Gennaio 2010
Dove Matilde incanala tutto il suo spirito missionarioin una lodevolissima missione che però non è mica così facile eh.
Domenica 3 gennaio 2010
Dopo quel tema, devo dire che per me era un piacere ancora maggiore vedere Matilde. Stare con lei mi rendeva i momenti migliori, più rilassati. Era stata da me anche la domenica prima dell'epifania, mangiando schifezze e parlando dei suoi progetti letterari dopo quei temi. Mi aveva detto che si avvicinava la fine dell'ennesimo laboratorio di scrittura a cui aveva partecipato, il terzo in tre anni, e che stava cercando un soggetto adatto all'elaborato finale.
Io da parte mia l'avevo trascinata di sopra a guardare tipi su Facebook, dimenticandomi stupidamente che lei era Matilde e non Caterina. Lei aveva partecipato fino a pagina due poi aveva preferito tornare a guardare la TV.
Ero stata una stupidotta a farmi prendere, ma su Facebook trovavo un sacco di ragazzi e con Cate non passava pomeriggio che non dessimo lunghe occhiate ai profili dei più gnocchi. E lei, magari rivangando chat con quegli stessi tipi, si lasciava andare sempre più spesso a quei commenti molto sopra le righe che avrebbero fatto morire di crepacuore i suoi genitori, mentre interagivamo mandando cuoricini e altre emoji.
Matilde era l'esatto contrario, ancora a metà della terza media: una ragazza molto ligia al suo dovere, una secchioncella silenziosa, con una grande paura del suo stesso corpo, e con una paura ancora più grossa di affrontare il tema dei rapporti con i ragazzi.
Sapeva parlarci, sapeva essere gentile, pur con un nemmeno tanto velato timore che si finisse a fare battute sul suo peso o sulla sua secchionaggine. Per cui camminava con mille attenzioni nel sottile filo della cordialità.
E aspettava una meravigliosa storia d'amore, di quelle che leggeva nei libri, e che ovviamente non esisteva. Peccato per lei.
«Dai Chiara, torniamo giù, ho capito che hai Facebook ed è bellissimo, però basta» mi aveva riportato alla realtà Matilde.
«Che palle Maty. Vabbè se ci ripensi io l'indirizzo mail te l'ho fatto, chiedimi l'amicizia che poi arrivi anche a tutti questi gnoccoloni».
Martedì 12 gennaio 2010
Per qualche giorno, Ashley non era tornata a scuola dopo le vacanze di natale. I motivi erano i soliti: malessere generale.
Ma ovviamente non era proprio per niente generale, era anzi molto specifico. La sua storia con il tizio adulto, così ad occhio e croce, sembrava aver preso una brutta piega dopo l'estate ma non era possibile saperne di più. E la sapete una cosa? Non me ne fregava molto. Tanto Ashley non mi parlava per nessuna ragione al mondo di quella questione dopo il confronto estivo dove avevo chiamato il suo stagionato amore virtuale con il nome che meritava, Luna la seguiva a ruota, nel suo ostinato silenzio nei miei confronti.
Viola era un oggetto misterioso ormai distaccato da tutto, disinteressato. Già più volte aveva fatto capire che semplicemente voleva finisse in fretta quella terza media per togliersi da quella scuola.
«Il desiderio è reciproco» aveva puntualizzato la Cate un pomeriggio mentre cercavamo di studiare geografia a casa sua, con i minuti contati perché alle sei aveva la sua lezione di pianoforte.
«A me stringe il cuore quando qualcuno dice così» aveva commentato Matilde, «Penso che dovrebbero essere anni belli, dove si conoscono persone nuove e si scopre come si è fatte veramente dentro, e troppe persone finiscono per passarle odiando la scuola, e i prof, e la gente che c'è dentro.»
«Senti, lei è la prima a evitarci. E le sue amiche o ex amiche subito a ruota.»
«Sì, ok, certo, ma non si deve mai fare occhio per occhio. Lo sapete» e ci aveva guardato, «Ognuna di noi ha avuto i suoi casini, no? Ma ne siamo venute fuori grazie all'amicizia, al poter parlare in uno spazio sicuro. In inglese "Safe space". Dovrebbe essere così per tutti, sapete?»
Cate la guardava, poi aveva guardato me, poi aveva distolto lo sguardo, con un mezzo sbuffo. Matilde aveva ripreso.
«Nei paesi più evoluti, i safe space hanno degli psicologi che possono dare ancora più aiuto. Qui invece? Niente. Anzi, parliamo noi stesse di occhio per occhio» poi ci aveva preso la mano, «Lo sapete cosa facciamo domani? Domani andiamo a parlare con Gaia e poi anche con la Zamagni e diciamo che creiamo un Safe Space, così, autogestito. Anzi, aspetta.»
Si era alzata, ed era fuggita.
«Maty, ma dove cazzo vai, scema?!» le aveva urlato dietro Caterina, ma Matilde era già fuori dalla porta urlando che faceva un salto a casa a prendere due o tre cose.
«Mamma mia ma quando fa così, mi da sui nervi. 'Sta paladina dei buoni sentimenti» aveva sbuffato la padrona di casa.
«Lasciala fare, in fondo non ha tutti i torti, lo sai.»
Era tornata dopo circa dieci minuti, con una scatola, una colla e qualche pennarello.
«Adesso facciamo la scatola del Safe Space. La decoriamo e ci scriviamo sopra "Metti qui dentro i tuoi pensieri, anonimi se vuoi. Ma se vuoi una parola di conforto e un abbraccio, noi ci saremo.»
«"Noi" chi?» aveva chiesto la Cate, subodorando la fregatura.
«Noi tre.»
«Maty, io...» era partita, poi forse aveva cambiato idea, perchè aveva concluso dicendo «ci sto.»
E io mi ero accodata. Figurati se non mi accodavo a una cosa che Matilde sponsorizzava con così tanto entusiasmo.
Sabato 23 gennaio 2010
La Zamagni aveva trovato quell'idea sicuramente lodevole, così la cassetta Safe Space aveva trovato posto sopra il davanzale interno dei finestroni della classe. Tutti gli insegnanti che entravano, venivano entusiasticamente informati della sua presenza da parte di Gaia La Rappresentante, che aveva fatto immediatamente sua l'idea, soprattutto in vista della sua iscrizione al Socio-Psico-Pedagogico.
Ovviamente, la scatola, nei primi giorni, era stata oggetto di ripetuti atti di stupidità, dentro ci avevamo trovato le peggio cose e non sto a elencarle. Alcune erano riferite a me e al mio presunto bisogno di incontrare ragazzi africani per soddisfare i miei crescenti bisogni. Altri riportavano disegnini osceni che sembravano fatti da una mano di un bimbo di terza elementare. Wow... Darwin, alzati da quella cazzo di tomba e vieni qui a guardare la tua fottuta evoluzione, stronzo.
Ma Matilde, nella sua spinta missionaria, aveva contattato Viola, dicendole che le sarebbe tanto piaciuto parlare con lei perché la vedeva molto giù e sapeva dei suoi messaggi più o meno velati che facevano riferimento al voler finire la scuola il prima possibile.
Viola aveva rimandato al mittente qualsiasi tipo di cenno di aiuto, ma la mia amica non era facile ad arrendersi.
«Lei deve capire che si può aprire con noi» rimuginava un pomeriggio mentre tornavamo a casa dopo scuola.
«Mati però ehi, più di quello che stiamo facendo, è ben difficile! Quella non ne vuole sapere, ma che vada a fanculo» aveva puntualizzato Cate, con la solita terminologia da scaricatore di porto.
Io pensavo al fatto che l'apertura di Viola potesse significare anche il fatto che raccontasse quei baci. Mi spaventava l'idea? Boh, mi ero fatta un po' fatalista a riguardo, sapevo che tutte le volte che c'ero io in mezzo, finivo per perdere punti-reputazione. Una in più una in meno, che differenza faceva?
No, non è vero, mi faceva differenza. Alla fine speravo che la cosa non saltasse fuori.
«Facciamole, uhm. Tipo, lei non compie gli anni adesso, tra qualche giorno?» mi aveva interrotto il flusso di pensieri Matilde.
«Eh no» l'aveva stoppata la Cate, «Io non faccio nessun cazzo di regalo a una che mi odia, ok? Soldi non ne spendo. Punto.»
«No, vedi, non dobbiamo spendere soldi. Dobbiamo fare un regalo simbolico! Uno di quei regali a spesa zero ma che scaldano il cuore.»
«Un accendino» aveva ironizzato l'altra.
«No, no, fidati, ho una idea bellissima, ma dobbiamo trovare delle vecchie tazze. Ce le hai delle tazze vecchie? Delle ciotole anche»
Niente. Era partita. La sua mente creativa si era accesa. Dovevamo solo aspettare che concludesse l'opera, perchè Matilde era una che i progetti non solo li apriva, ma li chiudeva anche.
Cosa ho imparato a Gennaio 2010: che le cassette anonime sono il secondo posto preferito dai leoni da tastiera.
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