Autunno 2008
Dove io e Caterina torniamo a frequentarci e conosciamo Sophie,
la sorella di Andrea
Domenica 7 settembre 2008
Inutile dire che la punizione che mi era stata riservata era la completa segregazione in casa, a pane e acqua e repliche di telefilm di merda la mattina su Italia 1.
«Quando andiamo da Zara a comprare il burqa?» avevo improvvidamente chiesto a mia madre, che mi aveva risposto con una ciabatta.
Di quei giorni lunghi e collosi mi ricordo soprattutto la solitudine: nessuna, ad esclusione di Matilde, si era presa la briga di venire a trovarmi, e pure lei si era presentata quasi con i minuti contati. Forse aveva paura che tornassi sull'argomento "seno" ma avevo ben altri impicci che pensare alle sue tette.
Ad esempio il rapporto con Ashley, Viola e Luna, che si erano risentite perché avevo rubato loro la scena in piscina, 'ste stronze. Per nessuna ragione al mondo le avrei ricontattate, ero io la prigioniera! Erano loro che dovevano sincerarsi di come stavo.
Di merda, tra parentesi.
Cate, beh, Cate forse mi aveva bruciato ancora di più il fatto che non si fosse fatta sentire. Io mica sapevo che aveva avuto i suoi casini a Brighton, in quel momento mi scocciava e friggevo perché ero stata lasciata da sola a combattere contro i miei carcerieri.
Ma poi era arrivato il compleanno della Maty, e così avevo avuto il permesso di essere scarcerata per andare in pizzeria a festeggiare i suoi dodici anni. Era stata in quella serata che avevo rivisto la Cate e le avevo fatto uno sguardo ostile ma lei non ci aveva fatto molto caso: preferiva giocherellare con la frangia fucsia fatta fresca dalla parrucchiera non più tardi di una settimana prima, oppure in alternativa col cellulare.
Così le ero andata sotto il naso con un «Comunque grazie per il supporto, è un mese che sono carcerata e manco un saluto.»
Il suo sguardo si era alzato dal telefonino, dove aveva mandato diversi messaggi negli ultimi due minuti.
«Non ti hanno consolato le amiche tue? Stai sempre appiccicata a loro» aveva detto con un tono a dir poco ironico.
«Ma se sei te che te ne sei andata per sei settimane!» avevo sbottato, «te ne sei andata a fare la splendida nei camp in inglese e m'hai lasciata qua ad arrangiarmi!»
«Chia, non dire cazzate!» e poi aveva corredato tutto da una tremenda bestemmia che mezzo tavolo si era girato a guardarla, compresa la Maty che aveva due occhi che stavano per uscire dalle orbite.
Cate aveva immediatamente portato gli occhi alle punte dei piedi, vergognandosi di quella inattesa esplosione.
«Dai, tornate a parlare di GTA4 e non scassate» avevo aggiunto, per sdrammatizzare. Tutti si erano rimessi a fare quello che facevano prima, ma con imbarazzo 10x.
Io non sapevo se sorridere per la scena o essere dispiaciuta per quella reazione un po' sopra le righe. Così mi ero limitata a dirle che con Ashley e le sue amiche avevo molto raffreddato i rapporti.
«E quindi adesso torni dalla "bimba emo"? Da quella che ascolta i Frocio Hotel?» mi aveva detto alzando lo sguardo titubante, ma con un po' troppa ironia per una stronzetta di dodici anni.
Si, vabbè, anche io ne avevo dodici, ma non c'entra nulla.
«Mamma mia ma sei insopportabile! Non ti ho mai lasciata! Sei tu che hai sempre troppi brani da suonare con il pianoforte della chiesa, o sbaglio?»
Mi aveva guardata con i suoi occhioni a fanale, un po' troppo cerchiati dall'eyeliner, e poi mi aveva abbracciata, dicendo che era una "zoccola stronza".
Eh sì, certe parole me le ricordo bene.
Domenica 28 settembre 2008
La fortuna sfacciata, è il caso di dirlo, mi era venuta incontro quella stessa sera del compleanno, quando la mamma di Cate aveva riaccompagnato Andrea Cantore al negozio che la sua famiglia aveva a Milano Marittima.
Dentro il negozio c'era una tipa più grande di noi che faceva la commessa.
Splendida. Emanava freschezza e vitalità. I suoi capelli cadevano in morbide onde intorno al viso, illuminando il sorriso perfetto, mamma mia come era perfetto! Ma anche gli occhi erano grandi e luminosi e la pelle era di un colore pazzesco, come se le avessero dipinto l'abbronzatura addosso. E poi aveva delle labbra piene si incurvavano dolcemente in un sorriso dolce. Persino la postura era sicura e aperta, irradiava una fiducia in sé stessa che noi ancora ce la sognavamo, eppure si muoveva con agilità, come se danzasse attraverso la vita con un sorriso sulle labbra e un piglio vivace che la rendeva piacevole.
«Ehi nano, bentornato!» aveva apostrofato Andrea.
E noi ci eravamo guardate: sua sorella maggiore?
«Cate ti supplico» le avevo sussurrato «Vieni con me a scambiarci due parole!»
«Mamma dacci un secondo!» era scesa Cate e io dietro, saltellando come una capretta in un prato d'alta montagna. La mia amica si era poi accodata a me, perché mai sarebbe andata avanti per prima.
«Ciao!» avevo esordito, «siamo delle compagne di Andrea.»
Andrea non era del tutto convinto che due femmine della sua classe l'avessero scortato dichiarandosi apertamente sue conoscenti. Ci fissava con uno sguardo interrogativo. Sua sorella comunque non ci aveva fatto troppo caso.
«Oh ciao, io sono Sophie, sì in effetti ora che vi vedo, ho presente: vi ho viste qualche volta a scuola.»
«Aspetta aspetta, ma l'anno scorso eri alle medie?» aveva chiesto Cate, incredula, «Ti avrei dato sedici anni.»
Questo succedeva a quelle come lei che si guardavano la punta delle scarpe ascoltando i Secondhand Serenade.
«Veramente pure quest'anno mi tocca. Devo fare la terza.»
«Porcodd-» aveva mugolato incredula la mia amica.
«Buongiorno principessa» era stata la risposta di Sophie.
«Sarai mica diventata lella, Cate?» l'avevo un po' perculata.
Lei mi aveva guardato con occhi assassini per poi sibilare «Sei tu che hai insistito per conoscerla, trai le tue conclusioni.»
Beh insomma. Faceva la terza e, soprattutto, aveva degli outfit molto casual ma che le cadevano in maniera perfetta, e che si poteva permettere facilmente dato il negozio dei suoi.
Ovviamente Andrea era diventato seduta stante il mio fantastico amicone, nonostante non fosse proprio l'aquila della classe, e avevo insistito tantissimo perché ci presentasse meglio anche la sua sorellona. Andrea e Sophie in fondo avevano un buon rapporto fraterno, e per noi non era stato così complicato stringere un po' amicizia, anche perché lei si era presa bene con la Cate per via dei gruppi che ascoltavano entrambe. Tutta quella roba di pop punk e giù di lì tipo i Sum 41, Avril Lavigne, i Panic! At The Disco e anche cose più datate tipo i Blink-182 e i Green Day e altro che manco mi ricordo.
La Cate, pur ostinandosi ad avere un aspetto emo (ma guai a dirglielo eh), aveva finalmente potuto sparare tutta la sua potenza di fuoco musicale uscendo dall'angolo. Nei giorni seguenti mi aveva ripetuto in lungo e in largo che le piaceva un botto Sophie per i gusti, e poi era di terza.
Nonostante avesse solo un anno più di noi, pareva passasse un abisso in quel momento: trasmetteva un senso di maturità e sicurezza oltre gli anni, eppure non ci trattava come bimbette, che in fondo era la mia più grande paura.
Ci poteva stare che le facessimo un po' da "amiche" del momento, e che ci tollerasse solo in qualità di bimbette amiche del suo fratellino Andrea. Invece ci aveva prese in simpatia, lasciandoci gironzolare dalle parti del suo gruppetto di amiche, mentre ascoltavamo in religioso silenzio qualsiasi commento sulla moda.
Ma poi Sophie si girava verso Cate, le chiedeva «Che pezzo è quello che fa nananana nanaa nana» e lei in sei secondi le snocciolava titolo, autore e anno di pubblicazione e le tizie attorno come la Bea e l'Agne le chiedevano perché non si iscriveva ai quiz in TV.
Credo di non essere mai stata così attenta a scuola.
Giovedì 16 ottobre 2008
Un pomeriggio, ancora orfana di Matilde, con i giorni che si accorciavano e l'inverno che incombeva, ero andata a casa di Cate per togliermi la tristezza di dosso. Avevo preso un cinque inappellabile in una tavola di tecnologia e, come se non bastasse, quella mattina si era presentato nel gruppetto il fratello maggiore della Collinelli che aveva flirtato mezz'ora con Sophie e la Bea, non cagandomi di striscio.
Avevo voglia di parlare proprio di tutto quello che ci mancava per essere come Sophie. Ma arrivata a casa sua mi ero resa conto che parlando di quegli argomenti, avrei solo peggiorato la situazione per lei che oggettivamente era messa molto peggio di me.
Così mi ero limitata a parlare di vestiario, così in generale.
«Invidio un sacco Sophie per gli outfit. Anzi, forse più per quello che per tutto il resto, ma non solo lei, anche tipo la Bea. Guardale, hanno tipo mille outfit diversi.»
«Chia, ma ti fissi sempre con queste cose. Per come la vedo io, non voglio fare la Matilde della situazione, ma la Sophy è meglio perché è meglio dentro, è sicura, è intelligente e non è piatta di cervello. Le altre, boh, tipo la Bea, ha avuto culo che le sono cresciuti il culo e le gambe.»
La Bea con il suo fisico da ragazza adulta, metteva a nudo tutta l'acerbità di Caterina, che la soffriva abbastanza. Era veramente alta, sfiorava il metro e settanta, ma era armonica e di una corporatura da fare invidia. Non aveva un seno prorompente ma lo sapeva valorizzare. Il volto regolare, mediterraneo, che pareva disegnato da un Velasquez, era incorniciato da una fottuta cascata di capelli castano scuro arricciati uno a uno, da far invidia a una scatola di fusilli lunghi della De Cecco.
«Ok ma non basta il cervello Cate» avevo detto, quasi a mezza voce, quasi pentendomi.
«Non basta per cosa? Per avere a che fare con premi Nobel tipo Collinelli che capisce solo se dici LeBronJames? Tu a lui gli puoi parlare solo usando quel nome, dicendo lebronjames, lebronjames, lebron? Ah, lebronjames! James!»
Avevo ridacchiato ma lei era più seria del previsto.
«Di avere a che fare con gente così non mi frega. Chia, se ci tieni così tanto, prendi dal mio guardaroba, io magari prendo dal tuo. Tipo se per domani vorrei mettere quei leggins che hai adesso, te lo dico, e tu me li presti e io li porto quel giorno e poi te li ridò. E tu fai uguale con le mie cose.»
«Ma sul serio?»
Diceva sul serio, e non era indietreggiata di un millimetro. Mi proponeva di condividere il guardaroba con me pur sapendo perfettamente che il mio era ben più misero del suo.
«Ma il tuo armadio è molto più-»
«Non mi frega» mi aveva stoppata, «Della maggior parte delle cose, lo sai, non me ne faccio nulla.»
Aveva un armadio pieno di cose fighissime che le parenti le regalavano in vista della crescita, per cui le taglie non erano nemmeno un grosso problema. La condivisione era oggettivamente il saccheggio da parte mia ma a lei non interessava: eravamo amiche, eravamo pressoché sorelle. Gli abbracci tra di noi sprigionavano quella sicurezza che sentivo mancarmi in molti altri momenti della giornata, ma che anche lei sentiva mancare.
Gli abbracci erano molto di quello che avrei voluto, erano il contatto fisico che mi serviva per navigare a vista attraverso le scuole medie. Anche perchè non si giocava più ad acchiapparella perchè era da "bambini delle elementari".
Cate continuava a fare l'alternativa nascosta dietro la frangia, ma stava ricominciando a interagire in maniera accettabile con le persone attorno a lei (sempre che si trattasse di ragazze e non ragazzi)
Cosa ho imparato nell'Autunno 2008: anche i compagni di scuola più inutili, tipo Andrea, potrebbero avere dei risvolti positivi.
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