Aprile 2010
Dove Matilde dimostra una volta di più, se ce ne fosse bisogno,
che leggere è un passatempo divertente e istruttivo.
Giovedì 1 aprile 2010
Per le persone che mi conoscevano in maniera superficiale, Willy era semplicemente il mio terzo moroso in sei mesi. Periodo che avevo peraltro costellato di contenuti social piuttosto provocatori, che nessuno sapeva essere nati principalmente dalla testa di Cate.
Potevo anche ripetermelo mille volte che non importava il giudizio degli altri, che io dovevo essere io e basta, ma alla fine mi pesava che mi parlassero dietro, che mi guardassero con un sorrisetto di sufficienza, e che mi considerassero quello che mi consideravano.
Persino i bidelli che mi guardavano saltellare mentre me ne andavo nel bagno dell'ala dove era la classe di Willy, mettevano su un ghigno ironico, a volte persino scuotendo la testa, sebbene qualcuno di loro mi guardasse il seno, e nemmeno nascostamente.
Con il mio splendido mi baciavo tanto, usando qualsiasi sotterfugio pur di riuscire a scappare dalla classe e ritrovarmi con le sue mani addosso. Mi stimavo di essere l'unica persona che riusciva a farlo smettere di parlare di calcio.
Lui per me era un trigger, ma lo erano soprattutto le sue mani, che mi toccavano in un modo così impunemente completo che mi facevano precipitare indietro nel tempo, quando eravamo piccoli e la malizia non esisteva.
«Non ti scoccia di quello che dicono di me?» gli avevo chiesto un giorno, turbata dal fatto che nel bagno delle femmine di quel corridoio, fosse comparsa sullo sciacquone una scritta a marker rosa CHIARA RAGGI TROIA.
«Non me ne frega un cazzo» aveva risposto lui, oxfordianamente.
E avevamo ripreso a sbaciucchiarci vigorosamente.
E quelle mani. Mio dio.
Lunedì 5 aprile 2010
Il Lunedì dell'Angelo, Pasquetta, aveva fatto schifo come tempo, continuamente variabile e ventoso. Ero inchiodata a casa dei miei nonni per un interminabile pranzo dove non c'era nemmeno mio cugino con cui fare la stronza a cui sono cresciute le tette.
Dico così perché alla fine mi aveva trovato da solo sui social, e ogni tanto ci provava pure, proponendomi serate amichevoli tra cugini, ma io lo tenevo a bada egregiamente.
Anche Cate, a livello di pranzi pasquali, era messa come me, ma con un paio di miserrime scuse era riuscita a fuggire di casa e aveva trascinato Matilde in giro per Cervia, parlandole dei conoscenti paterni, gretti e supponenti, che le avevano lanciato occhiate un po' troppo interessate, a sua detta.
«Quelli sono veri schifosi, Maty, che ti spogliano con un'occhiata e nel frattempo ti chiedono se hai il fidanzatino. Che merde.»
Proprio lei che un paio di mesi prima diceva di volere uno grande per farsi fare da genitore e fidanzato contemporaneamente.
Erano andate sulla scogliera a fare qualche foto, che figurati se Cate non ne approfittava per fare un po' di book. Ma mentre erano in fase di shooting fotografico, avevano visto tre tizi in calzoncini da mare come se fossero a luglio, e le felpe grosse con il cappuccio. Guardavano l'acqua in uno strano modo, come se stessero fremendo, saltandosi addosso, spintonandosi.
A Cate non era sfuggito che Matilde s'era incantata a guardare quel trio.
«Cara la mia Matilde ci mettiamo a guardare anche noi i ragazzi, vero?» le aveva chiesto, dandole di gomito.
«Cate, smettila! Volevo solo vedere se per caso ne conoscevo qualcuno, non c'erano secondi fini.»
Ma lei non aveva mollato, finché Matilde, arrossendo, non aveva confessato la crush per Federico Toschi. Allora aveva iniziato a battere le mani per l'eccitazione, per poi tornare a essere la solita Cate di merda:
«Però Maty, fattelo dire. Fede non mi sembra nemmeno completamente a posto con quella faccia sempre da chi è da un'altra parte con il cervello, quell'andatura strascicata e quel cappuccio perennemente sopra la testa. Boh, è loffio.»
«Sì forse hai ragione, non è proprio il ragazzo più coinvolgente della scuola» aveva detto Matilde, demordendo subito sotto le picconate di quel demone stronzo.
Ma il giorno dopo, puntualmente, la cosa era venuta fuori quando quelle due erano venute a trovarmi.
«Dai, dillo anche a Chiara chi punti, su! Anche se, vabbè, è un 'po...» e Cate aveva imitato il fare semiaddormentato di Fede, con la lingua a penzoloni.
Avevo già sbagliato una volta con Matilde, così avevo lanciato uno sguardo inceneritore all'imitatrice e poi avevo detto «Maty, tranquilla, se non vuoi essere stressata, diccelo pure. Io e anche Cate non ti romperemo le palle. Giuro.»
«No Chià tranquilla, mi piace Fede. Fede Toschi» aveva detto, con una semplicità sooooo cute.
«Beh, beh, Maty, mica hai scelto male» le avevo detto, con la massima sincerità.
«Chià, fisico ok, ma mamma mia sembra sulla luna» era montata su Cate, intonando il pezzo di Caparezza «Io vengo dalla luna! Io vengo dalla luna!».
«Cate, però, mica ci devi fare una ricerca di Scienze. Fede va molto bene. Molto! Mhm... ma gli hai visto quelle robe bellissime che ha qui?» le avevo indicato l'addome, «te Cate fai troppo scarto. E infatti vai ancora a dita».
«Mi risulta che anche tu vada a dita, bella mia».
Dopo quattro o cinque battute sempre più grevi sulla masturbazione, mi ero resa conto di esserci cascata di nuovo. Maledetta Cate.
«Scusa Maty.» avevo mormorato.
«Tranquilla Chià. Mi sono un po' sbloccata».
Sul serio? Notizia bomba! Ma poi c'era stato un silenzio imbarazzato di tutte e tre, e alla fine, pur di non rimanere in silenzio, avevamo cambiato discorso.
Lunedì 12 aprile 2010
Eccoli lì i due piccioncini che si salutano prima dell'ingresso a scuola, con circospezione, come se nessuno debba vedere perchè guai! Non sia mai che ci sia del sentimento nell'aria!
Quanto avrei voluto urlare a quei due «E fatela finita! E limonate!» ma sapevo che avrei fatto sprofondare Matilde sotto terra. E poi già non avevo una nomea limpida, urlando certe cose avrei solo peggiorato la situazione. Infine avevo già chi a limoni non si faceva certo ridere dietro.
A riguardo, avevo obbligato la Maty a venire da me quello stesso pomeriggio giusto perchè avevo voglia di raccontare un po' come stava procedendo con Willy, la sua bocca e le sue labbra.
«La lingua è uno strumentopolo magico» mi aveva detto, sorridendo, alla fine del breve racconto. E in fondo ero felice che fosse serena nel parlare con me di quegli argomenti. Con Cate non era così facile perché finiva sempre a parlare di cose pese.
Ma la cosa incredibile era stata che lei aveva iniziato a parlare di fantasie, molto lievi a dire la verità. Quanto era tenera in tutto quello!
«Ma Maty dai dimmi, ma come mai tutti questi cambiamenti?»
«Non lo so, mi sembra che stiano cambiando tante cose in questi giorni. Cambia persino il tipo di libri che mi piace leggere» aveva ammesso, «Mi piace quando c'è comunque una storia sentimentale. Forte.»
«Mica è così male. Anche a me piacciono le storie sentimentali forti. Se sono fiacche, fanno schifo.»
«Anche molto forti» si era limitata a dire, con un tono quasi cospiratorio.
Matilde cospiratoria. Questa era decisamente nuova. Voleva dire qualcos'altro. Me lo sentivo.
«Parla, furbetta.»
«Sto leggendo da una piattaforma di social reading, sto leggendo quelle che chiamano fanfiction. Soprattutto Harry Potter e Shadowhunters» poi aveva fatto una pausa, lunghetta, «e, beh, sono parecchio forti.»
Confermo, erano parecchio forti. Matilde me ne aveva fatte leggere un paio e certe scene non avevano nulla da invidiare alle fantasie di quella bestia di Caterina, ma dette in un italiano molto migliore.
Io non ero Cate, esperta pornomane, ma mi sapevo difendere sull'argomento "fisiologia dell'accoppiamento", e tutto quel leggere di corpi scultorei e membri turgidi mi aveva enormemente accaldato.
«Maty, dovreste fare i gruppi di lettura su questo, altro che "Il giovane Holden".»
Domenica 25 aprile 2010
Avevo inondato i social delle foto con Willy, che ormai, senza più nascondersi, diceva che era il mio moroso.
Sebbene io, precauzionalmente non avessi detto a casa di una presenza maschile nella mia vita.
Anche mio cugino mi aveva messo il like per poi scrivermi per messaggio "Ciò non toglie che tra cugini possa esserci un legame speciale".
«Apprezza il fatto che abbia azzeccato il congiuntivo» aveva scherzato Matilde dopo aver letto il messaggio, mentre a casa sua, cazzeggiavamo nel pomeriggio del 25 aprile, festa della Liberazione.
Ma, curiosamente, era il primo 25 aprile in cui entrambe eravamo "occupate". Ascoltavamo musica, leggevamo passi scemi da storie online scritte malissimo e parlavamo del fatto che stesse per finire la scuola, e che l'anno prossimo avremmo abbandonato le medie.
Lei su quell'aspetto, aveva un'idea un po' contrastata.
«Sì, è vero che questi anni non sono stati una passeggiata. Che mi hanno trattata di merda. Ti ricordi del povero Snoopy? E poi la storia del book club?»
«Me le ricordo tutte. Io certi nostri compagni li ammazzerei con queste mani. Cioè, tipo Gabri» avevo sbuffato.
«Però dai, abbiamo fatto anche belle amicizie, come Alessia, Gaia.»
«La Collinelli tanto tanto. Gaia diciamo venti percento.»
«Sei troppo cattiva con lei. Eppure alla fine della fiera ti ha anche difeso, come con Clemente. E te lo assicuro, lei non pensa che tu sia.»
Il suo silenzio successivo, una volta di più, mi aveva fatto capire quando la mia amica tenesse a me. Tanto da non dire certe parole, a me riferite, nemmeno per spiegazione, nemmeno privatamente con me.
L'avevo abbracciata, quasi commossa.
«Di loro un po' mi spiace. Ma io non ce la farei a fare il classico. Troppo complicato e, forse, troppo competitivo.»
«Tu saresti perfetta in qualsiasi scuola» le avevo detto, con una punta di amarezza.
Sia Matilde che Cate avevano scelto Scienze Umane, presso lo scientifico di Cesenatico. Quest'ultima miagolava quasi ogni giorno che non vedeva l'ora di togliersi dai piedi quella scuola di merda, e che tre anni più buttati nel cesso non poteva nemmeno immaginarseli.
Per lei, quella scuola media era stata un incubo fatto di compagne stronze e egoiste, compagni stupidi, e valanghe di malignità dette alle spalle. Quando le facevo notare che era lei che di solito accendeva le polveri con i suoi commenti acidissimi, lei rispondeva che lo faceva solo per autodifesa e perché il saggio diceva «Chi mena per primo, mena due volte.»
Io avevo ricevuto il consiglio, da parte degli insegnanti, di proseguire gli studi prediligendo istituti professionali. E prima ancora, a dicembre, ero andata all'open day Scienze Umane con le mie due amiche di sempre, che per me contavano talmente tanto che per loro sarei andata a fare, che ne so, anche il Comandini, giuro.
Anche il Comandini. E ho detto tutto.
Dicevo che ero andata all'open day ma avevamo beccato degli insegnanti a dir poco stronzi, che si erano persino messi a chiederci quante ore al giorno studiavamo. io, per non sembrare troppo svogliata, avevo detto un'ora e mezza. E quella mi aveva riso in faccia dicendo che per fare un liceo ci si doveva dimenticare di cavarsela con "un'oretta e mezza". Appena fuori, una delle ragazze che davano una mano si era fermata a scambiare con noi due parole.
«Nah, quella esagera. Nessuna studia sei ore come vorrebbe lei!» e io avevo tirato un sospiro di sollievo.
Tuttavia, la mia scelta sarebbe stata sconsigliatissima da credo qualsiasi professore sulla faccia della terra e ovviamente era stata osteggiata dai miei genitori che mi avevano messo davanti tutte le mie risicatissime pagelle degli ultimi anni.
«Chiara, la scelta della scuola non si fa pensando alle amiche! Quelle le vedi pure alla fine della scuola! te l'ha detto pure il vicepreside» aveva abbaiato mio padre, seguito a ruota da mia madre.
Per loro, l'ideale sarebbe stato che frequentassi l'Alberghiero, scegliendo Sala o Ricevimento. Sarebbe stato un buon compromesso, vicino a casa e in una scuola che stava faticosamente scrollandosi di dosso la nomea di proto-carcere minorile.
Così a malincuore, dopo giorni di tentennamenti, ad aprile avevo fatto la preiscrizione all'Alberghiero e avevo provato a dimenticarmi di quella faccenda delle superiori, dedicandomi a Willy e alla promozione online della nostra relazione.
Ma poi mi era arrivata una notifica, poi una seconda notifica. La prima era Mirkino che metteva il like alle mie foto col moroso, la seconda era lui che mi scriveva in privato.
Mirko: Dai che puoi avere di meglio.
E di seguito un suo selfie in pantaloncini da calcio o comunque corti, mentre faceva anelli di fumo con una canna in mano. Chiuso il pomeriggio. Non avevo dato più segni di vita, e la mia fortuna era stata che erano ormai quasi le sei. Matilde mi aveva lasciata stare nei miei pensieri.
Cosa ho imparato a Aprile 2010: che certi fantasmi probabilmente non ti abbandoneranno mai.
RICORDATEVI DI ANDARE AL CAPITOLO QUIZ E DIRE LA VOSTRA!!!
ALTRIMENTI CATERINA SI INCAZZA E VE LA VEDETE VOI CON LEI
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