Settembre 2007
Dove capisco che cantare la sigla delle Winx
non è una referenza adatta alle scuole medie
Martedì 18 settembre 2007
Alle medie, come più o meno ho capito dal primo giorno, siamo entrati in un universo feroce. Se fino a qualche mese prima era «Mamma, la maestra ha chiesto di mettermi una maglietta bianca per la recita di natale», poi era stato «Mamma, la prof ha detto di firmare l'avviso che vieta di portare a scuola i coltelli a serramanico.»
Questo si è tradotto in fretta in azioni concrete da parte dei nostri genitori. Se l'idea iniziale, all'uscita della scuola, era quella di fare un tratto a piedi fino al primo parcheggio dove ci avrebbe aspettato mio padre, dal secondo giorno era venuto a prenderci direttamente davanti all'uscita.
«C'è della gente che non mi piace niente» era stata la spiegazione piuttosto asciutta.
Secondo lui, alcuni tizi, forse ripetenti o forse no, erano poco raccomandabili. alcuni li aveva visti ciondolare in un vialetto pedonale del centro «E non raccoglievano le margherite.»
Inutile dire che la gente ciondolante in quel vialetto c'è sempre stata. Noi comunque non avevamo fiatato e avevamo seguito le disposizioni.
Quel sabato io, Cate, Emma e Matilde eravamo andate in centro a mangiarci un gelato, scortate dalla mamma di quest'ultima. Ci godevamo il sole di metà settembre, sapendo che ogni giorno sarebbe potuto essere l'ultimo, perché ogni giorno ci allontanava dall'estate.
Se voi non abitate in un posto turistico di mare non potete capire e punto. Non dovrei nemmeno stare a perdere tempo a spiegarvelo: qui tutto si svuota e tu lo vedi giorno per giorno, e vedi tutto morire, e forse ci vediamo a aprile o maggio. Persefone guarda e impara in silenzio, mocciosetta.
Stavamo ancora mangiando il gelato quando avevo proposto di andare sulle altalene del vialetto pedonale e avevo anche un po' insistito per andarci, così avevo finalmente saziato la mia curiosità di vedere in azione i famosi tizi "poco raccomandabili".
Erano una dozzina circa. I più grandi forse avevano sedici o diciassette anni, alcuni dondolavano bottiglie di birra o lattine di Redbull, altri giocavano a calcio con un vecchio pallone da pallavolo. Tra loro un paio di ragazze tra cui la sorella di Rinald: provava persino a giocare ma faceva schifo, eppure rideva e prendeva in giro diversi di quei ragazzi che le vorticavano attorno.
«Le ragazze che dicono parolacce non si possono sentire» aveva detto, sconsolata, la madre di Matilde.
Per me invece lei era fighissima, era una specie di Venere di Botticelli, al centro della scena, e tutto il resto che le gira attorno. Ecco, non mi domandate perché, e non mi date della blasfema, lei era così, per me.
Lunedì 24 settembre 2007
Dei nuovi compagni, diversi erano di Milano Marittima. Si era notato quasi subito che Ashley Fontana era per distacco la più carismatica. Di contro suo fratello maggiore, di nome Aaron, ripetente, si divideva tra il gruppo dei calciatori e l'attività di "guardaspalle" della sorella, ma era un idiota.
Non perché mi stesse antipatico, perchè in fondo altri mi stavano ancora più antipatici tipo Gabri e Tommaso, ma proprio perché riusciva a dire e fare sempre la cosa più irritante.
Il gruppetto vero di Ashley era formato principalmente da Luna e Viola. Le tre ragazze facevano ginnastica ritmica, erano molto unite e non facevano che parlare di quello e di quanto facesse orrore tutto il resto, soprattutto il calcio. Edoardo e Andrea, che erano stati compagni di scuole elementari del terzetto di ragazze, sembravano disinteressati, immersi nel loro mondo fatto di Kobe Bryant e LeBron James. Mentre quasi da subito Thomas e Mirco, due di quelli che avevano spintonato come pazzi per avere i banchi in fondo, si erano messi a ronzare attorno al terzetto: il grezzume si sprecava, in fondo erano calciatori.
I gruppi "sportivi" che non erano basati sulla scuola di provenienza comprendevano sia quello appunto dei ragazzi maschi che giocavano a calcio o a basket, sia quello delle ragazze che facevano pallavolo, un paio di gamer un po' sfigatelli come Rinald e Andrea, poi c'eravamo io e Cate, allergiche allo sport, così male assortite, eppure ancora unite.
Ho sempre avuto l'impressione che i gruppi non fossero basati su dei veri sentimenti di amicizia, quanto semplicemente su degli interessi comuni. Sarebbe bastato, per qualcuno, smettere di giocare a calcio o a pallavolo, o preferire la musica ai videogiochi, per trovarsi immediatamente ai margini.
Entrando in classe, anche un cieco avrebbe capito quali persone erano in quale gruppo: per parlare ci giravamo verso il "centro" del gruppetto, ma soprattutto, quando i professori si giravano male e facevano dei cambi di banco, le proteste si levavano altissime se per caso si finiva con uno di un gruppetto concorrente o non gradito.
Se all'inizio era tutto abbastanza magmatico, mi era bastata qualche lezione per capire che gli insegnanti avevano delle preferenze per alcuni di questi gruppetti.
Quello di educazione fisica, un bestione dal fisico di rugbysta che, si diceva, avesse fatto per qualche anno il poliziotto, preferiva decisamente i ragazzi, soprattutto quelli più bravi negli sport. Li punzecchiava, faceva loro battute a tema sportivo e stava al gioco se loro rispondevano. Le ragazze meno portate per lo sport lo irritavano, e si vedeva a pelle, perchè bastava un nonnulla per farlo sbuffare.
Matilde era una di quelle. Non era colpa sua, ma in quel periodo non aveva proprio il fisico da sportiva sebbene la madre l'avesse praticamente costretta a giocare a pallavolo, aveva le guanciotte piene e le felpe sformate con cui andava continuamente in giro non mitigavano questa impressione.
Io con lui ero un po' nel guado: non sopportavo gli sport di squadra, dove i maschi ti prendevano a pallonate per poi riderti in faccia, ma quando c'era da correre, davo la merda a parecchi ometti, che se ne stavano muti a farsi sfottere dai compagni perché si erano fatti battere "da una femmina".
Quella di italiano era una persona tutto sommato illuminata, pure troppo: entravi nelle sue grazie solo se facevi discorsi illuminati. Io non ero nelle sue grazie, e lo vedevo. Ero una ragazza media, o forse sotto la media, a cui l'italiano fregava fino a pagina due, e di discorsi profondi non ne volevo fare.
Tutte le volte che c'era un esercizio in cui si chiedeva di "motivare" una risposta, io alzavo gli occhi al cielo, maledicevo gli angioletti che ci avevano mandato quella prof e chiedevo a Matilde di copiare. Le preferite di quella di italiano erano alcune tizie che arrivavano da una scuola primaria del centro, e che parevano essere state preparate per andare direttamente all'università, Gaia e Alessia.
Sabato 29 settembre 2007
Tuttavia, dopo pochi giorni, avevamo capito che il nostro problema più pressante sarebbe stato un altro: non eravamo abituate a fare così tanto lavoro per la scuola. Non eravamo abituate a studiare così tanto, a fare così tanti compiti, a fare le ricerche. Dio mio.
Non voglio scaricare la colpa su qualcun altro, tipo le nostre insegnanti delle elementari tutte bacini e fiorellini, ma erano loro che non ci avevano preparate proprio per bene bene. Lo avevo capito perché anche gli altri nostri compagni che ci portavamo dietro dalle elementari, sembravano un po' in difficoltà con il nuovo ritmo, con il fatto che occorresse studiare per tutte le materie, anche musica.
Cioè, vi rendete conto? Musica, dove l'anno prima avevamo cantato la sigla delle Winx. O almeno credo.
Già verso la fine di settembre tutti avevano capito che noi sei eravamo quelli che il WWF doveva proteggere perché rischiavamo l'estinzione con quel ritmo di studi. Tutti i test a cui ci avevano sottoposto i professori per capire il nostro livello iniziale, si erano trasformati in delle terribili Caporetto.
Gli insegnanti ci guardavano come dei bambini appena sbarcati da una carretta del mare piena di profughi, mentre i nostri genitori, quando si incontravano fuori da scuola, finivano per parlare delle nostre maestre delle elementari per infamarle senza curarsi molto di quanto noi ascoltassimo o meno.
Il più indelicato era stato il padre di Emma che al compleanno della figlia, l'ultimo sabato di settembre, aveva detto, senza tanti peli sulla lingua «Ma che cazzo pretendevate da una maestra che è arrivata il giorno prima dal meridione e che faceva fatica a parlare italiano? Ringraziate che non abbiamo i figli che dicono "Scendimi il cane che lo piscio".»
Povera maestra Carmy, noi le volevamo bene e lei ce ne voleva all'infinito, sulla scrivania di casa ho ancora dei lavoretti fatti con lei tipo il portagioie col Das. E quanto ci aveva fatto ridere quando aveva intimato a Giulio di scendere dall'alberello che avevamo in cortile dicendo «Scendi Giulio, scendi subito! Se cadi io vado in galera! Scenn' kittammuort'!»
Giuro che è stata l'unica sua concessione al dialetto. Lo giuro su Giulio.
Tuttavia ormai non era più possibile cercare di correre ai ripari in maniera omogenea perché, dei vecchi compagni, Noemi era simpatica ma non riusciva a digerire la fantasia eccessiva di Matilde. Quando quest'ultima iniziava a raccontare le trame dei suoi viaggi mentali, Noemi assumeva un'espressione di malcelato orrore. Lorenzo pendeva dalle sue labbra e mai l'avrebbe contraddetta. Emma, causa lavoro dei genitori, era perennemente affidata ai nonni che a fatica le concedevano un giro sul terrazzo di casa per paura che le succedesse qualcosa.
Così andavamo a scuola un po' allo sbaraglio.
Cosa ho imparato a Settembre 2007: che la mia maestra mi voleva bene ma non dev'essere stata proprio la miglior insegnante della mia esistenza
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SPAZIO "DILLO A CHIARA"!
Ah, è passato il primo mese delle medie! E in realtà penso di aver parlato solo negativamente dei nostri compagni. Non trovate?
E soprattutto, chi è che vi sta più sulle scatole?
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