XII

L'antincendio.

Ho fatto partire proprio l'antincendio, uno tra i dieci degli allarmi piazzati nella scuola, mi è capitato sotto mano proprio quello e non so se dire se il tempismo è stato il massimo o se Dio non mi abbia voluto salvare apposta.

A quanto pare nessuno gradisce chi fa partire l'allarme per scherzo - come ha detto la bidella che mi ha ordinato di filare in presidenza e che scommetto mi detesta - e chi lo vuole negare? Ovviamente dire che Marcus mi stava inseguendo e che è stato solamente un errore non gioverà per niente ad entrambi.

Marcus crede che abbia detto tutto a Logan e a Nicklaus, per questo è così furente, perché ho dato la possibilità a quel ladro falsario di Zackary di nascondersi e scappare via con il bottino, o qualcunque cosa fosse. Ora Marcus è nei guai ed è logico che se la sia presa con me: per lui io sono il capro espiatorio, il colpevole, quello da mandare al macello per sviare i contatti.

Ha perso la "chiavetta", di qualunque cosa si tratti, penso sia una comune chiave USB, ma non ne sono sicuro. Nick mi ha detto che Zack è un haker, per questo l'unica prova che ho è nel suo PC. Da qualche parte in città. A Chicago.

Qualunque cosa quella chiavetta contenga, non è nulla di buono.

La bidella mi trascina a forza in segreteria, vicino alla presidenza, dicendo alla donna in servizio di non farmi andare via nemmeno con la terza guerra mondiale e che se mi fossi sentito male di non crederci. Ha pensato che fossi un vandalo che ha scherzato con il giocattolo sbagliato, immagino, e come avrei potuto farlo quando nemmeno sono corso via o non ho detto niente?

La donna al banco mi scruta. «Hai fatto partire tu l'allarme, ragazzo?» Espiro dal naso non spiaccicando parola. «Ora la preside Bibarna è occupata al telefono, ha dovuto chiamare subito i vigili del fuoco per smontare la chiamata di emergenza. Puoirestare seduto qui fino a quando non ha finito. Un ragazzo in più non mi darà nessun fastidio» afferma, mandando via la bidella che si credeva un agente o chissà cosa.

Affondo il viso nelle spalle e guardo la donna dai corti capelli ricci e dagli anni avanzati che mi guarda da oltre la sua postazione con fare rasserenato.

«È stato un incidente. Non volevo farlo. Un ragazzo mi inseguiva e sono inciampato» affermo d'un fiato, liberandomi almeno di quel piccolo sassolino nella scarpa, trovandone immediato sollievo. Sono già stato schiavizzato da Marcus abbastanza.

La donna intenerisce lo sguardo. Mi crede? Perché tanta fiducia? «Spiegalo alla preside, non a me. Se racconti la verità penso che capirà.» Lei indica un posto oltre la mia schiena. «Accomodati pure. C'è un ragazzo prima di te, ma farà in fretta. Lo vedo qui già da un po', in effetti...»

Mi volto ed è come se fossi in un mondo alternativo. All'inizio penso sia un'allucinazione dovuta al bisogno di vederlo di nuovo, invece mi rendo conto che è esattamente lui. I vestiti, i capelli e la postura sbagliata sono esattamente quelle di Logan.

«Reginald?» domanda Logan, alzando gli occhi. Lo guardo per un istante e poi scoppia a ridere. «Sei tu quello che ha fatto partire l'allarme? Che ridere e io che pensavo mi sarebbe toccato passare i prossimi quindici minuti con un pazzo qualunque, che fortuna! Vieni, siediti qui e raccontami tutto!» esclama senza dare peso alle parole.

Arrossisco in fretta, faticando a decifrare quelle parole, esco dallo stato di trance in cui sono. Secondo Marcus, per Logan io non sono niente. Questo mi fa male. Mi formicolano le dita e sento un nodo alla gola che mi impedisce di parlare, gli occhi ardono e bruciano. Da quando sono così impotente vicino a lui?

Gli tiro un calcio alla scarpa e lui mi guarda. «È stato un incidente!» affermo corrucciato.

«Mmh.»

«Davvero!» mi difendo.

Lui mi guarda, mi sfida, mi intimorisce e mi sotterra con gli occhi. Mantengo alto il volto in questa confusione di pensieri mentali, non posso fare alto che ammirare lui e la sua tempestività.

Mi siedo nella poltrona accanto alla sua e lui raddrizza la postura, la schiena a contatto con imbottitura dello schienale morbido. È più alto di me. Ne vuole mettere in risalto la differenza, quasi come se fosse una differenza a renderci uniti.

«Cosa ci fai qui?» domando.

«Di sicuro non faccio partire allarmi anti incendio» gongola e io volto la testa dall'altra parte. Mi picchietta l'indice sulla spalla e mi stuzzica fino a quando sono costretto a girarmi, infastidito e divertito allo stesso tempo.

«Smettila. Mi dai fastidio» gli dico e lui continua.

«Davvero?»

«Sì, davvero. Smettila o ti rompo il dito.»

Lui ride, ma sono così veloce che appena gli afferro il dito non gli lascio via di scampo. Glielo storco e lui si allontana.

«Ehi! Mi hai fatto male!» si difende.

«E tu mi dai fastidio.»

La donna alla segreteria ci chiede di fare silenzio, oltre alla porta di vetro su cui stiamo davanti c'è la preside e io sono già abbastanza nei guai. Mi sistemo meglio e scivolo sulla poltrona, incespicando qualche veloce imprecazione.

«Reginald Rebley che impreca, non credevo che i pivellini di quattordici anni sapessero queste parole» mi mormora vicino all'orecchio per non dare fastidi né alla preside né alla donna della segreteria. Lo guardo e lui si zittisce. Serra le labbra e dopo poco mi dedica un lieve sorriso. «Cosa?»

Mi inumidisco le labbra e lui ne segue il movimento, dedicando l'attenzione a quello. Mi fermo, volendo vedere la sua reazione quando mi mordo il labbro. Guardo altrove e lo faccio. Contrae la schiena. Gli da fastidio, come quando non lo guardo negli occhi o è altro?

«Non mi chiami più con il mio soprannome» gli faccio notare.

Respira e si rimette comodo, poggiando un gomito sul bracciolo come sostenimento. «Lo odi.»

«Non è vero» mi affretto a dire così velocemente da fargli strabuzzare gli occhi. «Insomma. Mi piaceva...»

«Hai detto il contario, te lo sei scordato?» mi fa lui dubbioso.

«Ero solo arrabbiato» mi scuso.

Singhiozza una risata e io lo guardo. «Arrabbiato tu? E io invece, come avrei dovuto reagire? Te ne sei andato con Nicklaus, seppure io ti abbia detto di non farlo. Ti ha fatto bere così tanto che per quasi due giorni ti sei assentato da scuola. Come credi che mi sia sentito? Sapevo che se entravi succedeva qualcosa di male, non sei dell'ambiente e vorrei che nemmeno ci entrassi. Non l'ho fatto esclusivamente per darti fastidio.»

Arrossisco. Mi sta dicendo che lo ha fatto per proteggermi?

«Non è stato Nick a obbligarmi. L'ho fatto di mia volontà» specifico e lui rotea gli occhi, per nulla disposto ad ascoltare altre questioni su Nick.

«E vedo bene dove ti hanno portato, le tue grandiosce scelte. Tuo fratello ha chiamato casa mia.»

«Lo so.»

«Mi sono assunto la responsabilità. È stata colpa mia. Non ti avrei dovuto lasciare lì. Ti avrei dovuto portare via di forza» ringhia, mordendosi una pellicina di un dito.

Respingo una risata. «Lo avresti fatto davvero?»

«Ovvio. Ti avrei preso per le orecchie e caricato sulle spalle. Non me ne sarebbe fregato nulla se non ne fossi stato d'accordo, ti avrei legato con la cintura dell'auto per costringerti a venire con me. Ci stavo davvero pensando, solo che il barista mi fissava in modo strano» spiffera senza guardarmi, mangiandosi le parole come fa con le unghie, timido.

Lui tace e gli punzecchio una mano con la mia, acquistando la sua attenzione. «Mi hai lasciato là, però, in quella gabbia di matti!» esclamo.

«Eri con una ragazza o mi sbaglio?»

Tolgo la mano. Si ricorda di Arabella, dannazione. Quanto vorrei dirgli che lei non c'entra nulla con me, che non vale niente e che ora tutto quello di cui ho bisogno è la sua voce e la sua fiducia. Sento il bisogno di spiegargli tutto. Non ho mai chiamato Arabella e nemmeno lei ha provato a contattare me.

«Non sarai mica geloso?»

Ma da dove mi è uscita questa? Come se Logan potesse mai essere geloso, soprattutto di una ragazza e di me.

«Io geloso? È quella tipa che è gelosa di me» sbraita e io rido. «Ti fa ridere?»

«Mi distrae.»

Arrossisce e guarda in alto, verso una lampada. Gli guardo le gambe e imito la sua posizione, sdravaccandomi come fa lui, le gambe allungate e le braccia molli. Non mi interessa altro. Tutto sembra futile. Ho la mia fetta di mondo qui accanto, una buona e dolce. Le altre amare non mi interessano.

Logan volta la testa dalla mia parte e io anche. «Ti fa ancora male la botta?» mi domanda e io, impettito come sono, non colgo il frutto del discorso.

Mi prende il viso in una mano e toglie le ciocche vicino alla tempia, mi guarda e mi dice: «Non si vede più il segno.»

Sei tu quello che lascia il segno, penso.

Ha ancora una mano poggiata sulla mia guancia. La sua pelle è fresca al contrario della mia, le guance in fiamme. Mi guarda e per un secondo ho come l'impressione che voglia dirmi qualcosa. Abbasso gli occhi e mi godo il momento. Probabilmente toccherà così mille volte in una giornata Elly, ma non me ne importa. Questo momento è mio.

I dardi dell'emozione cominciano a fare effetto nel momento in cui con il pollice accarezza la vecchia cicatrice a lato dell'occhio e la guarda con incentivo. Mi chiedo se sappia.

La donna alla segreteria ci rivolge uno sguardo pieno di stupore e di qualcos'altro, forse confusione o ambiguità, messa alle corde dagli occhi colpevoli di Logan, si rimette velocemente al lavoro. Fa cadere qualche oggetto facendomi sentire a disagio.

Ecco come possiamo apparire.

Mi stringo le gambe.

Sono sicuro che se fossi stato Elly nessuno ci avrebbe guardato così.

Così diversamente.

Contro ogni mio desiderio, Logan toglie la mano dal mio volto. Lo fisso. Appare contrariato e minaccioso a guardarlo, infastidito dagli occhi puntati della segretaria su di lui.

Osservo ancora la donna, la quale, senza farsi notare, ci guarda di sottecchi, mentre, facendo finta, si dedica a una pratica. Aspetto che finalmente le suoni il telefono per tranquillizzarmi.

Logan è immobile.

Trasalisco quando odo la preside gridare fortemente al di là del vetro. L'ho fatta grossa, mi dico. Mi massaggio la testa con i polpastrelli e tiro su una gamba sulla sedia, spingendola sotto il sedere in un rialzo appena accennato. La mia mano trema e più cerco di farla stare ferma e più fa il contario, quasi volesse farmi un dispetto. Non sono per niente calmo.

«Ehi.» Logan scosta le mie mani dalla testa. «Sta tranquillo.»

«Tu non hai fatto partire l'allarme. Cazzo, mi ucciderà!» piagnucolo e lui ride.

«Sarebbe contro la legge» medita e io sono così preso in contromossa che penso alla stupidità della frase. Solo nel silenzio che ne segue capisco il suo intento. Vuole parlare.

«Scommetto che anche Eleanore ha voluto ucciderti quando ha sentito mio fratello» dico e lui alza le spalle, scongiurando la sfortuna. Mi immagino Nora che urla al fratellino minore di quanto sia stato stupido e incosciente.

Logan grugnisce una parola e si zittisce, alzando il petto in un sospiro stanco.

«Scusa.» Lui volta la testa, sorpreso, e lo ridico, una volta per tutte, per lui: «Mi spiace per quella sera.»

Scuote la testa. «È storia vecchia, non preoccuparti.» Gli sorrido. È troppo permissivo con me e non capisco se sia gentile o scemo. Entrambi, ci rido su, come me. Mi punta il dito contro. «Però la prossima volta che ti porto in giro, attento a te se fai qualcosa di stupido!»

La prossima volta.

«Non ci scommettere troppo!»

Ridiamo e lui unisce le mani, sospirando pacatamente.

Sì, è cambiato.

È una persona diversa.

Lui mi guarda e mi basta questo.

«Non mi hai detto perché sei qui» gli faccio notare e lui si appoggia con una mano al bracciolo della sedia, non perdendomi di vista. «Guarda che se non me lo dici ti storco di nuovo il dito.»

Alza una spalla e tortura il piercing al labbro con la lingua.

Mi rifà il gesto, incredibile! Che presuntuoso!

Non riesco a non esserne deliziato. Lui parla, sollevando un sopracciglio: «Non mi andava che te ne andassi con Marcus, non so perché ma prova per te qualcosa di simile all'odio più profondo, sai? All'inizio pensavo fosse solo perché eri fastidioso, lo credevo anche io - perché sei fastidioso, ammettiamolo - ma nell'ultimo periodo è sempre sulle sue.» Faccio una smorfia, racchiudendo in quel gesto tutti i miei pensieri. «A quanto pare i professori non gradiscono quando gli insulti» riflette.

«Hai insultato un professore?» ripeto allibito.

«Una professoressa. Ero arrabbiato. Pensavo ancora alla serata al Midnight quando Marcus salta fuori che ti deve accompagnare da solo da una parte che non so e tu pretendi che non faccia niente? Mi ha chiesto dov'era lui e mi sono scappate delle cose che non dovevano uscirmi di bocca. Quella donna è solo femminista, ecco perchè ce l'ha tanto con me» sbuffa.

Ridacchio. «Che le hai detto?»

«Le ho detto che era andato a fare in culo come il suo tema e i suo dannatissimi libri che non servivano a un tubo, allora lei mi ha detto di chiedere scusa immediatamente e io le ho risposto che poteva baciarmi le chiappe.»

«Davvero?» scoppio a ridere e lui anche.

Ecco il Logan che da sempre immagino, è tornato e io ne ho sentito vagamente la mancanza. Può darsi che gentilezza e acidità si confondono profondamente in lui, tanto che nessuno possa notare le diversità, come un alter ego. Un meccanismo di difesa sociale.

Poggio la testa sul bracciolo e affondo le risa lì, per non attirare troppo nessuna attenzione.

Sento la sua mano sulla mia testa e sollevo gli occhi. «Marcus ti ha fatto qualcosa?»

Smetto di ridere e mi siedo meglio. «Direi solo che la prossima volta verrei più volentieri con te, ecco tutto, sempre che tu lo voglia.»

Lui mi punge il naso e io scatto per prendergli la mano. È veloce.

«Non avrei da ribattere su questo.» Interrompe il nostro gioco lui e prima che possa finalmente sorridere aggiunge: «Ti difenderò io da Marcus.»

«Giuralo» faccio e lui mi sorride, dicendo: «Lo giuro.»

Un altro giuramento. Oggi più che mai sono legato a Logan in modo indissolubile.

Mi guardo le mani. Hanno smesso di tremare e ora sono a mio agio con la situazione. Se dirò la verità ancora non lo so, so solamente che non mi lascerò prendere dal panico. Eseguirò i consigli di Logan: essere calmi giova molto, aiuta a pensare con più lucidità e ad ammettere colpe e innocenze.

«Ho smesso di tremare, guarda» dico mostrandogli le mani, ferme. Le prende e le osserva, sorridendo, mettendole a confronto con le sue.

Arrossisco e mi sforzo di sorridergli. Le sue mani sono il doppio delle mie, una pelle perfetta, dita affusolate e unghie corte. Mi sotterra in ogni campo. È troppo... lui. Troppo Logan.

«Logan?» lo chiamo.

Toglie l'attenzione dalle nostre mani. «Cosa?»

«Potresti di nuovo chiamarmi Doppia R?» chiedo.

La sua espressione è serena, si richiara poco a poco e la scintilla nei suoi occhi torna a bruciare viva e intensa come un fuoco vero.

«Ma certo.»

La nostra amicizia è nata proprio lì, il 12 ottobre alle ore 10:37 tra le poltrone fuori la presidenza.

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