoio- asserì la francese.
-Se tu decidessi di non affidarti alle mie parole, se tu le dimenticassi o, peggio, se scegliessi di ignorarle, allora non saresti tanto diverso da lui, che perirà fra gli accidiosi-

E detto ciò, fece per andersene, una zampa stretta attorno alle sbarre, quando il leone richiamò la sua attenzione per l'ultima volta.

-Perché sei qui?-

La francese immerse il viso nella morbida seta delle sue sciarpe, lasciandovi impressa l'ombra di un sorriso sincero.

-Chiamala Provvidenza, leone, o Destino. Forse sono solo lo spettro del tuo avvenire, e questo diventerebbe un ulteriore brandello della mia anima, e sarei qualcosa di più di prima-

Sospirò, carezzando dolcemente il metallo.

-Nulla accade per caso, leone, persino la Morte ha la sua puntualità. Sono sicura che esista una spiegazione alla mia presenza, solo non ci è dato comprenderla. Anzi, è probabile che debba essere tu ad agire affinché il mio viaggio assuma un senso. Tutto dipende dalle scelte che prenderai. Decidi chi essere, leone, ed io non sarò venuta invano-

E svanì nelle tenebre.

***

Il centro del palco s'illuminò, e il leone non vi trovò nulla che rendesse quel preciso momento diverso dalle sue tante copie.

Eppure, dentro di sé, egli sentiva che qualcosa era cambiato, mutato.

O forse, pensava, c'era sempre stato, come se per tutta la vita avesse conservato una gemma delicata nel centro del petto e ora questa si fosse schiusa.

Il suo cuore, rosso e animato dalla promessa di una veduta migliore, era un papavero in fiore.

-Ruggisci- gli intimò la voce.

E lui non lo fece.

-Ruggisci, sciocco animale!-

Ma il leone non si sarebbe mosso, né piegato ancora al volere di un altro.

Il bagliore accecante del riflettore gli impediva di delineare i volti che occupavano le gradinate, e il leone capì che nessun pubblico sarebbe mai stato realmente degno di lui.

Non c'era un solo paio di baffi, innanzi al palco, che potesse rivendicare il diritto di conoscerlo o di poterne accogliere i segreti.

Ciascuno enigma, insito in lui, era parte di qualcosa di molto più grande, il vertice di un'unità non quantificabile.

Era il centro di un cerchio abbracciato dall'eternità, la cui circonferenza si sarebbe per sempre rincorsa alla ricerca di una fine che non era stata scritta.

Era chi era stato e chi sarebbe divenuto.

Lui non era nessuno, si disse, e per questo poteva essere chiunque volesse.


Angolo Autrice

Salve, gente!
Come potrà notare chi decidesse di leggere, ho scelto di sviluppare la prima traccia.
Mi sono presa ancora una volta la libertà di dare un titolo alla one-shot e di rielaborare, in minimissima (?) parte, la citazione (*Ellyma le lancia pomodori marci*)
Spero di non aver fatto un pasticcio.
Questo racconto, per me, è stato un enorme rischio, una sfida. È straripante di messaggi che probabilmente non sono stati espressi al meglio (sono piccola e immatura, perdonatemi T^T) e, non so come, poiché non era stato prefissato, dentro c'è finito anche un po' di Pirandello e di non so chi altro O.o
Perdonate gli eventuali errori di battitura ed il solito problema (Wattpad che unisce e divide parole come fosse un prete all'altare e quelle gli sposi)
Be', termino qui, altrimenti finirò col ripensarci e cancellare tutto.

Ellyma

catcatucati

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