XXI

Vengo servito dalla biondina. È più bassa di me e con quella divisa scura a confronto della pelle chiara sembra quasi una di quelle bambole di porcellana dai lineamenti di ghiaccio. Io la guardo, ringraziandola e lei ricambia il sorriso.

«Spero che le piaccia.»

Sono in imbarazzo a sentirmi parlare in questo modo, anche perché sono sempre stato io a dover essere cordiale, usando un tono formale con gli altri, quando la ragazza bionda non potrebbe avere più di ventidue anni. In fondo, non è tanto più grande di me.

«Grazie.»

Agatha mi rivolge un moderato sorrisetto furbo che cerca di nascondere, tagliando una coscia di pollo egregiamente cotta a dovere. Il pollo profuma deliziosamente e mi prendo dei secondi per ammirare solo l'aroma, come fa Logan. Una delizia simile non l'abbiamo mai avuta in casa e Logan mangia con gli occhi questa pietanza.

Prendo coltello e forchetta e, senza farmi scoprire di osservare con attenzione i movimenti di Logan e Agatha, taglio il mio pezzo di pollo e patate al forno. Pur avendo lo stomaco rigirato su se stesso e lo sguardo perforante di Max attaccato alla testa e l'imbarazzo fino alla punta dei capelli, ho fame. Mangio il pollo con gusto, assaporando l'aroma della paprika.

«Allora, dove vi siete conosciuti voi due?» domanda la madre a noi due.

Alzo lo sguardo verso Logan, palesemente divertito. Che si diverti pure a rispondere a questa domanda!

Lui deglutisce. «Reginald viene a scuola con me. È al primo anno.»

«Al primo?» chiede Agatha sorpresa.

Si immaginava fossi più grande?

Logan sospira. «Al primo. Studia violino.»

«E così abbiamo un bel musicista in famiglia, eh?» Sia io e il padre la guardiamo, alzando le sopracciglia, non capendo il suo intento. Non capisco se è solo curiosa o se proprio non sa mettere un filtro alla lingua. «Allora, già pensato a cosa farai dopo la scuola?»

«Be', in verità pensavo di andare a studiare a New York. La National offre un corso professionale di tre anni in cui posso specializzarmi ed essere presentato con una raccomandazione a delle varie orchestre» spiego.

A dire il vero, non so bene cosa voglio fare, anche perché sono solo al primo anno di scuola e ne ho altri tre per pensare prima del diploma. Spero solo che dicendo così abbia fatto una bella figura.

Agatha annuisce, prendendo un sorso di birra. «Oh, è davvero notevole, Reginald. Sei un giovanotto pieno di talento, vero, caro?» Giovanotto? Max annuisce, ma penso che voglia solo darle corda, come faccio di solito io con Logan per smettere una conversazione. A me non la da a bere. «E tu, Logan? Con il corso di business musicale come va?»

A Logan va la birra di traverso.

«Bene» fa sbrigativo.

Io sogghigno. Logan odia il corso perché lo aveva scelto la madre quattro anni fa, è l'unico motivo per cui la retta della scuola è pagata. Voleva studiare coreografia o musica, mi aveva detto.

«Oh, Logan, davvero, dimmi come vai» lo sprona la madre.

«Va bene, davvero.»

«Agatha, lascialo stare» si intromette il padre. «Ti ha detto che va bene.»

La donna fa una smorfia contrariata, ma si limita ad annuire con il broncio.

Finisco di mangiare il pollo e mi gusto le patate al forno, croccanti, contornate con qualche erba aspra.

«È davvero buono!» mi compiaccio.

«Davvero? Sono felice, Logan mi aveva detto che come pranzo voleva qualcosa di più... giovanile. Tipo i suoi cheesburger o quegli Yomolo...»

«Yomilk, mamma» la corregge il figlio, scuotendo la testa.

«Sciocchezze. Non volevo che venisse servita una schifezza del genere alla mia tavola! Figurarsi se al primo incontro di mio figlio e il suo ragazzo potevo offrire loro cose come carne al macello cruda e altre orribili cose» si impunta.

Mallory e Martha, le due cameriere, entrano di nuovo, sparecchiando velocemente e riportandoci dei piatti freschi di verdure. Mi piacciono il sedano e le carote servite così e ancora di più perché tra i discordi fluidi tra Agatha e Logan, io e Max ce ne stiamo tranquilli senza dire granché, tranne qualche cenno di assenso. Ascolto la madre di Logan parlare del suo nuovo progetto pedagogico, vuole mettere a disposizione dei ragazzi un corso formativo dei programmi digitali per connettere nuovi promettenti geni al mondo del lavoro informatico. Io non me ne intendo, perciò quando cominciano a parlare con termini come "server ad ampio raggio" io smetto di provare a capire. Non mi sorprende che Logan ne sia affascinato.

Maxwell, al contrario, si limita a bere i suoi quattro bicchieri di birra in un sorso, senza che io abbia finito il mio, nemmeno a metà. Preferisco morire di sete piuttosto di bere quella roba e rischiare di dire stronzate.

«Signora Steel. C'è al telefono Trevor per voi» riferisce Martha, entrando in sala con un telefono in mano.

«Sono occupata, adesso» la congeda gentilmente.

«Dice che è importante.»

«Oh, santo cielo.» Scrolla le spalle, pulendosi le labbra con un fazzoletto bianco, attenta a non far sbavare il rossetto rosso e si alza. «Vogliate scusarmi. Max, tu sii gentile» commenta acida, prima di uscire.

Logan punzecchia le sue verdure, non accennando a mangiarle. Mi ficco in bocca una forchettata di carote e gli pesto il piede. Lui mi tira una gomitata, mugugnando.

«Smettila di colpirmi! Non tutti hanno trenta chili di muscoli» gli faccio notare.

«Non tutti mi pestano i piedi con nonchalance. Come ti è sembrata la mia famiglia, fino ad adesso?»

«Un vero paradiso a confronto di quello che passerai tu con mio fratello. Preoccupato?» Ghigno con malizia.

«Te lo farò sapere stasera» mi risponde lui.

«Cosa avete tanto da bisbigliare, voi due?» si intromette Maxwell contrariato e con le sopracciglia aggrottate dal nostro chiacchiericcio.

«Niente, papà» lo liquida Logan.

Non so perché non lo tratta con gentilezza, ma non voglio intromettermi.

Maxwell rotea gli occhi e li fa fermare su di me. Che sta facendo? Mi odia così tanto? Logan nota lo sguardo d'intesa e afferra la mia mano, stringendola e portandola sulla tavola, così che anche il padre possa guardarla. Provo a tirarmi indietro, ma mi stringe così forte che credo proprio possa spezzarmi le ossa se non gli do quello che vuole.

Lo assecondo, sospirando. Non so chi è il più cocciuto, io oramai sono fuori gara.

La signora Steel entra di nuovo nella sala, chiudendo le ante della porta dietro di sé. «Perdonatemi, ragazzi, ma il mio assistente non sapeva proprio come andare avanti.»

«Problemi sul lavoro, cara?» le chiede Max.

Strabuzzo gli occhi. Ho capito la sua tattica.

«Oh, no, niente di preoccupante. Vorrei solo che la stampa si tenesse alla larga dalla nostra agenzia! Sempre con i loro scoop fasulli e notizie falsate. Questo mese è la seconda volta che mi devo dare da fare affinché tutto sia redatto in modo corretto.» Scuote la testa indignata, ma poi sorride. «Tutto bene, qui?»

«Sì, certo» afferma il signor Steel.

Agatha si torna a sedere al suo posto, rivolgendoci una veloce occhiata indagatrice alle nostre mani unite e penso che le faccia più piacere che a me. Logan vuole sono sfidare il padre e io non voglio essere il capro espiatorio. Max è impegnato con il suo piano. Non ce l'ha con me, ma è con il figlio che ha una sfida aperta.

«Hai visto la partita dei Bulls, ieri?» domanda Logan, un po' rivolto sia alla madre o al padre. Non ne sono sicuro. I suoi occhi guardano la mia mano.

«Per quanto tempo dobbiamo andare avanti con questa sceneggiata?»

È quasi al limite dell'imbarazzo l'affermazione del signor Steel. Agatha strabuzza gli occhi, aprendo la bocca. È vergognata e rossa in volto.

«Maxwell...» lo chiama forte.

Logan si alza in piedi. «Oh, no, mamma, lascialo parlare! Voglio proprio sentire cosa ha da dire il signor qui presente. Per favore, sono proprio curioso!» esclama Logan nervoso.

Max non accenna a muoversi. «Il tuo modo di trattare tuo padre è vergognoso, Logan» dice.

«Il tuo modo di pensare lo è.»

«Non alzare la voce, sii corretto in casa.»

Logan alza le braccia al cielo. Lo scuoto per la maglia, provando a farlo calmare, ma lui mi tira uno schiaffo alle mani, allontanandomi. «Io corretto? Parla lui» lo deride. «Perché ti comporti così, non puoi fare finta, almeno?» urla.

Io e Agatha non sappiamo cosa fare e starmene seduto mi sembra il massimo che io possa fare. Logan odia essere interrotto, figurarsi il padre. Non mi immischio, timoroso.

A questo punto Maxweel si alza, sbattendo le mani sul tavolo, rosso in volto. «Posso fare finta quello che vuoi, ma non sarebbe la verità» lo affronta.

Io scatto all'indietro, facendo cadere la sedia per terra, profondamente adirato. Logan mi afferra il polso, ma stavolta è il mio turno di spingerlo via. Sono venuto qui per conoscere i suoi genitori, non per farmi insultare.

Max mi guarda e si allontana dal tavolo, facendo un piccolo passo verso di me per acquistare la mia attenzione. «E tu? Possibile che non te ne accorga? Sei intelligente, da quanto ho saputo, allora perché ti sei fatto mettere in mezzo in questa grande sciocchezza?»

«Max!» grida Agatha, mettendosi una mano sul volto.

Presagisco la sua debolezza emotiva.

Non potrei mai rispondergli con una frase ad effetto, non ne sono capace.

«Ma vaffanculo» tuono, prima di andarmene via, sbattendo i piedi nel liscio parquet.

Me ne vado senza aspettare che qualcuno mi segua. Voglio solo andarmene di qui. L'idea del luna park mi sembra allettante adesso. Logan, appena apro la porta di casa, si fionda su di me, quasi facendomi cadere. Sbarra l'entrata e mi allontana.

«Che vuoi fare?»

«Me ne vado!» strillo nervoso. Lui mi guarda con dubbio. Alzo le mani per metterle sui capelli. «Senti, io sono venuto qui per te. Ho conosciuto i tuoi e va bene, però non non accetto, né da un mio amico né da tuo padre, che mi si venga a dire che questo è inaccettabile, mi hai capito bene? Sono stufo!»

Lui stringe le labbra. «Mio padre... Lo sai come è fatto» prova a dirmi.

«No, Logan, non lo so, mi spiace. Non posso prendere il posto di una ragazza e mi sta bene.» Lui scuote la testa. «Quello che voglio è che tu mi dia retta almeno per una volta. Questa è la tua famiglia, non la mia.»

«Tutto qui?» domanda e io lo guardo male. «Vieni, voglio farti vedere il giardino» propone.

Non so cosa ha in mente, vuole solo farmi distrarre. Un po' di aria fresca mi farà di certo bene. Non può andare peggio.

«Logan. Posso parlarti un attimo?»

Come non detto.

Max è vicino alla soglia della sala, le mani dentro le tasche della giacca scura, gli occhi penetranti. Abbasso lo sguardo. Sono abituato a Logan, ma non al padre.

«No. Ho da fare.»

«Logan» lo richiama, muovendo appena le labbra. «Vieni nel mio studio.»

Logan fa una smorfia contrariato, ma annuisce. Non mi da una carezza o un bacio quando sale le scale di corsa, ma non me lo sarei comunque aspettato. Io non mi sarei azzardato a tanto. Lo comprendo.

Guardo duramente il padre prima che anche lui scompaia dalla mia vista.

Cosa ho fatto di male per meritare questo?

Sono nel soggiorno di casa Steel e ogni oggetto in questa casa trasuda ricchezza. Questo angolo della casa è totalmente diverso dal resto. Sembra improvvisamente di aver fatto una specie di salto nel tempo: i mobili bianchi, lindi, e moderni sono stati sostituiti con arredi di legno pregiato, quasi antico e vari altri oggetti che incorniciano il tutto. Il grosso pendolo con il cuore pulsante attira maggiormente la mia attenzione. È come una grossa trave posata al muro, quasi intenta a mantenere un perfetto equilibrio per non schiacciarmi.

Vago un po' qua e un po' là, curiosando. Di certo non è un bel atteggiamento, ma dato che Logan e il padre sono di sopra, io non so che fare.

Sopra il caminetto spento c'è un enorme quadro raffigurante il tatuaggio di Logan. Quel drago infuriato l'ho visto migliaia di volte, ma è la prima volta che posso davvero studiarlo con cura. Gli artigli della bestia sono ricurvi, alcuni sporchi di sangue, come i denti aguzzi. Il corpo è lungo, affusolato e l'estremità inferiore è arrotolata su se stessa, quasi a stritolarsi da solo. Gli occhi sono immobili, rossi e le squame sono tese verso l'alto, come mille aculei. L'orologio che il drago tiene serrato nella sua enorme zampa segna precisamente le 15:07.

«È un quadro storico» mi informa una voce alle spalle, facendomi trasalire.

Salto all'indietro, preso di soppiatto. La madre di Logan ha le mani unite, un bicchiere con un liquido scuro dentro, le labbra tirate in un piccolo e forzato sorriso. La guardo. Le sue sopracciglia faticano a mantenere la corretta posizione neutra.

«Lo riconosci?» mi domanda.

Mi volto, alzando le spalle per nascondere il mio rossore. Non so se dirle di sì o fingere di non aver sentito: Logan ha quel tatuaggio sul petto, il che dovrebbe essere una zona off limits.

«È il tatuaggio di Logan» rispondo, un po' chiedendolo e un po' affermandolo. «Non pensavo significasse qualcosa.»

Agatha si avvicina, posandomi una mano sulla schiena. «Il drago si chiama Aegon. Anche se non sembra, gli Steel hanno conosciuto un magnificenza storica attorno a fine ottocento, inizi novecento. Arthur Steel aveva una particolare predilezione per leggende e resoconti antichi, fece fare il quadro da un pittore sconosciuto di passaggio a Chicago, ma devo ammettere che fu straordinariamente bravo.»

Osservo il dipinto, scorgendovi appena le tracce del tempo lungo le pennellate di colore scuro.

«È una leggenda?»

Lei alza una mano. «Ah, può darsi, ma può anche darsi che il vecchio Arthur se la sia inventata di testa sua. Sai, era uno spettacolare inventore, lui, ovviamente non come Edison o Einstein, ma ha dato il suo contributo anche lui alla società. Amava le storie di fantasia. La sua preferita era quella del drago Aegon. Vuoi che te la racconti?»

Annuisco.

«Vedi, tanto, tanto tempo fa, agli antipodi del mondo, c'erano due ragazzi, si tramanda. Un maschio e una femmina, cresciuti da soli fin da piccoli. Con il tempo, i due finirono per innamorarsi dell'altro, ma al dodicesimo compleanno della ragazza e con il sole oscuro, un demone uscì dalla terra e rapì la giovane donna, portandola con sé all'inferno. Il ragazzo li seguì, accompagnato da un demone viaggiatore di nome Eris, come la dea della discordia. La leggenda narra delle avventure nel labirinto infernale del giovane uomo per ritrovare la sua amata. È una storia triste, ma alla fine l'eroe trionfa.»

«E il drago che c'entra?»

«Il drago reincarna gli ideali della virtù del ragazzo, la sincerità della ragazza e la forza del demone. Lo vedi l'orologio d'oro nella sua zampa, vedi l'orario? Ammira i dettagli. Si dice che a quell'ora esatta in cui l'eroe è entrato all'inferno, facendo fermare il tempo» si compiace lei, ammirando il dipinto.

«Dovrebbe rappresentare qualcosa?»

«Non lo so. Non l'ho fatto io il quadro, ma mio marito lo adora. Se potesse scegliere tra il suo telefono e il quadro, sceglierebbe il quadro. Ce l'ha da quando era molto piccolo» specifica.

Alzo una spalla, insofferente. «E tra il quadro e Logan?» domando con boria.

Agatha scuote la testa. Sa dove voglio arrivare. Io sono arrabbiato. Lei delusa.

«Raginald, ascoltami, anche se non sembra, mio marito vuole un bene dell'anima ai suoi figli. Vuole solo proteggerli. Per lui è stato un colpo al cuore quando la nostra Eleanore è andata via. Era stufa di questa casa, diceva. Una volta Maxwell le diede dell'incompetente perché bruciò una scodella facendo scaldare il latte. Sai che fece lei? Non ribatté. Sapeva di essere un'incompetente. Preparò una valigia e se ne andò. Logan la seguì. Mi si spezzò il cuore vederli andare via. Eleanore è la persona più coraggiosa che conosca. Senti, piccolo, anche se Maxwell può sembrarti freddo, in verità non lo è. Ama Logan e vuole solo vederlo felice.»

«Non con me» specifico.

«Non dire così.»

«Però è la verità.»

«A Max non sarebbe piaciuta nemmeno una ragazza. Oh, cavolo, mi ricordo quando Logan mi disse che si era messo con una ragazza di scuola a dodici anni. Un vero demonio, mi parve, quella ragazza. Fortunatamente non l'ho mai vista dal vero, mi sarebbe preso un colpo al cuore. Preferisco di gran lunga te, un normale ragazzo che ama il violino, al contrario di una tipa stramba con il rossetto nero. Sai come era Logan da piccolo?» Oh, sì. Rido. «Be', una volta suo padre tentò di fargli fare un paio di tiri a baseball. Logan era proprio negato, così quando Max gli lanciò la palla, invece di colpirla, la mazza gli sfuggì di mano e gliela tirò in testa. Si mise solo a ridere.» Agatha mi venne vicino, sbattendo gli occhi. Cercai di immaginarmi la scena. «Max gli vuole bene, e ne vorrà anche a te se gli dessi modo di conoscerti meglio.»

«E insultarmi?»

«Non era sua intenzione.» Io penso di sì. «Comunque, Logan ti ha promesso un giro in giardino, o no?»

Facciamo per uscire in terrazza, tuttavia dei passi si immischiano tra me e la libertà. Mi sarebbe piaciuto vedere il giardino con Logan, eppure con i suoi continui sbalzi d'umore non so se oggi potrò godermi la giornata a pieno.

Max ci raggiunge in poco e Agatha non toglie la mano messa a braccetto con la mia, come se fossi una specie di sostegno.

«Vorrei parlare un momento con il nostro ospite» spiega l'uomo, alzando il mento.

Agatha non si muove, come se ritenesse la sua idea pessima.

«Va bene» dico, senza aspettare una risposta.

La donna mi lascia andare, dandomi un'ultima piccola pacca sulla spalla, come per darmi appoggio. Io e il padre attendiamo i secondi necessari affinché la signora Steel scompaia dietro un angolo. Incrocio le braccia, guardandolo male. Lui finge di non accorgersene.

«Reginald» pronuncia il mio nome come se volesse capire che effetto fa. Io non rispondo. «Seguimi, devo farti vedere una cosa.»

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