XXVII
«Cosa?» chiedo per la seconda volta, incredulo. «Io non...»
Marcus espira dal naso, sollevando un pugno contro di me. Alzo le mani per proteggermi, ma con mio stupore Elly si attacca al suo braccio e glielo fa abbassare.
«Aspetta! Vuoi darti una calmata, Mark?» chiede lei con le guance rosse. Mi guarda. «Per me è ubriaco. Non potrà dirti niente così!»
Mi mordo un labbro, appiattendomi in un angolino, cercando di non sobbalzare ad ogni svolta o buca che la macchina prende. Mi fa male la testa. Ho una ferita. Marcus me l'ha fatta. Non so chi guida, ma qualcuno lo sta facendo. E guida davvero male.
Marcus si libera da Elly e sguscia verso di me, annusandomi con aria disgustata.
«Mi sa che hai ragione. Puzza proprio come Dean. Per me ha preso qualcosa.»
«Lui?»
«Mh.»
Lo spingo via e Marcus mi afferra il polso, storcendomelo. «Non osare più mettermi le mani addosso, moccioso. Sei scomparso nel nulla, eh?» ride e io deglutisco rumorosamente. «Peccato che Logan non sia venuto a cercarti, sarebbe stato divertente fare una piccola riunione tra amici, come ai vecchi tempi. Come si suol dire, tutti insieme appassionatamente, o no?»
Prendo coraggio e gli sputo. Marcus si alza, si pulisce il viso con la manica della felpa e mi dà un pugno. Non sento un vero e proprio dolore fisico, ma solo uno strano pulsare dentro la mia testa, come se il mio cervello fosse diventato troppo grande per la mia scatola cranica. E mi viene da vomitare. Non so se sia per colpa sua o per la pillola, ma non posso permettermi di chiudere gli occhi.
Marcus si avvicina nuovamente e posa una scarpa sopra la mia mano, calpestandola e facendomi urlare. «Questa te la faccio pagare cara. Appena John avrà finito con te, ci penserò io.»
Scuoto la testa e sopprimo l'istinto di vomitare.
«Marcus, smettila, vieni a sederti!» lo chiama Elly.
Lui, in risposta, mi scuote violentemente. Gli afferro le spalle e cerco di allontanarlo da me perché mi fa male la testa e lui mi fa sentire molto peggio. Marcus però non vuole sentire ragioni. Sono passate settimane dall'ultima volta che l'ho visto e oramai ho perso del tutto gli schemi tattici che avevo ideato. Mai far arrabbiare Marcus, era la prima regola. Logan ama le sfide, Marcus vuole vincerle. In questo mese ho perso il mio carattere insicuro alla nuova scuola, proteggendomi con uno più forte e duro. Adesso è tutto tornato come prima, io sono tornato il ragazzino indifeso che ha paura del bullo della scuola. Marcus si è cacciato in una situazione più grande di lui.
Marcus mi scuote e, nel tanto che cerco di liberarmi ed Elly grida per la frustrazione alla lite, qualcosa scivola dai miei pantaloni. Né io né Marcus ci facciamo caso, ma questa scivola vicino ai piedi della ragazza per via delle oscillazioni del veicolo e lei guizza in piedi, improvvisamente attenta e con uno sguardo esterrefatto.
«Marcus!» Lei alza la mano.
Tra le dita ha la mia piccola chiavetta Usb.
Mi sono dimenticato di averla messa in tasca. La stavo usando prima di uscire e l'ho messa lì senza pensarci. Non credevo che avesse avuto importanza, ma a quanto pare ce l'ha. Marcus è interessato proprio a quella chiavetta tanto inutile. Dentro non c'è niente. Volevo portarla da Pitts, il vecchio amico cannato di Hailey che mi ha fatto la patente falsa, ma non ho mai avuto tempo a causa di Henry e degli orari del negozio. Ho creduto che lui, fanatico dei computer, avesse potuto capirci qualcosa. Avrei dovuto lasciarla a casa.
Marcus abbandona la presa, gettandomi per terra e va verso Elly. Prende in mano la chiavetta ed esclama felicemente, dando un bacio alla ragazza.
«Quindi non ne sapevi niente, eh?» mi prende in giro Marcus. Non rispondo. «L'hai aperta, hai visto cosa c'è dentro?»
«No.»
Scuoto la testa. Dentro è vuota, ma preferisco tacere. Comunque, io non ho visto niente.
«Questo lo vedremo. Grazie per l'anticipo, ci risparmi ore di ricerche, sai? Credevo che l'avessi nascosta a casa tua, o magari dal tuo amato Logan, e invece me l'hai servita su un piatto d'argento. Non ti credevo così furbo, Reginald» si compiace.
«Fammi...» balbetto insicuro. «Fammi scendere, allora. Hai ciò che vuoi. Se mio fratello non...»
Lui ghigna. «Non è così che funziona. C'è una persona che ti vuole vedere. Non vorrai mica deludere i tuoi amici, vero?»
«Vaffanculo» ringhio, alzando il dito medio. Lui ride. «Dove mi state portando?»
«All'Inferno. Non lo sai che chi mente ci finisce?»
Marcus mi dà l'ordine di non muovermi e io non posso fare altro che starmene seduto e non fare effettivamente niente. Saltare da un furgoncino che va oltre il limite di velocità non mi pare una buona idea. Non voglio rompermi le ossa. Non otterrei comunque niente.
Rimpiango la mia testa dura: ho lasciato il telefono a casa. Se lo avessi portato avrei potuto chiamare qualcuno in soccorso. Non so se Marcus mi avrebbe scoperto o no, però avrei tentato. Non so minimamente dove mi stanno portando. Non mi piace per niente.
Marcus salta in avanti, sui sedili anteriori con il guidatore, mentre Elly rimane dietro con me. Ha i capelli raccolti in un modesto chigon. Li ha tagliati, noto solo adesso, e la lunga chioma sulla sua schiena si è ridotta fino alle spalle. Lei mi guarda con stanchezza e amarezza. È senza trucco. Dovrei smetterla di fissarla.
A conti fatti potrei saltarle addosso e atterrarla, tuttavia so che le basterebbero un paio di calci con quegli stivali rinforzati per farmi seriamente male, in aggiunta c'è Marcus. Pessima idea. Devo pensare in fretta ad un piano B.
Dopo dieci minuti di guida, la macchina pare rallentare e dopo un po' si ferma del tutto. Non vedo dove siamo. È notte fonda e non so quanto tempo sia esattamente passato da quando Marcus mi ha ficcato in questo dannato furgoncino.
La portiera si apre e Marcus aiuta Elly a scendere, prendendola per i fianchi. Lo guardo male, non muovendomi.
«Scendi» mi ordina lui.
«No.»
«Scendi.»
«No.»
Lui sale, mi afferra per la maglia e mi tira. Mi fa alzare controvoglia e mi butta fuori dal furgone senza tatto. Non cado, anche se barcollo. Cerco di guardarmi intorno, ma oltre ad un modesto prato non vedo altro. Non ci sono luci ad illuminare lo stabile davanti a noi, ma i fari dell'auto ancora accesa lo fanno apparire più inquietante.
Elly mi precede. Sobbalzo spaventato dal chiudersi della portiera accanto a me. Un uomo scende dal posto guida, mi guarda e indica l'edificio.
Inizio a camminare senza che nessuno mi spinga. Marcus l'ha fatto per ben quattro volte prima di decidermi di non voler più cadere con il naso a terra. Elly è davanti a me di un paio di metri, perciò mi limito a seguirla senza dire niente.
Lo stabile è grande. Sembra un vecchio magazzino o qualcosa di simile. Ci sono ancora buste e scatoloni imballati in qualche angolo e vecchi impianti spenti. Il pavimento è sporco e sento squittire qualche animale o strano insetto e mi sforzo di non preoccuparmene più di tanto. Illuminato è solamente il corridoio principale, anche se gli altri snodi sono tutti bui. Nessun mostro mi attaccherebbe fin quando rimango incollato a Marcus.
Elly, dopo aver percorso un lungo corridoio, gira a destra e si ferma. Aspetta Marcus, il quale le corre accanto, aprendo con una chiave una porta di legno rossa, tarlata dagli anni. Mi guardo indietro, trovando l'idea nella mia testa di scappare. L'autista mi ingombra il passaggio. Mi nota e gonfia il petto.
Strada chiusa, penso.
Entro nella stanza. È ben illuminata, a differenza del resto dello stabile, tant'è che devo mettermi una mano davanti agli occhi per abituarmi a questa luce accecante. Un tempo dovevano esserci stati degli uffici qui, ci sono numerosi tavoli e vecchie macchine per scrivere, lavagne e fili sparsi. Un tavolo rotondo con sopra un computer paiono le uniche cose nuove presenti. Le finestre sono giallastre, unte di qualcosa di lercio, e ci sono numerosi fogli e mappe ai muri, segnati con del pennarello rosso.
«Johnnie!» urla Marcus alle mie spalle e, dopo dei secondi, un uomo elegante emerge da un'altra porta.
L'uomo potrebbe avere all'incirca sui trentacinque anni, forse quaranta, o almeno così dimostra dal suo aspetto curato. Sembra uno di quei uomini che non hanno mai lavorato prima. Ha dei ricci corvini, indomabili, tenuti a bada con del gel sulla nuca. I suoi scuri occhi marroni passano da Marcus a me, squadrandomi. Evito il suo sguardo. Non è americano, lo riconosco da subito, ha un accento di sicuro europeo e la pelle più scura.
«Non chiamarmi con quell'appellativo, Marcus, non sono un tuo amico di scuola» lo ammonisce con un sospiro.
Fa dei passi verso di me e con sorpresa mi porge la mano.
«Tu sei Reginald?» mi chiede gentile e io evito di rispondergli. Lui ghigna, divertito dalla mia testa dura. «È un tipo silenzioso, eh?»
«Come no» lo prende in giro Marcus. «Ecco la chiavetta, John. Come pensavo, l'aveva lui.» Marcus gli da l'Usb e l'uomo la prende felicemente. La guardo inpotente.
Me la mette davanti al naso. «Ottima intuizione. Hai visto cosa c'è dentro, ragazzino?» Alzo le spalle. «Lo sapremo da soli, non importa. Ah, David, porta via il furgone dall'entrata. Non è una buona idea lasciarlo lì.»
Osservo l'uomo, David, annuire e lestamente uscire dalla porta. Questo John deve essere il capo, ma non capisco cosa c'entrano Marcus ed Elly nella faccenda in generale. Quando Marcus mi ha parlato della chiavetta, pensavo contenesse soltanto dei codici vari, o alla peggiore, dei virus informatici. Mi rendo conto che non è così.
Mentre guardo l'uomo dai capelli biondicci uscire e sbattere la porta, ignoro completamente l'ultimo commento del tizio davanti a me. Lui non mi interessa. Devo uscire da qui al più presto. Mio fratello sta per tornare e non ho un cellulare.
John mi afferra il mento e mi osserva più da vicino, strizzando gli occhi. Mi muovo. «È così sei tu il piccolo ragazzino gay di cui tanto ho sentito parlare. Sei adorabile» ridacchia e mi fa una carezza che non apprezzo. «Se dovessi usare una metafora per descriverti, direi che sei un bel fiore, una rosa azzurra, dato i tuoi occhi, ma a questo punto hai sfoderato le spine. Non dovevi tenerti la chiavetta.» Mi lascia.
«Cosa c'è dentro?» domando.
«Nulla di importante, solo i miei affari. Scusa se ti ho fatto portare qui così bruscamente, ma, vedi, io sono molto protettivo sulle mie cose.»
Sbatto gli occhi. «Quindi la chiavetta appartiene a te?»
«Più o meno» mi risponde.
«Non capisco.»
«Non importa.» L'uomo si ferma a guardarmi, sorridendomi, giocherellando con la chiavetta. Si rivolge a Marcus. «Marshall ha già chiamato?»
«Sì. Quattro volte in un'ora. Mi dà sui nervi.»
«È solo impaziente. E poi ci paga lui, attento a come parli.»
Lui annuisce, leggermente a disagio e le sue guance si tingono di rosso. Elly fa una smorfia e si va a sedere su una sedia vicino alla finestra, stringendo le dita sulle maniche del maglione. Non l'ho mai vista senza quel trucco pesante sugli occhi o le gonne a strati. Senza i suoi soliti vestiti è quasi carina. Quasi umana.
Marcus si accosta a me. «Che ne faccio di lui?»
Lo guardo male. Non sono un animale.
John alza gli occhi, camminando vicino al tavolo e poggiandovi il telefono palmare sopra. Accende il piccolo computer e alza una spalla. «Fai pure accomodare il nostro ospite.»
Marcus mi afferra un polso e mi tira. Non penso nemmeno di impiantarmi e fare di testa mia, il suo pugno di prima mi è bastato. In più mi pulsa uno zigomo e sono sicuro che da qui a poco comincerà a scurirsi. Mi fa male se lo sfioro.
Marcus mi fa sedere malamente per terra, a contatto con il muro gelido. Non posso guardare niente a parte le mille foto o carte appese in giro. Se guardo Elly, lei ricambia fino a farmi salire la nausea. Se guardo Marcus, lui si altera. Alzo la testa e cerco di leggere, dalla posizione in cui sono, delle scritte sui fogli. Ci sono anche delle carte geografiche della zona di Miami, in Florida. So dove è Miami, ma qui siamo a Chigago, l'esatto opposto. Mi spingo un poco avanti, tirando su il naso e leggendo meglio per capire dai segni scritti dove posso essere finito. Sono ancora a Chicago, è ovvio, ma dove?
Improvvisamente qualcosa sbatte vicino alla mia faccia e un tuono sordo mi fa cadere all'indietro, urlando. Mi appiattisco contro il muro, guardando l'uomo al computer stringere le dita attorno al legno del tavolo e piegare la testa all'indietro.
«Dannazione!»
John calcia all'aria delle scatole vicino alla parete, facendole rotolare in giro. Si volta verso di me e mi indica il PC. Scuoto la testa, incapace di parlare, premendomi maggiormente contro il muro, pensando a tutte quelle volte che l'ho fatto per scappare da Logan.
John prende la prima cosa che gli capita a tiro e me la lancia. Non ho visto cos'è, ma anche questa, come la prima, va a centrare il muro a poca distanza da me. L'oggetto si spacca.
Mi sposto, sull'orlo di un pianto isterico. Mi sono ferito la mano. John fa un passo avanti, ma si ferma. Fa un respiro e fa un passo indietro stavolta, allontanandosi.
«D'accordo, ho esagerato» si scusa, ma sembra che si rivolga a se stesso. «Sei un piccolo bugiardo, Reginald.» Scuoto la testa, incapace di capire a cosa si sta riferendo. La mia espressione lo fa ridere. John mi afferra i capelli e li tira, fermandomi. «Mi hai mentito.» Lo guardo. «Mi avevi detto di non aver guardato i dati nella chiavetta.»
«Io... Non c'era niente però!»
John mi dà una strigliata, alzandomi di peso e tirandomi con lui al tavolo. Scuoto le spalle, però mi tiene in una morsa dietro il collo. Provo a colpirlo con il gomito destro, ma è una battaglia persa. John mi fa abbassare la testa e mi spinge lo schermo del computer davanti alla faccia, indicando una finestra aperta.
«L'hai aperta, non è vero? Sai come lo so, eh? Vedi, non so come tu abbia fatto, ma si vede che hai mandato in corto qualche sistema. I dati lì inseriti sono importanti, forse più della tua vita.»
«Ho provato solo una volta. Non sapevo che... fosse importante. Non ho fatto niente» balbetto, spingendomi indietro per avere più spazio.
Lui mi scuote. «Questa è la seconda bugia che mi dici. Ci hai provato nove volte.»
Stingo i denti, non parlando. Deve essere stato Logan. Mi ha detto che aveva provato con la madre a vedere il contenuto per riportarla al proprietario, non riuscendoci. La madre ci aveva rinunciato, evidentemente Logan, essendo più curioso, ci è andato giù più pesante.
John allenta la presa e io ne approfitto per tirarmi indietro, alzando le mani. L'uomo stringe i pugni, sospirando. Mi da una spinta e io cado a terra.
«Che succede?» Marcus avanza, le sopracciglia aggrottate.
John si ravviva i capelli, volumizzando dei ricci ribelli. «C'è qualcosa che non va nel sistema interno di memoria della chiavetta. Qualcuno ha provato ad inserirci un virus e anche se è stato bloccato, ci sono stati dei danni.»
Marcus mi guarda dall'alto. «Deve essere stato Logan. È piuttosto bravo. Vuoi che lo porti qui per sistemare la cosa?»
Scatto all'attenti, spaventato.
L'uomo ride al mio gesto e alza le spalle. «No, non serve. È un bel contrattempo. Siamo già in ritardo e non credo che a Marshall farà piacere saperlo. Farò più in fretta io.»
«Vuoi che l'avvisi?»
«No, non imp...»
Scatto in avanti, saltando, fiondandomi sul tavolino. Afferro il cellulare di John e, con irruenza, provo a scappare. Spingo Marcus e lui crolla all'indietro, scomposto. Stringo il telefono tra le mani e senza rivolgere lo sguardo ad altri esco correndo dalla prima porta da cui sono arrivato. Mi ci getto e questa si apre. Provo a seguire la via che abbiamo fatto, ma mi risulta difficile. Mi ricordo che abbiamo svoltato a destra una volta, ma dalla parte contraria è più difficile capire il percorso corretto, anche perché è notte fonda e le uniche luci sono quelle naturali. Il cuore mi finisce in gola e sento solo i miei pensanti respiri nelle orecchie.
Afferro il telefono e compongo velocemente il numero di mio fratello. Me lo premo all'orecchio e aspetto nell'ombra, dietro ad una colonna. Uno squittio nervoso mi fa affiorare i nervi. Non voglio chiamare Logan. Non voglio metterlo nei guai. Lui è troppo importante per me.
«Chi parla?» tuona mio fratello. Lo sento adirato. Di sicuro è per colpa mia. È tornato e non mi ha trovato.
«Henry...» mormoro, strascicando le parole.
«Reginald!» tuona lui. «Questa volta te la faccio pagare cara, dove sei?»
«Non lo so, non ne ho idea...» piagnucolo. «Devi aiutarmi!»
Henry capisce il mio tono spaventato e lo sento prendere un respiro forzato. «Reggi, che succede? Cosa è successo? Dove sei?»
Mi sfrego la faccia. «Non lo so dove sono! Aiutami, per favore! Mi hanno portato in questo posto, ma non so dov'è. Sembra un vecchio ma...»
Marcus mi prende il telefono dalle mani e con quello mi da un colpo violento in testa, facendomi rivoltare. Preme più volte il pulsante rosso di fine chiamata e si ficca il cellulare in tasca, poi prova a tirarmi di peso e urla furibondo. Gli do un calcio. La sua presa si allenta. Riesco ad assestargli un pugno, ma da solo capisco che è troppo debole. Giro i tacchi e provo a scappare. Marcus mi afferra per la maglia e mi fa scivolare di nuovo a terra. Mi sale sopra e mi mozza il respiro, stringendomi le mani sulla gola. Quando comincio a piangere e urlare davvero, mi molla. Mi agito e rotolo di lato.
Marcus si alza per primo, si acquatta per vedermi arrotolato come un animaletto stupido e si prende dei momenti per ridere di me.
«Ti vorrei strozzare, lo sai questo? Lo farei, se non fossi così divertente» ringhia.
«Non sai io» lo prendo in giro.
Marcus mi indirizza verso la strada giusta e anche se provo ad allontanarmi, lui mi tiene per l'orlo della maglia, impedendomi di fuggire. Anche se penso che oramai abbia abbandonato la presa o quanto meno allentata, Marcus mi fa notare con delle spinte che non è così.
Ben presto sono al punto di partenza.
«Hai trovato l'uscita?» mi domanda ironicamente John, ridacchiando. Si fa passare il suo telefono e vede la chiamata in uscita. «Hai chiamato qualcuno, vedo. Il tuo ragazzo?» dice, quasi come se deridesse l'ultima parola.
«Il fratello» chiarisce Marcus. «Quello non è il numero di Logan.»
John sorride. «Hai fatto bene a chiamare il tuo fratellone, Reginald. Logan non verrebbe qui per te per nulla al mondo.»
Abbasso la testa e Marcus mi lascia andare. Mi massaggio il braccio e mi mordo il labbro, triste. John si avvicina e mi accarezza la testa. Temo voglia gridarmi in faccia o picchiarmi, invece si limita nel suo solito ghigno sornione.
«Non mi prendere più il telefono, intesi?»
«Sì, certo» gracchio.
«Attento a ciò che farai d'ora in avanti, perché altrimenti questo bel faccino io lo riduco ad un teschio con i vermi nelle orbite, mi hai capito?»
«Perfettamente.»
«Sai perché non ti ammazzo qui e la faccio finita? Perché, di sicuro, mi varresti più soldi da vivo che da morto.» Appoggia la mano sulla mia guancia, analizzandomi la pelle e il livido vicino all'occhio. «Scommetto che una volta venduto mi gioverai molti bei soldi.»
Apro leggermente la bocca. Non so cosa vuole dire e non voglio rimanere qui abbastanza a lungo da scoprirlo. Devo resistere solo il tempo necessario affinché Henry mi trovi, ma non ho molta fiducia di lui, adesso come adesso. Come farà lui a trovarmi?
Con mia sorpresa, Elly sobbalza e ha un vivo terrore negli occhi. «Come sarebbe a dire? Lo vuoi vendere?»
John strabuzza gli occhi come se stesse dicendo una sciocchezza. «Un tipetto sano e carino come lui varrebbe oro. Conosco delle persone che sarebbero molto interessate a te, sai? A conti fatti, tanto per dirti un complimento, hai una pelle così liscia e degli occhi così belli che non ti venderei a meno di mezzo milione.»
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