Dicembre 2008
Dove io e Matilde andiamo al gruppo di lettura,
e io vado pure al pranzo di Santo Stefano dalla nonna
Mercoledì 10 dicembre 2008
Dicembre era stato un mese complicato, che ci avrebbe portato nell'anno dei tredici, e si sa che tredici non porta buono, già da molto prima del libro di Jay Asher.
Ok, questa l'avevo copiata da Matilde, che faceva le battute colte.
In quel periodo, che era iniziato con il cazziatone della prof su come mi comportavo, avevo iniziato ad avere l'impressione di perdere pezzi di me stessa, lentamente ma inesorabilmente. Ehi, sia chiaro, continuavo a essere una ragazza appassionata e vivace, esuberante, ma negli ultimi mesi qualcosa era cambiato. A parte la Maty, con cui condividevo i momenti in cui leggevo il suo diario e le rifilavo i miei consigli musicali copiati dai discorsi tra Sophie e Cate, sentivo che le amicizie nuove e quelle vecchie, mi erano un po' più lontane. Ma soprattutto Clemy, che ogni giorno catalizzava sempre più le mie attenzioni.
Come ho detto, non è che avessi molte pietre di paragone, ma a me sembrava il ragazzo perfetto: non aveva occhi che per me, mi sembrava abbastanza premuroso, e presente il giusto. Ero innamorata? Ma va là! Non ero innamorata, dovevo compiere tredici anni, che cazzo ne sapevo dell'amore! Però ero convinta di essere innamorata e mi sentivo al settimo cielo, o qualcosa del genere.
Mi sembrava che la sua presenza mi "proteggesse" da quelle considerazioni velenose che sentivo attorno a me, specialmente dai prof, che continuavano, tra le righe, a commentare il mio modo di fare e, soprattutto, il mio modo di vestire.
«Non mi sembra molto corretto che gli altri ti dicano cosa devi metterti addosso» mi diceva la Maty, mentre a casa sua un po' mi sfogavo, ripercorrendo gli episodi che mi avevano fatto masticare amaro.
«Già, è vero.»
«L'importante è che ti senti bene con te stessa, no?»
«Maty, secondo te mi vesto da troia?»
«Tu non sei una troia, tu sei una amica speciale, e gli altri possono dire quello che vogliono, loro non sono tua mamma.»
Che poi sulla questione di mia mamma se ne sarebbe potuto discutere, perché i miei genitori non è che mi stessero proprio addosso, anzi, tutt'altro. Ma poi puntualmente, anche i miei genitori mi rompevano le palle su come mi vestivo.
Quindi avevo continuato a vestirmi come pareva, addirittura forse calcando la mano. E tutte le volte che sentivo una certa parola che iniziava per T, riferita a me, correvo dalla Maty, dalla Cate o dalla Sophy e loro mi consolavano e mi spronavano a fregarmene. E io ripartivo determinata e esuberante.
Clemy non la pensava come loro. Era dell'idea che non dovevo mettermi nei casini a scuola solo per far vedere un po' di tette.
«E poi, a chi? Ai tuoi compagni bambocci?» diceva, ironico.
Sembrava che gli piacessi un botto con quello che mettevo, ma che non fossero cose adatte da portare in tutti gli altri contesti.
Vi dirò, all'inizio, avevo trovato lusinghiero il fatto che Clemente volesse così tanto tenermi per sé, ma col passare del tempo, quei consigli e quelle attenzioni si erano trasformati.
Eravamo sempre gli stessi due, ma aveva iniziato a essere sempre più presente nella mia vita, mi chiedeva come mi ero vestita quella mattina a scuola, oppure veniva direttamente a trovarmi la mattina prima di entrare, dato che il nostro ingresso era alle otto e il suo all'alberghiero era alle otto e venti.
Era anche simpatico con le mie amiche, faceva battute un po' grezze, ma sembrava che ci stesse, nel gioco del prendersi in giro. Faceva un sacco di domande chiedendomi dove ero andata il giorno prima e delle volte anche sui tipi che ronzavano attorno, ricordandoci di come erano non più tardi dell'anno prima, quando lui aveva finito le medie e loro facevano la prima o la seconda.
«Guardalo, adesso fa il figo con la maglia dei Bulls ma l'anno scorso era un bimbetto con la maglietta dei pokemon.»
Questo era il tenore delle sue battute sui ragazzi, carini o meno, che circolavano dalle nostre parti.
«Fortuna che ci sei te che sei bello» lo aveva inchiodato una mattina Alessia. Era dicembre e lui aveva gli occhiali a goccia anche se le nuvole ci avevano fatto dimenticare l'esistenza del sole.
«Te ne sei accorta.»
«Era ironia, ma non ne hai bisogno, sei bello.»
«Mi prendi in giro?» si era scaldato.
«No, la mia era ironia, ma non ne hai bisogno, sei bello.»
«Dai, Ale» avevo provato a disinnescarla.
Cate e Matilde ci guardavano un passo più indietro. Sapevo che Clemy non faceva impazzire nessuna delle due, e mi ero aspettata magari un loro intervento per aiutarmi a riportare la tranquillità. Invece se ne stavano da una parte, quasi nascondendosi dentro la giacca.
Alessia era una che difficilmente mollava la presa, a volte dava quasi l'idea di essere una che voleva imporre la sua visione. Amava l'italiano e quando parlava sembrava essersi preparata e studiata a casa le battute.
«Nanetta, falla finita, che non hai diritto di parola. E poi non stavo parlando con te.»
Fortunatamente, era suonata la campana e ero letteralmente volata dentro dopo aver baciato frettolosamente Clemy.
«Ale, ma che c'è?» l'avevo poi presa da una parte.
«Ti chiedo solo una cosa: come fai a starci?»
Mi ero offesa, e non le avevo nemmeno risposto. 'Sta stronza.
Martedì 16 dicembre 2008
Poi era arrivata la Maty, tutta saltellante. Sprizzava uno strano entusiasmo, come un'aura che la avvolgeva.
«Chia, tu vieni al gruppo di lettura per adolescenti, vero?» mi aveva detto allargando occhioni e sorriso.
«Aspetta, a cosa dovrei venire?»
«Al gruppo di lettura per adolescenti, tipo bookclub! Ma sì, dai, ci vieni: leggiamo cose brevi, apposta perché così vengono più persone!»
«Ma quando sarebbe?» le avevo chiesto.
«Martedì prossimo! Ma tranquilla. E portati un libro che ti è piaciuto!» aveva insistito.
Non è che mi facesse impazzire l'idea di andare in un gruppo che leggeva o parlava di libri, perché dei libri me ne fregava proprio il giusto, ma l'entusiasmo della Maty non mi era indifferente, così c'ero andata, portandomi una copia di Twilight che mi ero fatta prestare un po' di tempo prima da Viola ma che avevo letto fino a pagina quaranta, dove lei dice che aveva deciso di rileggere Cime Tempestose.
Metaletteratura!
Taglio corto, al gruppo funzionava così: c'era una tizia della biblioteca che ci aveva dato il benvenuto e ci aveva ringraziato in mille modi. Era una tipa non tanto alta, magra ma energica, che portava una sciarpona bianca e nera a pied-de-poule. Ci aveva parlato con occhi sognanti del suo libro preferito, tal Il Giovane Holden, poi ci aveva chiesto di parlare un paio di minuti dei libri che avevamo portato, e poi aveva detto qualcosa tipo «Ehi, che ne dite di "votare" il libro che vi sembra più interessante questo mese?»
E noi avevamo votato.
«Ehi, che ne dite se ci vediamo il prossimo mese? Rifacciamo la cosa con i libri che leggeremo questo mese, magari qualcuna di voi» si era bloccata, poi aveva guardato Tommaso «o qualcuno di voi, avrà voglia di leggere uno dei libri che hanno consigliato gli altri membri del gruppo! E così metteremo in circolo titoli e idee!»
Tommy, fiacco, secco, con una matassa di capelli ricci e nerissimi, del suo libro aveva parlato leggendo una "recensione" che si era scritto in separata sede, perchè di solito diceva circa tre parole ogni ora. Cucciolo affetto da mutismo.
E ne aveva ben donde, il gruppo di lettura era formato da alcune maestrine del cazzo come la Gaia e l'Ale della mia classe o come, oh my god! La Carlotta di 3A che pareva Nonna Papera, ve lo giuro. Ma la peggiore di tutte era la Gioia, una tizia sempre di 3A già vecchia a tredici anni.
Era vecchia, non scherzo, era vecchia dentro, faceva considerazioni da vecchia, e più o meno aveva trattato tre quarti dei libri che avevamo portato come fossero merda letteraria, a differenza di lei che aveva portato, casualità incredibile, il capolavoro della letteratura già menzionato dalla bibliotecaria, Il giovane Holden che sosteneva di aver letto due volte in pochi giorni.
"In poche ore" mi ero detta, malcelando un sorriso.
Inutile dire che avevo detto a Matilde che non trovavo il senso della mia presenza lì, erano già una decina, perchè farmi questo? Ma lei mi aveva fatto gli occhioni e mi aveva detto che per lei era importantissimo che io ci fossi, e così avevo detto che ci sarei andata anche la volta successiva.
«Ma seria Maty, ma la Gioia di terza A, che problemi ha?»
«Perchè?» mi aveva chiesto, candidamente.
«Per lei nessun libro è all'altezza. Se sapesse che di Twilight ne ho lette solo quaranta pagine secondo me mi denuncerebbe ai carabinieri.»
«Non ti è piaciuto?» mi aveva domandato, stupita.
«Non lo so, è che... mi sembra che ci voglia troppo tempo a leggere tutto!» avevo sospirato.
«Vabbè non ti preoccupare, lo leggiamo assieme per le vacanze di natale!» mi aveva proposto, «me lo rileggo volentieri.»
E io ero rimasta interdetta, e lo avevamo fatto veramente.
Sabato 26 dicembre 2008
I pranzi del periodo natalizio, che gran tristezza. E il peggiore di tutti era quello di Santo Stefano perchè ai parenti si assommava l'incombente ritorno a scuola.
Invidiavo la Cate che in quel momento era in montagna a spassarsela sulla neve riprendendo lo snowboard dove l'aveva lasciato l'anno prima. Avrei tanto voluto essere con lei più che con della gente che mi chiedeva come andava la scuola e se avevo il fidanzatino.
A casa dei miei nonni paterni, si erano riunite una quindicina di persone, tra cui anche la sorella di mio padre, oramai separata e con un figlio di un paio di anni più di me, Manuel.
Passava i momenti insieme a farmi scherzi atroci sin da quando mi ricordavo ma no, non è la storia dei cugini che scopano, sereni, quelle storie dovete cercarle altrove.
L'anno prima lui era stato latitante per tutte le vacanze natalizie perché era con il padre (a sciare, lo stronzo) mentre invece quell'anno era da nonna, e mi guardava, molto più interessato di natale 2006 dove io avevo dieci anni e, ai suoi occhi, ero ancora insulsa.
«Ce l'hai il telefono tuo?» mi aveva chiesto appena era riuscito a incantonarmi nel corridoio che portava al bagno, con i parenti indaffarati in chiacchiere e preparativi.
«No» avevo risposto, contrariata, perché manco mi guardava in faccia, preferendo le tette.
«Facebook? Netlog?» aveva insistito.
«Ho il moroso.»
«E tuo cugino non può nemmeno chiederti l'amicizia su Facebook? Ma è un moroso o un secondino?» aveva detto sorridendo, ironico.
Poi la nonna ci aveva chiamati per l'antipasto ipercalorico, togliendomi dall'impaccio di dover chiedere cos'era un secondino.
Cosa ho imparato a Dicembre 2008: che puoi andare ai gruppi di lettura anche senza aver letto il libro
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