VI

Mi chiedo veramente se sto bene e poi, con la stessa furia di come ho potuto piangere per l'intera notte, la risposta è arriva singola e appassiva in un No.

Mi maniera orrenda, per gli attimi in cui ho atteso il messaggio di Logan, la realtà è diventata meno terribile. Più sopportabile. Più bella.

Ultimamente mi sento piuttosto strano, me ne rendo conto da solo e, parallelamente, anche i miei comportamenti sono mutati in qualche modo che non saprei definire esattamente. Mi sono guardato allo specchio diverse volte per capire cosa ci fosse di sbagliato; nulla, ecco cosa. Eppure so per certo che questo nulla in verità non è tale.

Mi sento un idiota.

Logan, sta benone e, seppure solamente da un mese, lo conosco bene. Lui non si farebbe di certo domande, lui sopprimerebbe tutto e questo, come molti lo definirebbero, sarebbe "da uomini". Io, al contrario, non mi arrangio di queste stupide definizioni e lui torna prepotente e dispotico come nella realtà a tormentarmi nella mente. Anche dopo aver spento il PC, le sue parole mi riecheggiano nella mente e ho dovuto tenermi occupato per non abbandonarmi a quella folle voglia di rileggere la nostra più lunga e banale conversazione.

Mi consolerebbe se mi sapesse in questo stato? Ne dubito. Le cose, domani, torneranno al loro legittimo posto: vittima e carnefice, non altri.

Nel momento in cui riapro gli occhi, tutto è penosamente uguale a come lo era la sera precedente. La luce di un disgiunto sole colpisce le finestre e, nella posizione in cui sono, un raggio mi colpisce dritto agli occhi, distraendomi dal mio sonno e svegliandomi con tanta drammaticità da irritarmi ancor prima di sedermi. Mi bruciano gli occhi. Fanculo al sole. Fanculo a questa casa di merda, vuota e fredda da gelarmi il fondo schiena. Fanculo Henry e il suo lavoro e, sopra ogni tutto, fanculo anche a Logan. Per colpa sua, rannicchiandomi nel divano non ho fatto altro che pensare a lui e a mio fratello, di come, in questo stupido appartamento non ci sia nessuno a tenermi compagnia.

La sveglia non ha suonato. Non credo neppure di averla impostata. Mi stropiccio gli occhi con la mano e sbadiglio assonnato, massaggiandomi la schiena per la posizione in cui ho dormito. Non mi sono reso conto, da quanto stanco e pensieroso ero stato ieri sera, di essermi addormentato.

È mattina, il sole non è ancora alto ma splende di già. Non ho forza di spirito per controllare che ore sono e, in ogni caso, dubito mi importi qualcosa. Non mi frega nemmeno della scuola, tuttavia mi alzo comunque e mi infilo le mani dentro le tasche del mio maglione bianco.

Cammino verso la mia stanza con fatica, mi vesto e faccio del mio meglio per apparire come uno che non ha dormito avvinghiato a un cucino e sopra il divano del salotto. Sono così stanco e avvilito che ci impiego molto più del tempo che ho calcolato all'inizio. Nel deambulare su e giù per la casa non sono da meno. Vorrei sdraiarmi sul mio letto e restarci, magari per sempre, in quello che molti considerano la pace dei morti o il premio dei vivi, smettere di pensare a cose che mi fanno stare male e vedere le cose da un'altra prospettiva.

Esco e mi dirigo a scuola. Sono in ritardo. Fanculo pure quello. Non mi spiccio, sembra che lo faccia apposta a comportarmi così. Ci rifletto.

Davanti al portone della scuola mi fermo, fissando l'imponente edificio e ponderando se davvero sto facendo la scelta giusta. Magari un giorno di pausa mi farebbe bene, tuttavia cominciare a saltare le lezioni a inizio scuola potrebbe divenire una brutta abitudine e senza saperlo assomiglierei maggiormente a Logan, seppure negando.

Sto per entrare nel momento in cui una mano mi issa per un braccio e mi trattiene. Sebbene l'istinto di girarmi e colpire, sobbalzo e mi tiro indietro. Lo zaino mi scivola dalla spalla e mi piomba pesantemente nell'incavo del gomito. Mi piego.

Logan ha i capelli non tanto riavviati come le altre volte, anzi, le ciocche mosse gli infastidiscono le orecchi e le sopracciglia. Quando mi adagia la spallina della cartella al suo legittimo posto, la sistemo alzando la spalla e volto il viso, sperando che non mi veda arrossire e, ancor di più, mi derida per questo.

«Dobbiamo parlare» dice.

Tiro il braccio con uno strattone e storco un labbro verso l'altro. Inaspettatamente Logan cerca di mettermi in soggezione, ma non ci riesce, almeno non quanto credeva.

«Questo lo dici tu.»

Sputo letteralmente il "tu" con tale enfasi che per il sbalordimento lui addolcisce la presa e il giogo dei suoi occhi verdi si disintegra. Me ne accorgo e ne approfitto per liberarmi, facendolo sbilanciare in avanti. Mi sistemo lo zaino e metto qualche passo di più tra me e lui. Gli do un'occhiata di sottecchi veloce. Vorrei non averlo mai fatto: i suoi occhi non si staccano da me, né auto o rumore possono farlo. Mi sta osservando attentamente e con un'attenzione sconcertante. Un brivido mi sale lungo la schiena ed evito di dargli peso. In un certo senso, non voglio dare spiegazioni.

Mi avvio all'ingresso della scuola e con mio stupore di Logan non vi è traccia.

Il freddo irrigidisce i miei movimenti, il sole, trapelato dalle fessure tra la scuola e gli alberi, dipinge a chiazze irregolari il prato della Formey High School. Una folata di vento mi spinge in avanti, brontolo, fermandomi al portone d'ingresso della scuola nella speranza di trovare il corpo del ragazzo piegato dal freddo in mia direzione, non trovando altro che la spiaggia desolata dello spiazzo. Entro e un inserviente mi guarda da subito male per l'orario. Senza troppi indugi, scorrendo vicino alla parete per trovare calore nei termosifoni, mi dirigo nella mia classe.

Alaric mi accoglie di buon punto nonostante il mio fragoroso ritardo, prendendomi in disparte e ammonendomi sulla mia poca serietà non adatta a questo istituto. Mi siedo vicino a Colin, studiando uno spartito di Mozart ed esercitandoci con una tastiera dotata dalla scuola. Scopro ben presto che la frase della dal professore in unione all'incontro di Logan, lascia in me un taglio ben più profondo di quello esterno.

Colin esegue davanti ad Alaric una discreta melodia, constatato il poco tempo a disposizione di prova in un esame veloce. Io invece devo rimettermi a suonare più volte lo spartito dall'inizio perché continuo a sbagliare un passaggio semplice, da poppanti.

Ad un certo punto il professore sbotta, togliendomi le dita dai tasti:«Basta così. Hai torturato questa tastiera fin troppo. Non ci siamo, non ti impegni, hai capito?» sbuffa e io annuisco poco convinto. «Cosa credi che sia questo, un gioco per caso? Qui si lavora, nella mia lezione, non tollero questi comportamenti da bambino di tre anni, perciò se ti serve del tempo per piangerti addosso, vattene fuori e quando sarai pronto a comportarti come una persona matura, adatta alla tua età, potrai rientrare e dedicarti a quello che sai fare meglio.»

Lo dice con tanta autorità che io lo faccio veramente: mi alzo e senza dire nulla, me ne vado. Non so se il maestro mi richiama, non lo sento, ciò nonostante cammino un po' per i corridoi senza autorizzazione scritta o verbale per cercare di calmarmi, le mani a coppa sul mio volto. Soffoco un singhiozzo strozzato e mi maledico per come non so tenere gli affari miei lontano da quelli della scuola.

Il brutto di Alaric è che ha detto il vero. Tuttavia avrebbe anche potuto non annunciarlo in mondovisione e farmici restare in colpa. Se per lui è un modo di spronare i suoi studenti non ci sta riuscendo per niente. Henry mi dice di usare bene i miei doni perché mi porteranno lontano. Finora, quello che mi hanno portato, è stato Logan.

Mentre arranco da un piano all'altro alla ricerca di uno spazio in cui stare con calma tutto mio, mi imbatto in Elly che esce dal bagno insieme a Marcus. Lui, soddisfatto e tracotante; lei arrossita e con la fronte imperlata leggermente di sudore, si liscia le pieghe della gonna e si affretta ad andarsene. Mi nascondo in una rientranza della porta di un'aula chiusa e lei non mi vede. Qualunque cosa abbiano fatto lì dentro, nulla comprende grande conoscenza della musica.

Esco e Marcus mi sbatte contro il muro, sollevando le sopracciglia scure. «Tu? Questa è la volta buona che impari a stare al tuo posto.» 

Fremo, stando zitto ma carico di fremente determinazione, lo fisso, accigliato. Lui fa una smorfia cinica.

«Logan non sa che di nascosto di scopi la sua ragazza?» butto lì, schiacciato come una lucertola a cui la coda non si degna di staccarsi per distrarre l'assalitore.

«Logan non sa molte cose e molte di queste dovranno rimanere un segreto. Mi hai capito?»

«Se mi fai del male... Se mi fai del male lo dico a Logan! Lo giuro, dico a tutti cosa fai con Elly e quello che hai in mente di fare con quel Zackary del pub!»

La mano di Marcus si stringe tanto furentemente alla circonferenza del mio collo che io mi piego e mi acquatto contro il muro cercando riparo. Il mio petto si gonfia e si ritrae dal suo nel contempo che nei suoi occhi il barlume della voglia di soffocarmi si rende palese. Per un breve attimo aggrotta le sopracciglia e massimizza la presa, dopodiché io gemo e lui abbandona la presa solamente nel vedermi tossire con difficoltà. Mi premo contro il muro, a terra, gli occhi sbarrati dal dolore mentre uno squittio acuto mi divora la bocca.

Marcus si accinge ad alzarmi di peso e a sbarrarmi la strada con le braccia, mi intrappola e mi sussurra, mentre, protettivo, mi circondo il collo con una mano:«Io credo di no, sai?»

Estrae dalla tasca un oggetto di metallo, facendo scattare la lama del coltello, la avvicina al mio viso, sotto l'occhio, poggiando appena la lama contro la pelle. Trasalisco e lo guardo con orrore, invertendo l'attenzione da lui al suo coltellino.

«Te lo dico io cosa farai: te ne starai buono buono e zitto zitto senza dire nulla a nessuno. Se tu oserai dire quello che hai visto, ti verrò a cercare e ti sventrerò da dentro a fuori come l'animale che sei.»

La sua mano mi preme sull'incavo del collo e mi fa piegare di lato. Il rasoio mi incide di filo la pelle, superficiale. Scatto di lato in un pigolio.

«Ovunque tu sia, ti troverò e ti farò rimpiangere di aver parlato. Tu non hai visto nulla al locale, l'altra sera. Zackary non era con me e io non ho mai parlato con lui, siamo intesi? Logan resterà all'oscuro di tutto. Se menti, credimi, saprò a chi rivolgermi per un delizioso antipasto, ti aprirò la pancia e ti smembrerò pezzo per pezzo a mani nude. Oh...» Preme due dita sul rossore della gota in un mormorio di finta preoccupazione. «E dire che non ho affondato il coltellino. Logan trova divertente il tuo modo di fare, all'inizio anch'io. È stato, non so, rigenerante. Lui... com'è che dice? "Una ventata di freschezza", penso. Poi ha cominciato a stancare.» Una scossa riassuntiva. «Io non ti ho toccato, nemmeno se qualcuno, anche Logan, te lo dovesse chiedere, tu risponderai che sei caduto e ti sei ferito, hai afferrato il concetto? Sono disposto a fare una tregua con te, anche per il suo amichetto quattrocchi e per l'altra principessa sul pisello, se vuoi. Tu cuciti la bocca e io vedrò di tenere le mani in tasca. Va bene, amichetto?» Sorride.

Abbandona la presa e io mi libero, muovendomi e allontanandomi di un passo, pigiando la mano sulla ferita, mi rintano nelle spalle e mi limito ad annuire cupo.

Nemmeno a farlo apposta o a decretare un intervento divino, Nicklaus Andrei svolta l'angolo con un sacchetto di plastica in mano. Inquadra con uno strano bagliore agli occhi Marcus, sfilandosi le cuffie dalle orecchie.

«Che cazzo stai facendo, Mark?» lo interpella irritato.

Non so se scappare dietro di lui o andarmene via, se potessi farei entrambe le cose.

Marcus alza una spalla. «Nulla. Parlavo con il mio piccolo amico, non si può?»

«Non dovresti essere a lezione? I tuoi muscoli sono paragonati alla quantità di neuroni persi.»

Marcus tende i muscoli prominenti del braccio, si sistema la cintura lenta dei pantaloni e alla fine opta per andarsene in grugniti che potrebbero facilmente essere imprecazioni. Nick posa la borsa e avanza, esaminandomi il volto.

«Hai un taglio sotto l'occhio. Te lo ha fatto lui?» domanda.

Scuoto la testa. «No...» mormoro afflitto, fissandomi le scarpe. «Sono caduto.»

Fa un verso contrario e scuote la testa. «Reginald, non si cade direttamente sotto l'occhio destro, lo capisci, vero? Inoltre questo taglio è opera di un coltellino svizzero, ne ho uno anche io.» E la mia mente intanto codifica "Dovrei andarlo a dire alla preside."

Io scuoto la testa con convinzione, ribadendo la mia tesi. Lui sospira per nulla colto dalla mia inettitudine e insiste pure per accompagnarmi in infermeria, dove la stessa infermiera che mi ha mandato a casa il mese scorso mi riconosce e, con nervosismo, mi medica con una passata di disinfettante e un cerotto. Nel tempo in cui si allontana per prendere una borsa del ghiaccio, Nick prende una sedia e si mette a cavalcioni su quella, rubacchiando un lecca lecca da un boccino di vetro su una mensola, se lo caccia in bocca e mi parla con svogliatezza.

«Ora mi vuoi dire cosa è successo? Non c'è nessuno.» Scuoto la testa. Si sostiene il mento con una mano e continua. «Ti potrei aiutare?» Nego di nuovo e lui tace. Gli fisso gli occhi nocciola, mesti in uno sguardo pensoso. Sbatto gli occhi, irritato e irraggiungibile, mordendomi un labbro, iroso del perché non voglia darmi un minimo di spazio personale. «Ti sentiresti meglio o peggio se fossi Logan?» attacca.

Stringo i denti e lui ridacchia.

«Non ti preoccupare, non lo dirò in giro e neppure alla preside. Per te sotterrerò il mio buon senso, dovresti ringraziarmi, non per tutti lo faccio.» Mi fa l'occhiolino.

«Perché sei tanto gentile con me?» domando e lui strabuzza gli occhi.

«Non dovrei?»

Mi correggo. «No, no, è solo che tu sei la prima persona... più grande che mi tratta come se non fossi un mozzicone di sigaretta.» Apre la bocca e ride per la metafora, facendo quasi scivolare il dolce dalla lingua a terra. Lo riprende e ci giocherella con la punta della lingua.

«So come ci si sente, ecco tutto. Un tempo ero amico di Logan, anche se non sembra. Facevamo l'asilo insieme. Ecco, lui era...» Alza le mani e si fa una finta e prominente pancia. «Era una botte. Una grossa, pallosa, botte di lardo, grasso, trippa e ciccia, ripieno di stizza e accartocciato in una bellissima carta dorata di goffaggine. Veniva sempre preso in giro dai suoi compagni più grandi per quello che era e per quello che la sua famiglia rappresentava, a quel tempo la borsa era calata e i suoi avevano dovuto licenziare parecchi lavoratori, lasciando sul lastrico molte buone famiglie. Giocavo con lui e lo difendevo nonostante tutti gli altri lo prendessero in giro. Questo implicava che molte volte anche io venissi preso e picchiato, però non mi importava e sai il perché?» Lo guardo e lui risponde, inclinandosi sulla sedia: «Perché lo consideravo il mio migliore amico e gli volevo molto bene.»

Le sue parole si spezzano quando si zittisce per lasciare spazio all'infermiera, la quale, con fretta, mi calcia il ghiaccio sopra la faccia. Bofonchio e mi sistemo la sacca.

«Non dovresti giocare con lame come quelle dei taglierini, potresti farti molto male, ragazzino.»

Si scosta e io intravedo gli attenti occhi di Nick prendermi alla sprovvista.

«Sono caduto.»

La donna ride e, voltandosi, menziona l'altro ragazzo per il dolce e per la posizione sbagliata. Mi sistemo il ghiaccio, cercando di non far bruciare la ferita. Come diavolo posso tenere segreto qualcosa a Logan quando anche a tutti gli altri è palese? È impossibile. Marcus lo sa. Vuole solo godere nel vedermi provare e poi fallire. Ha calcolato tutto. E, oltretutto, Logan... crederebbe, a me? Ho probabilità scarse. Nemmeno se gli dicessi che la sua ragazza lo tradisce con il suo migliore amico? I numeri scendono, diciamo, a zero.

Alla fine l'infermiera ci caccia fuori, per via "del grande lavoro che richiede la sua presenza." Nick ride, furbo a nascondere in tasca un altro dolce prima di uscire, gongola, gaio quanto un bambino di cinque anni. Io gli scuoto una manica della sua giacca rossa e lui mi dedica un sorrisetto. Abbasso gli occhi, in qualche maniera mortificato, mordendomi il labbro a sangue.

«Mi potresti finire di raccontare di Logan?» supplico.

«Ti interessa proprio tanto, eh?» scherza, non sapendo quanto sia vero.

«È che... Sì.»

Nick si china verso di me e mi punzecchia il naso ridacchiando, mi tiro indietro in una smorfia contraria. Non la prende sul personale. Il difetto di Nick è che è troppo espansivo e molto spesso gioca di parole per metterti a disagio.

«Va bene, piccoletto, ci sto. Però voglio una cosa in cambio.» Si sfila il mozzicone di plastica dalla bocca, per metà mangiucchiato e me lo punta contro. Non sa cosa sia lo spazio personale. Getta il bastoncino in un bidone non appena capisce la mia determinazione. «In cambio della mia infanzia, voglio che mi porti a mangiare qualcosa. Sto morendo di fame, per giove! Ci stai?» esclama, rimettendo la musica a palla negli auricolari.

«Ci sto.»

Nicklaus ha un fascino tutto suo, devo dire. Ha origini rumene da parte dei nonni paterni e per un tratto lontano lo si sente dalla maniera con cui parla la lingua inglese.

Per fortuna Nick ha avuto il buon senso di coprirmi con il professore sulla mia prolungata assenza, citando in esame il mio arrivo e il mio aiuto per trasportare dei materiali tecnici nella stanza di Composizione. Alaric mi ha guardato male, tuttavia, e con mia sorpresa, ha taciuto.

Ho chiesto a Nick se gradisse la presenza di Colin e lui ha detto che quel ragazzo gli è simpatico e che è felice di portarlo dietro. La cosa ha preso una brutta piega.

Colin è rimasto spiazzato alla mia proposta, eppure ha accettato di buon auspicio e siamo andati in un McDonald del centro, vicino a un negozio di abiti sportivi con cartella e libri ancora con noi.

«Voglio un Happy Meal. Voi?» esclama Nick, passandomi davanti, posando lo zaino su una poltrona ad angolo, blu chiara, facendo spazio a me e a Colin.

«Io prendo un hamburger di pollo e una Coca cola» dico, guardando attentamente il menù.

«Io solo delle patatine» dice Colin.

«E da bere?» continua Nick.

«Non ho sete.»

«Ti prendo una Fanta.»

Colin rimane spiazzato. Mi alzo e gli corro dietro perché non voglio sorbirmi le lamentele di Colin rispetto al comportamento di Nick. Gli faccio compagnia in coda e lui mi sorride, muovendo la testa con la canzoncina che nessuno mai ascolta di sottofondo. A lui qualunque suono piace.

«Mi raccontavi di te, prima» attacco, giusto per fargli capire di raccontare gli eventi.

Un attimo di silenzio. «Ti raccontavo di Logan, prima» si difende, gettandomi un'occhiata di sospetto dall'alto in basso. Quanto è alto? Faccio fatica a guardarlo dritto negli occhi. Sospira. «Sai, potrebbe sembrare egoista da parte mia dire che tutt'ora tengo alla sua amicizia e in effetti così è, non ho scusanti. Logan era un bambino molto gentile, credimi, lo so perché lo vedevo con i miei occhi. Amava gli animali e se una bambina cadeva, lui la aiutava sussurrandole qualcosa di dolce. Andavamo alle elementari quando una bambina si trasferì nel nostro complesso e fece amicizia con lui. Non mi piaceva, aveva quell'aria... come quando un'aquila punta la sua preda e la attacca da dietro. Hai capito di chi si tratta? Capelli neri, carattere di merda e con un alone bigio intorno?»

«Elly.»

«Jackpot. Elly gli stava appiccicato tutto il tempo. Lo riuscì a cambiare, sai? Non so come, ma dopo le vacanze estive, non era più lo stesso. Aveva perso peso e con l'aumento dell'età si rese anche muscoloso e meno socievole. Si fece dei nuovi amici, come Marcus o Raoul e lasciò indietro di vecchi.» Mi scocca uno sguardo felino. «Si è fatto una bella vita, no?» Già, alcol, musica e quella puttana della sua fidanzata. Il trio degli stronzi al completo. «A dodici anni si è messo con Elly. Non so se giudicare il loro rapporto patetico o risoluto. Sono indeciso. Mi manca l'aggettivo giu...» Non finisce di parlare che io lo interrompo:«Mi serve il tuo aiuto.»

Strabuzza gli occhi per un momento in un pensiero passeggero. «Per cosa?»

«Una cosa.»

«Non aiuto il pivelli senza una spiegazione. Sono gentile, non idiota.» Mi agito e i peli del braccio si rizzano. «Ha a che fare con il taglio sul tuo viso?»

«No.» Ci penso su. «Be', un po' sì. Ma non voglio mettermi contro né Marcus né Logan, sia chiaro.» Nick mi guarda e, senza tralasciare pregiudizi, stavolta mi sta ad ascoltare.

«Nel locale dove lavori tu...» inizio indeciso.

«L'El Diablo?»

«Quello. Marcus e Elly hanno parlato con un tizio dall'aria strana. Faceva di nome Zackary. Alto, moro, capelli e occhi scuri. Molto scuri.» Lo descrivo, tracciando un'altezza approssimativa a mezz'aria.

Lui solleva gli occhi, pensando e muovendo un passo per seguire lo scorrere della fila. Lo seguo, stando attendo a dove muovo i piedi.

«Zackary Somerhalder. Pessima persona. Meglio stargli alla larga. È un tipo che per un po' di soldi sarebbe disposto a uccidere la sua ragazza, povera. Lei è molto simpatica, però, si chiama Asia mi pare. Ha sempre la testa tra le nuvole e lui è troppo con i piedi per terra. Gli opposti si attraggono, eh? Non so che dire. Zackary è un genio dell'informatica, dagli un computer con accesso ad internet e può mandare un virus alla Nasa. Non so come può un tipo come lui combinare qualcosa con Marcus, a parte la tecnologia e i motori non gli importa granché delle cose.»

«C'entra!» tuono in fracasso con i nervi a fior di pelle, attirando sguardi dalle altre persone.

Lui solleva le mani. «D'accordo, d'accordo, hai ragione. Proverò a cercarlo in giro, ma dubito si farà vivo, non è molto socievole. Il suo laboratorio è in un vecchio magazzino, se il server centrale è acceso è in città, altrimenti no. Ha genitori molto influenti. Non so come aiutarti in ogni caso. Se è vero che Zack sta con Marcus e con i suoi amici, avrà la loro protezione in caso. Non gli farei paura nemmeno con un fucile a canne mozze in mano. Quel coglione è imbecille quanto furbo.»

«Dovrai reggermi il gioco» persisto. «Marcus è immischiato in qualcosa.»

Lui rotea gli occhi. «Per favore, Reginald, non essere sciocco. Qui non siamo in un film. La gente non se ne va in giro con un coltello in tasca pronto a far del male alle persone.»

Indico la mia faccia. «Ma davvero?» esclamo sarcastico.

Lui chiude la bocca e guarda nella direzione prossima ai miei occhi, abbassa le spalle e io le mani, sorpreso della mia sconfitta. Mi mangiucchio una pellicina del dito con i denti, concentrandomi su quello e non su altro, ringhiando scettico e incrociando le braccia finché l'uomo davanti a noi non ritira la sua ordinazione e tocca a noi proseguire.

«Senti, per favore, non metterti nei guai. La prossima volta non voglio trovare te o il tuo amico stesi in bagno a pulirvi il sangue dalla faccia o peggio. Forse Logan trova simpatico il tuo modo di reagire, ma niente dura per sempre. Imparalo. Io l'ho imparato, lui me l'ha insegnato e io te lo sto dicendo. Ci puoi scherzare sopra, ma non metterti in mezzo. Logan è cambiato molto.»

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