II

Non pioveva più.

Erano mesi ormai che le finestre, sporche ed annerite dallo smog, venivano impolverate dall'intermittente passaggio delle auto sullo stradone, che le facevano vibrare come i finestroni dei caseggiati industriali poco più lontano, vicino alla stazione ferroviaria.
Aveva piovuto nel cuore della notte, ne ero sicuro, e c'erano tracce che attestavano la veridicità della mia ipotesi: i vetri bagnati non erano mai stati così luccicanti e le strade umide diffondevano il loro odore nell'aria fresca di metà mattina, che respiravo avidamente appoggiato alla finestra, immaginando di quanto ciò che vedevo fosse dissimile dal bosco addormentato de La Pioggia nel Pineto Dannunziana, che stavo studiando in quei giorni al corso con tanto interesse.

Era da poco aprile, e la primavera aveva faticato a fare capolino oltre alle spalle dell'inverno; ora però, proprio come accade durante un parto, la bella stagione era giunta quasi scivolando addosso agli abitanti di Torino.
C'erano poche cose che facevano cambiare umore alla gente della città, pensavo. Non bastava una bella giornata, non una bella stagione; quella era gente difficile.

C'era una ragazza, due piani sopra di noi, che aveva affittato un locale poco dopo Natale. Renzo, sempre fuori per lavoro, nella sua tipica frenesia organizzativa non l'aveva neppure notata. Claudio e Christian d'altro canto, che condividevano con me le giornate e l'appartamento, pur avendo gettato per primi l'occhio su di lei, non erano riusciti che a scambiarci poche parole imbarazzate, dopodiché lei non aveva loro più rivolto la parola. Spinti dal loro orgoglio giovanile s'erano messi a rifiutare l'uva troppo acerba a parer loro ed ora neppure la salutavano per strada, cosa che, seppur di rado, lei ancora tendeva a fare per buona educazione.

Si chiamava Margherita. Lo sapevo da prima che cominciassimo a passare del tempo assieme perché l'avevo letto dal suo citofono.
Si era creata tra di noi quella strana complicità che può esserci solamente tra due estranei che ignorano tutto l'uno dell'altra, quel sentimento di attrazione magnetica carica di mistero e forse venato di un pizzico di rischio che a due persone come noi, che fino ad allora avevamo vissuto due realtà differenti, io sulla costa ligure e lei a Malta, potevamo condividere.
Passavamo del tempo assieme, è vero; spesso l'andavo a trovare nel suo appartamento, e mentre lei mi parlava di sé l'aiutavo a sistemare gli ultimi arredi del trasloco, ancora sparpagliati qua e là tra il pavimento e il sofà in tela consumato.
Mi sentivo quasi un ladro ad andarci, da lei.
La mattina avevo il corso, e spesso rimanevo giù alla facoltà a sistemare i libri in biblioteca fino a tardi, in cambio di qualche moneta; quando c'era del tempo sgattaiolavo verso cena su per le scale e bussavo alla sua porta, ancora memore delle occhiatacce colme di malizia ed invidia di Claudio e Christian.

Margherita mi accoglieva sempre a braccia aperte, con la sua maglietta consumata e il grembiule da cucina fino alle ginocchia. Faceva ridere così, ma non gliel'ho mai detto. Studiavo da lei, spesso magiavo ciò che lei preparava; cose semplici, diceva mentre mi spiegava come fin da piccola amasse mettersi ai fornelli, eppure lei e la cucina non sembravano avere nulla in comune.

Mi disse che era venuta da Malta, che i suoi genitori erano italiani ma una volta andati sull'isola avevano deciso di rimanerci. Poi lei aveva deciso di cercar fortuna, che stare là non le bastava, non la rendeva felice.
Ma era stata un'illusione, e lei un'illusa allora mi diceva.

Si prendeva la testa tra le mani e piangeva, e l'unica cosa di cui ero felice era che non si vergognasse di me. Si sentiva in colpa, aveva lasciato i suoi genitori da soli per andare in un posto grigio ed umido come Torino. Le mancava suo fratello e piangeva perché qui a Torino quello che aveva trovato non era stata la sua fortuna ma era stato un vecchio al quale faceva da badante e del quale, per pochi soldi che subito spendeva per l'affitto dell'appartamento, non faceva che subire le molestie, che lei ricacciava indietro con risa sciocche perché non aveva la forza di rispondere.

Di Torino avevamo gli stessi pensieri, il nostro non era un capriccio; stando seduti vicino alla finestra mezza dsichiusa nella sera che arrossava il cielo mezzo grigio per lo smog ci chiedevamo in silenzio se per due come noi ci fosse davvero qualche futuro.

Bene amici, ditemi la vostra su questo secondo capitolo, e non nascondetemi ciò che vorreste migliorare o sperate succederà.
Spero sia stato di vostro gradimento!

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