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Quando Ashley porta alle estreme conseguenze la sua storia,
e Willy pensa di non essere da meno
Venerdì 16 luglio 2010
Si era capito tra le righe: Ashley, da quando era venuta a galla la storia con il tizio e lei aveva chiuso con la ginnastica, aveva preso ad avere un rapporto complicato con i suoi genitori. Chissà quanto le erano rimbalzate per la mente le parole dolci e promesse affascinanti che le aveva fatto lui, convincendola che la capiva meglio di chiunque altro.
Tornata a casa da quella fuga mal organizzata di inizio luglio, Ashley aveva subito qualcosa più di una punizione, aveva subito una specie di vendetta per quello che i suoi genitori avevano patito mentalmente negli ultimi mesi. Non solo le avevano vietato telefono, computer e uscite, ma il padre si era messo in testa che lei conoscesse l'indirizzo di casa di lui e aveva dato di matto, urlando che se non le avesse rivelato l'indirizzo e le avesse giurato di non sentirlo mai più, sarebbe rimasta segregata nella sua camera fino al giorno in cui sarebbe ripresa la scuola: all'alberghiero.
Sì, l'avrebbe iscritta all'alberghiero, a poche centinaia di metri da casa, agevolando così la vita monastica che il padre le avrebbe imposto. Tutto questo, veramente, mhm, montessoriano? doveva farla riflettere sul suo comportamento pericoloso. Dal canto suo Ashley continuava a non capire il motivo di tanta severità: secondo lei, voleva solo incontrare la persona che le faceva battere il cuore.
«Mi spiace un sacco per lei» mi aveva detto Matilde quando eravamo venute a sapere di quella storia, «Forse potremmo andare a trovarla.»
«Così il padre ci scheda come possibili persone da uccidere perché amiche della figlia» avevo replicato, ironica.
In realtà non mi andava proprio di andare a trovarla: dopo l'aggressione verbale del corto cinematografico, avevo messo una pietra sopra a quella storia, spostata appena nel momento in cui, per apprensione, mi ero preoccupata per la sua fuga.
Così, a trovarla ci era andata Matilde, senza nemmeno dirmi quando, portandosi la Collinelli e scoprendo che Ashley, in segno di protesta, aveva iniziato uno sciopero della fame. Rifiutava di mangiare, sperando così di dimostrare la sua determinazione e, forse, ottenere la libertà tanto desiderata. Ogni pasto diventava una battaglia silenziosa tra lei e i suoi genitori, tra preoccupazione e rigidità.
Ormai erano passati dieci giorni su per giù, e Ashley continuava a rifiutare il cibo. La Collinelli semplicemente sbarellava, e quando ci incontravamo al mare quasi urlava «Ma non c'è un cazzo di assistente sociale che va a casa di questi e li costringe a portare Ashley da una cazzo di psicologa?!»
I suoi genitori, non certo felici di vederla così, si limitavano a spiegare i pericoli che aveva corso, la possibilità di cadere vittima di inganni e violenze. Le facevano vedere storie vere di ragazze che non erano state fortunate come lei, ma Ashley urlava che se ne andassero al diavolo.
Mi ero decisa ad andarla a trovare nella settimana in cui avevo litigato con Willy, ma quando io e la Maty eravamo state in fondo al viale di casa sua, avevamo visto avanzare un'ambulanza a passo spedito. Oltre, qualche persona era in piedi fuori da casa Fontana. Avevamo capito subito che dentro quel mezzo c'era Ashley.
Io e la mia compagna c'eravamo guardate, sotto il sole di metà luglio.
«Giuro che andrò a trovarla in ospedale» avevo detto.
Sabato 17 luglio 2010
Nei giorni successivi io e Willy non ci eravamo quasi sentiti e se ci capitava, discutevamo via messaggio. Non riusciva a passare sopra a qualcosa che non lo doveva interessare e che invece sembrava proprio centrale, per lui. Finchè non se n'era uscito con il messaggio Allora se ti piacciono veramente i maschi inizia a farmi i pompini.
Che colpo basso che era, quello. E chissà chi glielo aveva suggerito.
«Chia, ma questo che cazzo ti ha detto "Ti amo" se poi ha queste paranoie di merda? Non è lui che ti deve dire cosa fare per accontentare i suoi cazzo di dubbi» mi aveva detto la Cate, finissima.
«E poi allora potresti dirgli "allora tu praticami sesso orale per dimostrarmi che non sei gay". Cioè vedi che è assurda sta cosa che dice?» aveva aggiunto la Maty, molto più forbita.
Era assurda, aveva ragione. Ma era Willy, e mi continuavano a rimbalzare nella mente le sue mani che mi toccavano e io adoravo le sue mani. Così ero scesa a patti con i miei desideri fisici, e avevo deciso di turarmi il naso e fare ugualmente quello che mi aveva chiesto.
Va bene. Stasera ci becchiamo.
Ci eravamo visti assieme al suo gruppo quel sabato. Ashley era stata uno degli argomenti, e il tono era stato un po' preoccupato da parte delle ragazze.
«Ma chi è questa Ashley?» aveva chiesto Nina.
«Una mia ex compagna di classe» le avevo risposto «che ha avuto una relazione virtuale con un adulto che hanno scoperto e lei ha deciso di smettere di mangiare.»
«Con tanti tipi in carne e ossa qui in giro» aveva aggiunto Barone, «Questa è andata a farsi i ditalini con un vecchio di merda.»
«Pensa a lui cosa faceva» aveva aggiunto Orlando.
Nina stava in silenzio, anche Willy. Sembrava che aspettassero quasi la mia opinione, ma io semplicemente avevo detto che la storia era troppo incasinata per sparare sentenze.
Quando ero rimasta da sola con il mio moroso, ci eravamo appartati nel suo garage a sbaciucchiarci e mi sembrava andare tutto bene quando lui si era staccato.
«Me l'avevi promesso» aveva detto, guardandomi dritta negli occhi.
Non l'avrei voluto fare: quei baci e quelle mani sue sul culo erano la meraviglia. Pur di sentire quei baci mi andava bene anche quella cosa dura che mi strusciava sul ventre mentre stavamo avvinghiati. Ma l'avevo promesso e lui non voleva fare sconti: si era capito quando aveva iniziato a toccarselo dai suoi pantaloncini da calcio, era tutto gonfio.
No, non lo volevo fare, non volevo per nessuna ragione mettermi in bocca quella cosa. Ma non volevo nemmeno masturbarlo. Non volevo fare nulla.
Tante volte avevo pensato a come sarebbe stato farlo, magari a vicenda, ma mentre lui cercava di dirmi di nuovo che gliel'avevo promesso, tutti quei pensieri erano volatilizzati: in me c'era solo la voglia di andarmene a casa.
«No, Willy, non» avevo sospirato, poi giuro su mia mamma che avevo avuto un conato, e avevo sentito l'aria mancarmi.
«E' una finta Chià» aveva detto, scocciato.
«Non è una... Finta!» avevo risposto, mangiando aria e appoggiandomi al muro grezzo del garage.
In un attimo ero scivolata a sedere, con la testa tra le ginocchia, cercando di capire perché mi sentissi così scombussolata.
«Cioè, cazzo, non capisco 'sta cosa. Me l'avevi promesso, e sei venuta fino a qui e che pensavi che facessimo una volta qui?» aveva replicato lui, con una voce mezza rotta.
«Non sto bene!» avevo pigolato, sentendomi tutta sbagliata per come avevo gestito quella faccenda.
«Sì vabbè» si era limitato a dire, aspettando. Poi mi aveva dato una mano ad alzarmi, sempre piuttosto contrariato. Sperando di fare qualcosa per alleggerire quel momento orrendo, avevo provato a abbracciarlo.
Lui semplicemente si era scansato dicendo «Oh, ma non stavi malissimo?» con un tono sprezzante.
«Stavo male, stavo veramente male, mi girava tutto! Non è una finta, smettila!»
«Sì, certo, smetto. Ma 'sta cosa mi sta sul cazzo. Tu non mi ami abbastanza» aveva detto per poi fare una pausa e guardarmi «o è vero che sei lesbica.»
E poi era rimasto lì sperando che io, a quelle parole che mi avevano fatta sentire così male, reagissi facendo qualcosa come accontentarlo nei suoi desideri ma io ero tutta proiettata dentro di me a capire perchè mi sentissi così male solamente per aver seguito la mia coscienza e non le sue richieste di "pegni d'amore".
Non era successo nulla per interminabili minuti poi se n'era tornato di sopra sbuffando e sibilando un «Vedi di crescere un po', bimbetta.»
Io non avevo nemmeno replicato, avevo solo una gran voglia di tornare a casa.
Venerdì 22 luglio 2010
Avevo solo posposto il momento di rivederci, con una scusa, poi con un'altra, e per un paio di giorni semplicemente non l'avevo incontrato.
Poi ci eravamo sentiti e io avevo accampato l'ennesima scusa.
Willy: Chia basta mi dici le balle
Io: ma non possiamo vederci e basta
Willy: basta lo dico io
Willy: basta cazzate e scuse
Willy: ricordati che me lo hai promesso cazzo
Io: basta con sta storia che me lo hai promesso
Willy: ma me lo hai promesso e sta cosa non mi piace
Willy: vuoi veramente che penso che sei lesbica?
Io: smettila non sono lesbica cazzo ma che problemi hai
Io: non ci possiamo vedere normali e basta?
Willy: per me possiamo anche vederci ma io penso che sei lesbica
Che al limite poteva anche starmi bene. Per lo meno uscivo e vedevo gente e lui pensasse quello che voleva. Ma sapete qual è il problema? Che non era vero e che mi scocciava che pensasse quello di me dopo settimane in cui ci eravamo frullati la lingua a vicenda tanto che delle volte quasi ci mancava il respiro. E siccome gli negavo quello che per lui era dovuto, lui mi negava le fantastiche coccole che prima mi faceva senza chiedere nulla in cambio. Secondo lui, se non dimostravo qualcosa che non dovevo dimostrare, stavo rovinando il rapporto e quindi nulla mi era dovuto.
Di conseguenza era cambiato l'atteggiamento che aveva lui nei miei confronti quando eravamo in pubblico. Eravamo passati dal rispetto (che stupidamente i suoi amici chiamavano "cockeraggine" perché secondo loro lui era il mio cane cocker, al mio guinzaglio) a qualcosa che mi faceva sentire al suo rimorchio, mentre lui era sempre più nervoso.
Come se non bastasse, avevo notato qualche sguardo di troppo dei suoi amici e avevo capito che in qualche modo sapevano quello che mi rifiutavo di fare in intimità. Era già un passo in avanti rispetto agli altri che avevano raccontato falsità su di me, ma quando Willy mi aveva mandato il messaggio Ok non ti rompo il cazzo. lo fai quando vuoi te. ma almeno diciamo che me lo hai fatto, ero rotolata da Cate, con una faccia da funerale, chiedendole un consiglio.
«Mollalo, qualcuno che ti palpa le tette e il culo in maniera decente, lo troverai, fidati» mi aveva risposto lei, seccamente.
L'avevo lasciato per messaggio, da stronza, immaginando ciò che sarebbe successo dopo: appena sparsa la voce che ero libera e lesbica, s'erano fatti avanti in un botto. Ero diventata ricercatissima, perché tutti erano convinti che con le loro arti amatorie, mi avrebbero riportato sulla corretta via dell'eterosessualità.
Cosa ho imparato a Luglio 2010: i pompini non sono MAI la moneta per pagare la fiducia
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